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Autore: The Blue Devil    12/04/2021    5 recensioni
Riviviamo un tragico momento della storia che amiamo.
Avverto che non è una lettura per i deboli di cuore: potrebbe causar loro un tremendo shock, dal quale difficilmente si riprenderebbero.
Parola di Blue Devil...
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Riviviamo un tragico momento della storia che amiamo.
Avverto che non è una lettura per i deboli di cuore: potrebbe causar loro un tremendo shock, dal quale difficilmente si riprenderebbero.
Parola di Blue Devil... 

 
Non è uno scritto a scopo di lucro alcuno per cui non si infrangono Copyrights.
I personaggi presentati, nomi e situazioni, sono di proprietà degli aventi diritto: Kyoko Mizuki (Keiko Nagita) per il soggetto; Yumiko Igarashi per la resa grafica dei personaggi; Toei Animation Co., Ltd, per la serie TV e Kappalab per l'edizione italiana dei romanzi di Kyoko Mizuki/Keiko Nagita.


Buona lettura


  


LE SCALE DI NEW YORK
(Cronaca di una separazione dolorosa... Scena venti-quarantadue)

New York. Era inverno e fuori nevicava.
Nonostante l’interno dell’ospedale fosse ben riscaldato, sugli ambienti calò un alone gelido che avvolse tutti i presenti; una ragazza bionda, dagli occhi di smeraldo, scendeva velocemente le scale e un ragazzo, dai capelli scuri e gli occhi blu, taglienti e penetranti come la punta del diamante, la rincorreva. La raggiunse e le cinse la vita, stringendola a sé: la ragazza s’irrigidì e si accorse che, al pari suo, lui stava piangendo.
Il ragazzo, sperando che il corpo di lei si rilassasse e si lasciasse andare, accettando il caldo abbraccio che gli veniva offerto, riuscì a sussurrare:
«Candy… non voglio che tu te ne vada…».
«Terence, io…».
«No, ti prego, non dire niente…».
Candy tentò di allontanarsi da lui, ma la stretta delle sue braccia, che non accennava ad allentarsi, glielo impedì.
«Terence…».
«Candy... ti ho pregato di non dire niente…».
«Terence, mollami!».
Non udendo risposta Candy ripeté:
«E molla! Mollami cretino!».
Una voce potente e alterata si fece udire:
«Stop! Maledizione signor Graham, che c’è adesso?».
Terence, mollando Candy che fu subito attorniata da tre ragazze pronte ad impomatarla e a rifarle il trucco, sbottò:
«Io non voglio lasciarla andare!».
La voce di prima, che apparteneva al regista, si fece riudire:
«E prima faceva caldo e poi aveva freddo e non si ricordava le battute… porca miseria è il quarantunesimo ciak che mi manda in malora, signor Graham! Cosa diavolo c’è che non va, ora?».
Nel mezzo della discussione, una testolina bionda fece capolino in cima alla scala:
«E allora? Qua me se sta a scioglie tutto er trucco! Quanto devo aspettà ancora? So du ore che annamo avanti!».
«È arrivata pure la coatta adesso», borbottò Terence, con voce udibile.
«Cos’è che hai detto? Guarda che t’ho sentito!».
«Ho detto che sei coatta, zoppa e pure paralitica! E non rompere».
«Mo’ vengo lì e te gonfio, razza di cretino!».
«Ora basta!», gridò il regista, «Signorina Marlowe torni nella sua stanza, si faccia rifare il trucco e si prenda un libro da leggere, che ora risolviamo il problema… poi il signor Graham sarà tutto suo».
«E chi lo vole ‘sto buzzurro? Razza di…», sbottò l’attrice, prima di rientrare nella sua stanza.
Terence non voleva cedere il punto: quella scena proprio non voleva girarla.
«La scena è quella, è sul copione che lei ha visionato e accettato, e allora?», tentò ancora il regista.
«Non mi convince, devo parlare con l’autrice del testo… come si chiama? Mmmh… Gradashi, se non erro».
«Gradashi?», esclamarono a una voce, Candy, il regista e l’assistente.
Mentre Candy, capito che si trattava di Yumiko Igarashi, spiegava a Terence che la citata non era l’autrice, ma solo colei che li aveva disegnati, il delegato di produzione si accostò al regista:
«Vediamo di accontentarlo, sarebbe impensabile sostituirlo dopo aver girato con lui tutto il film, per una scena. Stia calmo, che risolviamo».
«Ah, questa Gradashi ha disegnato il tanga dunque…».
«Igarashi e manga», sussurrò Candy.
«E cosa ho detto io? Voglio consultarlo».
L’assistente del regista, casualmente, aveva con sé l’ultimo tankobon del manga: non fu difficile far vedere a Terence che Candy, alla fine, non si trovava insieme a lui.
«E no», esclamò il ragazzo, «so che è stato realizzato anche un anime e la storia lì, non si conclude così».
«Eh, ma quell’anime è introvabile, sa, hanno litigato…», lo informò il regista, ansioso di tagliare il discorso.
L’assistente alla regia dichiarò di avere con sé, sempre casualmente, i dvd con la serie completa.
«E come fai ad averli se è introvabile?», chiese Terence.
«Li ho scaricati da Internet…».
Mentre l’attore chiedeva che si trovasse un lettore per visionare la serie, il regista pensava:
«Io, questi due li ammazzo!».
Terence ottenne di vedere il finale e, alla fine, disse, con tono trionfale:
«Avete visto? Non si capisce ‘na mazza, poiché parlano in una lingua incomprensibile, ma non si conclude con Candy che corre ad abbracciare il bellimbusto in gonnella».
«Tanto per cominciare», attaccò il regista, «la scena che dobbiamo girare viene prima e poi, l’ha detto lei: non si capisce nulla! Perché, poi?».
L’assistente spiegò che quegli episodi, l’unica versione recuperabile sul "Tubo", erano la versione col doppiaggio italiano.
«Ho un’amica Italiana su "Facebook"», gongolò l’attore, «che mi ha detto che nella lettera che Candy legge alla fine, le scrivo che ho mollato la zoppa e che sto per tornare da lei. Quindi che senso ha girare ‘sta scena della separazione? Accorciamo i tempi, mollo subito la paralitica e buonanotte!».
Candy intervenne:
«No, Terence, quello è un doppiaggio "tarocco", realizzato in Italia per accontentare tutte quelle sgallettate tredicenni Italiane che, alla fine degli anni settanta, ti morivano dietro».
«Ah?», si stupì l’attore, «Non lo sapevo, ma non importa. Voglio parlare con l’autrice che mi sembra si chiami Mizuki; datemi un elenco telefonico, che la chiamo».
L’elenco gli fu trovato dal solito assistente che, con questa mossa, accrebbe la voglia del regista di strozzarlo.
«Hotaru Mizuki… Ichiro Mizuki… professor Mizuki… quale sarà il Mizuki giusto? Bisognerà chiamarli tutti», disse Terence.
«No Terence», intervenne ancora Candy, «Ichiro Mizuki è un cantante, quello che ha cantato le sigle dei "robottoni" e di tanti altri anime, il professor Mizuki è l’inventore di "Arbegas" e Hotaru è sua figlia; ma appartengono a un altro anime».
«E allora? Perché non c’è la nostra autrice?», chiese Terence.
«Perché Kyoko Mizuki è uno pseudonimo: lei si chiama Keiko Nagita; come quando cercavi la fantomatica "Miss Pony" al "Santa Joanna"…».
«Già, Paulina Giddings… ma come potevo saperlo io? Ma quella è un’altra storia… Cerchiamo questa Nagita allora».
Trovato il numero dell’autrice, l’attore la chiamò col suo smartphone:
«Buongiorno, sono Terence G. Grancester e vorrei parlare con la signora Nagita, è urgente. Come? È impegnata e non può rispondere? E poi non ha ben capito chi sia io? Sono il protagonista di "Candy Candy" e… come? La sto prendendo in giro e sono un mitomane? Ma… ? Mi ha chiuso il telefono in faccia, che maleducata!».
Il regista, sempre più nervoso, azzardò:
«Allora signor Graham? La giriamo o no questa maledetta scena?».
Terence ci pensò su qualche istante e poi rispose:
«Eppure… ci sono! Il romanzo! Sì, il romanzo "Final Story", è lì la chiave».
«Ma noi non ce l’abbiamo, quindi…», cominciò il regista che, tuttavia, fu interrotto dal suo assistente, futuro probabile disoccupato:
«Io ce l’ho», disse lo sventurato, tirando fuori da non si sa dove il manoscritto citato.
Letto il finale, l’attore dichiarò:
«Avete letto? Avete capito? Sono io il compagno di Candy alla fine. Quindi…».
Il regista lo gelò:
«Sì, come no? Io ho letto che "lui" rientra, accende la luce e abbraccia Candy. C’è il suo nome signor Graham? Anzi, c’è un nome, un nome qualsiasi?».
«Beh, in effetti…», rispose l’attore, «… ma io ho trovato un forum, fondato in Italia, in cui mi hanno assicurato che sono io».
«E magari hai amiche anche lì, sbaglio?», s’intromise la bionda, «Troppe, per i miei gusti e comunque chetati, che quello è un branco di cinquantenni nostalgiche che non connettono più, le stesse per cui fu creato il doppiaggio "tarocco" di cui abbiamo parlato prima!».
«Ora, signor Graham, prima che la strozzi sul serio, lei sale in cima a quelle scale con Candy e gira questa diavolo di scena; poi va dalla zoppa le dichiara il suo sostegno e solo dopo tutto questo può andare dove vuole: dalla Gradashi, dalla Mizuki, dalla Nagita, dove vuole! Può anche andare a…».
«A… ?», obbiettò Terence.
«Non si preoccupi, "a" è sufficiente. Avanti sulle scale!».
«"Le scale" scena venti-quarantadue; ciak si gira!».
Candy scese per le scale e Terence la raggiunse e le cinse la vita; si dissero le rispettive battute e poi Candy fece per staccarsi…
«Mollala Graham», pensò il regista che, dall’inizio del ciak, si asciugava le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte e che tirò un sospiro di sollievo quando il distacco si materializzò davanti ai suoi occhi.
Candy poté fluttuare giù per le scale, guadagnare l’uscita e sparire nella neve, andando incontro al suo destino…
Terence rimase pietrificato su quelle scale, a capo chino.
Il regista diceva dentro di sé:
«Forza Graham… e girati… torna su, va’ da quell’altra oca, dille ciò che devi e finiamola qui… e vai, che mi fai sprecare un mare di pellicola, maledizione a te!».
Dopo alcuni istanti, Terence si scosse, alzò la testa e il suo sguardo si accese; chiuse la mano destra a pugno e la alzò verso il cielo, dicendo:
«Sì, ci dev’essere un modo… riuscirò a riconquistarla, ci dev’essere un modo per riportarla a me, ma… ci penserò domani! In fondo domani è un altro…».
«Stop! Stop! Stop!».
 
Narrano le cronache dell’epoca che l’interpretazione di quella scena sia valsa a Terence G. Grancester una statuetta e che sia stato proprio il regista a… tirargliela in testa! Venti punti di sutura…

 
FINE
 
 
© 2021, The Blue Devil
 
 
 
   
 
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