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Autore: dragoargento    28/08/2009    4 recensioni
Sono passati millenni dalla sconfitta di Galbatorix, l'ordine dei Cavalieri è tornato agli antichi splendori ma la curiosità di quattro incauti allievi rischia di compromettere seriemente la pace raggiunta... Questa è una mia vecchia storia, scritta la bellezza di 3 o 4 anni fa, quando ancora ignoravo l'esistenza di questo sito e le mie fantasticherie rimanevano ad ammuffursi dentro una cartella (il che forse era meglio... ih-ih!). E' incompiuta ed è destinata a rimanere tale. Buona lettura!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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cavaliere

 

 Eragon e Saphira uscirono dall’ombra della torre per tuffarsi nella fiammeggiante luce del sole morente che investiva le mura della fortezza di Dorù Areaba, sede centrale dell’ordine dei Cavalieri dei Draghi sull’isola di Vroengard.

Entrambi avanzavano affiancati tra le mura merlate, il passo calmo e misurato di due vecchi saggi.

Essendo un drago ultramillenario, Saphira avrebbe dovuto avere le dimensioni dell’intera roccaforte, eppure sfoggiava una mole tipica di un drago di appena otto mesi.

La Grande Maestra preferiva così: raramente assumeva le sue vere sembianze e solo in caso di estremo pericolo, poiché prediligeva un corpo assai meno ingombrante per una semplice questione di comodità.

Alla sua destra, il cavaliere Eragon le sorrise dandole una pacca amichevole sulla spalla ricoperta di spesse squame, luccicanti di amaranto alle ultime luci del giorno.

Nessuna ruga lasciava intuire l’antica età dell’uomo.

I tratti somatici del volto dell’essere umano avevano assunto, ormai da secoli, i caratteri tipicamente elfici.

Lo si sarebbe potuto scambiare come un membro della razza leggendaria se non fosse stato per la corta ed ordinata barbetta che gli cresceva sulla mascella possente, bianca e diafana come la folta massa di capelli lunghi fino alla cintola, raccolti in una coda da un laccio di cuoio.

Drago e cavaliere si fermarono, appoggiando entrambi i loro corpi sani ed agili al parapetto del camminamento di guardia.

Le loro menti si toccarono, rincorrendo i lunghi secoli trascorsi, con la medesima romantica nostalgia di due vegliardi.

I ricordi saltellavano nelle loro memorie, baloccandosi con gli innumerevoli episodi della vita passata, giocando con suoni e colori, stancandosi con essi come un bambino viziato, per poi passare oltre.

In tacito accordo, rievocarono gli anni fatali della lotta contro Galbatorix, l’infanzia di Eragon nel villaggio di Carvahall, i Varden, gli elfi e le furiose battaglie contro i cavalieri rinnegati; la sconfitta che li aveva accarezzati con il proprio guanto di rovi e la vittoria finale, dolce come ambrosia e terribile nella sua gloria.

Ebbene sì, piccolo mio, infine ce l’abbiamo fatta… abbiamo salvato dall’estinzione la mia stirpe…

Disse Saphira con un dolce mormorio proveniente dalla gola cavernosa

E ripristinato l’ordine dei Cavalieri, riportandolo all’antico splendore.

Concluse Eragon, la mente fremente nelle rossastre sfumature dell’orgoglio, ugualmente condiviso dalla dragonessa che arruffò le squame azzurre in risposta.

Entrambi abbassarono lo sguardo sull’immenso cortile lastricato di Dorù Areaba, dove la nuova generazione di draghi e cavalieri si allenavano in una simulazione di battaglia.

I novizi superavano un centinaio di unità, i corpi avvolti in una moltitudine di fasce magnetiche e gli occhi coperti da uno schermo a fotoni.

Ovunque artigli e spade guizzavano, colpendo la sola aria ma rimanendo bloccati da essa, come se avessero incontrato un solido ostacolo.

Qualcuno barcollava all’indietro, colpito al petto od alla testa da qualche entità invisibile.

Tutti si stavano impegnando al massimo delle loro capacità per combattere i nemici virtuali che si riversavano su di loro ad ondate massicce ed implacabili.

 

 Bardato di tutto punto, Sigfrido abbassò la visiera dello schermo sugli occhi, escludendo la propria persona dal cortile della fortezza.

I raggi del sole lasciarono il posto ad una tenebra piatta ed uniforme.

Un “bip” acuto lacerò la cortina nera con una valanga di cifre verdastre e luminose che scorrevano velocissime avanti il suo campo visivo; poi tutto fu luce, e Sigfrido si ritrovò sulla sommità di una collina rocciosa, una vasta pianura lo divideva da un numeroso esercito di demoni che si stagliava all’orizzonte.

Accanto a lui si materializzarono i suoi compagni di addestramento; eppure Tramontana non si vedeva da nessuna parte…

Un lampo lo fece sobbalzare dalla sorpresa quando la dragonessa bianca si materializzò al suo fianco.

Era ora..

Fu il saluto cinico che Sigfrido rivolse al proprio drago.

Sgrunt! Non riesco mai ad allacciarmi queste dannate fascette agli artigli!

Il cavaliere ridacchiò, divertito dall’espressione irritata di Tramontana, cingendo il collo della dragonessa in un abbraccio fraterno.

Le muscolose braccia di lui, nere come l’ebano, costituivano uno strano contrasto sulle candide squame della dragonessa, bianche come la neve appena caduta.

Ehilà! Latte e Caffè! Io ed Edmund vi stavamo cercando… allora, pronti per l’allenamento serale?

Era stato un giovane drago rosso a parlare, i suoi pensieri assunsero un tono insolitamente squillante nelle menti di Tramontana e Sigfrido.

Ieri ci avete battuto per 2045 a 2037nemici…

Aveva aggiunto Edmund in groppa al suo drago Amlet, la mano destra dell’elfo saldamente serrata attorno l’elsa di una lancia fissata alla sella.

… ora tocca a noi combattere via aerea, credo che questa volta non avrete la stessa fortuna di ieri sera, io e Amlet ci prenderemo la rivincita!

Sì, aspetta e spera!

Aveva ribattuto Sigfrido, sistemandosi a sua volta tra le spine dorsali della dragonessa e sguainando la spada con un sapiente ed esperto movimento fluido del braccio, la lama sembrava stata forgiata nell’avorio.

Il corno dei Cavalieri dei Draghi lanciò nell’aria immobile la sua nota arcana e profonda.

Fondendo in un tutt’uno le proprie essenze, drago rosso e cavaliere si lanciarono nell’aria, ruggendo entrambi in tono di sfida.

Forza, mio carissimo cioccolatino fondente, è ora di far assaggiare ai nostri nuovi amici il cappuccino della casa, il migliore di tutta Alagaesia!

Sigfrido e Tramontana unirono anch’essi le coscienze: non seppero distinguere di chi fossero le zampe che pestavano il terreno brullo ad ogni possente falcata od il braccio che roteava in aria la spada.

Un melodioso motivetto si era levato dalle loro gole, intonando una vecchia ninnananna in una macabra presa in giro.

Il cielo si riempì di nuvole temporalesche ed un acquazzone scrosciante si riversò sulla carica dei Cavalieri con l’avanzare dell’esercito virtuale di demoni.

L’aria si fece gelida e dolorosa nelle vie respiratorie, il terreno riarso dalla calura estiva si era trasformato in un lago di fango che in breve aveva ricoperto di lordura sia i demoni che i draghi con i loro cavalieri.

Oggi i Maestri hanno deciso di complicare la questione.

Pensarono all’unisono Sigfrido e Tramontana in un attimo fugace d’irritazione, subitamente accantonato dalla gioia selvaggia che ribolliva loro nel sangue, durante la carica.

Gli schieramenti di terra e d’aria cozzarono tra di loro come delle slavine su di un villaggio montano.

La formazione triangolare dei draghi in volo si sdoppiò all’ultimo istante in una fila superiore ed una inferiore, intrappolando i neri demoni alati all’interno dello schieramento, tagliando loro ogni via di fuga, dando inizio al massacro.

Sangue umano,elfico, di drago e di demone, pioveva dal cielo assieme l’acqua sul campo di battaglia sottostante.

Le forze terrestri dei Cavalieri avevano adottato una tattica analoga ai loro compagni sospesi in volo.

I demoni erano stati subitamente messi in difficoltà dall’esperte manovre dell’esercito avversario; eppure non si scoraggiarono, continuando a combattere con inaudita ferocia.

Sigfrido e Tramontana falciavano le file nemiche come una falce calata sul grano da mietere: le fiamme bruciavano la carne, riempiendo l’aria di un puzzo acre, una coda guizzava fulminea seguita da un balenare di zanne, artigli, ali ed una spada, spesso accompagnati da qualche globo magico di energia biancastra.

La battaglia si prolungò per qualche ora.

Sigfrido e Tramontana e la quasi totalità dei Cavalieri avevano collezionato una serie di lesioni più o meno gravi e doloranti, nonostante avessero quasi distrutto l’esercito nemico; quando la realtà virtuale nella quale stavano combattendo svanì con la stessa rapidità con la quale era apparsa.

Cavalieri e draghi sostavano nuovamente nel cortile della roccaforte, le ferite erano scomparse come se non fossero mai state inflitte.

La simulazione si era conclusa e con essa l’addestramento del giorno.

 

 Eragon e Saphira avevano assistito alla battaglia delle reclute, espandendo le proprie menti fino a toccare simultaneamente le coscienze di tutti gli allievi, riuscendo a percepire i pensieri di ognuno di loro senza mai concentrarsi su qualche d’uno in particolare.

Drago e cavaliere si lanciarono una fugace occhiata perplessa, non ancora pienamente soddisfatti.

Certamente non si sarebbe potuta mettere in discussione la bravura e le capacità tecniche dei loro allievi, ma la loro mancanza di autocontrollo e di prudenza era spaventosa.

Essi si lasciavano troppo assorbire dall’ebbrezza della battaglia, scordando completamente la disciplina e la concentrazione, lasciandosi in tal modo troppo esposti agli attacchi del nemico, collezionando ogni volta una moltitudine di tagli e lesioni di ogni genere.

In una simulazione di battaglia si sarebbe potuto chiudere un occhio a riguardo; ma questo non sarebbe stato permesso nella realtà, dove gli scontri armati spesso si prolungavano per giorni interi!

Dove le ferite erano reali e non una simulazione di dolore suscitata da una macchina elettronica capace di creare illusioni.

Eragon sospirò.

Dovremo ripetere loro l’ennesima lezione per la millesima volta, quando mai impareranno!Vieni Saphira, scendiamo in cortile…

No Eragon, aspetta… non vedi la loro stanchezza? Per oggi hanno fatto abbastanza, correggeremo i loro errori domani mattina, quando si saranno riposati, così almeno otterremo risultati migliori.

Eragon acconsentì dopo un attimo di riflessione.

La dragonessa gli scompigliò scherzosamente l’ordinata chioma bianca con uno sbuffo di fumo, sorridendo mestamente alla vista delle sfumature azzurrognole che contornavano gli occhi arrossati del suo cavaliere.

Basta preoccuparsi Eragon, è da qualche tempo che non ti vedo mai rilassarti completamente, cosa ti turba così tanto?

Eragon appoggiò la schiena contro il fianco di lei, grato del calore emanato dal fuoco che ardeva dentro il ventre della dragonessa.

Non saprei spiegartelo nemmeno io, dolcezza, ma ho un brutto presentimento che mi attanaglia le viscere… sta per succedere qualche cosa di terribile, lo sento nell’aria, ovunque!

“Sta per succedere la fine del mondo!” Lo canzonò Saphira, nel fallito tentativo di sottrarre un sorriso dal volto livido dell’anziano cavaliere.

La parte del profeta non ti si addice, Eragon… credo che i tuoi timori non siano altro che un brutto scherzo dato dall’età, non trovi?

Hai ragione, non sono altro che sciocchezze…

Drago e cavaliere abbandonarono il camminamento di guardia per entrare nella torre; le stelle affollavano vivide il cielo, rivolgendo il loro pallido bagliore verso il cortile ormai vuoto della fortezza.

 

 Dopo cena, Sigfrido e Tramontana si trovavano nella stanza di Edmund ed Amlet , per trascorrere una serata in compagnia.

Il drago rosso ed i due cavalieri giacevano sul pavimento imbottito di coperte e cuscini, gli occhi fissi su di un lenzuolo teso sulla parete, dove si susseguivano immagini in movimento, narranti una buffa storia ambientata tra le banchine della città portuale di Teirm.

Tramontana sedeva accanto agli amici, ma la sua attenzione era completamente assorbita dalla lettura dei codici miniati che aveva preso in prestito dalla biblioteca.

Fu all’ennesimo pastrocchio combinato dal ricco mercante travestito da pirata che Sigfrido cercò di distogliere l’attenzione della dragonessa dai libri, per convincerla a guardare con lui lo spettacolo.

Nel bel mezzo dello studio di un’arcana mappa della fortezza di Dorù Areaba, la mente di Tramontana venne invasa dal clamore della risata del proprio cavaliere, mentre l’immagine del mercante penzolante dal sartiame della nave le si era incuneata a forza nella coscienza.

La dragonessa sollevò di scatto la testa soffiando stizzita verso il suo cavaliere, mostrando l’intero arsenale di zanne perfette e bianche come perle; eppure affilate come pugnali.

Vuoi lasciarmi stare?

Dai Tramontana, smettila di fare l’intellettuale ed unisciti a noi! La storia è piuttosto divertente e quel mercante è un vero e proprio pagliaccio!

Sai che non apprezzo il cinematografo… mi fa venire la nausea.

Come vuoi.

La dragonessa si concentrò nuovamente sulla mappa.

Un gridolino gutturale le sfuggì dalle labbra quando si rese conto che la mappa si era estesa, facendo comparire alla sua destra un’appendice rettangolare, rappresentante un’ala sconosciuta della fortezza.

Accorgendosi dell’eccitazione del proprio drago, Sigfrido abbandonò lo schermo per sbirciare la mappa, scorgendo anch’esso la novità.

Subitamente anche l’elfo ed il drago rosso si unirono a loro nella contemplazione, le menti che trasmettevano lo stesso messaggio di meraviglia mentre una bizzarra idea si stava formando:

Simultaneamente alzarono il capo per guardarsi dritto negli occhi, un sorriso scaltro increspava le loro labbra mentre decidevano di intraprendere la cerca della sezione segreta di Dorù Areaba.

Il mercante che veniva gettato fuori bordo, legato ad un’ancora come un salame, venne prontamente ignorato.

 

Centinai di anni addietro, Galbatorix distolse lo sguardo dal plastico di Alageasia, sul quale stava disponendo delle statuette rappresentanti il suo esercito, l’attenzione rapita da qualche eco lontano, disperso tra le intricate pieghe del tempo.

D’improvviso seppe di avere la vittoria in pugno sia sui Varden che sul nuovo Cavaliere dei Draghi, Eragon.

L’imperatore gettò la testa all’indietro lanciando una diabolica risata che rimbombò tra le tetre pareti della stanza del trono; il ruggito di un drago nero rispose alla sua euforia.

 

Ogni sera, quando gli impegni della giornata si erano conclusi, i due cavalieri con i loro rispettivi draghi si lasciavano scivolare, per quasi tutta la notte, tra le ombre dei sotterranei di Dorù Areaba, alla ricerca delle stanze segrete indicate dalla mappa.

Grazie alla capacità dei draghi di vedere al buio, il gruppetto aveva potuto fare a meno delle torce.

Credo sia questo la zona indicata dalla mappa

Annunciò solennemente Amlet dopo un’ulteriore occhiata al libro tenuto in mano dal suo cavaliere, il quale annuì a propria volta.

Hai pienamente ragione Amlet, questa sarà la volta buona!

La volta buona?

Aveva quasi ringhiato Sigfrido, completamente fuori si sé dai nervi

Dieci volte ci siamo soffermati a scandagliare ogni singola pietra di queste stramaledette gallerie, solo per scoprire di avere interpretato male la mappa per l’ennesima volta! Io propongo di gettare la spugna tornarcene ai nostri giacigli… sono giorni che non ci facciamo una buona dormita e che, di conseguenza, non riusciamo più a seguire lucidamente l’addestramento!

Oh… povero il mio piccolo cioccolatino fondente!

Lo canzonò Tramontana, avvolgendogli la coda attorno al corpo e cullandolo come un neonato, mentre avvertiva la collera di lui ammontare alle stelle, con grande spasso della dragonessa, la quale non si curò minimamente di celare il proprio divertimento all’altro.

Se vuoi posso portarti io in groppa, così potrai riposarti e dormire come un neonato dopo la pappa ed il ruttino, hi-hi!

Grrrr! E va bene! Continuiamo pure questa buffonata, se vi rende così felici!

E bravo il mio cavaliere brontolone.

Certo che hai un potere invidiabile sul tuo cavaliere, Tramontana!

Aveva comunicato a circuito chiuso Amlet, quando i due cavalieri avevano continuato ad avanzare lungo gli umidi corridoi.

Sai dovresti svelarmi il tuo trucco… mi farebbe comodo poter rigirare la volontà di Edmund come pare a me.

Non c’è alcun trucco, è Sigfrido che fa tutto da solo, basta solamente ferirne leggermente l’orgoglio a cui tiene in maniera così morbosa.

Non fecero che pochi passi che l’ala di Amlet urtò involontariamente una pietra della parete.

Grattando contro il pavimento scabroso, un pannello di muro si era spostato di lato rivelando una scalinata conducente nei meandri della terra.

Il passaggio era ampio a sufficienza per permettere ai draghi di transitarvi senza alcun disagio.

La mappa indica una scala a chiocciola! Wow! Ce l’abbiamo fatta finalmente!

Il quartetto si avviò lungo la scalinata, la quale cedette all’enorme peso dal quale era stata sollecitata.

Draghi e cavalieri precipitarono, ululando per la sorpresa, ed atterrarono, con le pietre ed i calcinacci, su di un pagliericcio enorme, reso putrido dai millenni.

Il fetore della paglia marcia fece venire a tutti la nausea, per non parlare del forte odore stantio che aleggiava in tutta la stanza, o meglio laboratorio.

Una pestilenziale aurea di malvagità impregnava ogni cosa di quel luogo, eppure né draghi, né tanto meno i loro cavalieri erano stati capaci di accorgersene; poiché il loro addestramento non aveva ancora raggiunto la fase nella quale le loro menti sarebbero state educate alla percezione generale ed alla difesa.

La stanza era ghermita di scaffali stracolmi di libri, ampolle contenenti ogni abominio affollavano l’unico tavolo presente, che si ergeva sopra un soffice tappeto di polvere, depositatasi nei millenni.

L’elfo si mosse a disagio, sottraendo qualche cosa di estremamente fastidioso da sotto la schiena.

In mano stava tenendo la squama di un drago nero; questa era talmente antica che si sbriciolò facilmente sotto le sue dita.

Sopraffatti dalla curiosità, che aveva vinto il loro iniziale timore reverenziale, draghi e cavalieri avanzarono sul tappeto di polvere, lasciando le loro orme su di un pavimento che non aveva più accolto piedi di creature viventi da millenni.

Una luce verdastra trafisse la tenebra con i suoi tentacoli saettanti, mentre una sfera di cristallo faceva capolino da sotto il tavolo per poi fluttuare baldanzosa di fronte i nuovi arrivati.

Come ipnotizzato, Sigfrido allungò la mano per toccare quel globo meraviglioso.

Noooooooo!

Ormai era troppo tardi, le dita del cavaliere entrarono in contatto con il freddo cristallo e l’intero gruppo venne inghiottito dalla medesima luce verdastra.

Subito ebbero la sensazione di precipitare, poi di cabrare bruscamente prima a destra poi a sinistra; vi fu una vertiginosa ascensione poi nuovamente una caduta.

La stanza di un castello si dipinse ai loro occhi.

Le pareti di pietra erano altissime, scure ed opprimenti, sanguinose vetrate facevano penetrare all’interno una luce cremisi, la quale si smarriva tra il fumo dei candelabri.

Draghi e cavalieri si schiantarono su di un lunghissimo tavolo di noce, imbandito sontuosamente per la cena.

Piatti di verdure, cacciagione, torte e caraffe di vino volarono in ogni direzione, mentre il mobile cedeva con un sonoro schiocco.

Stordita come mai si era sentita prima di all’ora, Tramontana alzò debolmente il capo da un cappone in crosta che le faceva da cuscino.

Con la vista che le si annebbiava, intravide un uomo anziano dal volto severo che lentamente si alzava da una sedia dall’alto schienale posta a capotavola.

Poi tutto divenne nero e lei seguì i propri compagni nei meandri dell’incoscienza.

Con fare stoico, Galbatorix, il cavaliere traditore, si ripulì il viso dal sugo che gli era schizzato in pieno volto, ghignando come un famelico lupo, contemplò ancora per qualche momento i suoi nuovi allievi prima di scoccare le dita.

Una schiera di mostruosi urgali entrarono nella sala da pranzo con fare servizievole.

-Sistemate i pargoli nei loro alloggi e ripulite questo bordello-

Detto questo, si avviò verso la sala del trono per studiare il plastico del proprio impero, la mente smaniante, stracolma di congiure.

 

Le ore più buie della notte stavano in quel momento gravando sulla fortezza di Dorù Areaba, coprendo il sonno di cavalieri e draghi come una piacevole e calda coperta di lana pesante.

Saphira dormiva profondamente su di un gigantesco cuscino, talmente voluminoso che la dragonessa sembrava venire fagocitata dalla stoffa e dalle piume d’oca.

Eragon fluttuava beato in non so quale sogno, le toniche braccia che stringevano una zampa anteriore della dragonessa come se si fosse trattato di un peluche.

Un lampo folgorò le menti assopite di entrambi, perpetuando ovunque le proprie dolorose scosse elettriche di allarme.

Scattando all’unisono come molle compresse e rilasciate, drago e cavaliere si alzarono dal comodo giaciglio con un balzo, non appena ebbero coscienza del terribile accaduto avvenuto nei sotterranei della fortezza proprio in quei medesimi istanti.

I timori di Eragon si dimostrarono così tragicamente veritieri: l’intero mondo nel quale ora vivevano era in procinto di scomparire irrimediabilmente nell’oblio più totale.

Il meschino e defunto Galbatorix aveva rapito quattro apprendisti, imprigionandoli nell’epoca nella quale il dispotico sovrano non era ancora stato sconfitto.

I piani del cavaliere rinnegato apparivano chiari alla mente di Saphira ed Eragon: Galbatorix avrebbe usato quei giovinetti ignari per ottenere un vantaggio schiacciante sui Varden di allora e vincere così la guerra.

Senza scambiarsi frasi che avrebbero suonato vane e vuote, cavaliere e drago si precipitarono nel gigantesco cortile della fortezza.

L’aria era gelida e pungente, pervasa dal consueto sentore di salsedine trasportato dalla spuma delle onde che si infrangevano sull’isola; ma tutto questo non richiamò minimamente la mente dei due, già troppo impegnata nel resistere al bruciante panico che minacciava di schiacciarli.

Eragon posò la propria mano sul fianco di Saphira, serrò con forza gli occhi e si costrinse a concentrarsi, avvertendo che la propria compagna stava facendo la medesima cosa.

Quando ormai le loro menti avevano raggiunto il livello di disciplina richiesto, le melodie arcane e abissali dell’antica lingua si levarono dalle loro gole per riecheggiare contro le mura della fortezza con il sordo boato del tuono.

Non vi furono lampi o luci di sorta ad annunciare l’avvento della magia.

Il cortile di Dorù Areaba tornò ad essere deserto da un momento all’altro, mentre drago e cavaliere si libravano lungo i corridoi del tempo e dello spazio.

Il loro fugace viaggio li condusse in un bosco di alte betulle.

La neve soffice dell’inverno emanava un proprio odore muschiato che Eragon riconobbe, lasciando che la vista degli alberi che circondavano la fattoria nella quale era cresciuto lo consolassero.

Una voce attirò l’attenzione dei due lungo il sentiero che si estendeva sotto i loro piedi.

L’incerto timbro di un ragazzo, ormai prossimo all’età adulta, che snocciolava il proprio sapere di botanica e zoologia, fu prontamente riconosciuta sia da Eragon che da Saphira.

Un biondo quindicenne stava avanzando verso di loro.

Un piccolo drago dalle squame simili a zaffiri era posato sulla spalla del ragazzo, assimilando ogni parola come una spugna assorbe il vino da una botte.

I passi dell’adolescente si erano poi bloccati di colpo quando sia lui che la bestiola che lo accompagnavano si erano accorti della maestosa presenza di un leggendario cavaliere e di un magnifico drago azzurro che li stavano attendendo lungo il sentiero.

Eragon e Saphira avevano ritrovato loro stessi, com’erano centinaia di anni or sono.

 

Non c’era alcun dubbio: dormire era una cosa stupenda ma talvolta si correva il rischio di inciampare in qualche sogno folle che rendeva il tutto estremamente sgradevole fino a quando non si approdava nuovamente nel quieto porto del dormiveglia.

Questo pensò soddisfatta Tramontana, rigirandosi sul fianco sopra un morbido ed enorme cuscino, così felicemente identico a quelli presenti nella fortezza di Dorù Areaba, rendendosi conto soddisfatta che l’avventura bizzarra vissuta quella stessa notte non era stata altro che un maledetto incubo.

Ecco cosa si otteneva con le lezioni di storia del cavalierato.

Tramontana aprì leggermente un occhio velato dalle lacrime del sonno, distinguendo a malapena una macchia rossiccia vicino al suo muso sottile.

Sbadigliando rumorosamente, aveva calato pesantemente la propria zampa anteriore su quella del drago rosso che le giaceva di fronte.

Ngiorno Amlet, non puoi immaginare che razza di sogno ho fatto questa notte!

Eravamo coinvolti tutti e quattro. Bè, intendo io, Sigfrido, tu ed Edmund. Ebbene, stavamo vagando nei sotterranei della fortezza e poi ci siamo ritrovati al cospetto di Galbatorix! Dopo aver distrutto la sua cena! Assurdo non trovi? Io pen.. n … ma…. Ma… c-che?

La dragonessa si ritrovò a balbettare come una babbea quando il drago rosso aveva levato il capo per scrutarla altezzoso e divertito allo stesso tempo.

Quel drago non era di certo Amlet, eppure non ricordava di averlo visto tra gli abitanti di Dorù Areaba.

Allarmata, Tramontana aveva scrutato le mura che la racchiudevano, riconoscendo nel cupo susseguirsi di pesanti blocchi d’ossidiana la stessa trama delle pareti della sala da pranzo di Galbatorix.

Una cosa era certa: lei non si trovava nella fortezza dei cavalieri dei draghi e gli strani fatti della notte precedente non erano che pura e tangibile realtà.

La consapevolezza dell’assenza di Sigfrido al suo fianco, investì il drago bianco come una secchiata di acqua gelida sul muso, terrorizzandolo ancora di più.

Il drago rosso non ebbe alcuna difficoltà nel leggere nella mente della propria ospite, la quale non beneficiava dell’addestramento avanzato che le avrebbe permesso di nascondere la propria anima alla vista dell’altro.

Così il drago color fuoco aveva subito fornito una risposta a tutte le domande inespresse, evitando che le acque di quel fiume gorgogliante si riversassero troppo a valle.

Ben svegliata Tramontana. Amlet sta ancora ronfando alle tue spalle mentre Sigfrido ed Edmund stanno ora avendo un amichevole colloquio con il re. Non fare quella faccia inorridita poiché non c’è niente di cui preoccuparsi: Galbatorix non vuole farvi del male perché siete troppo preziosi per lui.

Queste parole non fecero che aggrovigliare ancor di più le viscere già contratte della dragonessa.

Avrebbe voluto agire in qualche maniera, cavare lei stessa, il proprio cavaliere ed i suoi amici fuori dal dannato pasticcio nel quale stavano affogando.

Dopo i primi attimi di tormentata urgenza, la logica aveva infine dominato l’istinto dicendole che nulla avrebbe potuto fare in quel momento tranne interrogare lo sconosciuto per avere un quadro migliore della spiacevole situazione, in modo da uscirne nel modo più indenne possibile.

Bene, vedo che finalmente non sei più nel pallone.

Chi sei?

Mi chiamo Castigo, sono il drago di Murtagh.

Castigo… Murtagh…mmm sai questi nomi non mi suonano nuovi, anzi…

La comprensione la travolse infine come una mandria di bufali impazziti, martellandole sulle scaglie con un furioso abbattersi di miliardi di zoccoli duri e dolorosi.

Pentendosi di aver posto domande, Tramontana inghiottì a fatica il nodo che le si era creato in gola, mentre il drago del fratello di Eragon, alleato con le forze del male, le leggeva la mente con l’interesse ozioso con il quale si assiste ad un’opera teatrale.

Nonostante i suoi guai, Tramontana non poté fare a meno di notare che Castigo aveva un sorriso estremamente affascinante.

 

I due cavalieri somigliavano a due cenci trasandati e pallidi, retti al cospetto del malvagio Galbatorix, conosciuto solamente tra le pagine dei libi fino a quel momento

  
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