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Autore: Vallyrock87    16/04/2021    12 recensioni
Nel regno di Thomaor vivono dei nobili demoni che regnano anche sui popoli degli umani, sono amati e rispettati. Ma Sesshomaru, il primogenito figlio del re non sopporta che suo padre abbia sposato una di loro. Nel suo cuore porta ancora la ferita per la perdita della madre. Ma la nascita del fratello più piccolo cambierà le cose, il suo cuore troverà la pace, anche se il dolore non può essere spazzato via tanto facilmente.
I due iniziano a crescere insieme. Ma la felicità non è una cosa che dura a lungo , si troveranno in un attimo a perdere ogni cosa una famiglia, una casa e un posto dove stare al sicuro.
Questa piccola One shot, è l'introduzione ad una nuova storia che ho in mente di scrivere dopo che "il demone dei sogni " sarà conclusa , avevo le idee ancora calde in testa e ho deciso di scriverle, come promemoria.
Qui la storia è raccontata da Sesshomaru, ma nella long che andrò a scrivere, la racconterà la sottoscritta. Questa è solo una anticipazione di ciò che sarò, presentata dal nostro ghiacciolone, che qui tanto ghiacciolone non è.
Genere: Drammatico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: inu taisho, Inuyasha, izayoi, Jaken, Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ho perso mio fratello, e non riesco a darmi pace. Quando ero solo un bambino, dopo che mia madre morì di una malattia incurabile, nonostante fosse una demone, mio padre volle risposarsi. Quella volta però scelse una donna umana. Io, nel mio cuore di bambino, mi sentii tradito da quel padre che tanto adoravo. Per me il fatto che mia madre venisse rimpiazzata da un essere così inferiore alla nostra razza, era un insulto a colei che mi aveva dato la vita, a colei che io amavo più di qualsiasi altra persona al mondo. Ma forse questi miei pensieri erano dettati dal mio dolore, per la ancora troppo, prematura dipartita di  mia madre. Il mio cuore era macchiato da una chiazza scura, che mi faceva detestare qualsiasi cosa accadesse intorno a me. Odiai mio padre, odiai la mia matrigna e la odiai ancora di più quando mio padre mi disse che Izayoi, (questo il nome della seconda moglie del grande generale dell’ovest, re delle terre di Thomaor), stava aspettando un bambino. Avrei avuto un fratello dunque. Un essere immondo, un mezzo demone. Ancora non era nato e già lo detestavo, detestavo ciò che rappresentava, una vergogna per la famiglia. Mio padre non prese bene la mia reazione. Gli inveii contro, gli vomitai addosso tutto il mio odio. Per lui, per la sua umana e per quella… cosa che stava crescendo dentro di lei. Mi presi un ceffone a mano aperta in pieno viso, che mi fece voltare dall’altra parte. Quando mi voltai, portandomi una mano sulla guancia lesa, per guardarlo negli occhi vidi la delusione e il dolore, nel suo sguardo. Solo ora capisco che, l’avevo ferito. Ma si stava rendendo conto, in quel momento che il dolore per la perdita di mia madre era ancora lì, vivido in me. Aveva capito che, non avevo ancora accettato quella umana come mia seconda madre. Izayoi aveva cercato in qualche modo di avvicinarsi a me, facendomi dei sorrisi gentili, cercando di starmi vicino. Io la allontanai ogni volta, con poca gentilezza, ma lei non smise di sorridermi. Era frustrante, nonostante cercassi in tutti i modi, di farmi odiare da lei, quella donna continuava a sorridermi amorevolmente. Era come se fossi anche io suo figlio. Mi chiesi varie volte perché quella donna mi considerasse in quel modo; forse alcune donne umane sono più predisposte di altre ad essere madri? Non lo capivo. E forse neanche oggi sono ancora arrivato a comprenderlo.

Vidi la pancia della mia matrigna farsi sempre più grande. Passarono i mesi, e mio fratello venne alla luce. Per quanto, nei giorni seguenti la sua nascita, mio padre cercasse di spronarmi ad andarlo a vedere,  rifiutai ogni volta. Fino a quando, un giorno, mio padre e la mia matrigna uscirono, per recarsi in un villaggio che richiedeva il loro aiuto. Io rimasi solo, in quel grande castello, fatto di pietra. Io, mio fratello e la servitù.

Per caso passai vicino alla sua camera, lui era nella sua culla, e piangeva. Le ancelle che avevano il compito di prendersi cura di lui non sapevano come calmarlo. Le sue grida mi perforavano le orecchie tanto sensibili. Decisi di avvicinarmi, per capire che cosa avesse da strillare tanto. Quando fui vicino alla culla, la mia mano si mosse da sola per afferrare la sua, lui me la strinse a sua volta. A quel contatto, smise quasi immediatamente di piangere. Incuriosito dalla sua reazione piegai la testa di lato. Mio fratello in quel momento si voltò verso di me e mi guardò, con quei suoi occhioni dorati, della stessa colorazione dei miei. Subito dopo si addormentò senza mai lasciare la mia mano. Le ancelle rimasero stupite da ciò che stava accadendo sotto i loro occhi. Non avrebbero mai pensato, che mio fratello avesse bisogno della mia presenza per tranquillizzarsi. Lo osservai per qualche istante, il suo aspetto era bizzarro per me. Aveva due orecchie canine che gli spuntavano sulla testa e, i suoi capelli erano dello stesso colore dei miei; argentei, come la luna. La cosa strana era che, nonostante fosse un neonato aveva già un sacco di capelli, ma nessun segno demoniaco solcava il suo viso a differenza di me o di mio padre. Appoggiai il mio viso alle sbarre della culla, continuando ad osservarlo e senza mai staccare la mia mano dalla sua, mi addormentai. Stranamente, dalla morte di mia madre, mi sentii finalmente sereno, per la prima volta dopo tanto tempo.

Mi svegliai non sapendo quante ore fossero passate. Sentii delle voci intorno a me, che mi sembrarono famigliari. Aprii gli occhi e vidi mio padre e la mia matrigna che mi stavano osservando. Mi sorrisero, e per qualche strana ragione ricambiai il loro sorriso. Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Mio fratello così piccolo e indifeso riuscì a purificare quella macchia che da un po’ di tempo premeva sul mio cuore. Iniziai a passare le giornate accanto a lui, ad osservarlo, ad addormentarmi accanto a lui.

Il dolore che provavo per la perdita di mia madre alla fine si affievolì. Non posso dire che se ne andò del tutto, perché il dolore che si prova quando si perde una persona a cui si tiene molto, non passa mai. Rimane lì in agguato, in un angolo del nostro cuore, della nostra anima. E, quando ti fai prendere dalla nostalgia, quando ripensi a quella persona a ciò che avete passato insieme, quell’angoscia, quell’oppressione, quella mancanza torna a farsi sentire. Anche solo per un attimo. Ti contorce le viscere,  ti senti perso e a disagio. Quel dolore mi aveva spinto in basso, verso un abisso profondo. Ma qualcuno mi tese una mano e mi aiutò a risalire. Quel qualcuno era mio fratello, Inuyasha, (Così lo chiamarono).

In quel periodo iniziai a considerare di più Izayoi come una madre, anche se non avrebbe mai potuto sostituire la mia, ma cominciai a volerle bene. Mio padre vedendomi più sereno, se ne rallegrò, comprese che, quel bambino aveva finalmente guarito le mie ferite.

Passarono un  paio d’anni, ed io e Inuyasha diventammo sempre più uniti, eravamo inseparabili. Mio fratello era il bene più prezioso per me. Mi ripromisi di stargli accanto e di proteggerlo sempre, da qualsiasi cosa, anche da sé stesso se fosse stato necessario.

Ma la felicità si sa, è un effimera chimera. Per quanto la si possa conquistare, a volte è sfuggevole ti scivola via dalle mani come una saponetta bagnata.
Successe in quel periodo, che la mia madre adottiva, iniziasse a sentirsi male, ad avere la febbre molto alta e a passare la maggior parte delle sue giornate a letto, tra i deliri febbrili. Vidi mio fratello diventare sempre più nervoso, sempre più teso. Vedere sua madre in quello stato lo sconvolgeva. Mi rividi in lui , quando persi mia madre. Ma Inuyasha a differenza mia, aveva me, un fratello maggiore, che aveva già passato il suo stesso dramma. Cercai di stargli più vicino, di confortarlo, di infondergli coraggio, ma nulla sembrava smuovere il suo animo tormentato. La situazione peggiorò, quando alla fine Izayoi morì. Nessuno seppe spiegarsi che cosa avesse colpito la regina, ma le circostanze erano alquanto strane. Sembrava che chiunque sposasse il generale dell’ovest, corresse il rischio di finire tra le braccia della morte.

Mio fratello non riuscì a darsi pace, la morte di Izayoi lo sconvolse tanto quanto sconvolse me, quando persi mia madre. Continuai a dargli il mio conforto, sperando di placare il suo animo ferito a causa della perdita. E, sembrò che piano piano grazie a me riuscisse a placarsi. Ma, nostro padre, cadde nell’oblio più sconfinato della disperazione. Amava mia madre, ma non era quel tipo di amore che aveva riservato a Izayoi. Smise di occuparsi di noi, e smise di occuparsi anche del suo popolo. Mio padre, nonostante fosse un demone governava, in quelle terre, popoli di umani. Li detestai quando mio padre sposò una di loro, perché oltre a essere umana, non era nemmeno nobile. Ma quella storia faceva parte di un passato ormai lontano. Mio padre da quegli umani, veniva rispettato e venerato da tutti.

Si celebrò il funerale, come da tradizione, preparando una barca, venne ricoperta di arbusti e vi venne adagiato sopra il corpo della donna. Izayoi venne vestita con una delicata tunica bianca e le vennero congiunte le mani sul grembo, come se stesse pregando. Le ancelle del palazzo l’avevano truccata talmente bene da farla sembrare ancora viva. La barca, che venne trasportata dagli uomini più forti, venne adagiata nel fiume Limagor, il fiume che da centinaia d’anni accompagna le anime dei morti nell’aldilà. Mio padre accese una grossa fiaccola e diede fuoco all’imbarcazione, poi la spinse,  in modo così che la barca intraprendesse il suo cammino verso l’ignoto, continuando a bruciare. Molti dei sudditi si erano radunati quel giorno per dare un ultimo saluto alla regina. Ognuno di loro teneva in mano una lanterna che, liberarono in cielo nel momento in cui la barca iniziò a navigare in quelle acque. Più di mille lanterne si librarono in aria per dare l’estremo saluto alla loro regina. Mio fratello al mio fianco non aveva smesso un secondo di piangere.
Dopo aver dato l’estremo saluto alla sua amata, mio padre si rinchiuse nuovamente nel suo dolore, continuando ad ignorare tutto ciò che lo circondava, compresi noi, i suoi figli. Era talmente preso dalla sua sofferenza che non si accorse che, qualcuno tramava nell’ombra. Così una notte il castello venne dato alle fiamme. Mio padre affidò me e mio fratello ad uno dei suoi più fedeli servitori. Jaken, un Kappa  che portava sempre con sé un bastone dalle due teste chiamato Nintōjō. Ci fece scappare dalle segrete del castello, ma prima, lo vidi dare delle istruzioni a Jaken che, poi ci condusse fuori. Mentre il castello veniva attaccato da migliaia di uomini vestiti di nero.

Inuyasha, Jaken e io sbucammo nella boscaglia adiacente al castello. Purtroppo, però ci accorgemmo che anche il bosco aveva preso fuoco; Jaken ci intimò di sbrigarci. Dovevamo uscire dalla boscaglia infuocata in fretta, se non volevamo finire arrostiti. Presi la mano di mio fratello che teneva in braccio uno dei suoi pupazzi preferiti e iniziammo a correre. Lui perse il suo pupazzo e tornò indietro a recuperarlo. Quando mi accorsi che non mi teneva più la mano era ormai troppo tardi, mi voltai e vidi che la strada alle mie spalle, era stata sbarrata da un tronco infuocato appena caduto. Urlai il suo nome ma, tra le fiamme non lo vidi più. Jaken, intanto, mi diceva che non potevamo stare a cercarlo, presto le fiamme avrebbero inghiottito ogni cosa e, se fossimo rimasti, sarebbe successa la stessa cosa anche a noi.

Quella stessa notte incontrai, o meglio mi scontrai con  una bambina al di fuori di quella boscaglia. Senza saperlo ci eravamo inoltrati fino alle terre del re del nord il generale Kanjiro. Venimmo a sapere che anche il castello delle terre di Galimbor era  stato dato alle fiamme e in seguito attaccato da degli uomini in nero.

La bambina che si era scontrata con me aveva anche lei orecchie canine come mio fratello ma lei aveva i capelli neri come la pece e occhi blu come il mare. Il clan dei cani del nord appartenevano ai cani oscuri e loro a differenza di me e mio padre avevano il manto nero.

Anche Artemisia (questo il suo nome), come me aveva perso la sua sorella gemella. Ma lei al contrario di me  era sola, il padre nella fretta le aveva fatte fuggire da sole. Decidemmo in quel momento di rimanere insieme e di cercare i nostri fratelli e i nostri genitori.

Da allora crescemmo nei boschi che si trovavano, molto distanti dalle nostre terre. Jaken aveva provveduto a noi , non ci faceva mancare nulla né cibo né acqua  e nemmeno da vestire. A volte mi chiedevo dove trovasse i soldi necessari per poter rendere tutto ciò possibile.

Artemisia, col passare degli anni divenne una ragazza molto bella ed io iniziai a provare qualcosa per lei, e non sapevo spiegarmi cosa fosse. Più la guardavo e più mi sentivo in qualche modo strano. Era diverso da ciò che si può provare per un fratello. Qualcosa di più forte e intenso.

Non seppi più niente di mio fratello o di mio padre, non seppi se fossero ancora vivi. Ma nel mio cuore ci speravo ancora, anzi me lo sentivo che loro non erano morti. Erano lì da qualche parte in qualche luogo sperduto, e un giorno li avrei ritrovati.




Angolo Autrice
 
Salve a tutti, ecco una piccola one shot, che alla fine è una piccola anticipazione di ciò che vorrei poi andare a scrivere nella storia vera e propria, ho deciso di mettere nero su bianco perché così non me le perdo per strada. I nomi dei  luoghi e del fiume sono totalmente inventati da me. E l'ambientazione non è in Giappone nell'epoca Sengoku ma è totalmente una cosa fantasy non esiste una collocazione temporale in cui si possa posizionare questa storia.
 
Spero che questa introduzione vi sia piaciuta.
 
Alla prossima ;)
 

 
 
   
 
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