Questa
storia si svolge in un’epoca a noi alquanto remota.
Un
tempo dove la fiaba conviveva con la vita quotidiana, sorgevano
castelli,
vagavano menestrelli ed arditi cavalieri in armatura, si sacrificavano
vergini
e si tenevano a bada draghi ottusi.
Sono
proprio le malefatte di uno di questi orrendi lucertoloni ad aprire la
bizzarra
vicenda.
In
una località alpina, viveva appunto un voracissimo drago
dall’aspetto e dal
carattere per niente gradevoli.
Camminava
su quattro zampe muscolose e tarchiate che non permettevano altro che
goffi
movimenti ondeggianti.
Dal
dorso ampio, ricoperto di una maleodorante pelle molliccia e verdastra,
spuntavano due ali corte e coriacee che permettevano al drago di
librarsi
solamente per brevi ed imbarazzanti tratti.
La
stessa scarsità fisica si estendeva anche al suo modesto
intelletto, capace
solamente di partorire comportamenti feroci e di pensare solamente al
cibo ed
alle cose luccicanti, quali gli oggetti preziosi che colmavano le
camere della
sua grotta.
Come in ogni classica storia che inizi con la dannosa presenza di un drago del genere, gli abitanti oppressi ed impauriti di un villaggio vicino, avevano sacrificato al mostro la solita figlia del re, nella speranza di scendere a patti con la sua indole animalesca.
Al contrario delle docili
fanciulle obbedienti ed
inclini al sacrificio, la primogenita ed unica figlia del sovrano era
tutt’altro che disposta a diventare un lauto pasto.
Guidata dal suo carattere
ribelle e dai propri modi
per niente ortodossi, né tanto meno aristocratici, la
principessa si era
opposta in tutti i modi; giungendo perfino ad incendiare la scorta di
soldati
che la doveva accompagnare all’ingresso della grotta del drago.
Ritrovandosi l’intero
corpo di guardia decimato ed
un drago pronto a balzare sul villaggio da un momento all’altro,
il saggio re
aveva deciso di costringere la propria bambina all’obbedienza
tramite
l’utilizzo della forza bruta.
Così, senza tante
cerimonie, dinnanzi la grotta era
stata legata una principessa priva di sensi, piena di lividi e gonfia
per le
percosse ricevute a suon di bastoni.
Nel frattempo, un bizzarro
predone di tesori di
nome Aramir stava volando sopra la foresta alla ricerca della grotta
del drago
da derubare.
Essendo lui stesso un drago,
era ben consapevole
che le abitazioni dei propri simili erano i luoghi migliori dove
ricavare un
soddisfacente bottino per accrescere la
propria ricchezza ed aggiungere al proprio giaciglio altre
preziosità.
Aramir aveva vagato ramingo
per la zona nelle rassicuranti
sembianze di un giovanotto umano di bell’aspetto, visitando tutte
le locande e
le osterie alla ricerca di voci che provassero l’esistenza di un
drago in
quelle montagne.
In questa maniera aveva
barattato le approssimate
informazioni sull’ubicazione della caverna con quattro boccali di
buona birra,
offerti ad un burbero contadino che aveva accettato di snocciolare il
proprio
sapere in cambio di altro alcool con il quale annaffiare il proprio
fegato.
Seguendo le istruzioni, il
drago veleggiava sopra
le pinete della montagna, tuffandosi agilmente lungo le valli, nella
propria
ricerca.
Rispetto il drago che
infestava i dintorni con la
sua prepotente presenza, Aramir era completamente l’opposto, sia
fisicamente
che mentalmente.
Aramir era quello che si
potrebbe definire
unanimemente un drago splendido ed affascinante.
Sfoggiava una corporatura
possente e snella dalla
morfologia molto più simile a quella di un felino che di un
rettile.
Aveva una lunga coda ed un
paio di ali ampie che
gli consentivano di volare con l’abilità di un uccello
predatore; il suo capo
era affusolato come quello di un serpente, ornato da ampie creste e
grandi
corna rivolte all’indietro, dal quale facevano capolino due occhi
dall’elegante
forma a mandorla e dello stesso colore del sole.
L’intero corpo era
ricoperto da spesse scaglie di
un bel rosso fuoco, le quali brillavano come una preziosa veste di
rubini o
come le fiamme di un vivace focolare.
Aramir sperava ardentemente di
sorprendere la
vittima del furto beatamente addormentata nella propria spelonca, in
modo da
permettergli di lavorare con la massima rapidità e
silenziosità, evitando così
un inutile e volgare spargimento di sangue.
Un selvaggio ruggito di gioia
aveva rilevato al
predone la collocazione della tana ma anche la sgradita prospettiva di
un
necessario cambiamento di programma.
Il drago rosso aveva stretto
le ali contro i
fianchi, gettandosi in picchiata contro il proprio avversario che
latrava
furiosamente verso di lui, forse irritato dal fatto che avrebbe dovuto
aspettare
ancora prima di papparsi la principessa in un sol boccone.
Sicuro della propria vittoria,
il goffo drago
verdastro si era gettato a capofitto contro l’incauto visitatore,
menando
feroci colpi indisciplinati e casuali.
Aramir aveva schivato gli
attacchi dell’altro con
sconcertante facilità, uccidendolo in poco tempo con un paio di
artigliate ben
assestate e calcolate.
Mentre il drago morente si
accasciava al suolo, il
ladro era entrato in tutta fretta nella
grotta facendo incetta di ogni avere, trasportandoli
istantaneamente
nella propria dimora tramite l’utilizzo di qualche incantesimo.
Finito il proprio compito,
Aramir si era portato
fuori con la grazia e l’agilità di una pantera,
preparandosi a spiccare il volo
ed andarsene.
Proprio quando stava per
librarsi in aria con un
primo possente battito d’ali, un sommesso gemito lo aveva
fermato, portando la
sua attenzione verso la pietosa figura della principessa ancora
stordita.
La curiosità aveva
indotto il dragone rosso ad
avvicinarsi per esaminare la povera ragazza bloccata al palo, il suo
gesto non
era provocato da una qualche preoccupazione per il suo malridotto
stato; ma
dalla solita avidità, tipica dei draghi, che lo aveva spinto a
puntare gli
occhi sui gioielli della donna.
Tramutandosi nuovamente in
essere umano, solamente
per poter agire con maggiore comodità, Aramir aveva slegato la
figlia del re
per spogliarla degli ornamenti d’oro ed argento.
Questo piccolo errore aveva
segnato l’inizio delle
disavventure del nostro amico, poiché da quel momento la fortuna
aveva deciso
di voltargli definitivamente le spalle.
Disgrazia voleva che proprio
in quel momento
l’intero villaggio facesse capolino dai boschi per spiare gli
esiti delle
proprie macchinazioni.
Non sarebbe difficile
immaginare la gioia della gente,
quando il dolce quadretto del bestione morto e di un avvenente giovane
dai
capelli rossi che stringe tra le sue braccia l’amata salvata,
aveva creato
nelle loro semplici testoline un singolare equivoco.
Un gioioso acclamare aveva
distolto l’attenzione di
Aramir dalle proprie operazioni, portando i suoi occhi spalancati per
la
sorpresa su una folla di esseri umani che accorreva verso di lui in
festa,
incensandolo come eroe.
Un vero disastro non lo si
può definire tale se
tutti i meccanismi che lo compongono non si attivino istantaneamente;
così,
nello stesso momento, la principessa aveva abbandonato il suo stato di
incoscienza, aprendo cautamente l’occhio non gonfio e
ritrovandosi tra le
vigorose braccia di uno splendido giovanotto dai voluminosi capelli
rossi:
salvata dal principe azzurro che aveva sognato fin da piccola…
del quale il suo
istinto principesco l’aveva indotta ad innamorarsi
all’istante.
Quando Aramir aveva riportato
lo sguardo sulla
ragazza, trovandola con le labbra protratte in un bacio a ventosa, la
sua
confusione iniziale aveva lasciato il posto alla scomoda consapevolezza
della
tragica piega che avevano preso i fatti.
Subito aveva posato a terra la
principessa,
spiccando una corsa diretta verso i boschi.
Una mano robusta lo aveva
afferrato per un braccio
bloccandogli la via della salvezza, Aramir aveva tentato di liberarsi
dalla
stretta vigorosa ma il suo corpo umano era troppo debole per
permetterlo.
L’artefice della sua
cattura gli aveva rivolto un
gaio sorriso mutando la sua presa in una calorosa stretta di mano.
L’uomo era ingrigito
dagli anni ma il suo
portamento retto ed orgoglioso era all’altezza delle sontuose
vesti che
indossava e della corona da re che poggiava sul capo.
- Calma giovanotto, non essere
timido né modesto…
il tuo valore deve essere ricompensato più che generosamente e
vorrei che tu
fossi nostro onorato ospite ai festeggiamenti a palazzo –
L’accenno ad una
massiccia ricompensa aveva spinto il drago a desistere dal fuggire,
visto che
la cupidigia lo aveva reso desideroso di accrescere il bottino di
quella
fortunata sortita.
Così aveva ricambiato
il radioso sorriso accettando
con garbo ed entusiasmo l’offerta.
Momentaneamente Aramir non
aveva trovato il minimo
motivo per pentirsi della propria scelta: il suo ingresso nel villaggio
era
stato accolto da un’esplosione di cornamuse e tamburi; il re gli
aveva donato
due dozzine di forzieri stracolmi di oro, pietre preziose e sete
ricamate,
spezie e barili di idromele; per non parlare del banchetto della
serata, dove
Aramir aveva sorpreso tutti con il proprio insaziabile appetito
sovraumano.
Mentre Aramir addentava
voracemente l’arrosto di
vitello, la principessa si era seduta accanto a lui affondando le dita
nella
sua chioma folta e massaggiandogli piacevolmente la nuca.
Il predone l’aveva
lasciata fare, intrattenendosi
con lei in una conversazione per tutto il resto della festa, non
accorgendosi
minimamente che lo strano comportamento della ragazza non era altro che
un
tentativo di seduzione tipico della razza umana, molto pericoloso da
assecondare.
Nella settimana che ne
seguiva, dove Aramir era
stato obbligatoriamente ospite al castello, la figlia del re non aveva
fatto
altro che tormentarlo, approfittando della sua inesauribile pazienza e
dalla
moralità che frenava Aramir dallo scatenare il suo alito
infuocato contro una
cucciola indifesa di essere umano.
Cosa che stava iniziando a
desiderare ardentemente.
La principessa seguiva il suo
presunto innamorato
ovunque, come se fosse un’ombra, sbucando in continuazione nei
momenti meno
aspettati per abbracciarlo e rendere le sue guance rosse a forza di
appiccicosi
baci da piovra.
Talvolta
la sua adorazione raggiungeva il suo acne, inducendo Aramir a
spostarsi con lei aggrappata ad una sua gamba come un Koala al ramo di
una
pianta.
La
situazione era precipitata irrimediabilmente la mattina del settimo
giorno.
L’alba
era spuntata da poche ore e la coltre del sonno stava lentamente
abbandonando Aramir, che per la prima notte da quando era giunto a
castello era
riuscito a dormire come un sasso, senza il continuo bussare della
principessa
sul muro della camera a canterto.
Grugnendo,
il drago in sembianze umane si era rigirato sull’altro fianco
per dormire un altro pochino, quando un bacio umido, che gli aveva
quasi
strappato le labbra dal volto, lo aveva completamente ridestato.
Con
suo vivo orrore aveva ritrovato la principessa distesa al suo
fianco, che lo cingeva con le proprie soffocanti braccia.
Aramir
si era scostato bruscamente da lei balbettando sorpreso qualche
cosa riguardo la richiesta di una spiegazione immediata e concisa.
La
principessa lo aveva azzittito con un ennesimo e fastidioso bacio in
bocca, prendendo la parola senza tante cerimonie: -Buon giorno amore
mio… so
che non ci si potrebbe vedere 24 ore prima del matrimonio ma non ho
potuto
resistere alla tentazione di starti vicina… come mai quella
faccia sorpresa?
Non lo sai? Ieri sera ho chiesto le nostre nozze a mio padre e lui ha
acconsentito di celebrarle questo stesso pomeriggio…- .
Aramir,
impassibile, si era alzato dal letto dirigendosi verso il
balcone.
Non
era affatto contento di dover rinunciare ai sontuosi doni del re, ma
la situazione aveva preso una piega decisamente indesiderata che
richiedeva
l’immediata conclusione della recita.
-…
ci sarà tutto il regno ad assistere alla nostre unione e…
Aramir…
perché stai andando sul terrazzo? Cosa vorresti fare? No…
Aramir, fermo!
Araamiiir!-.
In
preda alla preoccupazione, la principessa si era precipitata fuori
per sbirciare il cortile sottostante alla ricerca del corpo sfracellato
del
proprio futuro marito.
Di
lui non c’era traccia.
Un
possente e veloce battito d’ali aveva attirato la sua attenzione
verso un maestoso drago rosso che fuggiva in cielo con precipitosa
fretta.
Sorpreso
dalla resistenza in volo che aveva dimostrato in preda alla
fame di libertà, Aramir era atterrato all’ingresso della
propria tana dopo tre
giorni di volo accelerato.
Con
suo immenso sollievo si era diretto verso il punto più profondo
della caverna, lasciandosi cadere con gratitudine sul comodo giaciglio
di
ricchezze, addormentandosi come un sasso.
Il
drago rosso era rimasto in quello stato per settimane, quando il
rumore metallico delle gemme e delle monete rovistate lo aveva
sottratto dal
proprio sonno ristoratore.
Infuriato
dalla prospettiva di un ipotetico ladro che si fosse
intrufolato nella propria abitazione per derubarlo, Aramir si era
avvicinato
furtivamente verso la fonte del rumore, contando di prendere il
malfattore con
le mani nel sacco.
La
sorpresa ed il panico avevano bloccato il possente drago rosso sulla
soglia della camera.
Proprio
nel mezzo del suo tesoro una ragazzina stava rovistando in un
baule di collane, provandosi le perle ed i coralli al collo, per poi
ammirarsi
all’enorme specchio poggiato alla parete di calcare.
La
figlia del re aveva interrotto il suo gioco per voltarsi verso
Aramir, rivolgendogli il solito sconcertante sorriso da innamorata.