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Autore: amy holmes_JW    10/04/2021    0 recensioni
" [...]Sherlock sentiva che l’ombra che attendeva che gli venisse aperto poteva significare o la fine definitiva, o un nuovo inizio.
così aprì con la stessa rapidità con cui si strappa un cerotto."
Ebbene sì, si parte da qui. Ci sono solo poche cose da sapere prima della lettura: John è stato nuovamente arruolato, Sherlock non ha potuto fare nulla per evitarlo, entrambe si sono fatti una promessa. Sono passati 365 giorni e il detective ha aperto la porta di casa perchè qualcuno ha suonato.
La lettura di questa fanfiction è indipendente, ma può essere letta come un finale chiuso per "is the end... maybe yes, maybe not".
Buona lettura.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Va bene, è passato parecchio tempo ed è forse giunto il momento di dare almeno un ipotetico finale a "is the end... maybe yes, maybe not". Quando la scrissi l'avevo pensata proprio con una conclusione aperta ma sono arrivati i Pinguini Tattici Nucleari e mi hanno acceso una lampadina. Ahimè la cazone è forse tra le più commoventi dell'utlimo disco e non è stato possibile evitare di farmi trasportare dall'angst. Se non avete letto la precedente storia, non preoccupatevi dovete sapere solo un paio di cose: John è stato richiamato nei paesi di guerra, prima di partire si sono fatti una promessa e dopo un anno Sherlock deve aprire la porta al suo futuro.
Buona lettura.

 

Pastello Bianco

La porta si richiuse con un cigolio straziante che faceva eco al dolore sordo di Sherlock. L’uomo ad attenderlo dall’altra parte non era il suo dottore.

Non aveva voluto sentire neanche una parola dall’estraneo in alta uniforme che gli si era palesato di fronte. Aveva solo allungato un braccio e annuito.
- Signore… - due occhi ghiacciati e appena offuscati lo fermarono e lo fecero desistere dal proseguire oltre.
- So perché è qui mi dia le sue cose e se ne vada. – con uno sforzo ben celato il detective era riuscito ad allentare il nodo alla gola giusto il tempo di espirare quella frase, dire di più avrebbe reso tutto reale troppo in fretta.

Poteva esserci solo un motivo perché un militare era entrato in casa sua e quel piccolo pacchetto sigillato lo confermava.
A passi mal fermi Sherlock si diresse nuovamente in salotto dove le due poltrone si fronteggiavano. Guardandole non poté evitare di osservare che la sua continuava a mostrare un’alterazione data la sua seduta continua, mentre quella di John era tornata quasi alla sua forma originaria. Non aveva osato farci sedere sopra nessuno, nemmeno Ms. Hudson o Molly che passavano spesso a vedere come se la cavava.
All’inizio era piacevole e gli era stato di grande aiuto, ma dopo mesi si era abbastanza abituato: John era tornato sul campo, gli scriveva, si tenevano in contatto, stava bene.

Stava.

Quel semplice pensiero lo destabilizzò, senza troppe cerimonie lanciò l’involucro che continuava a girarsi tra le mani e sprofondò sulla sua seduta in pelle. La schiena curva protesa in avanti, una mano a coprirgli la bocca e l’altra abbandonata su ginocchio. Gli occhi fissi davanti al vuoto.
Un silenzio assordante gli permetteva di sentire i battiti del proprio cuore farsi sempre più rapidi e il respiro lento e profondo uscire dalle narici e infrangersi sulle dita.
Era sempre stato abituato all’immobilità, ma in quel momento il peso della verità sembrava aumentare di volume ogni momento che passava. Si alzò. Iniziò a muoversi per la stanza come un animale il gabbia. Doveva aprire quel pacco. Avrebbe dovuto, prima o poi. Si mise le mani nei capelli, prese un ultimo sospiro e si sedette di nuovo, questa volta però si accasciò nel fantasma di un abbraccio offerto dalla poltrona di John. Scartò l’imballo ed estrasse gli ultimi oggetti del suo medico.
Gli effetti personali erano pochi: vestiti civili, una divisa, un paio di foto, il portafoglio, ma sopra tutto una lettera sigillata. Non era la prima che aveva ricevuto, ma di sicuro sarebbe stata l’ultima. Sul retro nella familiare calligrafia c’era il suo nome e l’indirizzo di Baker street, strappò la chiusura e iniziò a leggere:

“Ciao Sherlock,
ti ho salutato giusto qualche giorno fa nella nostra ultima telefonata, eppure ho sentito il bisogno di scriverti perché mi manchi. Non sono stato sincero con te quella sera. Ti ho detto che andava tutto bene, che qui un giorno era uguale all’altro, che tutto era immobile.
Non era vero, ci stiamo per spostare, andiamo verso l’entroterra, lì la situazione è un po’ più grave e delicata, ma ti prometto che cercherò costantemente di stare attento e di trovare sempre il modo di darti mie notizie.
La fatica si fa sentire, ma il nostro futuro mi da’ speranza, forza e coraggio. Ti ho sentito molto più tranquillo in questi ultimi mesi e tutto ciò mi rallegra. Spero che tu abbia incontrato qualche caso da 8 che ti abbia distratto un po’ dall’apatia di una casa vuota, e che tutti stiano mantenendo fede alle mie richieste.
A volte penso a quei momenti in cui attraverso il filo gracchiante della cornetta da campo ci chiediamo ‘come stai?’. C’è quell’attimo interminabile dove nessuno dei due osa sbilanciarsi, e quindi rimaniamo in silenzio. Ma non ci penso con rammarico, anzi mi fa sempre sorridere perché mi sembriamo due serial killer che interroghi per amor di Greg mentre, in realtà, sai già tutto di loro.
Ora, però, sento di voler raccontare un avvenimento che non so perché, ma non ti avevo ancora detto. Ad ogni modo, un giorno siamo andati in avanzata per dare una mano a un villaggio che era stato appena attaccato. Gli uomini, le donne e i bambini bisognosi di cure mediche erano già stati messi in salvo e dovevamo solo assicurarci che fosse tutto tranquillo. Dio, Sherlock! Ne ho visti di orrori in Afghanistan ma la desolazione e la distruzione che si respirava nell’aria era soffocante. Sta di fatto che entrammo in una scuola fatiscente e lì in mezzo alle macerie c’era una bambina tutta rannicchiata in un angolo che stringeva un mazzo di pastelli e mi guardava terrorizzata con due occhi verdi spalancati. Non so cosa mi spinse ad avvicinarmi senza preoccuparmi di un imboscata o un brutto tiro mancino, ma sta di fatto che mi avvicinai, tolsi l’elmetto e cercai di sembrare meno intimidatorio possibile. Pian piano abbiamo cominciato a fidarci l’uno dell’altro e ho potuto offrirle il primo soccorso. Sai, la bimba è qui ora con noi al campo perché aveva bisogno di alcune cure e medicinali, a volte la vado a trovare ed è sempre intenta a disegnare con i suoi pastelli su dei fogli che gli altri commilitoni le portano. L’ultima volta che sono andato, prima di congedarmi mi ha fatto un grande sorriso e mi ha regalato un suo pastello bianco. Quei colori erano per lei la cosa più preziosa che le era rimasta, eppure ha voluto darmene uno. Mi ritrovo spesso a girarmelo tra le mani e mi sono ricordato di un giochetto che a volte facevo da piccolo.”

Sherlock corrugò le sopracciglia e iniziò a girare i fogli, non era possibile che la lettera finisse così. Certo, il racconto lo aveva intenerito e le parole iniziali avevano fatto tornare il nodo alla gola, ma per il resto quella era una lettera troncata: senza una chiusura, senza un saluto, senza un addio.
Doveva esserci qualcosa che non stava capendo, anche perché dopo un lungo spazio bianco, a ben vedere, c’erano scritte ancora due righe:
“Oh Gesù! Mi sento un adolescente che scrive sul suo diario segreto… non so proprio cosa mi sia preso. E non alzare gli occhi al cielo! Ti vedo! Lo so che nonostante tutto non sei un tipo da zucchero e miele ma lasciami ricordarti, ancora una volta, che ti amo. Tuo John”.

No, non poteva finire lì. Non voleva che finisse lì. Cosa gli sfuggiva? Cosa?

Avvicinò lentamente il naso alla carta, ma nulla.
Sapeva di aria del deserto, inchiostro e forse un lontano sentore di cera. Ispezionò la parte lasciata apparentemente vuota: al tatto era ruvida e viscosa, molto diversa da dove la penna aveva inciso la carta. Rilesse e spinto da un insight improvviso posizionò il primo foglio in modo tale che la luce ci creasse sopra un nuovo gioco di ombre. Fece lo stesso con il secondo, solo per avere la conferma della sua deduzione. Bingo! Lì sopra si nascondevano altre parole scritte probabilmente con quel pastello bianco della bambina. Rovistò in tutta la casa alla ricerca di una matita e attentamente colorò mettendo in evidenza cosa gli veniva nascosto.

Se stai leggendo vuol dire che ti ho inviato questa lettera e che il mio piccolo trucchetto è stato scoperto. Certo da te non potevo aspettarmi qualcosa di diverso, scommetto che la tua mente brillante ci ha messo pochi secondi a capire tutto. Ammetto che c’è una parte di me che sperava tu non lo capissi e che io, tornato a casa, ti avrei fatto vedere. Cielo! Pagherei oro per una scena del genere. Non ci sono piani segretissimi in queste righe, ma qui non si è mai troppo attenti alla privacy, la discrezione non è di casa e volevo che queste parole rimanessero solo tra me e te. Sarà che sono diventato vecchio, sarà che ormai è un anno che non ci vediamo, abbracciamo, tocchiamo ma ho sentito il bisogno di dirti tutto quello che sei per me. Te lo scrivo perché ci conosco e sarebbe impossibile dirtelo a voce. Ti ho detto di quando il nostro generale ha fatto sembrare che nevicasse? Ecco, tu sei la neve nel deserto, la tua risata quando torniamo dalla soluzione di un caso è neve nel deserto, quei sorrisi che mi piace pensare siano solo per me, sono neve nel deserto. Sei quell’evento inaspettato che ti riporta a casa, che ti riporta alla vita. Farti entrare e seguirti ciecamente in ogni tua strampalata avventura è stata la scelta migliore che potessi fare, seconda solo alla decisione di andare oltre alla nostra amicizia e vedere se potevamo essere qualcosa di più. Sei il mio soffio vitale, ti ho perso una volta e non lascerò che capiti di nuovo. Quando nelle serate immobili alzo lo sguardo e vedo tutte queste miriadi di stelle mi auguro che tu stia bene, che tua abbia il meglio e che tu abbia davvero trovato il tuo posto nel mondo dove senti di non stonare più. Perché fidati, con te io l’ho trovato ed è per questo che tornerò a casa e ti sposerò. Vorrei dirti tante altre cose ma mi hanno chiamato a rapporto e devo riprendermi un attimo.

Oh Gesù! Mi sento un adolescente che scrive sul suo diario segreto… non so proprio cosa mi sia preso. E non alzare gli occhi al cielo! Ti vedo! Lo so che nonostante tutto non sei un tipo da zucchero e miele ma lasciami ricordarti, ancora una volta che ti amo. Tuo John”

Rileggendo nuovamente quelle ultime frasi scritte con l’inchiostro, Sherlock notò che poco più sotto un piccolo alone rendeva evidente che John avesse pianto.
Al di fuori di ogni controllo una lacrima fresca percorse silenziosamente il suo zigomo per poi infrangersi e incontrare quella del suo militare a sigillare per sempre quello che era stato e che non potrà più essere.
Un singhiozzo infranse il silenzio irreale dell’appartamento.
Sherlock si conosceva bene, sapeva di essere sull’orlo di un precipizio così prima di lanciarsi si concesse la possibilità di piangere, solo una volta, finché avesse avuto lacrime. Prese la divisa di John, se la portò al petto, ci immerse il viso e sdraiatosi sul divano fece proprio quello che si era concesso fino a quando, stremato, si addormentò.


              

 

Qualche ora dopo, il detective si svegliò con gli occhi secchi, gonfi e con un ricordo di John che gli sussurrava prima di partire “noi due ci conosciamo bene, quindi per favore non piangere e non ci rimanere male. Ci rivedremo”.
Con le membra rigide si alzò stirando tutti i muscoli prima di dirigersi al teschio che lo fissava dalla mensola del camino. Nel suo cranio cavo si nascondeva la piccola scatola di velluto blu con dentro l’elegante anello. Il medico non aveva voluto portarselo dietro, era una persona inconsciamente superstiziosa e non ne aveva voluto sapere, credeva che non portasse bene.
Sherlock accarezzò il freddo oro bianco e se lo infilò. Distrattamente pensò che Mycroft avrebbe sorriso sconsolato a quel gesto. Poi avrebbe mormorato che non era saggio, che la scelta migliore per poter andare avanti sarebbe stata quella di lasciar perdere vecchi ricordi.
Scacciò quell’immagine e sospirò. Lo aspettavano giorni difficili, ma non importava. Avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per testimoniare la grandezza dell’uomo che ha avuto la fortuna di avere accanto.
Ora, oltre ad essere sposato con il suo lavoro, sarebbe stato sposato a John, al suo ricordo.

 

Sempre.

 

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Eccoci!
Vi prego, non odiatemi. Magari tra qualche anno avrò un altra illuminazione e dietro quella porta ci sarà John. Mai dire mai.
Per chi volesse sentire la canzone la trovate qui. Per il resto spero vi sia piaciuta e attendo fiduciosa le vostre recensioni (anche solo per dirmi se avete trovato gli easter eggs che ho inserito). 
Alla prossima, Amy 🌻

  
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