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Autore: Aimi_fantasy    12/04/2021    4 recensioni
Mitsui ha ereditato il proprio caratteraccio dalla madre e quando lei deciderà di trascinarlo a un festival per un'uscita di famiglia non potrà dirle di no.
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akira Sendoh, Hisashi Mitsui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Questa piccola one shot è per ricordare a tutti il motivo per cui non vi sono mancata in questo periodo di assenza! Eheheh è un’altra storia leggera e senza pretese, nata da un sogno fatto qualche mese fa e che tale sarebbe dovuto rimanere! Finalmente il mio periodo di clausura è finito e ho deciso di festeggiare pubblicando questa cosa, prima di mettermi al lavoro e recuperare tutte le storie che mi sono persa in mia assenza… ho molto da recensire!
Nel testo troverete due asterischi, sono due omaggi a due autrici di questo fandom a fine storia spiegherò i riferimenti!
Buona lettura!
 
 
Appuntamento a quattro
 
Nella calma della calura estiva un urlo ruppe il silenzio.
“Hisa-chan!”
“HISACHAN!”
“HISASHI MITSUI!” sbraitò sua madre strappandogli le cuffie dalle orecchie mentre se ne stava placidamente sdraiato sul letto.
Mitsui la guardò sbattendo le palpebre instupidito, l’aria di uno che arrivato in un enorme parcheggio si rende conto di non ricordare dove abbia lasciato l’auto.
“Ti sto chiamando da ore, te ne rendi conto? Come fai a startene qua a rimbambirti con quella musica assordante? Sono sicura che ti fa male all’udito!” sbottò mettendosi i pugni sui fianchi con fare battagliero.
“Io non credo che mi stessi davvero chiamando da ore, mamma…” sospirò alzandosi a sedere.
“Non provarci, ragazzino! Cambiati che tra poco usciamo.” poi si sciolse in un sorriso arruffandogli i capelli “se ti sbrighi ti compro i taiyaki.*”
Hisashi inclinò la testa di lato, guardandola andare alla porta. Lo stava facendo di nuovo.
“Usciamo?”
“Certo! Stasera inizia il festival, non ricordi? Dai, datti una mossa o io e tuo padre ce ne andremo senza di te!”
Mitsui, rimasto solo nella stanza, scosse il capo.
Se davvero ci fosse stata la remota possibilità che ne fossero andati senza di lui, se ne sarebbe stato sdraiato sul letto ad attendere, incatenandosi alla testata come una vergine in un tempio azteco pur di non farsi portare via, ma sapeva che entro pochi minuti – che sua madre avrebbe definito mesi – la donna sarebbe tornata a dargli una mossa e non ci sarebbe stata catena che avrebbe tenuto.
Se Indiana Jones avesse fatto parte della sua famiglia ogni film si sarebbe concluso a cinque minuti dall’inizio, con sua madre che trascinava Indie a casa per un orecchio, blaterando di qualche festa a cui non poteva assolutamente mancare.
Spense il walkman con aria afflitta, niente più musica per quella sera.
Insomma, aveva quasi diciotto anni e davvero quella donna pensava che volesse andare al festival con mammina e papino per farsi comprare i dolcetti? Magari farsi anche allungare cento yen per pescare un pesciolino** a quelle stupide bancarelle!
Da quando era tornato a giocare a basket, abbandonando la vita da teppista, sua madre aveva preso a comportarsi in quel modo assurdo, trattandolo come un bamboccio di otto anni. Era come se sentisse di aver perso il suo bambino e ora che l’aveva ritrovato non aveva intenzione di sprecare un solo secondo.
Evidentemente a Tsunade Mitsui sfuggiva il fatto che il “bambino” che si era fatto un giretto per la cattiva strada era un ragazzo di sedici anni e che quello che era tornato ne aveva diciotto, quindi non le era stata strappata proprio nessuna infanzia da recuperare: si era giusto schivata una ventina di mesi di ormoni, brontolii e rispostacce.
Non andava ai festival da prima dell’infortunio e, anche se avesse voluto, non ci sarebbe certo andato con i propri genitori! Beh, non ci sarebbe andato nemmeno con la squadra, a dirla tutta, quel branco di disadattati l’avrebbero fatto sentire ugualmente in imbarazzo.
Doveva parlargliene e farle capire che doveva smetterla.
Di nuovo.
Il primo tentativo era andato a vuoto, inascoltato come l’applauso a una mano sola di un albero al centro della foresta deserta.
All’ennesima minaccia della donna di togliergli il permesso di guardare i cartoni animati se non avesse finito di mangiare le verdure, aveva sbottato, urlandole che di quella roba per piscialletto non gliene poteva fregare di meno e che se non avesse smesso di comportarsi da pazza avrebbe ricominciato a uscire con la vecchia compagnia.
Sua madre l’aveva guardato perplessa per qualche secondo, poi, brandendo minacciosamente un mestolo, aveva chiarito che non le piaceva quell’atteggiamento ribelle e che se avesse continuato di quel passo avrebbe potuto sognarsi il ritiro con la squadra in vista dei campionati nazionali.
Touché.
Sì, forse doveva ammettere che il suo primo tentativo non era stato esattamente pacato e che avrebbe dovuto tentare la via della diplomazia tanto per cambiare, ma da quella volta aveva accettato le follie della madre senza più fiatare per il timore di non poter partire.
E aveva sempre mangiato tutte le verdure.
Sbuffò alzandosi dal letto e scendendo al piano di sotto senza nemmeno guardarsi allo specchio: prima sarebbero partiti e prima sarebbe finita quella tortura.
“Oh, non vorrai davvero venire così!” strillò sua madre guardandolo con disapprovazione “hai ancora addosso i pantaloni della divisa e guarda i tuoi capelli! Datti una sistemata sembri un randagio!”
Si avvicinò a lui per pettinarlo e Hisashi ringraziò il cielo perché fosse troppo bassa per raggiungere la sua testa saltellando. Sapeva perfettamente di avere l’aria di uno che era appena stato colpito da un fulmine, un tornado e dalla tifoseria di Rukawa contemporaneamente, ma, dopo il taglio drastico di pochi mesi prima, non aveva ancora deciso se volesse farsi ricrescere o meno i capelli. Certo, al momento gli era servito qualcosa di abbastanza clamoroso da urlare “sono cambiato”, ma non li aveva mai portati tanto corti e non era sicuro di piacersi. La sua chioma stava approfittando di questo suo momento di incertezza per fare quello che pareva a lei, acconciandosi in maniera più assurda dei personaggi di Dragonball.
E poi era ancora infastidito perché quel demente di Sakuragi l’aveva spudoratamente copiato dopo la partita col Kainan e nessuno sembrava averlo notato. Anzi, tutti a fargli i complimenti senza il minimo appunto alla sua mancanza di originalità, quando l’aveva fatto lui, nessuno aveva commentato il suo taglio ad esclusione di Tetsuo e non era sembrato particolarmente entusiasta.
Sua madre stava ancora saltellando e si ritrasse con uno sbuffo.
“Mh, non c’è nulla da fare, fanno quello che pare a loro. Li avrò ereditati da te.” Mormorò buttando gli occhi al cielo, per poi puntarli sul padre, alla ricerca di aiuto.
L’uomo si limitò a sorridere divertito. Nessuna fune di salvataggio.
“Oh, almeno mettiti lo Yukata che ti ho comprato!” cinguettò la donna correndo a prendere il capo in qualche armadio.
“Non mi aiuterai, vero?” supplicò Mitsui guardando il padre che attendeva pazientemente in piedi accanto all’uscita.
“No, scusami figliolo, ma quando te ne andrai all’università sarò io a dover continuare a vivere con lei. Non ho intenzione di sentirmi rinfacciare per sempre che le ho rubato gli ultimi mesi con il suo bambino adorato.”
“Saranno i mesi più lunghi della mia vita.” Mugolò.
“Che questo ti sia di stimolo per studiare per l’ammissione!” scoppiò in una profonda risata.
L’idea che tutto quello che stava accadendo fosse un piano dei genitori per spingerlo a concentrarsi sulla scuola si affacciò nella mente di Mitsui, e si rafforzò quando sua madre riapparve con quel… coso. Non c’era parola terrena per definire quell’insieme di fantasie mal assortite stampate su tessuto acrilico, scartato probabilmente dal set di Willy il principe di Bel-Air perché troppo pacchiano.
“No.”
“No, cosa, tesorino? Almeno provalo! È del tuo colore preferito!”
Quella roba era del colore preferito di chiunque, aveva più sfumature di quante un uomo potesse indicarne e sull’etichetta doveva esserci qualche avvertenza su malesseri che potevano insorgere fissandolo troppo a lungo.
E poi…tesorino? Le cose stavano precipitando, ormai si era oltre gli standard giapponesi!
“No, mamma, non mi metterò quello yukata in pubblico. Non che sia brutto – si affrettò ad aggiungere vedendola mettere il broncio – ma tra i giovani non si usa più. Se incontrassi qualche mio amico finirei per vergognarmi.”
Lei lo guardò con aria dura.
“Voi giovani d’oggi e le vostre manie da occidentali! Tuo padre sarebbe stato felicissimo di ricevere un capo simile quando aveva la tua età! Vero, caro?”
“Certo, Tsunade.”
Hisashi ghignò. Se suo padre non voleva aiutarlo, allora sarebbe affogato con lui sotto le attenzioni di sua moglie.
“E allora perché non lo mette lui? Abbiamo più o meno la stessa taglia e sarebbe un peccato sprecare un vestito tanto bello!”
“Giusto, Hiroshi! Perché non lo metti tu?”
L’uomo scosse il capo rabbuiandosi.
“HIsashi, io e tua madre abbiamo sborsato un sacco di quattrini per mandarti a quel ritiro con la squadra. Il minimo che tu possa fare per questa famiglia è mostrare un minimo di gratitudine e apprezzare gli sforzi di tua madre per passare insieme questa serata, prima che tu parta per Hiroshima.”
 
Mitsui camminava ingobbito, sperando di poter far rientrare la testa come una tartaruga in modo che nessuno potesse riconoscerlo.
Si era illuso di aver fregato suo padre, ma il giudice aveva brandito il suo martelletto e ora si trovava in mezzo alla folla vestito come un cretino. La seduta è tolta.
“Due giorni.” Sospirò fra sé, concentrandosi sul pensiero della partenza con la squadra pur di evadere dalla realtà. Sua madre non avrebbe potuto perseguitarlo anche lì, giusto?
“Hai detto qualcosa, caro?”
“No, mamma, niente.”
“Non è che sei così agitato perché potresti incontrare una ragazzina che ti piace?” ridacchiò tra sé, prendendolo a braccetto con fare cospiratorio. “Potrei darti una mano, magari. La tua vecchia mamma è pur sempre una donna!”
Hisashi avvampò non facendo che confermare i suoi sospetti.
Doveva guardare il lato positivo: aveva usato il termine “ragazzina” e non “bambina”, forse stava cominciando a rientrare in sé stessa.
Peccato che non ci fosse nessuna ragazza al mondo che potesse piacere a Mitsui.
Ecco uno degli altri motivi per cui non si stava ribellando all’assurdo comportamento della madre: aveva intenzione di dire ai genitori di essere gay dopo il campionato nazionale e non voleva dar loro nessun dispiacere prima della bomba che gli avrebbe sganciato addosso.
Tsunade si stava comportando da folle al pensiero che il proprio figlio avrebbe lasciato per sempre il suo nido, come avrebbe reagito scoprendo che non ci sarebbero stati altri cuccioli un domani?
Deglutì a vuoto, immaginandosi legato a un seggiolone troppo piccolo e un’enorme bavaglia al collo.
“Guarda l’areoplanino, Hisa-chan, apri l’hangar”
No, non avrebbe retto ancora a lungo.
“Non mi piace nessuna ragazza, mamma.” sbottò più bruscamente di quanto avrebbe voluto.
“Oh.” Mormorò lei staccandosi dal suo braccio con aria ferita. “se non vuoi parlarmene lo accetto, ma certo non conquisterai nessuna se non impari a curarti un po’ di più. Sembri un gattaccio spelacchiato con quei capelli.” Forse aveva alzato un po’ troppo la voce, perché un gruppetto di studentesse lì vicino si voltò verso di loro e guardò Hisashi ridacchiando. Sprofondò ancora di più nel proprio variopinto sarcofago, pregando di non incrociare nessuno che conoscesse. Rabbrividì al solo pensiero di quanto lo avrebbero potuto sfottere Sakuragi e Miyagi.
“Ehi, ma quello non è Mitsui dello Shohoku?”
Se quella era la risposta divina, si disse, tanto valeva scrivere “fottiti Mitsui” con le stelle del firmamento. Sarebbe stato più originale.
“Chi sono quei ragazzi che ti chiamano?” squittì sua madre, improvvisamente su di giri “Dei tuoi amichetti del basket?”
Hisashi emerse dallo yukata figlio della peggiore pop art e si guardò attorno circospetto.
Merda.
Metà dei titolari del Ryonan lo stava fissando divertito, compreso lui.
Gli Dei stavano seguitando con il loro copione pieno di cliché da telefilm per adolescenti, ma doveva dargli atto che era una tortura piuttosto efficace. Mancavano solo Zack e Screech alla rimpatriata e l’episodio di Bayside School era servito.
“Mh. Più o meno. Molto meno che più.” Biascicò proseguendo lungo la strada.
“E non li saluti? Sembrerai un maleducato! Penseranno che io abbia allevato un cavernicolo! Dai, presentameli. Non conosco nessuno dei tuoi amici!” Tsunade gli si aggrappò al braccio, tentando inutilmente di frenare la sua avanzata.
Era come vedere un topolino che cercava di fermare una cane tirandolo per la coda.
Sentì delle risate provenire dal gruppetto di giocatori ed ebbe la tentazione di girarsi per controllare la sua espressione, ma si trattenne: se fosse andato ora avrebbe potuto negare per sempre di essere lui il bamboccio attaccato alla gonna della mammina con indosso un mix di vomito d’unicorno e scorie nucleari.
“Sarà per la prossima volta, ok?”
“Guarda che se non mi ci porti tu, ci vado io da sola, eh!” minacciò quella lasciando la presa.
“Tesoro, non credo sia il caso, sai. Metterai tutti in imbarazzo.” Hiroshi per la prima volta intervenne, assicurandosi l’eterna gratitudine del suo unico figlio.
“Oh, sciocchezze! Che imbarazzo vuoi creare? Voglio solo vedere in faccia gli amici di Hisa-chan e se lui non viene con me, ci andrò da sola!”
Mitsui sentì i suoi geta picchiettare rapidamente sull’asfalto allontanandosi da lui, insieme a ogni briciola di possibilità di uscirne a testa alta.
Si voltò di scatto e si gettò all’inseguimento della madre, raggiungendola a un passo della rappresentanza del Ryonan.
Fukuda e Koshino avevano le lacrime agli occhi nell’immane sforzo di trattenere uno scoppio di risa, persino Aida stava nascondendo parte del viso dietro al proprio quaderno per mascherare la propria espressione.
Sendoh invece sorrideva come sempre, difficile capire se lo stesse facendo più del solito.
In effetti non credeva fosse possibile. Così come non avrebbe potuto essere più bello del consueto.
Ancora oggi era convinto che lo svenimento durante la partita fosse stato causato dal suo continuo sbavare per lui, aveva perso troppi sali minerali.
Quando si erano seduti a guardare la partita tra Ryonan e Kainan, solo poche settimane prima, aveva già sentito parlare di Akira Sendoh, ma nessuno l’aveva avvisato che fosse il ragazzo più bello che avrebbe mai visto. E perché mai avrebbero dovuto, dopotutto? Era rimasto per tutto il tempo in silenzio a fissarlo, annuendo vagamente ai commenti degli altri sulla partita: non sapeva nemmeno a quanto fossero. Si era alzato prima della fine andandosene alla prima occasione, solo perché altrimenti sarebbe corso negli spogliatoi ad attenderlo per saltargli addosso.
Non era solo il suo aspetto, c’era qualcosa in lui che lo attirava come uno stupido moscone verso la luce bluastra della lampada cattura insetti.
Si chiese se anche il suo fan club avesse una ridicola divisa come quello di Rukawa, mentre si immaginava in gonnellina e pon-pon a saltellare urlando “Il nostro eroe è solo Sendoh, un canestro e stiam venendo!”.
Avrebbero accettato membri maschi nel club? Avrebbe dovuto farsi la ceretta per mettere quella mini assurda?
“Ciao, ragazzi! Sono la Signora Mitsui, la madre di Hisashi, giocate con lui?” chiese Tsunade candidamente.
“E’ un piacere conoscerla, signora Mitsui. Siamo giocatori di una squadra avversaria di suo figlio. Io sono Akira Sendoh.” Quando il loro capitano si inchinò anche tutti gli altri lo seguirono balbettando i propri nomi, tremando leggermente nel tentativo di trattenersi dall’ennesimo scoppio di risa.
Mitsui sbuffò.
“Contenta, ora? Dai, andiamocene.” Tagliò corto Hisashi tirando la madre per una manica, ma senza riuscire a staccare gli occhi da Sendoh.
Oh, anche il Porcospino indossava uno yukata, a differenza dei suoi compagni, ma non era lo straccetto inguardabile che faceva sembrare Mitsui un palloncino sgonfio, il suo era un capo di valore, di un prezioso blu notte finemente ricamato d’argento. Sembrava esser stato cucito per stargli addosso.
Questa era la differenza tra Akira Sendoh e il resto del mondo: un qualsiasi adolescente si sarebbe sentito in imbarazzo in abiti tradizionali tanto eleganti in mezzo ad amici in jeans e maglietta, ma non lui, no, certo che no. La sua semplice presenza aveva il potere di sovvertire ogni regola sociale. Se si fosse presentato a un matrimonio vestito di bianco, tutti gli invitati avrebbero guardato la sposa con rimprovero: come si permetteva quella sciacquetta di cercare di distogliere l’attenzione da Sendoh?
Hisashi si costrinse a spostare lo sguardo.
Quella visione valeva l’umiliazione del momento? Considerando che non avrebbe mai avuto possibilità con Sendoh, forse sì. La vergogna sarebbe passata, più poi che prima, ma una simile immagine della sua prima cotta gli sarebbe rimasta impressa nel cervello per sempre.
“Andarcene? – Tsunade lo guardò stupefatta - Magari ai tuoi amici vogliono unirsi a noi! Possiamo mangiare tutti insieme, che ne dite, ragazzi?”
Nella lista delle più grandi paure di un adolescente, passare la serata con una mamma estremamente socievole è seconda solo agli esami di ammissione e a un blocco di tutti i social network.
Improvvisamente Fukuda non aveva più la ridarella, ma giurava di aver un lavoro serale a cui doveva correre immediatamente.
Koshino si era asciugato le lacrime di divertimento e assicurò di aver sentito qualcuno che lo chiamava dal fondo della via. Doveva essere qualcosa di importante.
Aida alzò il quaderno ancora di più, sparendo misteriosamente dietro di esso, lasciando solo qualche post it spiegazzato e frammenti di appunti a testimoniare che fosse mai stato lì.
Restò solo Akira Sendoh con un sorriso cordiale, che si inchinò profondamente.
“La ringrazio dell’invito, Mitsui-san. Sarà un piacere unirmi a voi.”
Hisashi sgranò gli occhi e socchiuse le labbra, come colpito allo stomaco da un pugno. Il guaito che gli uscì dalle labbra era un incrocio tra il verso di un pappagallo e il fischietto di un giocattolo per cani.
“Sempre che a Mitsui Jr. vada. Ti andrebbe se mi unissi a te?” chiese guardandolo dritto negli occhi.
“Sì. Cioè no. Insomma, fai come ti pare.” Borbottò aggrottandosi e cercando di scacciare dalla propria mente il doppio senso che il suo cervello stava elaborando.
“Bene!” Tsunade battè le mani soddisfatta “Allora andiamo a prendere da mangiare!”
Li anticipò raggiungendo Hiroshi che la guardava sconsolato.
Mitsui approfittò della distrazione dei suoi genitori per prendere Sendoh per il bavero e trascinandolo a un palmo dal suo viso.
“Si può sapere che intenzioni hai? Vuoi prendermi per il culo?” ringhiò minaccioso. Cotta o non cotta, non aveva intenzione di permettere a qualcuno di ridere di lui o della sua famiglia.
Akira sgranò gli occhi stupito, erano lucidi e grandi come quelli di un cucciolo ferito.
“Non ti va che venga con voi? Scusami, non volevo infastidirti. Mia madre non è più con me e mi manca. Vedere la tua così disponibile nei miei confronti mi ha fatto sentire meno solo, come se lei fosse ancora qui.” si morse il labbro, sembrava sul punto di piangere.
Hisashi sbiancò. Sentiva un peso sullo stomaco guardando il porcospino con un’aria tanto triste. Come aveva potuto essere tanto superficiale? Non tutto girava intorno a lui!
“Sendoh, io non potevo sapere. Scusami, io..io…io…” non sapeva cosa dire, lasciò la presa sui vestiti dell’altro lisciandoli con le dita, imbarazzato “io sono uno stronzo.”
“Sì, lo sei, ma non in questo caso.” Cinguettò Akira scoppiando in una fragorosa risata, l’espressione da cagnolino bastonato archiviata in un battito di ciglia.
“Stavi scherzando?” ringhiò.
“Tecnicamente non ho detto una bugia. Mia madre vive a Tokyo e non la vedo da un po’, ma in pratica sì, ti stavo prendendo in giro. Non ho resistito dal vedere che faccia avresti fatto.”
“Ti sembra divertente?” ora che il panico era passato, Mitsui sentì l’eccitazione e l’imbarazzo per essere così vicino al ragazzo per cui aveva perso la testa al primo sguardo, impossessarsi di lui.
Doveva essere furioso con quello stronzetto per averlo fregato come un pivello, ma se si fosse spinto sulle punte l’avrebbe baciato e non riusciva a pensare ad altro.
“Questa era per il fallo che hai simulato su Fukuda.” Gli fece l’occhiolino, sistemandogli i lembi dello yukata con noncuranza. “Ora raggiungiamo i tuoi genitori o finiremo per perderci.”
Si avviò anticipandolo, come se non avesse appena evitato di rispondere alla sua domanda.
Quel ragazzo era in grado di svicolare dai discorsi quanto da una marcatura stretta in campo.
“Oh, Hisa!” esclamò sua madre non appena l’ebbero raggiunta “sicuro di stare bene? Sei tutto rosso! Non è che hai la febbre?”
Sarebbe stato meglio se non avesse fatto notare quanto fosse arrossito, Sendoh gli scoccò un sorriso divertito e sentì le guance scaldarsi ancora di più. Se non altro aveva un futuro come piastra per la soba.
Doveva stare calmo: il porcospino non poteva certo sapere il motivo di quel colorito da fragola matura, avrebbe attribuito il tutto alla sua pessima gestione della rabbia.
“Non è niente.” Borbottò cercando di sfuggirle mentre saltellava per poggiargli una mano sulla fronte.
Valutò una via di fuga: una reazione allergica data dai coloranti dello yukata era più che plausibile e avrebbe posto fine a quell’appuntamento a quattro da incubo.
Mentre era concentrato a guardare verso il basso per schivare la madre, una mano fresca e ruvida si poggiò sulla sua fronte.
“Mitsui-san, niente di cui preoccuparsi, non ha la febbre. È fresco come il vento autunnale.”
“Oh, grazie Akira, sei un tesoro. Fa sempre tanti capricci inutili, vorrei che imparasse ad essere gentile quanto te.” Ridacchiò la donna riprendendo a camminare.
Fermi tutti.
Akira Sendoh gli aveva appena provato la temperatura? Akira Sendoh lo aveva appena toccato?
Mitsui si voltò verso di lui con tutta la fluidità di un’antilope di cemento, gli occhi talmente sgranati da aver paura di perderli per la strada affollata.
“Che ti salta in mente?” pigolò.
“Ho fame, non volevo perdere tempo a vuoto.” Si giustificò lui con una scrollata di spalle “tu no?”
No. Non aveva affatto appetito, non di cibo almeno.
 
Mitsui non parlò più finché non si trovò seduto ai tavolini messi a disposizione per i clienti della bancarella, mentre Sendoh e sua madre non avevano smesso un solo secondo di chiacchierare.
Un po’ invidiava sua mamma, che senza badare alle convenzioni sociali e al possibile imbarazzo altrui, riusciva a parlare con chiunque. Dopo una mezzoretta era piuttosto certo che avrebbe battuto Aida ad un quiz sul capitano del Ryonan.
Nonostante l’imbarazzo per la situazione, le era anche grato, non avrebbe mai scoperto tanto sulla propria cotta se Tsunade non avesse deciso di fargli un interrogatorio dettagliato su ogni aspetto della sua vita.
Tutti tranne uno: non c’era stato il minimo accenno alla vita sentimentale di Sendoh.
Insomma, a che gli serviva conoscere il lavoro dei suoi genitori, la sua materia preferita, quale personaggio sceglieva quando giocava a Street Fighter e la sua opinione su X-Files quando tutto quello che voleva sapere era se aveva qualche minima speranza con lui?
S’imbronciò spazientito osservando il profilo perfetto del porcospino.
Stava vaneggiando: anche se fosse stato gay non l’avrebbe certo detto a sua madre e comunque non avrebbe avuto nessuna possibilità con lui. Era evidentemente al di sopra della sua portata.
Aveva sempre avuto un’alta opinione di sé, ma guardando il proprio riflesso sulla lattina argentata che aveva di fronte, notò come i colori vivaci dello yukata lo facevano sembrare estremamente pallido e i capelli erano così spettinati che sembrava non averli lavati dopo l’ultimo allenamento. Non c’era gioco.
“Mi passi la salsa di soia?” chiese indicando la boccetta tra le mani di Sendoh.
“Hisashi, non ti ho forse insegnato la parolina magica?” tuonò Tsunade rifilandogli un’occhiataccia.
“Subito, Sendoh, vorrei mangiare prima che si freddi.” Ringhiò.
Il porcospino scoppiò in una fragorosa risata “Prego!” esclamò porgendogliela.
“Oh, Aki-chan. Non so più che fare con lui. Vorrei vi frequentaste di più, magari potrebbe imparare da te l’educazione. Evidentemente è un’impresa al di sopra delle mie possibilità.”
“Non credo che a Hisashi piacerebbe farsi insegnare qualcosa da qualcuno più piccolo di lui.”
“Che sciocchezze! Gli farebbe bene vedere qualcuno al di fuori della palestra.”
Mitsui sbuffò, stavano parlando come se lui non fosse seduto proprio in mezzo a loro.
“Ehi.” Sbottò cercando di richiamare l’attenzione. “Io sarei presente e si dà il caso che frequenti un sacco di gente fuori dai campi da basket.”
“Sì, sì, tesoro. Come vuoi.” Tsunade lo liquidò sventolando una mano “Ha fatto un periodaccio a scorrazzare per tutta la città come un teppista, ma da quando gli amichetti l’hanno richiamato per giocare non fa che pensare alla palla. Ah, voi giovani, non avete proprio vie di mezzo, eh?”
“Mamma, non mi hanno richiamato! Sono io che ho deciso che…”
“Hisa-chan, è scortese continuare ad annoiare Akira parlando di te stesso, non trovi? Oh, ti sei sporcato!”, detto ciò, estrasse dalle maniche del kimono un fazzolettino e dopo averlo inumidito con la lingua lo strofinò sul viso del figlio, che si ritrasse tanto in fretta da andare a sbattere contro un passate dietro di lui.
Dio, che schifo! Erano passati secoli dall’ultima volta che aveva fatto una cosa simile e certo non se l’aspettava ora, ma che le passava per la mente? In pubblico, poi! Si strofinò una mano sul viso fino a sentir la pelle bruciare.
Il sorrisetto di Sendoh, che aveva osservato con attenzione tutta la scena, sembrava estremamente divertito.
Hiroshi continuò a mangiare senza prestare attenzione al siparietto della moglie, alzò lo sguardo solo quando venne colpito da un leggero calcio dal figlio. Mitsui lo guardò con occhi di fuoco, per poi rivolgere un’occhiata alla madre.
Intervieni.
Non era stato attento, ma conosceva abbastanza il figlio per sapere quanto fosse vicino a un’esplosione.
“Perché non andiamo a casa dopo mangiato?” chiese, tornando alla sua soba e a ignorare quello che stava accadendo attorno a lui.
“Non diciamo sciocchezze.” Trillò Tsunade. “Siamo appena arrivati. Ma in effetti dovresti venire a casa nostra qualche volta, Akira. Un appuntamento di gioco, si usa ancora fra voi ragazzini?!”
“Nel caso di giocatori di basket accaniti come noi, il termine calza a pennello, Mitsui-San. E poi come potrei dire di no ad un invito tanto cortese? Sempre che a Hisashi vada bene.” Sendoh si appoggiò con il mento sul palmo della mano voltandosi verso Mitsui, che trattenne a stento un singhiozzo.
Aveva finto di non sentirlo la prima volta, ma non poteva continuare ad ignorare il fatto che il porcospino continuava a chiamarlo per nome.
Avrebbe dovuto fare lo stesso?
Akira.
No, non poteva riuscirci senza immaginare scene non adatte alla presenza dei propri genitori.
Doveva gettare i propri bollenti spiriti in una vasca di ghiaccio prima che fosse troppo tardi.
“Sendoh.” Disse scandendo ogni lettera, più per paura di balbettare che per sembrare duro “non mi sembra che qualcuno abbia preso in considerazione la mia opinione finora.”
“Beh, te la sto chiedendo io adesso.” Akira sorrise, piegando il viso di lato.
Hisashi si sfregò le mani sulle ginocchia, sentendole umide di sudore. Avrebbe voluto frequentare Sendoh? Ovviamente sì, conoscerlo meglio, farci amicizia, passare un pomeriggio chiusi in camera a chiacchierare e magari giocare a basket in cortile era un sogno che non avrebbe mai creduto realizzabile, ma per quanto tempo avrebbe potuto nascondere l’attrazione che provava per lui? Quanto avrebbe sofferto ad averlo tanto vicino da poterlo toccare senza averne la possibilità?
Il porcospino lo stava ancora guardando in attesa di una risposta che non riusciva a dargli.
Fortunatamente sua madre decise di intervenire, salvandolo da quella situazione.
“Oh, Akira-chan, sembra tu abbia fatto colpo.” Sghignazzò, indicando con un cenno del mento una coppia di ragazze al tavolino accanto che lo stavano osservando con occhi sognanti.
Sendoh stese un sorriso tiepido e scrollò le spalle senza nemmeno voltarsi a guardare.
“Non è detto che stiano guardando me, Mitsui-san.”
“Ah, no? Giurerei il contrario.” Tsunade fece un sorriso storto così simile a quello del figlio da lasciare il sospetto che i due si somigliassero più di quanto dessero a vedere.
“Potrebbero puntare Hisashi, non crede?”
Mitsui gettò uno sguardo alle ragazzine, pensando che non ci fosse proprio nessun dubbio: quelle due galline non avevano occhi che per il capitano del Ryonan.
Si chiese se fosse poi tanto brutto picchiare una ragazza.
Aveva fatto di peggio dopotutto, la sua reputazione non poteva scendere più in basso di dove stava: aveva toccato il fondo e scavato fino a trovare il petrolio.
“Akira-chan sei un ragazzo educato e modesto, tua madre deve essere molto fiera di te!”
“Mitsui-san, credo che lei sottovaluti suo figlio.” Ora Sendoh non sorrideva, notò Hisashi perplesso. Forse sua madre aveva detto qualcosa che l’aveva messo a disagio? Tirò un nuovo calcio al padre.
“Quindi tu trovi Hisashi bello?”
Sendoh aprì la bocca per rispondere quando Hiroshi picchiò una mano sul tavolo, interrompendo ogni discorso.
“Ragazzi, se avete finito di mangiare, perché non andare a fare un giro tra le bancarelle? Vi offro qualche giro al tiro a segno.”
Akira serrò le labbra in un nuovo sorriso, chinando il capo quasi fino al tavolo.
“La ringrazio infinitamente Mitsui-san.”
NONONONONONO! Mitsui avrebbe voluto strapparsi le gambe.
Cosa stava per dire quel dannato istrice dalla paresi facciale? Che era bello? Che era l’uomo della sua vita e che non aveva capito di esser sempre stato sulla sponda sbagliata fin quando non l’aveva visto per la prima volta? Doveva sapere.
Guardò sua madre aspettandosi qualche rimostranza da parte sua. Aveva fatto una domanda e lei otteneva sempre una risposta quando la voleva!
“Divertitevi, bambini! Vi aspettiamo qui.” Cinguettò allegra.
Mitsui alzò lo sguardo al cielo stellato: stranamente nessuna parolaccia stava ancora lampeggiando nel firmamento.
“Allora, Hisashi?” lo incalzò Sendoh, già in piedi accanto a lui. Senza attendere risposta lo prese per un braccio e lo trascinò verso delle bancarelle.
Mitsui si lasciò trascinare, senza la forza di opporre resistenza.
“Cosa vuoi fare?” chiese Akira una volta che furono abbastanza distanti.
“Uhm. Scavare una buca per sotterrarmici e dar fuoco a questo dannato coso.” Sbottò Mitsui indicando il proprio yukata.
Akira ridacchiò.
“Intendevo che giochi vuoi fare.”
Hisashi lo guardò perplesso. “Sei in salvo, soldato. Mia madre non può sentirti, puoi fuggire e rifarti una vita in qualche altra città.”
“Parli come se fossi stato obbligato a unirmi a voi.” Sendoh si strinse nelle spalle. “Io voglio pescare i pesciolini!”
“Io pensavo volessi andartene.”
“Perché dovrei? I miei compagni si sono volatilizzati e non è divertente girare le bancarelle da soli.”
Mitsui deglutì a stento, la gola improvvisamente secca e arida come una salina. Era convinto che il capitano del Ryonan avrebbe colto al volo l’occasione per levare le ancore e invece l’aveva afferrato per un gomito e lo stava trascinando per la strada affollata, fermandosi di tanto in tanto per osservare qualche stand in particolare.
Perché?
Si sentiva di escludere che fosse lì per prenderlo in giro. Non l’aveva messo particolarmente in imbarazzo – non quanto sua madre, almeno - e non c’erano testimoni con i quali ridere della scena più tardi.
Forse voleva vendicarsi della sconfitta subita solo pochi giorni prima? L’avrebbe trascinato lontano dalla gente, in un luogo buio, dove un paio di avanzi di galera lo stavano aspettando con spranghe e catene.
Osservò il ragazzo di fronte a lui guardarsi attorno indeciso su quale bancarella avesse i pesciolini più carini.
No, un assalto di quel tipo era qualcosa più nel suo genere che di quello dell’osannato capitano del Ryonan con la sua faccia da bravo ragazzo.
Per un attimo si concesse di pensare che si stesse comportando così perché voleva passare del tempo con lui.
Sentì lo stomaco stringersi e una strana sensazione svolazzante attraversargli la pancia.
Poi un gruppo di ragazze si avvicinò loro circondando Sendoh e ignorando completamente la sua presenza, tagliandolo fuori dal gruppo.
Non riusciva a distinguere cosa stessero dicendo tra i vari versetti eccitati e i ridolini da decerebrate, sentiva solo qualcuna squittire “Sendoh-sempai” di tanto in tanto.
Buttò gli occhi al cielo irritato.
Ok, messaggio chiaro, Dei: era stato troppo ottimista.
Si allontanò di diversi passi fermandosi a guardare i bambini che tentavano inutilmente di pescare dei pesci rossi con quelle stupide palettine di carta di riso. Non era mai riuscito a prenderne uno in vita sua.
Quindi il loro era davvero un appuntamento di gioco come l’aveva definito sua madre?
Pura e semplice amicizia e forse nemmeno quella. Il porcospino gliel’aveva detto chiaramente: era lì con lui solo perché gli altri se n’erano andati.
Sospirò sedendosi sui polpacci e allungando una banconota al proprietario della bancarella ricevendo in cambio una piccola bacinella e qualche paletta.
Si fermò ad osservare i pesci agitarsi sotto il pelo dell’acqua. Voleva prendere il più bello di tutti e regalarlo a Sendoh, in modo da lasciargli qualcosa che gli ricordasse sempre di lui e ogni volta che l’avrebbe incrociato in futuro avrebbe avuto un motivo per attaccar bottone.
“Ehi, come sta il pesce?”
Patetico, ma efficace.
Sempre che Sendoh non se ne fosse già andato con una delle ragazze che l’aveva circondato.
Perché mai avrebbe dovuto tornare da lui quando poteva scegliere una a caso dal gruppetto e passarci una piacevole serata? Non aveva più bisogno di lui per non restare solo.
Si morse l’interno della guancia infastidito, si sentiva un completo imbecille.
Beh, se la sarebbe tenuta lui la cazzo di carpa, per ricordarsi di quanto fosse stupido infatuarsi si qualcuno di così dannatamente irraggiungibile.
Strinse il manico della paletta pronto a scattare per acciuffare il pesce.
“Mi hai lasciato solo.” La voce lacrimosa di Sendoh alle sue spalle lo fece sussultare. Si girò, trovandolo accovacciato al proprio fianco, con un broncio da bambino e le sopracciglia aggrottate. “Sei veramente cattivo come dice tua madre.”
“C-come? Guarda che ti ho lasciato in compagnia, sai? Le tue fan non sembravano gradire la mia presenza.”
“Non mi hai nemmeno aspettato per pescare.” Piagnucolò.
Mitsui sospirò: non era in grado di resistere al sorriso del porcospino, ma pareva che i suoi capricci fossero persino più efficaci. Come faceva quel gigante di due metri e dall’aspetto di un divo del cinema ad apparire tanto tenero?
Gli passò una paletta senza proferire parola, l’aria fintamente esasperata.
Sendoh gli sorrise e lui ringraziò il cielo di esser già a terra, gli infortuni annui dovuti a svenimenti per i suoi sorrisi improvvisi dovevano essere una piaga per gli ospedali della zona.
“Voglio quello!” gli disse indicando un pesciolino giallo dai riflessi dorati, era così vicino che poteva sentire il suo petto appoggiato alla spalla.
“Mph. Prenditelo da solo.” Ringhiò abbassando il viso per nascondere il rossore, sapeva che con lui lì a fissarlo non sarebbe mai riuscito ad acchiapparlo in un solo colpo.
 
Pochi minuti dopo il proprietario della bancarella stava passando a Sendoh il sacchetto trasparente con il proprio obbiettivo all’interno, mentre Mitsui osservava torvo la propria paletta bucata e la ciotola vuota.
Akira gli si chinò nuovamente accanto mettendogli il pesciolino davanti agli occhi.
“Cos’è, vuoi sfottere?” grugnì lui con aria scocciata.
“No, è tuo.” Sendoh sorrise ancora di più “ma trova qualcuno che si occupi di lui mentre sarai ai nazionali.”
Questa volta non riuscì a dissimulare il proprio rossore, mentre prendeva il sacchetto trasparente delicatamente tra le mani.
“Pensavo lo volessi tu.” Mormorò senza staccare lo sguardo dal pesce.
Akira si alzò stiracchiandosi. “Andiamo, troviamo qualcos’altro da fare.”
Hisashi aggrottò le sopracciglia, ancora una volta Sendoh aveva svicolato l’argomento. Tutto quel gel lo rendeva viscido come un’anguilla: quando pensavi di averlo per le mani era già bello che lontano.
Beh, meglio così. Avrebbe pensato quello che voleva sul perché il porcospino gli aveva regalato quel pesce. Scelse di darsi qualche speranza alla facciazza di tutte le divinità in ascolto.
Forse il capitano del Ryonan aveva un certo feticismo per gli ex teppisti, forse dopotutto non era così etero come immaginava. Le follie di sua madre gli avevano regalato un’occasione unica e non aveva intenzione di sprecare quello che ne rimaneva: avrebbe seriamente sondato il terreno.
“Ho io una proposta, ora.” Esclamò alzandosi a sua volta e afferrato Sendoh per un polso se lo trascinò dietro.
Quando furono davanti a una bancarella in stile americano, con tre canestri e circondato da una montagna di grossi peluche e palloni da basket Akira scoppiò a ridere.
“I canestri di Dr. T?” chiese guardando l’insegna “Non ti bastano quelli che fai agli allenamenti?”
Mitsui sorrise sensuale. “Allo Shohoku non ci sei tu.”
Sendoh sgranò gli occhi per poi sciogliersi in un sorriso.
“Mi stai sfidando?”
“Mi sembra ovvio.”
“E cosa metti in palio?” Akira si avvicinò a lui, una luce maliziosa nello sguardo.
“il premio, ovviamente.”
“Oh, no. Quello è mio di diritto, perché tu hai avuto il mio pesce.”
Hisashi si leccò le labbra soddisfatto, sapeva che non si sarebbe accontentato di così poco.
“Se vinco io risponderai a una mia domanda senza svicolare.”
Sendoh si chinò, parlandogli direttamente all’orecchio. Il suo fiato caldo gli fece contrarre i muscoli della schiena.
“Se vinco io farai una cosa a mia scelta.”
Nuovi brividi attraversarono il corpo di Mitsui, che non poteva fare a meno di immaginare cosa il porcospino avrebbe potuto chiedergli.
“Ci sto.” Sussurrò con voce arrochita.
Il primo lancio di entrambi andò a vuoto.
Mitsui ringhiò, quella dannata palla era più leggera del normale per rendere il gioco più difficile.
Per un attimo pensò di perdere volontariamente, era così curioso di scoprire cosa Akira avrebbe preteso da lui, ma i tiri da tre erano la sua specialità e non poteva uscire da quello scontro a testa bassa.
Il suo secondo tiro raggiunse il ferro, mentre quello di Sendoh entrò docilmente, accendendo il suo spirito di competizione.
No, non poteva assolutamente perdere.
Otto lanci dopo si guardarono scoppiando a ridere fragorosamente.
Erano pari e non avevano vinto nessun premio della bancarella, erano stati alquanto penosi per essere tra i migliori giocatori della prefettura.
“Come la mettiamo, adesso?” Domandò Akira, mettendo nuovamente il broncio “Così io tornerò a casa a mani vuote.”
“Mpfh. Siamo pari, possiamo riscuotere entrambe le nostre vincite.” Sbuffò Mitsui osservando attentamente l’espressione dell’altro.
Sendoh stese un gran sorriso e annuì. “Mi sembra un’ottima proposta.”
“A me invece sembra che tu metta il broncio solo perché sai che così otterrai tutto quello che vuoi.”
Akira si strinse nelle spalle con aria innocente “Può darsi. Andiamo a sederci su quelle panchine?” chiese indicando una zona oltre la fine della fila di bancarelle, dove non c’era nessuno che potesse disturbarli.
Hisashi annuì e questa volta invece che trascinare l’altro per il polso, strinse la sua mano nella sua.
Sentì il porcospino intrecciare le dita con lui.
Non poteva aver frainteso anche questo.
Il cuore gli batteva talmente forte nelle orecchie che gli pareva di essere ad un rave abbracciato ad una cassa.
Doveva calmarsi o l’unica cosa che sarebbe stato in grado di dire ad Akira sarebbe stato: “Eh? Cosa? Non sento!”
Lasciò riluttante la sua mano e si sedette dalla parte opposta della panchina rispetto a lui.
Sendoh si limitò a fare uno sbuffo divertito.
“Quindi?” chiese accomodandosi contro lo schienale.
“Quindi cosa?”
“Quindi chi riscuote per primo?”
Mitsui deglutì a vuoto. “Inizio io, ok?”
Il porcospino si limitò ad annuire.
“Perché hai accettato l’invito di mia madre stasera?”
Aveva un milione di domande più pressanti di quella che gli passavano per il cervello, ma era l’unica che gli avrebbe permesso di non scoprirsi troppo. I segnali sembravano tutti abbastanza chiari, ma poteva sempre sbagliarsi clamorosamente.
“Ti facevo più intraprendente, sai?” Akira ghignò, scivolando verso di lui. “Potevi chiedermi qualsiasi cosa ed è davvero questo quello che vuoi sapere?”
“Stai svicolando, Sendoh, non erano questi gli accordi.”
“Mh. Potrei sempre mentirti dicendoti che è stato per la mia innata cortesia e chiudere qui questo tuo giochetto.” Ormai le loro spalle si toccavano e Akira si inclinò verso di lui, portando il viso a una manciata di inutili centimetri dal suo. “Oppure potrei dirti che so di piacerti e che ho approfittato del colpo di fortuna.”
Mitsui sgranò gli occhi e aprì la bocca inorridito.
“Tu… tu… cosa?”
“Hisashi, hai passato tutta la partita a fissarmi, così tanto che quando sei finito a terra ho pensato seriamente che fossi così impegnato a guardarmi da aver sbattuto contro qualcuno.”
Chiuse gli occhi colto da un moto di nausea. Non pensava di esser stato così patetico.
“Perché fai quella faccia? Scoprire di essere ricambiato è sicuramente una buona consolazione dopo una sconfitta.”
Mitsui riaprì gli occhi di scatto, il viso di Sendoh così vicino e i suoi occhi puntati nei propri.
Non era mai stato bravo a parole, era il momento di passare ai fatti e di dimostrare a quel ragazzino viziato perché lo chiamavano anima ardente.
Lo baciò.
Un contatto breve e impacciato, ma il porcospino gli afferrò il viso tra le mani approfondendolo senza troppe cerimonie.
Quando si staccarono Akira sorrideva felice.
“Direi che è il mio turno ora, no?”
Mitsui annuì meccanicamente, avrebbe solo voluto baciarlo ancora, ma il luogo non era abbastanza appartato e non era certo che sarebbe riuscito a fermarsi.
“Voglio che usciamo. Solo noi due.”
Hisashi annuì ancora, senza riuscire a controllare l’espressione ebete che gli si stava dipingendo sul viso.
“E non intendo un appuntamento di gioco, chiaro? O almeno non come lo intende Mitsui-san.”
Scoppiò a ridere, tirando a sé il porcospino e trascinandolo in un nuovo bacio.
“Sarà il caso di andare, ora. Siamo via da un po’ e i tuoi si chiederanno dove siamo finiti.” Sendoh si alzò riluttante.
“Oh, Aki-chan, sbatti i tuoi occhioni e mia madre perdonerà ogni ritardo.” Ghignò.
“Certo, ma preferirei approfittare di questi bonus per quando ti farò fare veramente tardi, per cose molto meno innocenti di queste.”
Mitsui arrossì, più per l’eccitazione che per l’imbarazzo, seguendolo docilmente.
 
“Vo..Volpe! Hai visto quello che ho visto io?” gemette Hanamichi lasciando cadere la palla che teneva fra le mani. Aveva portato il suo volpino ad un appuntamento romantico e figurarsi se quello non trovava l’unica bancarella dedicata al basket in tutto il festival!
“Hn. Idiota, non distrarti.” Ringhiò Rukawa, concentrato sul tiro, doveva calibrare bene la forza visto il peso differente del pallone e la maggiore distanza rispetto a quella della lunetta. Non se ne sarebbe andato a mani vuote! Se voleva essere il migliore del Giappone, avrebbe dovuto battere anche questo Dr. T!
Stava per tirare quando Sakuragi lo prese per un braccio, facendogli sbagliare miseramente il tiro.
“Imbecille.” Soffiò, guardando la palla mancare completamente il cerchio del canestro.
“Volpe, guarda là!” Hanamichi non sembrò curarsi dei suoi insulti mentre si sbracciava indicando una panchina non troppo distante da loro. “A me sembrano il porcospino e il baciapiselli.” Si mise le mani a binocolo attorno agli occhi come se questo gli avrebbe permesso di vederci meglio. “Mmm.. sembrano proprio loro! E si stanno… oddio!”
“Hn.” Rukawa scosse le spalle e tornò a recuperare il pallone.
“Come fai a reagire così freddamente?” piagnucolò Hanamichi, poi sgranò gli occhi prendendo fiato rumorosamente. “Non dirmi che lo sapevi già! È così, vero? Vero? Vero? Vero?”  insistette girando attorno al moretto e pungolandolo con un dito da ogni angolazione. Kaede buttò gli occhi al cielo: voleva solo vincere il suo meritato premio e poi trascinare l’idiota in un posto dove potessero stare soli, perché doveva sempre complicare tutto quanto?
“Hn.” Grugnì “L’ho sempre saputo che Mitsui ha un pessimo gusto nel vestire.”
“Argh! Non mi riferivo a quello, ovviamente! Dico di loro due. Forse dovremmo…” la voce di Sakuragi si affievolì mentre si grattava il mento pensoso.
Rukawa ebbe un brivido, nella sua mente l’immagine di un appuntamento a quattro con quell’arrogante rompicoglioni di Mitsui e l’irritante ghigno di Sendoh a condir tutto con le sue stupide battutine. No, non avrebbe mai diviso il proprio preziosissimo tempo col rossino con quei due sbruffoni, aveva già Hana come pagliaccio personale.
“Mh. Andiamocene. Questo gioco mi ha rotto.” Lasciò cadere la palla a terra trascinandosi dietro Sakuragi. L’unico modo per farlo desistere era distrarlo e lui sapeva perfettamente come fare.
 
Mitsui camminava a fianco dei propri genitori sulla strada verso casa dopo aver salutato Akira, cercando inutilmente di reprimere il sorriso ebete che gli piegava le labbra.
Ad un tratto Tsunade si bloccò di colpo, sussultando.
“Hiroshi! Abbiamo dimenticato di comprare i Taiyaki che abbiamo promesso ad Hisa! Puoi tornare indietro a prenderli mentre ti aspettiamo qui?”
L’uomo sospirò, evidentemente contrariato “Va bene, cara.”
“Mamma, non c’è bisogno che…” le parole morirono in gola ad Hisashi, quando la donna gli scoccò uno sguardo assassino. Qualcosa non andava e la sensazione di leggerezza che aveva avvertito fino a quel momento sparì all’istante.
Quando il marito fu abbastanza lontano, la donna tirò un grosso sospiro.
“Gli hai chiesto di uscire, Hisashi? Mi auguro che ti sia comportato in maniera cortese.” Gli dava le spalle mentre parlava.
Mitsui fece per smentire, ma si fermò. Forse li aveva visti e in ogni caso non aveva più senso negare, aveva comunque intenzione di parlare con lei da lì a pochi giorni, tanto valeva vuotare il sacco.
“Io… sì.” Mormorò abbassando il capo e stringendo i pugni.
Tsunade sospirò ancora.
“Ti devo delle scuse, Hisashi. Io ero alla partita che hai giocato con il Ryonan e ho visto come lo guardavi e ho visto come lui guardava te.” Mitsui non osò parlare, sudava freddo, sentiva come se il cuore gli accartocciasse il petto ad ogni battito, tanto era pesante. “ero così arrabbiata al momento. Non riuscivo a capire come fosse potuto succedere e come avessi fatto a non accorgermene. Prima la tua vita da teppista e ora… questo. E’ il motivo per cui sono diventata tanto apprensiva, volevo tenerti d’occhio, non come dopo l’infortunio.” Si voltò verso il figlio e gli prese una mano, nessuno dei due aveva la forza di guardare l’altro negli occhi. “Quando l’ho visto al festival non ho resistito. Dovevo scoprire chi fosse quel damerino che ronzava attorno a mio figlio e volevo metterlo in difficoltà, lo ammetto. Speravo di farlo fuggire a gambe levate, ma quando ho scoperto quanto è gentile e come ti guarda… mi sono sentita una vecchia megera bigotta.” Abbassò il viso con un leggero singhiozzo. “Puoi perdonarmi?”
Hisashi, ignorando chiunque potesse vederli si chinò ad abbracciare la piccola donna. “Sono io che devo scusarmi per tutte le preoccupazioni che ti ho causato.” Sentiva le lacrime premere agli angoli degli occhi per la gioia, il sollievo, ma anche di tristezza per come l’aveva fatta sentire.
Lei si scostò dopo qualche istante.
“Hisashi, quel ragazzo è una perla, chiaro? Vedi di non fartelo sfuggire.” Scandì secca piantando i pugni sui fianchi. Sembrava tornata in sé.
“Mamma, noi siamo solo agli inizi e…”
“E non appena tornerai dal campionato nazionale voglio entrambi a pranzo da noi. Ci siamo chiariti?”
Hisashi annuì con aria affranta, aveva forse altra possibilità?
 
Fine.
 
 
La scena Ruhana non era assolutamente contemplata, ma non ce l’ho fatta a lasciarli fuori!
 
Per chi non avesse colto, ecco il significato dei due asterischi!
 
*Taiyaki: questo è un riferimento bello e buono a “Insieme per sempre” di Cioppys, una delle fic che penso di aver letto più volte in assoluto. Se vi piace la coppia Mitsui-Sendoh, non potete assolutamente mancarla! E se finito di leggerla sentirete bisogno di ancora più Senmit (cosa altamente probabile) ci sono pure due side-story! Grazie Cioppys per averla continuata… è la mia droga!
**la bancarella dei pesciolini: questo invece è il mio omaggio alla fic in corso “Il Tanzaku Fortunato” di Thelvia BB  i cui aggiornamenti mi hanno tenuto compagnia in questi mesi di esilio forzato. Grazie Thelvia per esser la profeta delle Senmit <3 mi sdebiterò con uno tsunami di recensioni!!!!
 
   
 
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