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Autore: Soul of Paper    14/04/2021    3 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 58 - La Vecchia Imma


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Il boato fu assordante, come se dentro l’aula di tribunale una bomba fosse esplosa letteralmente e non solo in maniera figurativa.

 

Il “non ho altre domande!” dell’avvocato la raggiunse mentre il mondo di nuovo si ovattava e le veniva da piangere ma doveva trattenersi, non voleva dare a nessuno quella soddisfazione.

 

Udì il richiamo al silenzio del giudice e la seduta fu aggiornata a data da destinarsi, visti i gravissimi sviluppi.

 

Tutto come da copione.

 

Si alzò, subito, prima che i giornalisti potessero raggiungerla, e vide Irene farlesi vicino, sentì il braccio intorno alle spalle. Avrebbe voluto rifiutarlo e protestare, ma le gambe non glielo consentirono: a fatica si reggeva in piedi.

 

“La dottoressa non ha niente da dichiarare!” la sentì pronunciare al posto suo, mentre superavano le porte e gli agenti appostati di guardia.

 

*********************************************************************************************************

 

Si sentiva come se la testa gli stesse esplodendo, le gambe paralizzate ed il panico che gli contorceva lo stomaco.

 

Non ci poteva credere, non ci poteva credere!

 

Ma soprattutto, come avrebbe potuto credergli lei?

 

Quel pensiero fu puro terrore ed infine lo fece scattare in piedi, per cercare disperatamente di raggiungere Imma, che stava sparendo oltre le porte dell’aula, ma si trovò bloccato da una folla di giornalisti.

 

Non demorse, perché non poteva, facendosi largo quasi a spintoni - che scrivessero pure quello che volevano! - fino a lanciare un’occhiata implorante agli agenti che si guardarono e lo fecero passare.

 

Il cuore in gola, corse fino alla stanza assegnata ad Irene e, di nuovo, incrociò lo sguardo della guardia che sospirò e gli fece cenno di procedere.

 

Come aprì la porta, con le dita che pareva avesse il Parkinson, si trovò davanti Irene ed Imma sedute sul divanetto in fondo alla stanza, Imma che stava bevendo avidamente da una bottiglietta d’acqua.

 

Un battito del cuore e gli occhi di Imma furono nei suoi, gelidi e furenti come neanche nei momenti peggiori, quando lo aveva mandato via da casa dopo Milano.

 

Un altro battito ed il rumore di plastica accartocciata e di acqua che cadeva: Imma aveva stretto la bottiglietta talmente forte da rovesciarsene mezza addosso.

 

Ma non fece una piega, continuando a fissarlo in quel modo che lo faceva sentire peggio di un insetto schifoso, la bottiglia cadde per terra con un tonfo sordo, lei si alzò in piedi.

 

“Imma, devi stare seduta e-” provò a protestare Irene, ma Imma spinse via la mano che le porgeva, prima di stringerle entrambe a pugno e marciare verso di lui, fermandosi a pochi passi, troppo lontano per toccarla ma abbastanza vicino da sentire il respiro affannoso di lei schiaffeggiargli il viso.

 

“Imma, non ho-”

 

Imma non ho cosa?! Sei un imbecille! Ecco di chi mi sono innamorata: di un imbecille che non è manco capace di tenerselo nei pantaloni! O almeno di selezionare bene con chi tenerselo nei pantaloni!”

 

Altro che uno schiaffo fu. Proprio lei, l’unica che aveva sempre creduto che non fosse scemo come dicevano tutti, anzi.

 

“Non ho fatto quello che dice Melita, io-”

 

“Ma lo so benissimo che Melita si è inventata quasi tutto!” lo interruppe, ancora più incazzata, alzando le mani verso il cielo, “lo so che non l’hai costretta a dire proprio niente e posso pure immaginarmi che tutta la storiella romantica di lei innamorata di te e delle promesse che le avresti fatto è una palla, ma che ci sei andato a letto è evidente e ti sei fatto incastrare dall’avvocato come uno scemo! Almeno c’avessi avuto le palle di ammetterlo e invece hai pure giurato il falso in tribunale, complimenti! Hai distrutto tutto per una scopata, tutto! Ti sei rovinato la vita e l’hai rovinata pure me, che sono stata così scema da fidarmi delle promesse di uno più scemo di me! Anni e anni di lavoro e la speranza di una città intera di avere giustizia, buttati nel cesso! Spero almeno che sia stata più di una botta e via e che ne sia valsa la pena! ”

 

Più parlava e più urlava, ormai sempre più vicina, gocce di saliva che gli colpivano la faccia ad ogni sibilo: se pensava di avere visto Imma furente, non aveva visto nulla, mentre al terrore per loro, si aggiunse il terrore per lei, che le prendesse un colpo.

 

“Imma, non ti ho mai tradita, MAI, mi devi credere!” la implorò, cercando di prenderle le mani, ma lei le schiaffeggiò via, sibilando un “non mi toccare!” che gli gelò il sangue nelle vene.

 

“Ah, no?! E allora cosa ci facevi le mezz’ore da Melita, di cui non sapevo niente, eh?! E com’è che, tra un po’, sa disegnare la mappa di tutti i tuoi nei? Che se li è sognati? Una veggente è?!”

 

“Non lo so come fa a saperlo, non lo so!” urlò, disperato, non sapendo nemmeno come farsi credere, ma doveva trovare un modo, “mi fermavo da lei per parlarle, per tranquillizzarla perché… mi diceva di essere terrorizzata e di non sopportare la vita sotto scorta, ma non ci ho mai fatto niente, MAI, e-”

 

“E se almeno avessi le palle di ammetterlo mo, invece di continuare a negare pure l’evidenza e a prendermi per scema! Che… mentre io ho rinunciato al mio lavoro per te, mentre mi imbottivo di medicine per darti un figlio e progettavo il nostro matrimonio… siccome ero intrattabile e da me non beccavi, hai beccato altrove e pure di nuovo da una coinvolta in un caso! Che è? Il nome che finisce in ita che le rende così irresistibili? Non hai imparato niente, niente!”

 

Uno, poi due pugni sul petto, ma le parole erano come pugnali, i colpi quasi non li sentiva, la delusione di Imma era la cosa che gli faceva più male di tutto.


“Imma, stai calma!” urlò Irene, che provò ad afferrarle le braccia da dietro, beccandosi quasi una gomitata in pancia, “se vai avanti così entrano le guardie, e pure i giornalisti sentono tutto.”

 

Imma si bloccò, di sasso. La furia aveva lasciato spazio al gelo più totale, uno sguardo vuoto, assente.

 

Si guardò le mani e fece una smorfia, come se le venisse da vomitare.

 

Come al rallentatore, la vide sfilare l’anello, sentì l’impatto del metallo contro una guancia e poi il tintinnio mentre cadeva a terra.

 

“Mo tu te ne vai a casa mia, perché da oggi quella è soltanto casa mia,” gli sibilò in faccia, talmente roca che faceva fatica a capire le parole, ma lo sguardo non se lo sarebbe scordato mai, “ti prendi le tue cose, che ti bastino per parecchio tempo, e quando torno non ti voglio vedere neanche in fotografia!”

 

“Imma, ti prego, non ho fatto niente, te lo giuro e-”

 

Non giurare più!”

 

Il grido fu terrificante e sentì di nuovo pugni sul petto, finché Irene in qualche modo la trattenne.

 

“Ora è meglio che vai, Calogiuri, è un ordine,” gli intimò, con un’espressione che non ammetteva repliche, l’aria di chi stava facendo una fatica immane a tenere calma Imma, “non fai che peggiorare le cose così.”

 

Purtroppo, come sempre, aveva ragione.

 

Le lacrime gli appannarono la vista ma, dopo un’ultima implorazione silenziosa nel gelo delle iridi di Imma, si arrese, si chinò a prendere l’anello, segno di tutti i sogni e delle speranze ormai in macerie, si voltò e, in qualche modo, uscì dalla stanza.

 

Fece per avviarsi verso l’uscita della procura ma si trovò davanti Conti, con una faccia che non prometteva niente di buono.

 

“Conti, io-”

 

“Sei un coglione, questo sei! E io che mi ero fidato di te e ti avevo dato di nuovo la mia amicizia! Ma che ci trovano le donne in te, eh?!”

 

Gli si avvicinò minaccioso, ma sentì passi rapidi ed udì una voce familiare esclamare, “ma siete scemi?! Ci manca solo questo, adesso! Calogiuri, preparo la macchina, ti aspetto fuori dal tribunale entro cinque minuti.”

 

Rimase senza parole, vedendola sparire oltre la porta, ma si affrettò ad uscire dal corridoio, prima che a Conti venissero altre idee, procedendo verso l’ingresso, dove ci trovò, di nuovo, una folla di giornalisti pronti ad assaltarlo.

 

Gli urlarono addosso di tutto, da chi gli chiedeva se sapeva che ora sarebbe stato imputato, da chi gridava il maresciallo playboy, a chi gli chiedeva se era veramente corrotto.

 

Che era una di quelle domande talmente sceme e surreali, come quando a chi gli era appena morto qualche parente domandavano come si sentiva.

 

Cercò di farsi largo il più possibile, senza cedere all’istinto di menarne qualcuno, con i loro sorrisetti e le loro telecamere schiaffate in faccia, e alla fine riuscì in qualche modo ad emergere dal mare di corpi e a correre verso l’auto di servizio di Mariani.

 

Ci si buttò dentro, chiuse la portiera e lei partì con una sgommata da manuale.

 

“Grazie…" le sussurrò, dopo essersi infilato la cintura.

 

“Non mi ringraziare. Lo faccio solo perché voglio evitare un’altra umiliazione ad Imma e altri casini alla procura. Dove ti porto? Che, al posto di Imma, non ti vorrei a casa manco dipinto, conoscendola poi.”

 

Fu l’ennesimo cazzotto, dritto in pancia.

 

Pure Mariani ce l’aveva con lui.

 

“Non ho tradito Imma, non-”

 

“Le scuse risparmiale per lei. Tutti uguali siete voi uomini: due tette, un po’ di stacco di coscia e non ragionate più col cervello ma con altro. Allora, dove ti porto?”


“A… a casa… devo prendere le mie cose e poi-”

 

“E poi ti aspetto e mi dici dove portarti,” concluse lei, secca, continuando a guidare e facendo, come da prassi, un giro molto largo.

 

Era tutto surreale e, allo stesso tempo, gli veniva da vomitare.

 

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Infilava intimo, pantaloni, magliette, maglioni dal collo alto alla cieca dentro la valigia grande. Avrebbe voluto portarsi solo un borsone, ma Imma era stata chiarissima e non voleva peggiorare ancora la situazione.

 

Anche se… peggio di così.

 

Ogni cosa che entrava nel bagaglio e svuotava il suo lato dell’armadio era un colpo al cuore.

 

Sentiva miagolii interrogativi intorno ai suoi piedi ma come poteva spiegarle?

 

Non riusciva a spiegarselo nemmeno lui quello che era successo, come poteva spiegarselo Imma?

 

La paura fottuta di averla persa davvero, per sempre, non lo mollava da quando lei aveva pronunciato quel “sì!” in tribunale.

 

La delusione, il tradimento che leggeva in lei erano quasi inappellabili. E non riusciva a darle torto, pure se… se non aveva fatto niente di quello che lo accusavano.

 

Le lacrime gli appannarono di nuovo la vista e le sfregò via fino ad avere male agli occhi e, dopo aver aggiunto qualche paio di scarpe, chiuse la valigia, sentendo lo scatto metallico finale come fosse quello della ghigliottina pronta a cadergli in testa.

 

Vide sul comodino la cornice digitale, uno dei primi regali, con immagini bellissime di loro due che scorrevano come pugnalate.

 

Ce n’erano pure del matrimonio in Giappone, con Imma stupenda e raggiante che lo guardava innamoratissima.

 

Sentì l’anello, che teneva in tasca, e si chiese se avrebbe mai visto di nuovo quello sguardo, che ne sarebbe stato di lui, di loro.

 

Estrasse la solita agendina, sulla quale annotava tutto, e cominciò a scrivere, non sapeva bene neanche lui cosa, parole di scuse, di spiegazione, cercando di ribadire come avrebbe preferito morire piuttosto che tradirla e che non avrebbe mai potuto farlo, che non gli era mai passato nemmeno per la mente.

 

Sapeva che la scrittura era orrenda e tremolante, ma non riusciva a fare di meglio.


Strappò le pagine dall’agendina e le lasciò sul comodino, sotto la cornice.

 

Anche se… da un lato avrebbe voluto portarsela con lui, ma quelle foto già le aveva nel cellulare e nel cuore e voleva che pure Imma avesse un ricordo di com’erano insieme, di quanto lui l’amava.

 

Prese la valigia e si avviò verso l’ingresso, per recuperare il giaccone, quando il telefono gli vibrò in tasca.

 

Lo estrasse di corsa, sperando che fosse Imma, che magari ripensandoci un attimo fosse riuscita a credergli o che fossero uscite fuori altre cose, stavolta positive.

 

Mancini

 

L’ultimo che voleva sentire in quel momento: poteva immaginarselo a godere delle sue disgrazie e delle disgrazie con Imma. A dirgli che aveva avuto ragione su di lui, a non fidarsi.

 

Ma non poteva evitarlo e quindi accettò la chiamata.

 

“Pronto?”

 

“Maresciallo. La chiamo per comunicarle ufficialmente che è sospeso dal servizio fino a che la sua posizione non si sarà chiarita. Non si sogni nemmeno di andare in caserma o di venire in procura, deve tenere la massima distanza da noi e dalla procura, ha capito?”

 

“Da noi chi?” gli uscì, spontaneo, pure in mezzo al dolore.

 

“Da tutte le persone che ha praticamente rovinato oggi, maresciallo, con il suo comportamento irresponsabile e sì, soprattutto da una. Le avevo dato il beneficio del dubbio, maresciallo, le avevo consentito di lavorare e di occuparsi della parte più delicata del maxiprocesso, nonostante tutto e invece… non era di certo dai legami di parentela della dottoressa Tataranni che mi dovevo guardare. Spero sinceramente di non rivederla più.”

 

E gli fu attaccato il telefono in faccia.

 

E mo dove poteva andare con così poco preavviso?

 

Fece scorrere la rubrica fino ad un altro nome familiare.

 

Che rispose dopo qualche squillo.

 

“Sorellì, ti chiamo perché sono disperato, ho bisogno di una mano, non ho un posto dove stare e-”

 

“Non mi chiamare sorellì! Si sciem si! Comm tuttì e' ommn ca' ragionàn col cazz’! C’avevi tutto, t’eri trovato pure na fidanzata che ti amava, intelligente, con gli attributi e ti sei perso dietro l’ennesima stronza, tipo a Maria Luisa, solo che questa oltre che stronza è pure zoccola!”

 

Aveva un orecchio che gli fischiava e gli pulsava, per le urla. In confronto mammà era niente, era.

 

“Non ho mai tradito Imma, te lo giuro, sorellì, e non ho dove andare e-”

 

“Risparmiati i giuramenti, per quello che valgono. E mo hai fatto la cazzata e la risolvi, che non sei più un uagliuncello! Trent’anni tieni e ti devi prendere la responsabilità di quello che combini! Io c’ho già i problemi miei con la separazione e con Noemi e non ne voglio altri, ma soprattutto non ti voglio come esempio per Noemi. Si si nu' omm e nun nu' quaquaraquà, tieni che dimostrarlo!”

 

E, per la seconda volta, il telefono gli fu attaccato in faccia ma gli fece mille volte più male.


Rosa era sempre stata dalla sua parte, c’era sempre stata, pure quando non aveva approvato le sue scelte ma mo… lo schifava pure lei.

 

Non gli restava che andare da Mariani e sperare di trovare una soluzione per la notte.

 

Riprese in mano la valigia, la trascinò fino alla porta, o almeno ci provò, perché Ottavia gli si piazzò davanti ai piedi, miagolando come un’ossessa e poi saltò su, artigliandogli pantaloni e maglione, fino a costringerlo a prenderla in braccio, e mettendosi a mo di ciambella sul suo collo, continuando a miagolare disperatamente.


“Sei intelligente tu, eh, Ottà? Non come me che sono un ciuccio! Tu tutto da mamma hai preso,” sospirò lui, accarezzandola, e la micia fece dei lamenti strazianti, non avrebbe mai pensato di sentire un gatto piangere, “io mo devo andare, non posso restare, pure se lo vorrei tanto. Quindi mi devi lasciare il collo, se no mamma quando torna il collo me lo taglia, hai capito?”

 

Si sentiva un poco deficiente pure a parlare con una micia, ma Ottavia inarcò la schiena, spingendogli le zampe sul collo e lo guardò in un modo che sembrò aver capito tutto meglio di quanto lo avesse capito lui stesso.

 

Ne approfittò per riprenderla in braccio, le fece due ultime carezze e poi si costrinse a metterla a terra.

 

Ottavia provò a bloccare la porta, parandocisi davanti, ma lui la guardò e le disse “vai in bagno mo e… e stai vicina a mamma, hai capito?”

 

Un altro miagolio straziante, il solletico di una coda e di una testolina pelose sulle caviglie ed Ottavia si fece da parte, lasciandolo uscire, anche se richiudersi la porta alle spalle fu come tirarsi addosso un macigno.

 

Senza neanche sapere bene come, superò anche il portone d’ingresso e raggiunse Mariani in auto.

 

Caricò la valigia nel bagagliaio e poi si sedette accanto a lei che sembrava sempre molto sulle sue.

 

“Mi ha chiamato Mancini e mi ha detto che non posso andare in caserma,” le spiegò, vergognandosi da morire.

 

“Eh… lo immaginavo. Io però sto in caserma, lo sai. Magari possiamo trovare un bed and breakfast a poco, finché non trovi un appartamento.”

 

Sospirò ma sapeva che non aveva altra scelta: prese il telefono in mano ed iniziò a cercare.

 

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Doveva uscire, lo sapeva che non c’erano alternative, ma la folla di giornalisti non demordeva ed era spaventosa.

 

Non che avesse fretta di tornarci a casa, anzi, una parte di lei non avrebbe mai più voluto vedere quelle stanze ma… era casa sua e non avrebbe mai più mollato proprio niente per un uomo, già troppe rinunce aveva fatto per lui, che non era da lei e… quello era il risultato.

 

“Dottoressa.”

 

Si voltò di scatto e vide Mancini con Irene, che probabilmente provenivano dall’ufficio del procuratore capo.

 

“Ho visto l’assedio dei giornalisti. Meglio che la accompagni io a casa.”

 

Rimase spiazzata dalla proposta di Mancini, visto che negli ultimi mesi l’aveva trattata peggio di un’appestata.

 

Però a piedi da sola non poteva di certo tornare, quindi annuì.

 

Uscì in mezzo al procuratore capo e alla Ferrari, che la scortarono fianco a fianco, alti e imponenti come due corazzieri.

 

In quei momenti riconosceva l’addestramento militare di Irene: come teneva le spalle, le braccia, la schiena, tutto la rendeva imponente e minacciosa.

 

I giornalisti tentarono comunque l’assalto, urlando il suo nome e domande senza vergogna, tipo cosa si prova ad avere la prova delle corna davanti a tutta Italia? o perdonerà ancora il maresciallo o stavolta non chiuderà un occhio? o il matrimonio è annullato? fino ad un si è mai chiesta se sia attratta dal maresciallo perché inconsciamente le ricorda il suo vero padre? di una che si definiva criminologa ma che manco un omicidio di Cluedo sarebbe riuscita a risolvere.

 

Fulminò tutti con occhiatacce, facendo volare no comment come i pugni che avrebbe voluto mollare a tutti quanti, finché non fu finalmente seduta dal lato passeggero dell’auto di Mancini, la portiera sorvegliata da Irene fino a quando lui non si mise al volante e, dopo due o tre tentativi a vuoto, che per poco qualche giornalista gli finiva sotto le ruote, riuscirono a levarsi da lì.

 

“Dobbiamo fare un giro largo, dottoressa, ci vorrà un po’ a seminarli.”

 

Le prime parole giunsero dopo qualche minuto interminabile di silenzio ed incroci presi a tutta velocità.

 

“Non si preoccupi, dottore, tanto non è che abbia tutta questa fretta di tornarci a casa.”

 

Ci fu un altro attimo di silenzio, ma lei continuò a guardare fuori dal finestrino, perché non aveva voglia di sostenere lo sguardo di Mancini e l’inevitabile glielo avevo detto! che ci sarebbe stato sottinteso.

 

“Per la cronaca, il maresciallo comunque non ci sarà, non si deve preoccupare.”

 

Quell’affermazione la sorprese abbastanza da voltarsi di scatto a guardarlo, ma aveva un’espressione neutra dietro gli occhiali, “e lei come lo sa?”

 

“Perché l’ho chiamato, per dirgli che ovviamente era ed è sospeso.”

 

“Eh… come me… immagino che muoia dalla voglia di dirmi che me la sono cercata e-”

 

“Dottoressa, la mia sfiducia verso il maresciallo è nota, ma io sono rimasto soprattutto molto ferito dalla sua sfiducia nei miei confronti e…” fece una pausa, sospirando, mentre svoltava ad un altro incrocio, “insomma… forse sono stato un po’ eccessivo nell’impedirle di continuare a lavorare in procura. Ma tra il legame con il maresciallo e quello con i Latronico, non volevo che ci fossero dubbi per nessuno che lei non si stava più occupando del maxiprocesso. Ma, visto che tanto ormai è andato tutto a puttane-”

 

Per poco non fece un balzo sul sedile: Mancini, che era sempre un lord, per usare un termine del genere… ma che ci fossero ormai poche speranze di salvare il maxiprocesso era chiaro.

 

“Insomma… sarà quasi impossibile riprendersi da questa batosta. Quindi… almeno lei può rientrare al lavoro, ora che il maresciallo è sospeso e che è chiaro a tutti che lei non c’entra con quanto accaduto negli ultimi mesi.”

 

Non ci poteva credere: la prospettiva le sembrava completamente surreale in quel momento, come una cosa lontanissima che d’improvviso ti si para di fronte.

 

“Non può starsene a casa tutto il giorno da sola, dottoressa, se un poco la conosco. Lavorare le farà bene, ovviamente su casi indipendenti dal maxiprocesso, anche perché il maresciallo avrà svariati capi di imputazione a suo carico, come lei ben si immagina.”

 

Non avrebbe saputo dire se fosse più la gioia all’idea di poter tornare a fare ciò che sapeva fare meglio al mondo, alla sua vita, o… o la rabbia nei confronti di Calogiuri e non solo perché l’aveva tradita, ma anche e soprattutto per aver tradito i suoi principi, la giustizia e per essersi rovinato da solo, come un cretino.

 

“Ovviamente per via dei giornalisti sconsiglio un rientro nell’immediato, ma di attendere qualche giorno, nell’attesa che si calmino le acque. E poi rientra, è un ordine. A meno che non preferisca andarsene per un po’ a Matera da Vitali.”

 

Lo guardò e provò molta gratitudine ed un poco di tenerezza: lo vedeva che era sinceramente preoccupato per lei e per la sua salute, fisica e mentale.

 

“Guardi… Matera sarebbe pure peggio, con tutto il bene per Vitali, Roma almeno è più grande ed è più facile passare inosservati se serve. La… la ringrazio per l’opportunità, dottore.”

 

Mancini annuì ma non disse altro, continuando a guidare.

 

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Percepire il profumo, non appena passata la soglia, fu il primo colpo al cuore.

 

Perché le ricordava di lui, di loro.

 

La rabbia ed il dolore facevano a pugni dentro al suo petto, ad ogni oggetto che avevano comprato insieme che le passava davanti agli occhi, ricordandole quello che non ci sarebbe stato mai più e, soprattutto, quanto ci aveva creduto, quanto ci aveva sperato, quanto si era lasciata andare fino in fondo.

 

E mo il fondo lo aveva proprio toccato, anzi, ci si era schiantata.

 

Appese il cappotto e mollò la borsa cercando di guardarsi in giro il meno possibile, decisa ad andare dritta a letto, stendercisi e rimanerci, salvo esigenze improrogabili, fino al giorno dopo.

 

Fece il corridoio quasi alla cieca, aprì la porta e lì il profumo di lui era ancora più forte. E non solo quello della colonia che gli aveva regalato e che metteva in pochissime occasioni, tra cui quella mattina.

 

Ma la stanza sapeva di lui, del suo bagnoschiuma, del suo shampoo, della sua pelle.

 

E le era insopportabile.

 

E poi la vide.

 

La cornice sul comodino faceva scorrere, come una serie di prove implacabili della sua imbecillità, foto di loro due insieme, sorridenti e felici.

 

Lei non aveva mai sorriso in quel modo a nessuno, mai, da quando era troppo piccola per ricordarlo.

 

Un sapore salato in bocca, gli occhi le si appannarono e poi arrivò la mazzata finale.

 

Il tripudio di colori del kimono da sposa, lo scambio di quelle promesse che non valevano niente - e non solo agli occhi della legge, che evidentemente era sempre più saggia di lei - ma nemmeno per lui.

 

La cornice non fece in tempo a mostrarle l’immagine di loro che sorridevano con una bimba giapponese in braccio, perché afferrò la plastica e la fece volare contro l’armadio, con un tonfo sordo e secco.

 

Notò il bianco appena sotto. Fogli del dannato taccuino, che era stata una delle prime cose che avevano abbassato le sue difese nei confronti di lui, che le aveva fatto provare quella strana tenerezza che era stata la sua rovina, letteralmente.

 

C’era qualcosa di scritto con quei caratteri tondi e regolari, quasi femminili. Altre scuse, sicuramente, altre parole al vento, pure se scripta manent.

 

“Ma questa non manent,” sussurrò tra sé e sé, afferrando i fogli e strappandoli, prima di gettarli in una pila sopra la cornice.

 

Il dolore diventò rabbia, anzi furia: si piegò verso il letto e strappò via tutto, lenzuola, copriletto, federe, tutto quello che aveva quell’odore che voleva cancellarsi pure dai pori della pelle, facendoli raggiungere il resto del mucchio davanti all’armadio.

 

Ci avrebbe fatto un falò se ne avesse avuto le energie e se non fosse stato illegale, oltre che pericoloso.

 

Ed invece dovette accontentarsi di cancellare tutto buttandosi sul materasso a faccia in giù, il dolore al naso quasi impercettibile in mezzo al bruciore delle lacrime ed al dolore lancinante che sembrava pulsarle in tutto il corpo.

 

Si lasciò andare ai singhiozzi e pure alle grida, picchiando i pugni sul materasso fino a farsi male, colpendo per sbaglio il legno, con un ultimo grido, fregandosene dei vicini, di tutto e di tutti, tanto tutto il mondo sapeva, sapeva quanto era stata imbecille, quanto non avesse voluto vedere, accecata dall’amore che le bruciava più di tutto il resto.

 

Le lacrime le andarono di traverso, soffocata dai colpi di tosse che la scuotevano, quando, all’improvviso, un peso morbido e caldo sulla nuca ed un qualcosa che vibrava fin dentro al cuore.

 

Si voltò leggermente e si trovò con una cosa ruvida ed umida sulla guancia ed una testolina pelosa che pareva accarezzarla.

 

“Menomale che ci sei tu!” sussurrò, abbracciandosela più forte, e le sembrò assurdamente che pure lei piangesse.

 

Almeno non era sola.

 

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Girò la chiave nella toppa e l’odore lo colpi come un pugno.

 

Una puzza di sudore e di qualcosa che stava lentamente marcendo.

 

I mobili col legno sbeccato, macchie sul copriletto che era decisamente meglio ignorare, il termine giusto per definire quel posto era squallido.

 

Ma era quello che si poteva permettere per più di qualche giorno, zona stazione, una delle peggiori.

 

Mollò la valigia e si lasciò andare su una sedia cigolante.

 

Pure lui si sentiva così, cigolante, pronto a rompersi in ogni momento.

 

Aveva perso tutto e non sapeva per colpa di chi, a parte di Melita.

 

Avrebbe voluto urlare e spaccare coi pugni qualcosa, qualsiasi cosa, ma ci mancava l’accusa di danneggiamenti e la reputazione di violento per completare la situazione.

 

E poi gli vibrò la tasca.

 

La speranza di leggere quelle due sillabe.

 

Ed il terrore quando sul display invece gli apparve Valentina.

 

Non poteva ignorare la chiamata, ma già si aspettava un’altra valanga di insulti.

 

E infatti, quando la avviò, lo travolse una trafila dallo stronzo, al bastardo, al puttaniere, al traditore che Imma ne sarebbe stata orgogliosa.

 

E quel pensiero gli fece ancora più male.

 

“Mi sono fidata di te! Pure dopo le foto con quella gattamorta con le arie da sonostocazzo, e ho fatto male! Sei un bastardo e menomale che tu e mamma non lo avete fatto un figlio a questo punto! Lei è stata pure a casa dal lavoro per te, non l’ha mai fatto neanche per me, e tu-”

 

“Valentì, io te lo giuro che non l’ho mai tradita a tua mamma. Lo so che non mi puoi credere ma è così. Mi taglierei un braccio piuttosto che darle un dispiacere e-”

 

“Dovevi tagliarti qualcos’altro, non il braccio! E, a meno che sta Melita in realtà è la tua dermatologa, no, non ti posso credere, vai a raccontarla ad un’altra. E stai lontano da mamma, che non si merita uno come te!”

 

Il suono si interruppe bruscamente.

 

Ormai era abbonato ai telefoni attaccati in faccia.

 

Ma sapere di aver perso la fiducia della persona più importante al mondo per Imma gli faceva un male cane.

 

E si rendeva sempre più conto che Imma, stavolta, non lo avrebbe mai perdonato.

 

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“Pietro?”

 

“Scusami per il disturbo, ma-”

 

“Se vuoi fare il terzo grado a mio fratello, non sta da me.”

 

Gli venne da sorridere all’idea che fosse stato il suo primo pensiero.

 

“No, no, ma… volevo capire com’era la situazione lì, prima di provare a sentire Imma, che come minimo pensa che lo faccio solo per dirle te l’avevo detto.”

 

“Vuoi dire che non stai almeno un poco gongolando per quello che è successo? Veramente?”

 

Il tono di Rosa era ironico, del resto lo conosceva bene e con lei non aveva bisogno di mentire, almeno non su quello.

 

“No. Cioè… lo so che è tuo fratello, ma vorrei spaccargli la faccia ma… di sicuro non sono felice per quello che sta passando Imma. Ho provato che cosa vuol dire essere cornuto per tutta Matera, figuriamoci a livello nazionale e con tutti quei dettagli intimi in piazza… e poi sono preoccupato per lei e per Valentina, molto.”

 

“Purtroppo non so niente, perché mio fratello l’ho mandato a stare altrove, non so dov’è. E… Imma non ho osato provare a sentirla ovviamente, essendo la sorella del… corpo del reato.”

 

Gli venne da ridere, senza poterlo evitare.

 

“Grazie….”

 

“E perché?”

 

“Perché sai sempre come sdrammatizzare.”

 

E udì quella risata che tanto gli piaceva, come risposta.

 

“Non so come mi sia venuta. Mi sa che ho passato troppo tempo con Imma e con quel cretino di mio fratello. Però… a parte farti ridere non so come aiutarti.”

 

Lui lo sapeva eccome come lo avrebbe potuto aiutare, ma non era quello il momento per certe battute.

 

“Provo… provo a sentire Valentina, magari. Sono preoccupato se nessuno sta vicino ad Imma, dopo una botta così.”

 

“Sei troppo buono, Pietro, ma… fammi sapere come va, se la senti.”

 

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Alla fine le toccò alzarsi per andare in bagno e perché aveva la lingua incollata al palato ed un bisogno improrogabile di bere.

 

Si trascinò in cucina, a prendere l’acqua che stava in frigo, e l’occhio le cadde sui blister e sulle boccette colorate sul bancone.

 

Un pugno allo stomaco e poi di nuovo rabbia: aprì lo sportello con la pattumiera e ci buttò tutto dentro.

 

Le ci volle qualche istante per calmarsi, prese l’acqua e tornò verso la stanza da letto.

 

E solo allora si rese conto del casino allucinante addosso all’armadio.

 

Mollò tutto sul comodino e si costrinse a buttare in lavatrice quelle lenzuola che sapevano di lui.

 

E poi vide che la cornice stava ancora lì, beffarda, con le foto che scorrevano.

 

Non si era rotta, nemmeno ammaccata.

 

Con un sospiro, la prese insieme ai pezzi di carta sparsi per il pavimento e la infilò nel cassetto di quel comodino che tanto non avrebbe più usato.

 

Rifece il letto alla cieca, perché nel frattempo le erano tornate pure le lacrime agli occhi - cretina che era! - e poi si infilò sotto al lenzuolo ed al copriletto storti, una ciambella pelosa che subito le si accoccolò sulla pancia.

 

Ma udì anche un altro tipo di vibrazione. E veniva dal cellulare abbandonato sul comodino.

 

Lo guardò e c’erano una miriade di messaggi e chiamate perse, soprattutto da Valentina e da lui.

 

Premette il tasto di blocco, senza leggere niente, e poi aprì il messaggio di sua figlia.

 

Lo so che forse vuoi startene per conto tuo, ma tra qualche giorno ti verrò a stanare, preparati.

 

Le venne di nuovo da piangere, ma stavolta di commozione.

 

Ti voglio bene, ma ho bisogno di starmene da sola per un po’. Ma non ti devi preoccupare: mamma tua è tosta.

 

E poi c’era Diana, ma non aveva voglia di essere travolta da un fiume di parole, che manco quei due miracolati che avevano vinto Sanremo.

 

Il nome successivo in lista la stupì: Rosa.

 

Che volesse difendere il fratello? Ma Rosa non le sembrava il tipo, era più sveglia di così.

 

Aprì per curiosità il messaggio, tanto era sempre in tempo a bloccare pure lei.

 

Volevo solo dirti che sono dalla tua parte. Lo so che probabilmente non mi vorrai più vedere, ma se hai bisogno io ci sono e pure la peste.

 

Non sapeva nemmeno lei come si sentiva nei confronti di Rosa, ma… dubitava sarebbe stata pronta a breve a vedere gli occhi suoi e della piccoletta, anche se le sarebbero mancate da morire.

 

E quindi non rispose, spegnendo il cellulare, lasciandosi ricadere sul cuscino e dedicandosi alle coccole allo scaldino vivente che le reclamava.

 

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Si lasciò cadere sull’ennesima sedia mezza arrugginita e cigolante, il cuore in gola.

 

Ormai erano giorni che cambiava hotel, uno più squallido e dall’aria irrancidita dell’altro, perché i giornalisti puntualmente lo assediavano.

 

Del resto, gli alberghi decenti non se li poteva permettere.

 

Doveva cercare un appartamento o un residence ma… non ce la faceva, non aveva la testa. Anche perché trovarlo avrebbe reso tutto ancora più definitivo e non ci riusciva proprio ad affrontare quell’idea, che quella che per lui era casa non lo sarebbe mai più stata.

 

Imma… aveva provato a mandarle messaggi, a chiamarla, ma l’aveva bloccato. E sapeva benissimo, conoscendola, che ad andare di persona avrebbe fatto solo peggio.

 

Il telefono vibrò: un messaggio, una email per la precisione, sul suo indirizzo personale.

 

Strano.

 

La aprì ed il mittente fu un’altra mazzata.

 

L’Arma.

 

Con una sfilza di paroloni formali lo informavano che, essendo stato sospeso dal servizio e considerati i recenti gravi fatti che lo avevano visto coinvolto, non avrebbe potuto partecipare al corso da ufficiale, pur avendo passato il concorso.

 

Gli venne per qualche secondo da piangere, per l’ennesima ingiustizia ma… ma poi fu come se qualcosa si attivasse in lui, come un interruttore, e non sentì più niente.

 

Tanto che, quando il telefono squillò, non corse più a rispondere nella speranza che fosse Imma.

 

E, infatti, non lo era.

 

Irene

 

Non l’aveva più sentita dall’udienza e sicuramente non erano buone notizie.

 

“Pronto?”

 

“Calogiuri. Ti devo parlare molto seriamente. Dove stai?”

 

Era brusca, pareva pure lei rabbiosa. Evidentemente ce l’aveva con lui.

 

Ma non poteva evitarla: dopo quello che era successo lavorativamente un confronto glielo doveva.

 

E quindi le diede l’indirizzo, dicendole di fare attenzione, che i giornalisti lo seguivano ovunque.

 

E poi l’ennesimo telefono attaccato in faccia.

 

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Bussarono alla porta e corse a guardare dallo spioncino.

 

Una chioma bionda e degli occhi azzurri. Ma non era Mariani.


“Chi è?” domandò, preso in contropiede.

 

“Sono io, apri!”

 

La voce era inconfondibile.

 

“Irene?” chiese, sorpreso, spalancando la porta.

 

Aveva una parrucca a caschetto, bionda, e le lenti a contatto azzurre. Ed era vestita con un abitino nero attillato ed un giacchetto di pelliccia rosa che Imma le avrebbe invidiato.

 

“Ma-”

 

“In questo genere di hotel è il metodo migliore per passare inosservata. E sì, ci sono in giro i giornalisti, e ci manca che mi riconoscano e pensino che ci vediamo. Mi fai entrare, prima che conciarmi così non sia servito a niente?”

 

La fece passare, richiuse la porta dietro di lei e la vide fare una faccia tra lo schifato e il perplesso.

 

“Ma proprio in un posto così dovevi andarti a infilare? Qua anche gli acari muoiono per la puzza che c’è.”

 

“Lo so, ma… è quello che mi posso permettere.”

 

Irene sospirò e scosse il capo, poi gli fece cenno di sedersi su una delle sedie e, dopo un attimo di esitazione, prese posto sull’altra, “meno male che ho i collant! Se mi prendo qualche malattia ti riterrò responsabile e-”

 

“Lo so… lo so che sei incazzata con me e lo capisco. Per come è andato il processo e… mi dispiace che ci sei andata di mezzo anche tu ma… io non ho fatto niente, non ho mai tradito Imma e con Melita ho sempre cercato di comportarmi da manuale, a parte l’essere da solo con lei, e-”

 

“E ti credo, Calogiuri,” lo interruppe, e lui per un attimo proseguì a parlare, a giustificarsi, prima di rendersi conto di cosa aveva appena detto lei e spalancare la bocca, “ti credo. Sono arrabbiata con te, sì, perché ti sei fatto incastrare come un pollo ma… ti credo, sia sul fatto che ti hanno messo in mezzo, sia che… che non hai mai tradito Imma. Che c’è? Perché sei tanto sorpreso?”

 

“No, è che… è che non mi crede nessuno e-”


“Ma io so per esperienza personale quanto sei fedele a Imma,” gli ricordo, facendogli l’occhiolino, e lui si sentì avvampare, “e poi… c’ero quando le hai parlato dopo il processo e… o sei un grande attore o eri sincero. E di nuovo, so per esperienza che ti si legge tutto in faccia, quindi….”

 

“Io, io….”

 

“Ho sbagliato anch’io, a mandarti solo con Melita, ma… sembrava che tu fossi l’arma vincente per farla aprire… e invece altro che aprirsi! Quella ci ha fregato. E adesso, oltre a cercare le prove di quello che la cara Melania ha confessato la prima volta, che secondo me era in gran parte vero-”

 

“Come vero? Quindi pensi che abbia ritrattato per paura?”

 

“No, Calogiuri. Tutto… tutto si è incastrato troppo alla perfezione. Non potendo screditare le prove, dovevano screditare chi le aveva raccolte. Imma… Imma ormai era lontana dal processo e dalla procura e poi, nonostante la storia di Latronico, è una sveglia ed è difficile prenderla in fallo. Forse se fosse rimasta in procura avrebbero coinvolto pure lei. Ma tu ormai… hai una certa reputazione - anche per colpa mia, lo so - e… penso abbiano progettato tutto dall’inizio.”

 

“Ma quindi perché dici che pensi che Melita abbia detto la verità durante la prima confessione?” ripeté, non capendo.

 

“Perché il modo migliore per nascondere la verità è giocare d’anticipo, portarla alla luce per primi, e poi renderla non credibile. Non hai mai letto Testimone d’Accusa di Agatha Christie? Dovresti farlo.”

 

“Ma quindi mo come facciamo?”

 

“Oltre a cercare le prove con Ranieri, su quanto detto da Melita, dobbiamo cercare quelle per scagionarti. Devono averti visto nudo, in qualche modo. Non so… sei mai andato in bagno a casa di Melita o ti sei dovuto levare i vestiti per qualche motivo?”

 

“No, no… parlavamo e basta.”

 

Irene sospirò, “speravo che ci fosse una telecamera in bagno o qualcosa di simile.”

 

Per poco non gli prese un colpo.

 

“A casa… a casa mia e di Imma… non è che?!” esclamò, col terrore che potessero aver beccato anche lei nuda.

 

“Ci ho pensato e ho fatto controllare subito, prima ancora che Imma ci tornasse, ma no… niente telecamere nascoste. Solo la vostra gatta che ha preso d’assalto gli agenti, quindi….”

 

Tirò un sospiro di sollievo, mentre gli venne da sorridere e poi un’ondata di malinconia: Ottavia… quanto gli mancava! Ma gli mancava tutto di quella casa e della sua vita con Imma.

 

“Visite mediche recenti? Piscine? Mare? Posti dove ti puoi essere levato i vestiti?”

 

Per fortuna, le domande di Irene deviarono il pensiero da quei terreni troppo pericolosi.

 

E ci pensò.

 

“Nell’ultimo anno… a parte l’andrologo per… insomma… per me e per Imma… l’ultima volta che mi sono spogliato del tutto in pubblico è stato nel bagno termale di un paesino di montagna in Giappone. Ma c’erano solo giapponesi intorno, pure anziani, ed era tutto circondato da muri molto alti. Poi sono stato in un agriturismo con SPA con Imma ma… avevamo la stanza, quindi mi sono cambiato sempre lì, sia prima che dopo. E ci siamo stati un giorno solo e ho prenotato all’ultimo minuto e non c’eravamo mai andati prima, quindi….”

 

“Quindi è improbabile che possano essersi organizzati per tempo. Ma verificheremo. Controlleremo l’andrologo, ovviamente e… il Giappone lo escluderei. Se era un paesello di montagna, qualcuno non del posto avrebbe dato nell’occhio e la vedo difficile che abbiano contatti addirittura fino a là, ma verificheremo.”

 

“E poi quelli dei clan hanno i tatuaggi e con i tatuaggi nelle terme giapponesi non si può entrare.”

 

“Almeno i tatuaggi te li sei evitati… se ti fossi evitato pure i nei sarebbe stato meglio, ma quello è la genetica che ti frega. Per il resto… foto, o video, o chiamate… particolari?”

 

Il viso divenne un forno.

 

“N-no, n-no, poi con Imma, figurati, non ci saremmo mai e poi mai presi un rischio così.”

 

“Lo immaginavo,” sospirò lei e gli sembrò sconsolata e preoccupata.

 

Non era un buon segno.

 

Ma poi parve risollevarsi e gli chiese, dritto negli occhi, “da quant’è che non fai una doccia e non mangi un pasto decente? Che questa stanza puzza peggio di una cripta e mi sembri dimagrito.”

 

“Mangio, tranquilla,” le mentì, perché la verità era che aveva lo stomaco chiuso e non riusciva a mandare giù quasi niente.

 

Lei gli lanciò un’occhiata dubbiosa ma fece un altro sospiro.

 

“Ti ospiterei ma… tra Bianca e i giornalisti, faremmo solo peggio. Però posso darti un po’ di contanti per trovarti un posto migliore, almeno per un po’.”

 

“Lo sai che non lo posso accettare, assolutamente.”

 

“L’orgoglio… quello che frega voi uomini. La mancanza di orgoglio invece, troppo spesso, è quello che frega noi donne. Comunque l’offerta è sempre valida. E… ho… ho saputo del corso.”

 

Gli venne un’altra risata amara.


“Forse lo hai saputo prima tu di me. A me la comunicazione è arrivata poche ore fa ma… me l'aspettavo."

 

Irene si morse il labbro ed annuì, prima di fare un’espressione preoccupata ed aggiungere, “non so se ti aspettassi pure questo ma… ovviamente sta venendo aperta un’inchiesta su di te, sia interna che… che penale. Ti dovrebbe arrivare un avviso di garanzia a breve, dal PM che è stato incaricato.”

 

“Tu?”

 

“Ma figurati! Lo sanno che… che a te ci tengo.”

 

“Vuoi dire che Mancini lo sa,” dedusse, i pugni che gli si stringevano.

 

“Mancini sta facendo il suo lavoro, Calogiuri. E comunque dell’indagine su di te si occuperà Santoro. Credo firmerà l’avviso di garanzia quanto prima.”

 

Santoro… giusto lui ci mancava, che ce l’aveva avuto con lui e con Imma da quando gli avevano levato i casi collegati al maxiprocesso.

 

“Imma l’hai sentita?”

 

Quello di Irene era stato quasi un sussurro, evidentemente era una domanda che aveva paura a porgli.


“No. Mi ha bloccato ovunque, non mi vuole parlare e… non ho osato andarla a cercare, con tutti i giornalisti che mi seguono, non voglio fare ancora peggio. Però… magari puoi dirglielo tu, no, quello che pensi?”

 

“Io?!” rispose, con una mezza risata incredula, “secondo te mi darebbe retta o farebbe appunto solo peggio, che chissà che andrebbe a pensare?”

 

Aveva ragione, purtroppo.

 

“Dai, ora io e Ranieri proviamo a sistemare questa patata bollente. Ma tu devi stare in forze, che sulla parte informatica delle indagini puoi darci una mano. Non devi perdere le speranze, hai capito?”

 

Come se fosse facile….

 

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Stava obbligandosi a finire i biscotti per la colazione: si era addormentata tardissimo ed era quasi mezzogiorno. Ormai aveva gli orari completamente sballati, ma non voleva rischiare di fare di nuovo male al suo corpo, lo aveva già fatto troppo in passato, anche se lo stomaco era in sciopero.

 

Il telefono vibrò, segnalando l’arrivo di un messaggio.


Era sabato e si chiese se fosse Valentina che annunciava un’imminente visita. Ma di solito le si presentava alla porta e basta.

 

Il nome Caterina fu come un colpo al cuore sferrato a tradimento.

 

Era così che aveva salvato il catering del… non riusciva neanche a pensarlo. E tutto per fare una sorpresa a….

 

Aprì il contatto, finendo per sbaglio sulla pagina del Bistrot 2.0 - così veniva pubblicizzato. Solo per quello non l’avrebbe mai scelto, ma Diana le aveva garantito che fosse ottimo per eventi di quel tipo.

 

E poi finalmente le riuscì di aprire il messaggio.

 

Scusatemi, dottoressa, ma… mi chiedevo se volevate ancora vedere una nuova bozza di menù oppure no.

 

L’imbarazzo era evidente, persino per messaggio.

 

Sospirò: avrebbe dovuto avvisare pure gli altri, non era giusto tenerli in ballo, ma non ne aveva avuto le forze.

 

Consideri tutto annullato e se deve tenersi la caparra, se la tenga.

 

Non era da lei, ma l’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era discutere di cose che le facevano ricordare quello che doveva essere, e che invece non sarebbe mai stato.

 

Ma meglio averlo capito prima che dopo le nozze.

 

Stava per spegnere il display quando notò un messaggio di Pietro, di qualche ora prima. Era strano che non si fosse ancora fatto sentire, ma forse aveva imparato dopo le volte precedenti.

 

Lo so che puoi pensare che a me faccia piacere questa situazione, ma non è così. Io e Valentina siamo preoccupati per te. Verrò a Roma il prossimo weekend, fammi sapere se posso fare qualcosa.

 

Pietro…

 

La sua premura la commuoveva sempre e si chiese perché non fosse rimasta innamorata di lui, perché non lo fosse mai stata come di qualcun altro.

 

Ma il cuore è uno stronzo con pessimi gusti e fa quello che vuole.

 

Tranquillo, Piè, sono forte, lo sai. Sentirò Valentina ma state tranquilli, che io me la caverò, come sempre.

 

Inviò il messaggio ed un peso sul ginocchio, più una vibrazione, annunciarono il ritorno di Ottavia.

 

Non era mai stata una coccolona, non da quando non era più cucciola, ma negli ultimi giorni sembrava sempre percepire quando fosse particolarmente giù di morale. Ed arrivava subito a consolarla e a beccarsi le coccole.

 

Avrebbe voluto dedicarsi solo a quello ma il telefono le vibrò in mano.

 

Ed il nome non prometteva niente di buono.


Mancini

 

“Pronto, dottore?”

 

“Dottoressa, volevo solo annunciarle che la pressione qua in procura da parte dei giornalisti pare essere calata, quindi se vuole da lunedì può tornare al lavoro. La manderò a prendere da Mariani.”

 

Non le pareva vero: almeno una buona notizia in tutto quel dolore!

 

“V- va bene, dottore, e la ringrazio.”


“Non mi ringrazi, dottoressa, anche perché mi aspetto da lei che stia lontana dal maxiprocesso, ma sugli altri casi che sia pronta a tornare a pieno regime.”

 

Eh… la faceva facile lui.


“Darò il massimo, dottore, anche se forse mi sono un poco arrugginita.”

 

“Conoscendola, credo che sia fatta di un metallo ben più nobile del ferro, e che non corra alcun pericolo. Ma questa è la sua ultima possibilità qua a Roma, non la butti via.”

 

Non sapeva che pensare di quel commento, ma tanto la telefonata era già finita.

 

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Ritornare a varcare quella soglia fu quasi surreale, con il cartone in mano con le poche cose che… le aveva riportato qualcuno dall’ufficio.

 

Per fortuna fuori era rimasto solo un giornalista di una testata minore, e lo aveva scansato facilmente.

 

“Dottoressa! Se le serve un… sostituto per il maresciallo, io sono disponibile.”

 

Carminati, tanto per cambiare.

 

“Per fortuna i miei standard sono un poco più alti di così, Carminati, anche se con lei almeno non correrei il rischio di tradimenti, anzi, dovrei pagare qualcuna perché mi liberi di lei. Immagino che abbia da lavorare, no? E allora lavori, che il suo turno è appena iniziato e già se ne sta a bivaccare in corridoio!”

 

Mariani, che stava alle sue spalle, rise e aggiunse, “dai, Carminati, fila, che per oggi ti sei già reso ridicolo a sufficienza.”

 

E quel viscido si avviò furente verso la PG.

 

“Grazie, Mariani.”


“Ma di che? Ha fatto tutto lei. Se ha bisogno sono in PG. Ah, e per inciso, io sto dalla sua parte, dottoressa, in tutto.”

 

E con un occhiolino Mariani seguì il percorso fatto da Carminati, per fortuna non scivolando sull’unto che aveva trasudato.

 

Salì le scale e decise di andare prima in ufficio, a mollare almeno cappotto e borsa, poi sarebbe passata da Mancini ad informarlo del suo ritorno in servizio.

 

“Dottoressa!!!”

 

Asia, sempre più platinata ma per fortuna meno gialla - doveva aver trovato uno shampoo migliore - la accolse con un entusiasmo letteralmente incredibile.

 

“Non mi dica che è contenta di vedermi, signorina Fusco,” ironizzò, levandosi tutto e mettendosi a sedere.

 

“E invece sì. Lei non se lo meritava di essere lasciata a casa e poi… senza di lei qua era una noia. Pure se c’erano anche dei lati positivi.”

 

Aveva ironia Asia. Non l’avrebbe mai detto.

 

Stava per ribattere ma bussarono alla porta.


“Avanti!” urlò, sentendosi come se fosse tornata improvvisamente in sé, pure se parecchio acciaccata e piena di lividi e ferite che chissà se mai si sarebbero rimarginate del tutto.

 

Ma la vecchia Imma, quella che l’aveva protetta in tanti anni di prese in giro, derisioni e porte in faccia, fino all’età adulta e… e a lui… era tornata a farle da armatura.

 

“Dottoressa, mi fa piacere vederla già al lavoro.”

 

“Dottore!” esclamò, alzandosi in piedi, sorpresa del fatto che l’avesse subito cercata, “non… non mi aspettavo quest’accoglienza, sarei venuta io tra poco nel suo ufficio e-”

 

“Non è solo per i convenevoli che sono qui, dottoressa. Abbiamo un nuovo caso e credo ci voglia un magistrato donna. E voglio assegnarlo a lei. Una denuncia di stupro. Se la sente?”

 

“S- sì, certamente!” rispose, anche se… le violenze sessuali erano sempre uno strazio per lei, pure più di alcuni omicidi.


“Allora faccio accompagnare qua la ragazza, chi vuole per il caso?”

 

“Mariani,” rispose, senza esitazioni.


“Mi pare la soluzione migliore.”

 

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“Siediti… ti posso dare del tu?”

 

Sapeva che non era da protocollo, ma le venne spontaneo: la ragazza era molto, troppo giovane, pareva minorenne.

 

Controllò i documenti ed effettivamente Giulia Angelucci, così si chiamava, aveva diciotto anni ma compiuti solo da qualche mese.

 

Annuì, abbassando le lunghe ciglia su due occhioni scuri scuri.

 

Le ricordò per un attimo Milena, del caso di Nova Siri.

 

“Allora, che ti è successo?”

 

“L’ho… l’ho già detto ai poliziotti e-”

 

“Lo so che non è facile da ripetere, ma… ho bisogno di sentire da te come è andata, per avere più dettagli possibili che ci aiutino a capire che è stato.”

 

La ragazza annuì di nuovo, gli occhi lucidi.

 

“Sono… sono andata ad una festa con delle mie amiche, compagne di scuola e… da un certo punto in poi non ricordo più niente. Mi sono svegliata la mattina dopo su un letto di una delle stanze della casa e… non mi ricordavo come ci ero arrivata ma… ho sentito… insomma… ho sentito qualcosa di strano, di… di umido e… mi sono resa conto che… che… dovevo essere stata con qualcuno ma… non mi ricordo niente, niente di niente.”

 

“Avevi bevuto molto?” le chiese, attenendosi alle domande di rito.

 

“No, non al punto di stare messa così. Due cocktail ma… erano passate ore tra uno e l’altro, ho bevuto di più altre volte in discoteca ma… non mi ero mai sentita così.”

 

Imma sospirò: ma perché i minorenni si imbottivano già di alcol, perché?

 

“Quando ti sei svegliata chi c’era con te?”


“Nessuno, ero sola.”

 

“E le tue amiche?”

 

“Stavano… con dei ragazzi e… e ho cercato di capire da loro se… se mi hanno vista con qualcuno, ma loro erano già andate… insomma… a letto, ancora prima di quando io non mi ricordo più niente. E… e poi… mi hanno detto che secondo loro mi ero ubriacata e basta, ma io lo so che non è vero, che è successo qualcosa!”

 

“E tutto questo quando è avvenuto?”

 

“Tra sabato e domenica. Non ieri, settimana scorsa, ma… ci ho messo un po’ prima di… di trovare il coraggio di denunciare e-”

 

“Tranquilla, lo capisco,” rispose Imma, vedendo che la ragazza si giustificava e immaginando che si fosse sentita chiedere il perché non avesse subito sporto denuncia già dai poliziotti.

 

E quante volte se lo sarebbe sentito ripetere, dalla difesa, pure da diversi giornalisti, sempre se beccavano chi le aveva fatto questo.

 

Ma dovevano prenderlo.

 

“Hai fatto accertamenti medici?” domandò, pregando che almeno su quello la risposta fosse sì, ma dubitandone seriamente.

 

“No, no. Cioè ci sono andata ma… due giorni fa. E mi hanno detto che oramai era tardi per capire se… se mi avevano drogata… almeno con la maggior parte delle droghe e… ovviamente a capire se qualcuno… insomma… se c’era stato qualcuno che….”

 

“Va bene, ho capito. Le indagini servono proprio a questo anche se, visto che c’hai diciotto anni e mi sembri una ragazza sveglia, non ti voglio nascondere che non sarà facile. Ma non è impossibile ed io ci proverò fino in fondo, va bene, Giulia? Ma tu mi devi aiutare.”

 

La ragazza scoppiò a piangere e, dopo un po’, visto che non le passava, girò intorno alla scrivania per darle un fazzoletto e posarle una mano sulla spalla e se la trovò abbracciata.

 

Sì, era maggiorenne, ma era ancora così giovane e immatura, per tanti aspetti, come tutti ormai a quell’età.

 

“Mariani, bisogna fare un sopralluogo sul luogo della festa,” disse, prendendo poi il viso di Giulia per guardarla negli occhi, “tu però ci devi dire chi c’era a quella festa, almeno di chi ti ricordi. E poi… dovrai accompagnarci dove… dove è successo tutto, per farci capire meglio le dinamiche. Va bene?”

 

“Non… non so se ce la faccio a tornare là… ma… ci provo.”

 

“Bene. I vestiti di quella sera che ne hai fatto? Li hai lavati?”

 

“No… no… non li volevo più vedere, mi vergognavo e… li ho buttati sul fondo dell’armadio.”

 

Il disordine adolescenziale almeno in una cosa tornava utile.

 

“Va bene. Mariani, allora come prima cosa, si occupi di recuperare i vestiti e passarli alla scientifica. Io intanto predispongo per il sopralluogo.”

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

Mariani uscì con Giulia, ancora piangente, ed Imma si lasciò cadere sulla poltrona. Le era mancato il lavoro ma… tutta quella sofferenza no, non le era mancata. Gli occhi le caddero sulle pareti, sulla scrivania, sulle sedie, e, anche se non era come l’ufficio di Matera, per fortuna, tutto le faceva tornare comunque alla mente lui. Quello che avevano fatto insieme e… cosa poteva stare facendo in quel momento.

 

Lo aveva bloccato ma, una parte di lei si aspettava quasi che lui ricomparisse, da un momento all’altro, con altre scuse e altre storie.

 

Era decisamente meglio così anche se… al di là di tutto, si dispiaceva per la sua carriera, per l’enorme spreco di talento e potenziale.

 

Ma se l’era cercata lui, andando per l’ennesima volta con qualcuno coinvolto nelle indagini. E lei non ce la faceva più a parargli i colpi, a giustificarlo, non un’altra volta.

 

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“Che ne pensa, Mariani?”

 

Già si era fatta un’idea ben precisa, solo entrando nella lussuosa villa sui colli romani.

 

Ma voleva capire se pure Mariani aveva avuto lo stesso pensiero.

 

“Tutto pulito, troppo. Pare nuovo quasi. Vediamo che dice la scientifica ma… c’è un forte odore di detergenti, credo anche candeggina o ammoniaca."

 

“Sì… neanche una sala operatoria è così asettica tra un po’. Temo che non troveremo niente, ma proviamoci,” sospirò, rivolgendosi agli agenti della scientifica, “cercate ovunque, soprattutto i bicchieri e nella stanza che la ragazza indicherà.”

 

E poi andò a prendere Giulia, che tremava, tanto che le passò un braccio intorno per sorreggerla.

 

“Allora, che mi dici di questa sala?”

 

“Quel… quel divano… ero seduta lì ed è… l’ultima cosa che mi ricordo. Stavo bevendo un cocktail.”

 

“Controllate benissimo pure il divano!” ordinò Imma, prima di rivolgersi di nuovo a lei, “altre cose?”

 

“No… no… c’era tanta gente… musica alta… ballavano ma… niente di particolare.”

 

“Qualche ragazzo che si è avvicinato troppo?”

 

“No… solo uno a inizio serata a chiedermi di ballare ma poi… me ne sono rimasta per conto mio. Sa… mi ero lasciata da poco e… ero venuta a questa festa per distrarmi ma… il pensiero non mi mollava mai e ora… ho altri pensieri ma… avrei preferito evitare.”

 

Sui pensieri la capiva fin troppo bene, sul resto per fortuna non la poteva capire fino in fondo.

 

“Dai, mostrami la stanza.”

 

Salirono le scale e Giulia camminò piano piano verso una porta. Fece cenno a quelli della scientifica di aprirla.

 

L’odore di detergente e di candeggianti era ancora più forte e lei indicò il letto e disse “ecco, è qua che mi sono svegliata.”

 

“C’era qualcosa di diverso nella stanza? Cerca di ricordare.”

 

“Non… non lo so… ero sconvolta ma… a parte le lenzuola… mi pare che c’erano dei soprammobili in più e… in cima all’armadio c’era qualcosa ma non ricordo cosa.”

 

“Va bene, va bene. Allora fotografate tutti gli oggetti, anche delle altre stanze, così poi ci dici se riconosci qualcosa, va bene?”

 

E la portò fuori prima che svenisse, perché era pallida peggio del coprimaterasso bianco che sembrava guardarle beffardo dal letto disfatto.

 

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“Arrivo!! Arrivo!”

 

Uno scampanellio talmente forte da essere assordante: Valentina, quasi sicuramente, ormai riconosceva la sua delicatezza.

 

Ma è di famiglia Imma! La tua! - le ricordò la voce della sua ex suocera.

 

Aprì la porta e si trovò davanti non uno ma due scampanellatori: oltre a Valentina c’era pure Pietro, con un’aria imbarazzata ed un pacchetto in mano.

 

“Gli sporcamuss’, dritti dritti dalla tua pasticceria materana preferita. Dovrebbero essere sopravvissuti al viaggio in auto.”

 

“Lo spero proprio, che non mi vuoi intossicare! Dai, entrate!” fece segno, non potendo evitare di sorridere, “certo che mi avete fatto una bella imboscata!”

 

“Eh, ho imparato da te, Imma. Ma questi li tieni per la merenda, perché a pranzo ci vieni con noi, vero Valentì?”

 

“Sì, sì, è un ordine.”

 

“Ma i giornalisti-”


“Papà ha la macchina e… li seminiamo non ti preoccupare.”

 

“Ma mica è-” le venne da dire e si bloccò appena in tempo, aggiungendo in corner, “uno stuntman.”

 

“Eh va beh… ma qualche trucchetto ancora pure io ce l’ho. Dai, niente scuse, che ti abbiamo lasciata a cuocere nel tuo brodo pure troppo.”

 

“Almeno il tempo di cambiarmi me lo date, sì?”

 

“Eh beh certo, che l’outfit da casa è troppo sobrio!” la sfottè sua figlia, facendole l’occhiolino.

 

Per certe cose le sembrava di essere tornata ai vecchi tempi, anche se era cambiato proprio tutto.

 

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“Allora io vado! Che Penelope tra poco è in stazione, finalmente!”

 

Valentina scappò di corsa, dopo un bacio rapido ad entrambi.

 

“Ah, l’amore!”

 

“Tu dove stai, Pietro?” gli chiese, mentre indugiavano all’ingresso dell’appartamento

 

“Un b&b in zona, ormai ci ho fatto l’abbonamento,” rispose lui, sembrandole incerto sul da farsi.

 

“Imma… mi… lo so che non puoi crederci ma… mi dispiace per te, davvero, anche perché-”

 

E si fermò, pure lui in corner, ma Imma aveva capito lo stesso.

 

“Perché sai cosa provo, non è vero? Lo hai provato pure tu. Forse è il karma che mi ha colpito.”


“No, è che il maresciallo è scemo. E se lo becco-”

 

“Sì, vi ci manca pure questa, una denuncia per rissa, giusto per finire su tutti i giornali. Non fare scemenze, Pietro!”

 

“Tranquilla… lo sai che… non sono un tipo d’azione. Anche se la faccia gliela spaccherei sul serio… gli avevo pure dato fiducia, gli avevo dato!”

 

“Eh… hai detto bene… la fiducia… è quello il problema. Non è solo il tradimento in sé perché… ammetto che in certi momenti non sono stata semplice da sopportare, e chi meglio di te lo può sapere!” sospirò, mentre Pietro sorrideva, “sai, credo… credo che sia stata una cosa da una botta e via… ma… ma la cosa che mi fa incazzare più di tutte è che… che non vuole ammetterlo.”

 

“Lo capisco, Imma, perché pure a me… la cosa che ha bruciato di più è stato il sentirmi preso in giro, come uno scemo, per tutti quei mesi. Anche se… ti amavo così tanto che… che ti avrei ripresa lo stesso, se mi avessi dato un’altra possibilità.”

 

“Io… non sono come te, Pietro: se mi viene a mancare la fiducia… non ce la faccio ad andare avanti, per quanto… per quanto lui mi possa mancare. Ma… non è un discorso che dovrei fare con te.”

 

“E perché no? Per l’appunto, ti capisco, Imma.”

 

“E poi… ha giurato il falso non soltanto con me, ma anche in tribunale, e quello per me è pure peggio di un tradimento,” esclamò, e non scherzava, ma Pietro rise.

 

“Sei proprio una PM nell’anima.”

 

“Ti vuoi sedere un po’?” offrì poi lei, indicandogli il divano e piazzandosi al posto accanto quando lui si accomodò, “tu come stai? Ti trovo sempre in forma e… ti vedo meglio, in generale.”

 

“Sì, va meglio,” le confermò, in un modo che non fece che acuire un sospetto che aveva da un po’.

 

“E questo meglio tiene un nome e un cognome?”

 

Bastò l’espressione di Pietro, tra lo scioccato ed il colpevole, assurdamente, per capire che sì, c’era qualcuna.

 

E pure lui comprese immediatamente di essere stato beccato.

 

“Ma come…?”

 

“Piè… e che ti devo dire. Da un po’ è che ho notato che… mi guardi in un modo diverso da prima… oltre al fatto che… non sembri più… rancoroso. Quindi mi sono chiesta se… se ti fosse soltanto passata o se ti fossi innamorato di qualcun’altra e stavolta veramente e non come con Cinzia.”

 

“E… e ti dispiacerebbe?”

 

“Non lo so… beh… dipende da com’è questa, che se è come Cinzia… chi la sopporta un’altra così? Spero manco tu!” esclamò, facendolo ridere di nuovo anche se in realtà era serissima, “però… forse un poco mi farà strano sempre, Pietro, ma… non ho proprio la posizione per dispiacermi o per farti la morale. Anche se mi chiedo perché tutto questo mistero.”

 

“Perché… effettivamente c’è una persona che mi interessa ma… non stiamo insieme. Lei-”

 

“Non ricambia?” gli chiese, anche se le sembrava strano l’atteggiamento di Pietro, che pareva ringiovanito, in quel caso.

 

“No, cioè… per ricambiare ricambierebbe pure ma… si sta separando e… ed è mamma e quindi… non voglio fare il rovina famiglie e poi… è più giovane e-”

 

“Più giovane di… del maresciallo?”

 

Pietro scoppiò in un attacco di tosse fortissimo.

 

“Piè, che c’è? Vuoi un goccio d’acqua?”

 

“No, no… è che… non mi aspettavo l’interrogatorio, sei sempre un mastino sei! E comunque no… è un po’ più grande di… di lui.”

 

“Beh, bene, allora direi che non è più una ragazzina, no? Se… se tu sei innamorato e… se lei ti ricambia… magari va bene aspettare per il bene di ste creature e se c’ha un processo in corso. O è consensuale?"

 

“Imma!”

 

“Va bene, lo so, non sono affari miei, ma deformazione professionale. Comunque… se non fosse consensuale, magari potete aspettare un poco, ma... l’amore non si sceglie e al cuore non si comanda, io lo so bene. E bisogna viversela, meglio i rimorsi dei rimpianti, come mi ha insegnato la buon’anima di mia madre, pure se troppo tardi.”

 

“Quindi… non te ne sei pentita?” le domandò, e non sembrava rancoroso, solo… curioso.

 

“Anche se forse non è bello da dire con te… e… pure se… se forse me ne rendo conto soltanto mo che lo dico… no, non sono pentita. O meglio, alcune cose sì, non le rifarei, tipo mollare il posto a Roma e… e fidarmi troppo ciecamente, non vedere i segnali, ma… della storia in sé con… con Calogiuri,” disse, riuscendo a pronunciarne il nome finalmente, “no, comunque quello che ho provato non me lo toglie nessuno e… tra noi due ormai da parte mia era finita del tutto, quando ti ho lasciato.”

 

Lui sorrise, un po’ amaro.

 

“Che c’è?”

 

“Sai… se… se tutto questo fosse successo anche solo un anno fa, avrei fatto di tutto per riconquistarti, ma… ma la vita è strana.”

 

“Sarebbe stato molto comodo pure per me, Piè, troppo!” gli disse, ritrovandosi stretta in un abbraccio, “ma non sarebbe stato giusto, soprattutto nei tuoi confronti. Le cose quando finiscono non si possono forzare.”

 

“No… e mo credo di averlo capito pure io,” mormorò lui, facendole solletico all’orecchio con la barba e i baffi, che non ci era più abituata, prima di staccarsi leggermente da lei e fare un’espressione strana.


“Che hai?”

 

“Niente è che… non pensare male ma… visto che non sei impegnata e quindi non facciamo torto a nessuno, mi chiedevo se… se potevo darti un bacio, rapido, eh, un bacetto, solo per capire se, se sono-”


“Se sei ancora vittima della Sindrome di Stoccarda o ti è passata definitivamente?”

 

“Eh… più o meno….”

 

La richiesta era sorprendente ma… lo vedeva che non era una scusa per altro, anzi, che era proprio forse la prova definitiva di cui Pietro aveva bisogno.

 

E… era suo dovere fornirgliela, per quanto lo aveva fatto stare male.

 

E poi, appunto, non avrebbe tradito nessuno.

 

Quindi gli afferrò il viso, come aveva fatto migliaia di volte nei loro quasi vent’anni insieme e posò le labbra sulle sue, il solletico dei baffi che le fece strano e tenerezza insieme.

 

Un bacio breve, anche perché non se la sentiva certo di approfondire, mentre lui era immobile.


“Allora?” gli chiese, quando si fu staccata.

 

Pietro pareva incredulo.

 

“Allora… ho… ho provato… molta tenerezza ma… non quel… quella cosa allo stomaco che provavo una volta. Quasi… quasi come se fossi… una sorella. Cioè, non proprio proprio una sorella ma-”

 

“Lo capisco cosa vuoi dire, Piè, perché è la stessa cosa che è successa a me con te negli ultimi tempi in cui eravamo insieme e… mi aveva fatto malissimo, credimi.”

 

“Sì… è… è come… rendersi conto di aver perso qualcosa… pure ora… figuriamoci con me che… che insistevo per…” lasciò cadere la frase, imbarazzato.

 

“Sono stata anche io codarda, a non lasciarti quando avrei dovuto, Pietro. Non è solo colpa tua se… se abbiamo trascinato le cose. E comunque… visto che mo c’hai avuto pure la prova del nove… mi devi promettere che non ti lascerai scappare quest’occasione di esser felice, Piè. Che se è andata male a me… mica deve andare male pure a te per forza.”

 

Fu trascinata in un altro abbraccio, ancora più forte del precedente.

 

“Sei cambiata tanto, Imma, in meglio. Pure se mi costa molto ammetterlo.”

 

Costava pure a lei, ma era vero. La vecchia Imma era un’armatura, una corazza, preziosissima, per carità ma niente di più.

 

Ma da quel momento in poi, la vera Imma l’avrebbe mostrata solo a chi se la meritava davvero.




 

Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo capitolo che da scrivere è stato peggio di un parto, soprattutto la parte iniziale. La bomba è scoppiata ed ha travolto tutti e… ora Imma deve leccarsi le ferite, mentre Calogiuri è disperato perché ha perso tutto e non sa come dimostrarlo. Vedremo nei prossimi capitoli come faranno per ritrovarsi e, soprattutto, per ritrovare la fiducia che è la cosa fondamentale, oltre che cercare di capire come, da chi e perché Calogiuri è stato incastrato. Pietro ed Imma nel frattempo hanno fatto pace con il loro passato insieme e… chissà se questa consapevolezza di essere “guarito” dalla Sindrome di Stoccarda (cit.) porterà ad altri eventi e ad altri casini.

Spero che la storia continui a piacervi fin qua, questo è l’ultimo grande ostacolo prima del finale. I prossimi capitoli avranno molto giallo, rosa ed anche angst, che però voglio rassicurarvi non sarà infinito, anche perché come vedete cerco di alternare sempre un po’ i toni dei capitoli.

Ringrazio di cuore chi ha recensito la mia storia, non avete idea della motivazione che mi date ogni volta e di quanto i vostri consigli mi siano preziosi. Grazie anche a chi l’ha inserita tra i preferiti o i seguiti.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 25 aprile, in caso di problemi vi avviserò per tempo sulla pagina autore qua su EFP della data di pubblicazione definitiva.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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