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Autore: Tori    28/08/2009    3 recensioni
«Bella voce». Com’è bello… Mi ha fatto un complimento! «Lo pensi davvero?» gli chiedo, senza quasi un filo di voce. Concentrati sulla cioccolata, non stai arrossendo, concentrati sulla cioccolata, cioccolata, cioccolata… «No, ma è così che rimorchio». Sogghigna.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Devo fare abbondanti premesse per questa ff.
Forse avrei fatto meglio a non scriverla, almeno per non rivelare al mondo quanto io in realtà sia deviata XD
Questa "roba" è nata da un sogno e ho deciso di scriverla per liberarmi di queste deliranti visioni. È breve, solo due capitoli di inesplicabile idiozia.
Spero che almeno non faccia schifo come sia scritta.
I dialoghi scritti in corsivo sono in Italiano, gli altri in Inglese.
La canzone qui citata è "Hum Hallelujah", dei Fall Out Boy.

Per il resto: poveramepoveramepoverame…! XP


Hum hallelujah


«Non fare la stupida…».
Francesca mi sta trascinando per la strada e io ho un presentimento, come quelli che si sentono prima di un grosso cambiamento. Solo che, contrariamente alla normalità, non so se sia positivo o negativo. Che palle.

Ho le unghie della mia migliore amica piantate nella carne, ma non m’importa.
«È rosso!».

La tiro indietro appena in tempo: quando l’auto ci passa davanti a tutta velocità, intravedo al violante un tipo biondo sbraitare parole volgari.
«Vuoi farti spappolare da una macchina per giocare a Indovina-Chi con questo tuo fantomatico ragazzo?» le sbraito.
«Non credo che conosca il gioco, se non glielo traduci…» ribatte lei.
E sì, giusto, noi siamo qui, a Chicago, solo perché l’ha voluto lei.

Lei è quella che non si fa problemi e cose del genere.
Mentre io sono qui a preoccuparmi di questo e di quello, di tutto e di niente.
Perché poi il mio istinto ci azzecca sempre.
Okay, sto impazzendo.
Finalmente mi risveglio dal mio letargo post-sfuriata e mi libero dalla sua stretta.
«Ma dove dobbiamo andare?» le chiedo.

La gente dietro di noi sembra finalmente sollevata: in effetti, pareva quasi mi stesse minacciando.
Chissà quanto faceva Little Italy…
«Diciamo che il locale è un po’ fuori mano, perché non hanno avuto possibilità di sistemarsi altrove».
Altro semaforo.
«Di’ la verità: mi stai rapendo».
Ridiamo entrambe. Altra mia dote: so far pace con la gente alla velocità della luce. Con la mia migliore amica, poi…
«No, in verità sto solo provando a raggiungere il Canada a piedi entro stasera».
«Accidenti: altro che fuori mano…».

* * *

«Ecco, ci siamo!».
È eccitata come una dodicenne nel reparto make-up.
Non vedo nessuno, il locale è buio.
In pratica è una topaia.
Siamo in una specie di garage.Credo.
Francesca è appena inciampata su una sedia rovesciata.
Io mi tengo qui, vicino alla porta, accanto alla quale non c’è traccia di un interruttore.
Figuriamoci. Postilla per me: la dicitura “fuori mano” indica spesso un sito buio, non meglio identificabile, la locazione del cui interruttore elettrico è di conoscenza dei soli addetti ai lavori/adepti della setta.
«Ma porca…» fa quella pazza della mia amica.
«Sei sicura che siamo nel posto giusto?» Le chiedo, dubbiosa.

Non è che io, in generale, sia scettica: è che lei, in quanto a capacità orientative, ha delle considerevoli lacune.
«Ovviamente sì. Mica sono cretin-».

Le ultime parole famose: cade di nuovo, su un groviglio di fili, credo.
«Non mi scomodo nemmeno per venirti a ripescare» ridacchio con lei.
All’improvviso c’è un forte trambusto, come di roba che cade e rotola.
Imprecazioni in americano. Imprecazioni molto fini, anche.
La luce nel corridoio dietro di me si spegne e Francesca riesce ad abbarbicarsi al mio braccio come un gatto ferito.
«Chi diavolo c’-…?!» un ragazzo urla.
«Ma sei scemo?! Te l’ho detto!» un altro ragazzo bisbiglia inferocito.
Dopo questa voce Francesca sembra perdere la calma. E col senno di poi, a ragione…
«Ta-dà!».
Luce accecante.
Oddio, è vero che saremmo state quasi un quarto d’ora al buio ad aspettare che succedesse qualunque cosa…
Ci sono voci, un po’ confuse, a metà fra una festa di diciotto anni e un bar karaoke.
All’inizio non capisco nulla. Sento solo che Francesca mi è strappata quasi con violenza dal braccio, con contorno di suoi intelligenti gridolini smaniosi. «Finalmente! Era ora!» esclama uno di quei ragazzi.
«Ho dovuto trascinarla di peso: non sai la fatica…» risponde Francesca allo sconosciuto, tutta gongolante fra le sue braccia.
Risate generali.
Io rispondo subito, un tantinello acida: «Be', sai com’è: la stessa fatica che ci impieghi la mattina a trovare il cervello…».
Altre risate, giurerei più forti di prima. Così impara: si risparmiasse i commenti alla mia forma fisica.
Oggettivamente non sono grassa, solo non sono magra. Le mie curve sono benvolute! Non come lei, che va in crisi dopo Natale.
Mi guardo intorno con la testa piena di chiacchiere.
Scopro che il faro che ci aveva accecate prima era, in realtà, solo un’enorme lampada al neon piantata nel centro del soffitto, da cui diffondeva venti solari a manetta. Le pareti e il soffitto sono coperti di scatole di cartone per le uova. A terra c’è del linoleum color vomito di topo. Grovigli di fili sono sparsi qua e là, attorno al tavolino davanti alla porta, sotto e sopra le cinque o sei sedie attorno.
Più che una sala prove, sembra un covo di partigiani.
I due tipi che stanno parlottando con Francesca sono entrambi alti.
Riconosco subito Greg, ovviamente: alto, un gran figo, spalle larghe, volto un po’ squadrato, capelli corti neri tutti arruffati sulla testa, un neo sul collo, bei denti, occhi castani…
Francesca l’aveva definito l’”uomo della sua vita”. Buon per lei.
L’altro ragazzo con cui la mia amica bisticcia familiarmente assomiglia molto a Greg: in pratica cambia solo il colore degli occhi, che è molto più scuro, la corporatura, che è più gracilina, e la parlata, che è più sguaiata di quella del fratello. Porta anche un bel paio di occhiali dalla montatura verde pisello. Si chiama Michael.
Entrambi indossano jeans sdruciti e scoloriti, Greg una maglietta rossa, mentre il fratello ne ha una grigia, ambedue le maglie di marca indefinita.
Non faccio in tempo a notare che c’è tutto l’indispensabile per un gruppo musicale di circa quattro persone (e che le attrezzature non sono niente male) che sono subito tirata in ballo.
«Hey! Non ci hai ancora presentato la tua amica!» la voce di Greg non la immaginavo così profonda e gutturale: Francesca l’aveva descritta in modo diverso.
«Giusto!» Quella pazza mi si avvicina e mentre mi trascina in faccia a Greg mi sussurra fra i denti che devo farle fare bella figura, in quel momento inconsapevole del fatto che io non abbia le capacità motorie di un sacco di farina, ed esclama «Questa è Vittoria!».
Greg mi stringe diplomaticamente la mano, molto educato, ma non mi dice niente. Si limita a sorridere a Francesca.
Non ho bisogno di voltarmi per capire che la ragazzina del reparto make-up ha temporaneamente sostituito le sue cellule cerebrali con quelle della mia amica.
Michael, al contrario, comincia a chiacchierare con loquacità. Anzi, sembra pure più chiacchierone di me.

* * *

Così, mentre mi faccio trasportare da quest’onda di ciarle in libertà, non mi accorgo dell’entrata in scena di altri due eroi del mondo moderno, anche perché nemmeno gli altri due ne tengono grande conto.
«Quanti anni hai?» Michael è passato all’acerrimo nemico di noi donne: l’argomento “età”. Nell’istante in cui stavo per pronunciare la fatidica “parola”, e cioè “venti-appena-compiuti”, sento una violenta esclamazione alle mie spalle, che suona a metà fra un inno di battaglia e l’urlo di una donnetta alla vista di uno scarafaggio.
«Io ti ho già visto!».
Mi giro di scatto, come tutti gli altri, verso la fonte di quell’urlata spaventosa.
Dio, quasi non rimango a bocca aperta. Definirlo bello è poco, troppo poco. Ha un fascino esotico, a primo impatto mi sembra l’equivalente illinoisiano di un atleta greco (vestito casual) al massimo della forma.
Devo smetterla di bene troppo caffè dopo pranzo.
Capelli a metà fra il castano chiaro e il biondo sporco, lisci e lunghetti sulla faccia; pelle scura; occhi cervone; fisico da nuotatore, ma nemmeno quello di un nuotatore altissimo. Avrà sì e no qualche anno più di me.
Veste jeans firmati, vecchiotti, e sia la felpa sia le scarpe sono Converse. Ha una bandana rossa fra le dita.
In una parola: sbavo.
Gli altri quattro, fra cui mi accorgo esserci un ragazzo verso la trentina d’anni, moro, riccio, non esattamente una bellezza, mi fissano stupefatti.
La loro curiosità può voler dire solo due cose: o questo baldo giovine si ricorda solo di poche persone e quindi entrare a far parte della cerchia delle sue memorie è un onore, oppure deve avere qualche insolito precedente con una ragazza mora e riccia.
«Sì, è vero! Non guardarmi così: poco fa!».

Mi prende per le spalle ed io quasi svengo. Diventare rossa? Certo: ma mica me ne accorgo, non sento nessuna guancia andare a fuoco.
«Ehm… Io…».

Grande, ho anche perso la capacità di articolare parola.
Me lo sarei ricordato un ragazzo così bello, dopotutto.
«Forse non hai fatto caso a me» s’illumina «dovendo salvare la pellaccia alla tua amica».
«Ah…» sono ancora persa in quegli occhi cervone fantastici…

* * *

Si chiama Aiden. Ha venticinque anni, fresco di università. Non ho avuto il tempo né il coraggio di chiedergli altro. E’ bellissimo. Non c’è altro da aggiungere. Adesso lo vedo tornare nel seminterrato con la custodia di una chitarra. Gli altri stanno già sistemando gli strumenti. Greg mi ha detto che per me c’é una sorpresa. Oggi è il quindici di settembre: il mio compleanno.

Dovevo aspettarmi queste macchinazioni da parte di Francesca…
Hanno sistemato due sedie, davanti al piccolo gruppo. Francesca ed io ci siamo sedute da circa due minuti.
«Coraggio, ragazzi!» Greg trasmette molta allegria al gruppo. Io, invece, sto cominciando a preoccuparmi.
«Fra, ma che devono fare? Allestiscono una baccanale in stile rock’n’roll?».

Lei mi scaccia ridacchiando divertita. Molto divertita.
«Diciamo che non è rock’n’roll».
Inquietante.
«Voglio che tu» e adesso quel gran figo di Aiden guarda dalla mia parte «canti con me».
Parte l’attacco della batteria… E io… Questa canzone… La conosco…

It's all a game of this or that, now versus then
Better off against worse for wear
And you’re someone who knows someone who knows someone I once knew
And I just want to be a part of this

The road outside my house is paved with good intentions
Hired a construction crew, 'cause it's hell on the engine
You are the dreamer and we are the dream
I could write it better than you ever felt it.

In pratica, adesso, mi ha già tirato là con sé. Mi chiede con lo sguardo di cantare; lui è proprio bravo. Sento che potrei svenirgli fra le braccia, ma sento anche che la sua mano calda sulla mia spalla sta chiedendo a me di auto-farmi un regalo di compleanno.
Il delirio ante mortem si è impossessato dei miei organi fonici. Sto già cantando anch’io.

So hum hallelujah!
Just off the key of reason
I thought I loved you
It was just how you looked in the light.
A teenage vow in a parking lot
"Till tonight do us part"
I sing the blues and swallow them too…

* * *

Usciamo dalla topaia. Aiden è al mio fianco. Credo voglia dirmi qualcosa, poiché mi ronza attorno con tutta la sua magnifica magnificenza scultorea.
Alla fine mi chiede se mi va di andare a prendere un caffè, una cioccolata o quello che mi pare. Forse non è solo una mia impressione. È interessato a me?
Francesca mi urla in italiano che lei sarebbe venuta con me, insieme agli altri. «Lui non morde! Incamminatevi».
Sghignazziamo insieme: la sua è una risata divertita; la mia è isterica.
Dopo un quarto d’ora d’infinito silenzio entriamo in un benedetto bar, dove lui sembra un cliente abituale da come lo saluta il barista.

Ordiniamo subito: due cioccolate calde.
Comincia a fissarmi, ridacchiando per due secondi ogni due minuti.
Quando finalmente arriva anche Francesca con gli altri ragazzi (e perché diavolo si siedono così lontani?!) si decide a rivolgermi la parola:
«Bella voce».
Com’è bello… Mi ha fatto un complimento!
«Lo pensi davvero?» gli chiedo, senza quasi un filo di voce.

Concentrati sulla cioccolata, non stai arrossendo, concentrati sulla cioccolata, cioccolata, cioccolata…
«No, ma è così che rimorchio».
Sogghigna.
  
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