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Autore: Roscoe24    17/04/2021    5 recensioni
"Arthur sapeva essere estremamente premuroso, quando non si comportava come un totale babbeo.
E questo pensiero fece sfarfallare il cuore di Merlin, in un modo che lui decise volutamente di ignorare per tutta una serie di innumerevoli motivi (...). Non poteva innamorarsi del suo capo. Sarebbe stato poco professionale, decisamente poco etico, e oltraggiosamente scontato."
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Arthur sapeva che tutta la situazione che stava vivendo era senza precedenti, per lui.
Aveva trent’anni, era un uomo cresciuto, eppure aveva l’impressione di star crescendo davvero per la prima volta. Stava scoprendo se stesso. E stava realizzando di poter avere una propria voce, in grado di dire cose valide anche se esse non erano quelle che Uther voleva sentire.
Essere cresciuto sotto l’ala di suo padre aveva fatto sì che non vedesse altro al di fuori delle piume che la formavano. Ma c’era un mondo intero, fuori da quell’ala che apparentemente poteva proteggerlo, ma che in realtà aveva solamente rischiato di danneggiarlo.
Uther aveva sempre avuto un’idea fin troppo chiara di come suo figlio avrebbe dovuto crescere, ma non si era mai domandato se Arthur avesse voluto crescere in quel modo.
Certo, era grato a suo padre per tutte le opportunità che gli aveva dato assicurandosi che frequentasse le migliori scuole che gli avrebbero garantito un’ottima istruzione, ma una parte di lui aveva capito che questo, comunque, non dava a suo padre il diritto di scrivere la sua vita.
Arthur doveva essere autore di se stesso, imparare a scrivere non solo la sua vita, ma anche la sua persona.
Era arrivato ad un punto dove doveva chiedersi che tipo di uomo volesse essere e intraprendere la strada giusta per diventare quell’uomo.
Doveva abbandonare la paura di poter deludere suo padre.
Doveva iniziare a credere che ciò che lui riteneva giusto o degno di nota lo erano comunque, anche se suo padre non approvava.
Uther non era giudice universale delle controversie del mondo. Uther era semplicemente un uomo – e come tale, poteva dire o pensare cose che agli occhi e alle orecchie di altri potevano suonare sbagliate anche se lui stesso le riteneva giuste.
Arthur sapeva che la sua crescita interiore portava alla demistificazione di suo padre e probabilmente andava bene così.
Se avesse iniziato a vederlo come l’uomo che era, sarebbero finalmente stati alla pari. Uomo contro uomo e lui avrebbe trovato la forza e il coraggio di farsi valere, di opporsi.
Tuttavia, sapeva anche che la sua opposizione non avrebbe dovuto portare ad una guerra. Altrimenti, il rancore, proprio come aveva saggiamente detto Merlin, l’avrebbe consumato. E lui non voleva che succedesse. Voleva trovare un modo giusto, equilibrato, per rapportarsi con suo padre e sistemare tutte le lacune che c’erano in famiglia – quelle con Morgana comprese.
Sistemare i Pendragon e tutte le loro discrepanze familiari sarebbe stata un’impresa non da poco, ma Arthur contava di riuscirci.
Sospirò, ricordandosi che lui e Merlin si erano promessi, almeno per quella sera, di accantonare qualsiasi preoccupazione. Si guardò allo specchio, lisciandosi la giacca rossa del completo che era stato infamato per tutta la giornata. Aveva scelto di togliere il panciotto per non risultare troppo formale, ma fu comunque soddisfatto del risultato.
Sapeva che quella scelta era stata fatta solo per vedere la reazione di Merlin. Voleva sapere che faccia avrebbe fatto, davanti al famoso completo rosso. Un sorrisetto comparve sul suo viso a quel pensiero, qualcosa che assomigliava più ad un ghigno insolente. Provocare Merlin era decisamente divertente. Arthur sperava solo di ottenere la reazione che tanto agognava: Merlin che lo guardava a bocca aperta come un pesce lesso e si rimangiava le sue parole, dandogli finalmente ragione e ammettendo che quel completo gli stava effettivamente benissimo.
E no, non gli interessava di suonare arrogante.
Non quando Arthur agognava ad una vittoria e allo sguardo che Merlin gli riservava ogni volta che si incantava a fissarlo, quasi come se stesse studiando qualcosa di particolarmente interessante. Gli piaceva essere guardato in quel modo, come se lui fosse speciale, importante. Merlin lo guardava e lo vedeva, una cosa che ad Arthur non era mai successa, prima di lui. Ed era una sensazione a cui non avrebbe mai rinunciato.
Sorrise.
La vita sembrava più semplice, da quando aveva Merlin al suo fianco. Il peso delle giornate sfiancanti, lo stress, il rapporto zoppicante che aveva con suo padre… tutto assumeva una sfumatura meno tragica, quando si ricordava che Merlin era con lui.
Il trillo del campanello lo distolse dai suoi pensieri, facendolo riemergere dalle profondità della sua mente. Si guardò un’ultima volta e poi scese le scale che dal piano superiore portavano al piano terra.
Stava già pregustando l’espressione di Merlin, riusciva già ad immaginare come l’avrebbe guardato una volta che avrebbe aperto la porta. Quindi l’aprì, sentendosi già vittorioso – una vocina dentro alla testa gli parlò con la voce di Merlin, facendogli notare quanto tutto questo comportamento lo facesse suonare borioso, più che vittorioso.
In ogni caso, tutte le sue intenzioni e aspettative vennero accantonate dalla realtà.
Se si era immaginato di farsi ammirare da Merlin, lasciandolo a bocca aperta come il più imbambolato degli stoccafissi, dovette ricredersi.
La realtà, infatti, aveva appena trasformato lui in un pesce lesso a bocca aperta. Doveva darsi un contegno, probabilmente, ma il fatto era che Merlin era bellissimo.
Non che non lo fosse sempre, sia chiaro, ma messo così in tiro la sua bellezza risaltava di più.
In primis: il maglione di lana intrecciata a collo alto che indossava era di un grigio scuro che evidenziava in modo estremamente piacevole il blu dei suoi occhi. Sembravano più luminosi, più brillanti. Erano ipnotici, più di quanto non lo fossero normalmente.
Indossava un paio di pantaloni neri, abbinati ad un paio di Dr. Martens basse dello stesso colore. Il cappotto, invece, riprendeva il colore del maglione. Ai lati del cappotto, come un serpente che riposava appoggiato sulle sue spalle, pendeva una delle sciarpe che gli aveva regalato Arthur, nera pure quella.
Non era un outfit pretenzioso, anzi rimaneva sempre molto semplice, con colori che non attiravano l’attenzione, eppure Arthur pensava che chiunque non avesse rivolto tutte le sue attenzioni a Merlin fosse un idiota con l’incapacità assoluta di cogliere il bello.
“Ciao.” Lo salutò Merlin, un sorriso ampio ad aprirgli il volto. Illuminò il suo viso in un modo così radioso che Arthur avvertì immediatamente il cuore iniziare a correre.
“Sei bellissimo.” Sussurrò, invece di rispondere al saluto, perché in quel momento era quella la cosa che gli sembrava più giusta da dire.
Il complimento fece arrossire Merlin, in particolare sugli zigomi. “Grazie.” Si sporse verso di lui per lasciargli un bacio a stampo. “Hai ancora dubbi sul mio gusto nel vestire?”
“No. E tu?” Domandò Arthur, indicandosi.
Merlin lo osservò. Il completo rimaneva pacchiano, decisamente vistoso. Su chiunque sarebbe risultato un pugno in un occhio, ma non su Arthur. Su di lui risaltava la sua fisicità in modo perfetto, come ogni altro completo fatto su misura, e gli illuminava il viso. Non evidenziava i suoi occhi come facevano i suoi completi blu, ma accendeva comunque la sua bellezza. La evidenziava tutta, non solo il colore dei suoi occhi.
Merlin fece un passo verso di lui, un sorriso a tendergli le labbra. Afferrò il colletto della camicia bianca di Arthur e lo raddrizzò ordinatamente, prima di poggiargli le mani sul petto. Apprezzava che i primi due bottoni fossero sbottonati, era un dettaglio che lo aiutava, se possibile, a renderlo ancora più attraente.
“Sei qui da quanto? Tre minuti? E mi hai già messo le mani addosso. Devo dedurre che il completo non sia poi così pacchiano e orrendo come credevi?”
Merlin lo guardò con gli occhi socchiusi, lo sguardo sottile. “Oh, ti credi tanto furbo, non è vero?”
Arthur si sporse in avanti, così vicino al suo viso che la condensa dei loro respiri si mescolò. “Un po’ sì.” Lo baciò, facendo scontrare le loro labbra. Quelle di Merlin erano fredde – probabilmente perché era arrivato con la metro e nel tragitto che separava la fermata dalla casa di Arthur si era infreddolito – ma presto si scaldarono. Erano così morbide e soffici, inebrianti e staccarsene fu per Arthur una specie di fatica di Ercole, un’impresa quasi impossibile. Ma lo fece.
“Allora, ti rimangerai ufficialmente tutte le infamie che hai rivolto al mio completo?”
“No, perché effettivamente in quanto oggetto in sé rimane pacchiano. Il fatto che a te stia bene non rende il completo un bel capo, significa semplicemente che sei tu quello a cui sta bene tutto.”
Arthur sorrise, gongolante. “Mi sta bene tutto?”
Merlin si avvicinò di nuovo a lui, allacciandogli le braccia al collo. Gli accarezzò delicatamente i capelli sulla nuca. “Ovviamente. Lo so io e ti conosco abbastanza da sapere che lo sai anche tu.” Fece scontrare i loro nasi in un bacio all’eschimese. “C’è un pizzico di vanità, in te.”
“Ed è un male?”
“No, ti rende ciò che sei. E a me piace ciò che sei.”
Arthur allacciò le braccia alla sua vita. “Pregi e difetti?”
Si sentiva come un cucciolo smarrito desideroso di conferme. Sapeva che poteva non essere un comportamento appropriato, ma il fatto era che si sentiva accettato per la prima volta in vita sua per quello che era davvero, nella totale interezza della sua persona.
La paura di non essere accettato da suo padre e tutto il suo conseguente comportamento volto solamente a cercare la sua approvazione, l’aveva fatto crescere pieno di insicurezze. Temeva sempre di non essere mai abbastanza, di non riuscire mai a soddisfare le aspettative di chiunque avesse di fronte. Gli altri lo guardavano e si aspettavano l’erede dei Pendragon, l’uomo di successo, l’avvocato stoico e sicuro di sé.
Lo sapeva. Lo leggeva ogni giorno nei volti dei suoi interlocutori. Dannazione, lo vedeva persino nel volto di Vivian che lo guardava come se fosse il premio più ambito di una stagione di caccia costantemente aperta.
La caccia allo scapolo d’oro.
E Arthur era la personificazione perfetta di quell’ideale: giovane, bello, ricco, con un’eredità che avrebbe sistemato i suoi eredi per generazioni, colto e intelligente.
Tutti lo idealizzavano. Tutti volevano vedere in lui ciò che nel loro immaginario avevano associato alla sua figura.
Ma nessuno si era mai soffermato a guardarlo come una persona vera e a conoscerlo. Nessuno si era mai chiesto chi lui fosse davvero.
Nessuno, tranne Merlin.
Merlin lo vedeva, lo conosceva, lo accettava.
E Arthur… Arthur lo amava con tutto se stesso, come mai aveva amato in vita sua. In un modo viscerale e inteso, con una forza tale da fargli tremare le viscere e l’anima e il cuore.
“Pregi e difetti.” Confermò Merlin, senza esitazione alcuna. “Sei perfetto come sei, Arthur. Non cambierei niente di te.”
Arthur lo guardò con tutta la devozione di cui era capace, prima di baciarlo di nuovo. Quando si separarono, Arthur appoggiò la fronte alla sua.
Sospirò, inspirando il profumo di Merlin, così familiare, così fresco. Sapeva sempre di zucchero e menta.
Sentiva il cuore che batteva forte, sempre più frenetico, come se fosse pieno di così tanti sentimenti che se non fossero stati esternati avrebbero rischiato di farlo esplodere.
E Arthur, quindi, si trovò ad assecondare il suo cuore, facendo uscire tutto ciò che ci albergava dentro.
“Ti amo.” Sussurrò, guardando Merlin negli occhi.
Il suo cuore batté più forte, come se in quel modo riuscisse a fargli capire che era orgoglioso di lui, soddisfatto.
Arthur vide il blu degli occhi di Merlin accendersi, un sorriso spontaneo aprì il suo bel viso, mentre le guance si coloravano di un intenso rosa.
Merlin lo baciò di nuovo, con talmente tanto slancio che per un pelo rischiò di dargli una testata, dal momento che le loro fronti erano ancora a contatto. Con le braccia ancora allacciate dietro al suo collo, lo tirò a sé, facendo aderire completamente i loro corpi. Arthur rispose a quel gesto, abbracciandolo forte, in modo che aderissero ancora di più. Se avessero potuto fondersi, l’avrebbero fatto. I loro cuori battevano al solito ritmo, impazziti e impazienti, come se avessero finalmente ritrovato un pezzo di cui sentivano la mancanza l’uno nell’altro e avessero ripreso a funzionare nel modo corretto.
Si separarono, dopo una serie di baci che li avevano lasciati con le labbra gonfie e il respiro mozzato. Si guardarono negli occhi per un istante che sembrò durare un’eternità, dando ad entrambi la sensazione di essere finiti in una bolla dimensionale dove esistevano solo loro due e quelle due parole che Arthur aveva pronunciato con tanta sincerità e sicurezza.
Merlin gli afferrò il viso tra le mani. “Ti amo anch’io, così tanto.”
Era liberatorio per lui poter pronunciare quelle parole, lasciarle librare, dare libero sfogo ai suoi sentimenti dopo aver passato mesi interi a rinnegarli, a relegarli in una parte remota di sé convinto che non avrebbero mai visto la luce.
Invece, adesso, era tutto diverso. Quei sentimenti potevano mostrarsi nella loro totale purezza alla luce del sole, o al chiaro di luna, in una serata fredda. A Merlin non importava dove fossero, gli importava solamente di amare ed essere amato.
Arthur sorrise, felice come non lo era mai stato di udire simili parole. Afferrò le mani di Merlin tra le sue, spostandole dal proprio viso per portarsele alle labbra. Gli baciò le nocche e poi lo tirò nuovamente a sé per baciarlo ancora.
Era stato tutto perfetto, anche se non era successo in un luogo particolarmente romantico. Londra era piena zeppa di posti romantici, eppure il momento più importante nella vita di Arthur era successo sull’uscio di casa sua, con la porta aperta e l’aria fredda che gli schiaffeggiava la pelle.
Ma non avrebbe cambiato niente di quell’attimo perfetto.






*




Arthur aveva guardato la strada per tutto il tragitto, cercando di concentrarsi il più possibile sulla guida. Contrariamente a quanto credeva Merlin, era un autista responsabile!
Certo, ad ogni semaforo gli riservava sguardi innamorati mentre lo ascoltava parlare. La cosa bella del loro rapporto era che l’amicizia che li legava non era mutata solo perché adesso erano una coppia. Merlin aveva mantenuto la sua parlantina, solo che adesso mentre Arthur lo ascoltava si lasciava andare a sguardi languidi mentre con disinvoltura faceva intrecciare le loro dita. Merlin aveva risposto a quel gesto con spontanea naturalezza, senza interrompere il suo discorso. Gli stava raccontando l’ultima volta che era stato in lavanderia e di come avesse sbagliato programma di asciugatura.
“I miei vestiti si sono ristretti talmente tanto che sembravano quelli di un bambino!”
“Sei una causa persa!” Arthur rise con lui.
“Oh, ma davvero? E sentiamo, quand’è stata l’ultima volta che hai asciugato tu i tuoi vestiti?”
Il semaforo si fece nuovamente verde, così Arthur fu costretto a sciogliere l’intreccio delle loro mani.
“Vediamo,” Si fece pensoso, arricciando le labbra. “Avrò avuto più o meno sette anni? Otto, forse. In casa c’era June, che come sai si occupava della casa, ma anche di me e Morgana.” Merlin l’aveva conosciuta, June. Aveva più o meno l’età di Hunith. Lavorava per Uther da anni, ormai, e si occupava della sua casa quando lui non c’era. Si occupava anche della casa di Arthur, ora che lui non viveva più con il padre, e più di una volta era capitato che si trovasse a casa quando anche Merlin era lì. Gli piaceva June. Era una brava persona. “Lavorava così tanto. Un giorno, per questo, ho deciso di aiutarla prendendo i vestiti dalla lavatrice e mettendoli nell’asciugatrice. L’ho avviata pigiando pulsanti a caso, convinto che fosse quello il modo giusto in cui funzionasse e ho aspettato. Quando June se n’è accorta è sbiancata! Erano capi delicati, che richiedevano un’asciugatura particolare.”
Merlin aveva un sorriso stampato sulle labbra, immaginandosi il piccolo Arthur che si trova a combinare un guaio, sebbene i suoi gesti fossero dettati da buone intenzioni.
“E com’è finita?”
“Ha interrotto il programma, salvando i vestiti appena in tempo. Quando mi ha chiesto spiegazioni, le ho detto che volevo solo aiutarla. Lei…” Arthur si fermò, i suoi occhi si velarono come se si fossero improvvisamente impregnati di quel ricordo da renderlo quasi reale, vivo, come se in realtà stesse vivendo quel momento di nuovo. “Lei mi ha abbracciato. In modo affettuoso, quasi…”
“…Materno.” Concluse Merlin per lui, poggiando una mano sopra a quella di Arthur, posizionata sopra al cambio.
“Sì.”
“Non devi sentirti in colpa a pensarlo.” Sussurrò Merlin, leggendo i pensieri che gli passavano per la testa nella sua espressione, nel tono quasi colpevole con cui aveva pronunciato quell’unica sillaba. “Non sminuisci Igraine, se ammetti di aver voluto bene a June.” Merlin strinse la sua mano. “Spesso provo la stessa cosa per Gaius. Sai che mio padre è morto quando ero piccolo e Gaius è sempre stato presente. Molte volte in lui vedo più un padre che uno zio, ma questo non significa che non voglia bene al mio padre biologico.”
Arthur annuì, grato. Hunith aveva seguito Merlin nel lutto, l’aveva aiutato ad elaborare la perdita del padre. Gaius aveva fatto lo stesso. Merlin, da quel punto di vista, aveva sempre avuto più di quanto avesse mai avuto Arthur.
Lui era cresciuto nella ricchezza, con tutti gli agi che la condizione economica di suo padre potevano portare, ma non aveva avuto ciò che contava davvero: supporto, qualcuno disposto ad ascoltare il suo dolore. Uther l’aveva sempre mandato da psicologi che l’avevano seguito minuziosamente nel suo percorso, e sebbene fosse stato utile, l’unica persona da cui lui avrebbe voluto essere ascoltato era suo padre, che invece si era chiuso in sé, rendendo Igraine quasi un argomento tabù.
Poteva capirlo. Il dolore colpisce tutti, inevitabilmente, ma avrebbe voluto che non li distanziasse così tanto, creando tra di loro una voragine.
Arthur afferrò la mano di Merlin e se la portò alle labbra. “Grazie.”
“Non devi ringraziarmi.”
“Sì, invece. Riesci sempre a farmi stare meglio. È una delle cose che amo di te.”
Merlin arrossì a quelle parole. Doveva ancora abituarsi al fatto che si erano detti ti amo e adesso potessero liberamente usare quel verbo, tra di loro.
“Sei il mio posto nel mondo, Arthur. La mia persona. Farei qualsiasi cosa per farti stare bene.”
Arthur lo guardò con tutto l’amore di cui era capace. Il suo cuore che scalpitava emozionato davanti a quelle parole tanto vere, sincere. Approfittò dell’ennesimo semaforo rosso per voltarsi e afferrare il viso di Merlin tra le mani. Lo baciò con tutta la devozione di cui era capace. Lo baciò come se volesse fargli capire che era il custode del suo cuore e che lui gli apparteneva in ogni modo umanamente possibile.
Arthur era suo. Completamente, interamente suo. E questo non sarebbe cambiato nemmeno in mille anni.




*




Arthur parcheggiò la macchina nel primo posto che trovò disponibile. La mostra di Elena si sarebbe tenuta in uno di quegli edifici super moderni, con le vetrate al posto delle pareti che erano state oscurate per l’occasione per fare in modo che dalla strada si notasse qualcosa, ma non si vedesse tutto. Un astuto modo – vecchio come il mondo – per attirare la curiosità dei passanti e spingerli a mettersi in fila in attesa di entrare per dare un’occhiata.
Non appena Arthur scese dalla macchina fece il giro della vettura per raggiungere Merlin sul marciapiede. La strada in cui aveva parcheggiato era piuttosto affollata. C’erano persone che convergevano tutte nella direzione che avrebbero dovuto prendere anche loro. Fuori dall’edificio, c’era una fila che occupava gran parte del marciapiede. Persone non in lista che dovevano attendere il loro turno, per entrare. Arthur notò che c’era persino un gruppo di fotografi.
La cosa non lo sorprese troppo. Elena era una famosa artista, proveniva da una ricca famiglia e suo padre era un famoso imprenditore che possedeva alcune delle più importanti attività di Londra. Di certo, la stampa non avrebbe perso l’occasione di poter scrivere un articolo sull’eccentrica figlia di Godwyn. Se doveva dirla tutta, Arthur conosceva Elena abbastanza bene da sapere che non era eccentrica come la stampa si divertiva a dipingerla, semplicemente i giornalisti non sapevano come altro descrivere la figlia di un ricco imprenditore che aveva percorso una strada così diversa da quella del padre.
Un artista verrà sempre visto come qualcuno di bizzarro da chiunque non capisca l’arte stessa, o sia così superficiale da esprimere giudizi nati da luoghi comuni.
Esattamente come tendevano a fare con lui, nessuno si prendeva veramente la briga di conoscere Elena. La giudicavano e basta, come se essere figli di un uomo ricco e influente desse automaticamente il diritto a chiunque – stampa compresa – di poter criticare.
Merlin si rese conto del suo silenzio. “Va tutto bene?”
“Sì, certo.” Gli sorrise.
“Sei preoccupato per la stampa?”
“No, riflettevo su quanto saranno fuorvianti nel descrivere Elena, nei loro articoli. Nessuno di loro la conosce, ma sui giornali di domani la criticheranno.”
“Magari, invece, tra di loro ci sarà qualcuno che parlerà bene di lei e del suo lavoro. Esiste un lato buono in tutto.”
“Sono degli squali, Merlin.”
“Lo dicono anche degli avvocati.” Gli fece notare, con un sorrisetto che mise in mostra le sue fossette sulle guance. “Ma personalmente non mi sento uno spietato squalo senza cuore. Tu ti ci senti?”
“No.”
“Visto? Percezione. Dipende tutto da quella e da quanto vuoi decidere di lasciarti condizionare dai pregiudizi.”
“Ma se saranno loro i primi a fondare tutto sui pregiudizi?”
“Potrebbero farlo, ma altri non lo faranno. Altri eviteranno di descriverla come una ragazza ricca annoiata dalla vita e la descriveranno come la vera artista che è.”
A Merlin piaceva il lato protettivo di Arthur. Lo era con chiunque a lui tenesse. Elena era una di queste persone. La conosceva da molto tempo, fin dai tempi del liceo, e lui l’aveva conosciuta quando, mesi prima, era venuta a trovare Arthur a lavoro con la scusa che altrimenti non riuscivano più a trovare un’ora per vedersi. Gli piaceva Elena. Era frizzante, intelligente, allegra. Aveva uno spirito gentile e intraprendente.
Immersi in quella conversazione, non si erano accorti di essere ormai giunti a destinazione. Non appena i giornalisti si accorsero di loro – o meglio di Arthur – cominciarono a fare foto nella loro direzione, accecandoli con i flash delle loro enormi macchine fotografiche e assillandoli con domande che si sovrapponevano, con il risultato di risultare incomprensibili.
Arthur, nonostante le parole di Merlin, fu infastidito da quella specie di assalto ingiustificato – nemmeno fosse il principe William, dannazione! – e, istintivamente, afferrò la mano di Merlin per condurlo via da quella folla. Si mosse con le dita intrecciate a quelle di Merlin, facendosi strada finché non arrivò davanti al bodyguard dell’entrata. L’uomo, un individuo corpulento fasciato in un completo elegante, gli rivolse un’occhiata composta.
“Chiedo scusa per questo inconveniente, signore. È tutta la sera che assalgono gli ospiti. Non ho potuto fare altro che imporre una distanza minima da fargli mantenere.”
“Nessun problema.” Ribatté Arthur, in tono educato e calmo. Anche se avrebbe voluto gridare a quella massa di individui di smetterla di accecarli con i flash. Solo quando realizzò di avere le dita intrecciate a quelle di Merlin capì il motivo di tanto interesse. Gli era venuto istintivo prenderlo per mano per guidarlo il più lontano possibile da loro. Non voleva che approfittassero in alcun modo di Merlin, o lo usassero per scrivere un articolo. Solo in un secondo momento capì che quel gesto sarebbe stato un pretesto per scrivere di lui e per porre ancora di più l’attenzione su Merlin. Solo dopo realizzò che lui stesso aveva automaticamente posto l’attenzione sul misterioso ragazzo che Arthur Pendragon teneva per mano. Avrebbero indagato, quegli sciacalli, avrebbero scoperto chi era e che lavoravano insieme. Avrebbero lucrato sul loro amore, o peggio avrebbero dipinto Merlin come una specie di arrampicatore sociale. Arthur sapeva di essere arrabbiato. Con loro e con se stesso per non essere stato più attento. Aveva reagito d’istinto e automaticamente aveva incasinato le cose, mettendo Merlin sotti i riflettori. Era stato uno stupido.
Si voltò verso Merlin, come se volesse capire cosa stesse pensando. Incontrò i suoi occhi cerulei, così intensi, così grandi. E capì che lui aveva già capito cosa gli stesse passando per la testa. Merlin, dopo tutto, aveva sempre avuto questo magico potere di comprenderlo anche solamente con uno sguardo.
“Spetta a te, Arthur.” Gli sussurrò. “A me starà bene qualsiasi cosa farai.”
Arthur avrebbe potuto sciogliere l’intreccio delle loro dita, avrebbe potuto far cessare quel contatto e farlo passare come un fugace momento in cui un uomo aveva voluto un contatto con un amico per farsi spazio in una folla troppo invadente.
Ma non lo fece. Arthur, leggendo negli occhi di Merlin nient’altro che affetto, scoprì persino che la rabbia che aveva provato verso se stesso stava già sciamando, sostituita da quel coraggio che Merlin aveva sempre, ogni volta che si mostrava per quello che era veramente.
Arthur gli aveva sempre invidiato quel coraggio. E adesso, anche se in un modo bizzarro e quasi del tutto fuori dal suo controllo, il destino gli aveva offerto un’occasione di poter essere altrettanto coraggioso.
Mostrarsi per quello che era davanti a quel mondo che tanto si divertiva a descriverlo, portando avanti così tante idee sbagliate su di lui che aveva persino perso il conto.
Forse, per una volta, avrebbero detto qualcosa di vero.
Non poteva saperlo. Forse avrebbero speculato come facevano sempre, o forse, proprio come aveva detto Merlin, si sarebbero limitati a descrivere le cose per quelle che erano.
Arthur non lo sapeva. Certe cose non erano in suo potere. Ma la sua vita, quella sì. Era in suo potere gestirla e viverla come più riteneva opportuno viverla.
E lui voleva vivere con coraggio, voleva sentirsi libero da restrizioni che gli erano sempre state imposte e non gli erano mai veramente appartenute. Voleva una vita con Merlin priva di segreti e sotterfugi. Così continuò a tenerlo per mano. E lo guardò.
Quando incrociò il suo sguardo, Merlin gli sorrise come per fargli capire che a lui tutto questo stava bene. E se stava bene a lui, stava bene anche ad Arthur.
“Può darmi il suo nominativo, signore?”
“Arthur Pendragon.”
L’uomo cercò il suo nome sulla lista e non appena lo trovò, si fece da parte per farlo passare. Arthur e Merlin lo ringraziarono e, ancora mano nella mano, entrarono nel palazzo.



*





Merlin era concentrato a guardarsi intorno. Si sentiva quasi come una falena che viene attratta dalla luce: ogni dipinto attirava la sua attenzione e lui, inevitabilmente, si trovava con il naso all’insù e gli occhi incollati ad ogni tela per cercare di carpire più dettagli possibili. Gli piaceva l’arte, anche se a volte non la capiva. Quella di Elena era magica, riusciva a trasmettere emozioni. Merlin aveva provato una sensazione di calore al petto, guardando un quadro che raffigurava un tramonto. I suoi colori erano così caldi e vivaci che gli avevano fatto provare la stessa sensazione di pace che provava ogni volta che guardava un tramonto vero. Così come aveva provato un forte senso di angoscia davanti ad un ritratto di una donna con gli occhi vuoti e le mani nei capelli. Era nuda e circondata da nient’altro che fosse nero, grigio e colori scuri.
Merlin era curioso. Avrebbe voluto chiedere ad Elena il significato di quel quadro, ma non era ancora riuscito a incontrarla.
In tutta la sua esplorazione della mostra, Arthur si era mosso come una trottola tra lui e varie persone che lo conoscevano e attiravano la sua attenzione. Più di una volta Arthur si era scusato con lui, ma Merlin l’aveva rassicurato di non preoccuparsi, di andare a salutare chi di dovere mentre lui andava in esplorazione.
Adesso si trovava davanti ad un quadro che raffigurava delle ombre. Non erano dettagliate, erano semplicemente delle lunghe ombre nere che si estendevano sulla sabbia. Il mare era così dettagliato da sembrare vero. Era un quadro bellissimo. Elena era stata in grado di catturare la luce del sole che rimbalzava sull’acqua, facendola luccicare, e rendendo la sabbia luminosa. L’unica cosa scura erano quelle ombre, che comunque non trasmettevano un senso angosciante.
“È bello, vero?”
Merlin si voltò alle sue spalle, dove trovò una ragazza molto bella. Aveva lunghi capelli castani, che le ricadevano sulle spalle, e occhi dello stesso colore. Indossava un collarino di diamanti. Era un gioiello molto fine, che si abbinava perfettamente al tubino verde smeraldo che indossava. Era decisamente elegante e Merlin, per un istante, si sentì un pochino fuori luogo.
“È molto suggestivo.”
La ragazza sorrise. “Concordo.” Spostò gli occhi da Merlin al quadro. “Non so quante volte ho dovuto ripeterle che fosse bellissimo, prima di convincerla ad esporlo.”
“Conosci Elena?”
“Sì. Da anni, ormai. Siamo amiche dal liceo.” La donna gli sorrise timidamente. “Non volevo disturbarti. È che questo è uno dei miei preferiti.”
“Nessun disturbo.” Assicurò Merlin. “E in effetti, è un quadro molto bello.”
La ragazza sorrise e allungò una mano. “Sono Mithian, comunque.”
“Mithian??” Domandò Merlin e per un attimo la lasciò con la mano sospesa verso di lui senza ricambiare la stretta. Si sentì un idiota e anche un po’ cafone. “Scusa,” si affrettò, ricambiando la stretta. “È che ti conosco, cioè voglio dire, Arthur ti conosce, io sono…”
“Merlin!” Azzardò la donna. “Vero?”
“Sì.”
Mithian si aprì in un enorme sorriso. “Oh, sapessi quante volte mi ha parlato di te!”
Merlin arrossì di fronte a quelle parole. “Anche di te.”
“In pratica è come se ci conoscessimo già!” Sorrise. “Arthur dov’è?”
“In giro, a salutare persone.”
Mithian annuì. “Ti va se lo aspettiamo al bar?”
“C’è un bar?” Merlin non ci aveva fatto caso. Aveva girato per il salone con gli occhi incollati ai quadri e non si era reso conto di altro.
“Sì. Ti va un drink?”
“Volentieri.”






*





Merlin si trovava seduto al piano bar, a bere un Cosmopolitan – il primo della sua vita – che risultò essere più buono di quanto si fosse mai immaginato. La verità era che lui era più tipo da birra, ma Mithian aveva tanto insistito affinché lo assaggiasse.
Se ti piace la vodka, ti piacerà anche questo.
E aveva avuto ragione.
“Come procede il lavoro?” Gli domandò Mithian, portandosi il bicchiere alle labbra.
Merlin la guardò. Si domandò quanto effettivamente sapesse della situazione che stavano vivendo allo studio, se fosse al corrente di quanto Uther ultimamente si impegnasse per risultare più stronzo del solito e se sapesse che Arthur aveva nominato lei e il suo studio, quando aveva minacciato di rivolgersi a lei per il caso di Annabelle, se lui non avesse acconsentito a farlo continuare.
Merlin non sapeva se lei davvero sapesse tutte queste cose e voleva informarsi su come stava procedendo il tutto, o se quella domanda era solamente un modo carino per fare conversazione.
“Abbastanza bene.” Commentò, quindi, rimanendo sul vago.
“Arthur ti fa impazzire?”
Merlin accennò un sorriso. “Non più del solito.” Fece girare il ghiaccio all’interno del bicchiere con un movimento delicato dello stelo. La verità era che l’unico Pendragon che portava problemi era Uther. Lui e la sua stupida mania di voler dimostrare chi fosse il capo. I suoi comportamenti da troglodita stavano facendo soffrire Arthur – e lui odiava sapere quanto stesse male l’uomo che amava. Ancor di più lo turbava il fatto che a farlo stare così male fosse proprio suo padre, che sembrava non vedesse altro al di là di se stesso e delle proprie convinzioni. Come faceva a non rendersi conto di quanto i suoi comportamenti ottusi si ripercuotessero sul figlio?
Merlin sospirò, poi tornò a guardare Mithian. Qualcosa nel suo sguardo caldo gli fece capire che stava per domandargli qualcosa. Quello era lo sguardo di una persona estremamente empatica, qualcuno che presta attenzione alle emozioni altrui e le capisce. Merlin, anche se non la conosceva bene, sapeva per certo che stava per chiedergli se andasse tutto bene. E lui non voleva parlare di Uther. Non in quel momento. Non in una serata dove sembrava che tutto andasse bene. Così sorrise. “E tu? So che hai uno studio tuo.”
Mithian fu sorpresa da quella domanda, ma ebbe la delicatezza di capire che, probabilmente, Merlin non voleva parlare di qualsiasi cosa gli fosse passata per la testa due minuti prima.
“Lo studio, tecnicamente, è ancora di mio padre. Lo erediterò quando deciderà di smettere di esercitare.”
“Tu e Arthur potreste lavorare insieme. Se mai avrai voglia di unire i due studi, penso che tu saresti un’ottima candidata. Sicuramente meglio di Vivian.” Merlin inevitabilmente fece una smorfia di disappunto pronunciando quel nome.
“Uh, Vivian.” Esclamò Mithian, in tono sofferente. “Detesto quella ragazza.” Bevve un sorso del suo drink. “Vuole ancora unire i due studi?”
“Certo. Si presenta ogni settimana, a cadenza regolare, e si piazza nell’ufficio di Arthur. Si attacca a lui come una cozza sullo scoglio e non fa altro che parlare di bilanci e di quanto la loro unione sarebbe vantaggiosa.” La voce di Merlin uscì più pungente di quanto si sarebbe mai aspettato. Il fatto era che il comportamento di Vivian lo infastidiva. Anzi, se doveva essere completamente sincero, accendeva inevitabilmente la sua gelosia.
“Sai, i nostri padri sono tutti amici, quindi ci conosciamo da molto tempo. Lei è sempre stata appiccicosa nei confronti di Arthur.” Mithian si sistemò i lunghi capelli castani sulla spalla destra. “Non l’ho mai sopportata. Ha sempre provato a tagliarlo fuori, sai?”
“In che senso?”
“Io, Arthur ed Elena siamo diventati amici, ma Vivian non riusciva a trovarsi bene con me ed Elena. Il fatto era che noi reputavamo lei una snob viziata e lei non ci riteneva all’altezza della sua personalità. L’unico che le piaceva era Arthur e quindi tendeva sempre a volerlo allontanare da noi. Ma sai com’è Arthur. Non vuole separarsi dalle persone a cui vuole bene.” Mithian portò il bicchiere alle labbra, finendo quello che rimaneva del suo drink. “Credo che abbia continuato a frequentarla per suo padre.”
“Uther sa essere piuttosto manipolatore.”
“Già.”
Merlin fissò il suo bicchiere, ormai vuoto. Il ghiaccio si era sciolto quasi del tutto, tanto che quell’unico cubetto che era rimasto stava galleggiando nell’acqua formata da altri cubetti. Dopo le parole di Mithian, che andarono a mescolarsi con la gelosia che provava da sempre nei confronti di Vivian, si chiese se Arthur fosse mai stato con lei. Si chiese se, in passato, la sua voglia di compiacere suo padre non fosse arrivata a spingerlo a stare con Vivian, una donna, qualcuno che Uther avrebbe sicuramente approvato in quanto appartenente al genere femminile e ad una buona famiglia ricca. Senza contare che era la figlia di un suo caro amico.
Merlin si sentì un peso sul cuore. Perché doveva prendersela tanto? Adesso le cose erano diverse. Arthur amava lui. Non c’era motivo di preoccuparsi se in passato lui e Vivian erano stati insieme.
Eppure… eppure la sola idea che quella vipera viscida ed arrivista avesse in qualche modo avuto a che fare con il suo Arthur gli faceva venire l’orticaria. Forse perché sapeva che Vivian non era attratta da Arthur in quanto Arthur, ma piuttosto da quello che rappresentava. Pensò a come aveva provato a separarlo da Mithian ed Elena, due delle sue più care amiche, solo perché lei non le reputava alla sua altezza. Una persona simile non si meritava di avere a che fare con Arthur e men che meno si meritava accesso al suo cuore, anche se per ragioni che esulavano totalmente dall’amore e dipendevano, piuttosto, dal fatto che Arthur fosse mosso dal desiderio di compiacere suo padre.
“Merlin? Va tutto bene?” Mithian lo tirò fuori dai suoi pensieri.
“Sì, certo. Scusa.”
“Sei sicuro?”
“Sì, io… lascia stare, è un pensiero sciocco.”
“Mi sembri un po’ turbato. Nessun pensiero è sciocco, se ti turba.”
Merlin la guardò negli occhi. Erano di un caldo castano, come due braci ardenti che riescono a scaldare il più freddo degli inverni. Merlin conosceva Mithian da mezz’ora, più o meno, ma riusciva già a vedere il motivo per cui Arthur si trovasse così bene con lei. Mithian era una persona attenta ai dettagli, premurosa. Una persona che trasmette fiducia.
“Arthur e Vivian sono mai stati insieme?”
E sapeva che era sbagliato chiederlo, perché anche se la risposta fosse stata affermativa, era qualcosa che apparteneva al passato, qualcosa che non riguardava lui o i sentimenti che Arthur provava per Merlin.
E sapeva anche che la persona a cui porre quella domanda non era Mithian, ma Arthur.
Ma il fatto era che Merlin era stato colto da un’ondata di gelosia e dalla rabbia verso Uther, un uomo che Merlin vedeva capacissimo di manipolare il figlio pur di forgiarlo secondo quell’ideale perfetto che viveva nella sua mente, senza chiedersi mai se Arthur fosse felice. Felice davvero.
“No! Mai! Perché me lo chie– oh.” Mithian si fermò a metà frase, realizzando tutto in una frazione di secondo. Si allungò quel tanto necessario a prendere la mano di Merlin. Lui non si ritrasse. “Devi stare tranquillo. Vivian potrà passare tutta la vita a tentare di conquistarlo, ma Arthur non proverà mai niente per lei.”
“So che adesso sembro uno sciocco. Il ragazzo geloso e insicuro…”
“Merlin, i sentimenti non sono mai sciocchi. E le insicurezze ci rendono umani. Se ti fa stare meglio, puoi parlare con lui, chiarire questa cosa.” Gli diede una fugace stretta alla mano. “Io sicuramente gli parlerò, chiedendo il motivo per cui mi ha nascosto di essersi fidanzato!”
Merlin rise, grato di quella conversazione. Mithian era davvero fantastica.
Rimasero a chiacchierare ancora un po’, ordinando un altro drink, poi tornarono alla mostra.





*




Poco dopo, Merlin e Mithian erano di nuovo nel cuore della mostra. Camminavano fianco a fianco, guardando quadri e commentandoli, o parlando del più e del meno.
Merlin si sentiva parecchio a suo agio con lei e voleva credere che la cosa fosse reciproca.
Dopo una serie di quadri e di commenti su di essi seguiti da domande che riguardavano soprattutto Elena e il fatto che non erano ancora riusciti a vederla, i due si imbatterono finalmente in Arthur, che era intento in una conversazione con Gwaine.
“Non sapevo sarebbe venuto anche Gwaine.”
“Ti stupisce che abbia un debole per l’arte?”
Mithian lo guardò con la coda dell’occhio. “Gwaine ha un debole per l’open bar e le donne.” Emise un sospiro, prima di tornare a guardare in direzione della coppia. Merlin notò che la sua attenzione era principalmente rivolta a Gwaine e notò persino lo sguardo rattristato che adesso albergava negli occhi di Mithian.
“Va tutto bene? Possiamo non raggiungerli, se preferisci.”
Mithian riportò la propria attenzione su di lui. Gli riservò persino un sorriso. “No, stai tranquillo. È solo…” fece una pausa e divenne pensierosa, ma poi riprese parola. “Oh, al diavolo, te lo dico. Tu mi hai detto qualcosa di tuo, ti dirò qualcosa di mio.”
“Non devi sentirti obbligata.” Chiarì Merlin.
“Lo so. Ma voglio farlo. Vorrei dirlo a qualcuno da così tanto tempo, ma non ho mai avuto il coraggio. Tu ti sei fidato di me, io voglio fidarmi di te.”
“Ti ascolto.”
Merlin era leggermente teso, se doveva essere onesto. Non sapeva cosa aspettarsi e di certo era davvero stupito dalla velocità con cui lui e Mithian avevano preso confidenza, tanto da raccontarsi cose che non avevano detto a nessuno.
Era come se fossero amici da molto tempo e non da poco più di un’ora.
“Io e Gwaine l’abbiamo fatto. Più di una volta, in realtà.” Disse tutto d’un fiato, come una confessione. “È cominciata un anno fa, circa, ed è andata avanti per tre mesi. All’inizio era una specie di gioco, due amici che si divertono e basta. Alla fine, però, io mi sono innamorata come un’idiota, mentre lui ha deciso che forse era meglio finirla.”
“Ha voluto farla finita dopo che gli hai confessato di amarlo?” Domandò Merlin, incredulo.
“No, lui non lo sapeva. Avevo preventivato di dirglielo la sera che, invece, lui ha detto che forse era meglio finirla.” Mithian sospirò. “Non lo incolpo di niente, alla fine sapevo benissimo con chi avessi a che fare. Voglio dire, lo conosco da anni, so che è un libertino. Eppure… ci sono cascata lo stesso, come una sciocca.”
“I sentimenti non sono mai sciocchi.” Merlin fece eco alle parole che lei stessa aveva usato poco prima. Le sorrise, incoraggiante e Mithian ricambiò timidamente quel sorriso. “Non devi incolparti di esserti innamorata di lui.” Continuò Merlin. “Non si sceglie chi amare, si ama e basta. Nonostante i difetti, nonostante le apparenti incompatibilità.”
“Arthur è fortunato. Spero lo sappia.” Mithian gli sorrise e lo prese sottobraccio. “Grazie, Merlin.”
“Grazie a te per esserti fidata.” Le rispose, prima di dirigersi con lei verso Arthur e Gwaine.





Quando li raggiunsero, sia Arthur che Gwaine smisero di parlare per prestare loro attenzione. Erano una coppia decisamente vistosa, pensò Arthur, vedendoli a braccetto. Era impossibile che non attirassero l’attenzione. Merlin per ovvi motivi – ma forse Arthur era di parte, o forse no. Forse aveva ragione a pensare che il suo ragazzo alto dalla combinazione letale occhi blu e capelli corvini fosse una specie di opera d’arte – e Mithian… insomma Mithian faceva girare la testa agli uomini anche in tuta, figuriamoci vestita in un modo così elegante. Sembrava oggettivamente una principessa. Arthur notò persino l’occhiata che le lanciò Gwaine, ma decise di sorvolare.
“Vedo che vi siete conosciuti.”
“Di certo, non grazie a te, Artie!” Mithian lasciò il braccio di Merlin per sporgersi ad abbracciare Arthur. Lui ricambiò subito.
“Non chiamarmi in quel modo, sai che lo odio.”
“E tu sai che io odio essere l’ultima a sapere le cose, ma mi hai comunque esclusa, quindi, per punizione ti chiamerò come voglio.” Mithian sciolse l’abbraccio e indietreggiò quel tanto per guardarlo in viso. “Mi hai tenuto nascosto Merlin. È un tesoro, spero che tu lo sappia.”
Arthur sapeva che il suo ragazzo era un tesoro, ma non era nemmeno il tipo che sbandierava i suoi sentimenti.
“Non te l’ho tenuto nascosto.” Precisò, piuttosto. “Stiamo insieme da poco.” Lo disse con facilità e, si rese conto, senza remore. L’iniziale timore che aveva provato quando si era aperto per la prima volta con Morgana e aveva temuto che lei potesse cambiare nei suoi confronti era sparito quasi del tutto. Dopo aver visto che Morgana nei suoi confronti non era cambiata, dopo aver notato quanto Gwaine si fosse impegnato per farlo correre da Merlin, e dopo aver visto il modo naturale con cui Mithian l’aveva rimproverato di averla esclusa dalla sua vita sentimentale, Arthur aveva la certezza che l’unico che avrebbe avuto problemi con la sua sessualità sarebbe stato suo padre. Uther era l’unico delle persone che lui conosceva che sarebbe cambiato nei suoi confronti. Da una parte era confortante perché significava che i rapporti che aveva con le persone a cui voleva bene sarebbero rimasti invariati. Dall’altra, invece, era angosciante sapere che suo padre non l’avrebbe accettato per quello che era.
“Sì, veramente poco.” Si inserì Gwaine, distogliendo Arthur dai suoi pensieri. “E me ne prendo tutto il merito, ovviamente, perché senza di me questi due passerebbero ancora ogni momento a fissarsi con gli occhi a cuore mentre l’altro non guarda.”
Mithian ridacchiò perché riusciva facilmente ad immaginare la scena. Se prima di quella sera non aveva mai conosciuto Merlin, aveva tuttavia sentito Arthur parlare di lui. E adesso che sapeva tutta la storia, riusciva a spiegarsi un po’ di più l’espressione dolce che gli aveva visto comparire più di una volta, quando aveva nominato Merlin.
“Aw, Gwaine. Hai fatto da cupido? Allora ce l’hai un cuore, sotto tutto quell’ammasso di–”
“Fascino stratosferico e bellezza disarmante?”
Mithian gli lanciò un’occhiata laterale. “Avrei parlato più che altro di assenza di maturità e aridità emotiva.”
“Oh, Mith. Così ferisci il mio povero cuore.” Gwaine tirò fuori il labbro inferiore, mimando esageratamente un broncio. Si portò persino le mani al petto, mentre fissava i suoi occhi scuri in quelli di Mithian. La guardò in un modo intenso, così estremamente familiare, che avvertì il suo cuore accelerare.
“Sono sicura che il tuo cuore stia bene, Gwaine.”
“Non dopo che l’hai ferito in questo modo. Devi farti perdonare.”
Devo?” Gli fece eco, le sopracciglia alzate in un’espressione interrogativa.
“No, ok. Non sei obbligata.” Alzò le mani in segno di resa. “Ma mi farebbe davvero piacere bere qualcosa con la ragazza più bella della serata.”
Arthur e Merlin alzarono istintivamente gli occhi al cielo. Gwaine sapeva essere un tale cliché privo di originalità, a volte, che rimaneva un mistero come facesse ad avere così tanto successo con le donne.
Mithian non riuscì a trattenere una risata. Non era derisoria. Non avrebbe mai riso, se avesse anche lontanamente sospettato che Gwaine fosse serio. Ma sapeva che non era così. Gwaine stava solo facendo spettacolo. “Ti prego, risparmiami le frasette da repertorio, Gwaine. E andiamo a bere.”
Gwaine sorrise, vittorioso, e le porse il braccio. “Milady.”
Mithian scosse la testa, divertita. Nonostante dalla loro non-relazione avesse guadagnato un cuore infranto e dei sentimenti che ancora vivevano nei cocci del suo cuore, non riusciva ad avercela con lui. Erano amici da così tanto tempo che era sicura prima o poi le cose sarebbero tornare alla normalità. Era sicura che prima o poi avrebbe smesso di sentire il cuore scalpitare solo guardandolo negli occhi.
Ed era sicura che, un giorno, si sarebbe resa conto che il suo sorriso non le faceva più il minimo effetto.
Ma per arrivare a quel giorno, si rese conto, avrebbe prima dovuto fare in modo che le cose tornassero alla normalità. E per due amici che si conoscono da una vita, bere insieme è ciò che può definirsi normalità.
Per questo afferrò il braccio che Gwaine le aveva appena porto. “Venite con noi?”
Arthur e Merlin si scambiarono un’occhiata. Non erano stati soli un attimo, in quella serata. Forse potevano cogliere l’occasione per stare un pochino insieme.
“Vi raggiungiamo più tardi.” Disse Arthur e Merlin annuì.
“D’accordo piccioncini, a dopo!” Esclamò Gwaine, salutandoli con la mano che aveva libera e un sorrisetto malizioso che fece sì che i due gli rivolsero un dito medio. Gwaine esplose in una risata e si allontanò, con Mithian al braccio.
“Vuoi fare un giro?” Domandò Arthur, quando rimasero soli.
Merlin gli sorrise. “Molto volentieri.”
Arthur, istintivamente, gli afferrò la mano, facendo intrecciare le loro dita e insieme si avviarono verso le opere d’arte.





Merlin camminava con il naso all’insù e le dita intrecciate a quelle di Arthur. Gli venne in mente la conversazione che aveva avuto con Mithian su Vivian, gli ritornarono alla mente i suoi sentimenti e il fatto che si sentisse in colpa per essere geloso di qualcuno per cui Arthur non aveva dimostrato il minimo interesse.
Non voleva essere paranoico. Avrebbe parlato ad Arthur, parlandogli apertamente di quello che aveva provato, ma voleva farlo con calma, in un luogo dove sarebbero stati soli.
“Devo parlarti.” La voce di Arthur interruppe i suoi pensieri e dal momento che quella frase rispecchiava esattamente ciò che in quel momento passava per la sua testa, Merlin si chiese se Arthur non fosse in grado di leggergli il pensiero.
Ovviamente non era così.
“Dimmi.”
Arthur si fermò e Merlin lo assecondò, visto che erano mano nella mano. Si erano fermati davanti ad un quadro che raffigurava un campo di girasoli.
Arthur emise un sospiro, prima di parlare. “So che avevamo detto di aspettare, prima di parlare a mio padre, ma dopo stasera…”
Merlin capì dove voleva andare a parare. “Le foto. Vuoi parlargli prima che le veda.”
“Esatto. Sia chiaro, non mi sono pentito di niente. Voglio che si sappia di noi due. Certo, vorrei che quegli squali evitassero di farsi un’idea sbagliata su di te perché odio l’idea che possano dipingerti come non sei, ma…”
Merlin gli afferrò il viso tra le mani. “Ma anche se dovessero farlo, a me non importa. A me va bene si sappia, se va bene a te. A me va bene parlare a tuo padre quando va bene a te. Sia chiaro, Arthur, io sono dalla tua parte. Sempre.”
“Lo so. E ti amo per questo.”
Merlin arrossì. Era così bello sentirselo dire. Quelle parole avevano un potere immenso su di lui. E rendevano il suo cuore vivo in un modo del tutto nuovo, quasi lo rinvigorissero, lo rendessero più forte. Merlin si sporse per lasciargli un bacio sulle labbra.
Arthur aveva un modo di dirgli le cose che faceva sembrare tutto più naturale. Gli veniva spontaneo parlare con Merlin se c’era qualcosa – qualsiasi cosa, ne aveva avuto prova più di una volta – che gli passava per la testa. Dalla più stupida alla più seria, Arthur parlava sempre con Merlin.
Forse avrebbe dovuto farlo anche lui.
“Visto che siamo in tema di confidenze, devo dirti qualcosa anche io.”
“Mi ami sopra ogni cosa e sono ciò che di più bello poteva capitarti nella vita? Grazie, lo so già.” Arthur gli rivolse un sorrisetto compiaciuto.
“Sei un idiota.”
Arthur mise il broncio davanti a quell’affermazione. “Mi piace più ciò che ho detto io.”
Merlin, invece, sorrise intenerito per quella reazione. “Mi vuoi ascoltare sì o no?”
“Scusa. Dimmi tutto.”
Merlin fece un profondo respiro e poi parlò. “Ho parlato con Mithian prima e tra un discorso e l’altro è venuta fuori Vivian. Le ho chiesto se voi due siete mai stati insieme, lei mi ha detto di no. Non so perché l’ho chiesto a lei e non a te, forse mi vergognavo all’idea di fare il ragazzo geloso. Non voglio che pensi che sia possessivo, cioè un po’ credo di esserlo, ma non in modo inquietante, insomma–”
“Merlin.” Arthur gli mise una mano sulla bocca per farlo tacere. Merlin riusciva a parlare a raffica senza prendere fiato, quando era nervoso, e continuare a sparare parole all’infinito. Quando lo faceva, Arthur sospettava che celasse un paio di branchie da qualche parte che gli permettessero di riuscirci senza soffocare.
“Non provare a leccarmi la mano, sarebbe disgustoso.” Lo avvertì, prima di continuare. “Tranquillizzati, ok? Non importa che tu l’abbia chiesto a Mithian, davvero. Dobbiamo… imparare a comunicare anche su questi argomenti. E non mi dà fastidio tu sia geloso di Vivian. Non ne hai motivo, sia chiaro, non andrei con lei nemmeno fosse l’ultima persona rimasta sulla terra oltre me, ma mi fa piacere che tu sia geloso. Significa che ci tieni a me.” Tolse la mano dal viso di Merlin.
“Tengo tanto a te. E non voglio che pensi che non mi fido di te. Mi fido.”
“Lo so. La gelosia è irrazionale. Io ero geloso di Lancelot.”
“Mi ricordo.” Merlin sorrise. Quell’affermazione gli aveva ricordato la sera della loro riappacificazione. “Prometto che parlerò di più di queste cose.”
“A patto che trovi un modo più coinciso per arrivare al punto. Non puoi sparare a raffica fiumi di parole, è strano.”
Merlin gli lanciò un’occhiataccia. “Hai la sensibilità di un mestolo, Arthur. Ero nervoso, non merito un po’ di comprensione?”
Arthur scosse la testa, un sorriso ad aprirgli il viso. “Sei così drammatico, a volte.”
“Io sarei quello drammatico?” Alzò le sopracciglia Merlin, incredulo.
Arthur annuì. “E sei anche quello geloso.” Sentenziò, riservandogli un sorrisetto compiaciuto e canzonatorio. Merlin sapeva che Arthur stava sdrammatizzando, sapeva che era tutto un modo giocoso per fargli capire che era tutto a posto tra di loro, ma decise comunque di ribattere.
Si poteva giocare in due a quel gioco.
“E tu sei quello che dormirà da solo, che peccato.”
“Cattivo! Avevi promesso che non avresti più detto una cosa simile!”
“Certo, l’avevo promesso a patto che tu non mi facessi arrabbiare.”
“Non sei arrabbiato veramente, sei solo indispettito e quindi reagisci così. Cosa che, se ci pensi, dà ragione a me quando dico che sei drammatico!”
Merlin fece un profondo respiro e afferrò il viso di Arthur tra le mani. “Nessuno è più drammatico di te, quindi suppongo che serva il Re Assoluto del Dramma per riconoscere il dramma.”
“In quanto Re, ho bisogno di un servitore di corte.”
“Che non sarò io, ma apprezzo il pensiero. Al massimo posso essere il tuo concubino.”
Arthur non riuscì a trattenere una risata e si sporse per lasciargli un bacio a stampo. “Sei un idiota.”
“Senti da che pulpito.”
Arthur lo baciò di nuovo e fece intrecciare le loro dita. Si guardarono per un istante che racchiudeva al suo interno tutto ciò che si erano detti. Erano esseri umani carichi di insicurezze, ma avevano avuto la fortuna di trovarsi e questo bastava per far sì che riuscissero a risolvere qualsiasi cosa.
Finché sarebbero stati insieme, niente gli avrebbe spaventati.




*



“Vi prego, rendetemi fiero e ditemi che siete spariti per andare a profanare uno dei bagni.” Esordì Gwaine, quando li vide tornare dal loro giretto.
Si trovava al bar, insieme a Mithian e – sorpresa delle sorprese – insieme ad Elena e Morgana.
Arthur si avvicinò alla sorella e all’amica, salutandole con un abbraccio.
“Sei un animale, Gwaine!”
“Oh, non fare il puritano! C’è un che di affascinante nel fare sesso in un bagno pubblico!”
“Il brivido di rischiare di contrarre una malattia venerea?” Suggerì Merlin, sarcastico. Arthur gli lanciò un’occhiata complice e un sorriso.
Gwaine, testimone di quella complicità che lo fece sentire sconfitto, agitò una mano nella loro direzione come se volesse scacciare una mosca. “Antipatici. Non capite il fascino dell’avventura!”
“Perché non ci vai tu, all’avventura?” Suggerì Arthur, indicando lo stuolo di persone che li circondava. Era più che certo che Gwaine sarebbe riuscito a conquistare qualcuna, di solito succedeva di continuo. Era come se avesse un talento speciale per far cadere le donne ai suoi piedi.
“Perché nessuna ha colpito il mio interesse.” Liquidò lui l’argomento, con un’alzata di spalle.
“Sapete che è una mostra d’arte, vero? Ci sono dei quadri in esposizione, non le donne. Avete idea di quanto suoni sessista questo discorso?” Fece notare Morgana, un curato sopracciglio alzato, facendo scorrere lo sguardo tra i due.
“Scusa, non volevo offendere nessuna di voi.” Dichiarò Gwaine, guardando le donne presenti al tavolo. “Volevo semplicemente dire che non mi sento in vena di fare nuove conoscenze, stasera.”
“E come mai?” Chiese Elena, curiosa. “Non è da te.”
Gwaine arrossì lievemente in viso, in un modo quasi impercettibile. “Nessun motivo in particolare.” Affermò, portando lo sguardo sul bicchiere che aveva davanti a sé. Era mezzo vuoto e il ghiaccio all’interno del drink stava cominciando a sciogliersi. Non c’era un vero motivo, ma se avesse dovuto trovarne uno, era sicuro dipendesse dal fatto che non sentiva il bisogno di cercare altra compagnia diversa da quella che aveva già. C’erano i suoi amici, con lui, e c’era Mithian.
Era bella come una mattina d’estate soleggiata e profumava di miele. Era strano, notare quelle cose di lei, soprattutto perché erano tornati ad essere solo amici da un po’ – e sapeva che questo dipendeva da lui e dalle scelte che aveva fatto.
Lui non era materiale da storia seria, lo sapeva benissimo – gliel’avevano rinfacciato tutte le ragazze con cui era stato – e quindi perché continuare a far perdere tempo a Mithian?
Aveva fermato tutto prima che potessero davvero rischiare di rovinare la loro amicizia, perché sapeva che prima o poi lui avrebbe fatto una cazzata che avrebbe incrinato per sempre il loro rapporto.
E lui non voleva.
E, soprattutto, non voleva rischiare di far soffrire Mith.
Ma… ma da quando aveva visto Arthur andare da Merlin, mettersi a nudo pur di non perderlo, aveva cominciato a riflettere.
Il suo amico aveva fatto un casino, si era comportato da idiota, ma aveva anche avuto il coraggio di mostrarsi interamente nella sua fragilità pur di riavere Merlin con sé. Aveva preso tutte le sue insicurezze e le aveva messe nelle mani di Merlin con un coraggio invidiabile.
Diamine, Arthur era disposto anche ad affrontare quel despota bigotto di suo padre per Merlin. Voleva stare con lui così tanto da scavalcare tutte le sue paure. Amava Merlin a tal punto.
E Gwaine, che non era mai stato un tipo troppo riflessivo, si era trovato a rimuginare sul fatto, sul perché Arthur facesse quello che stava facendo. Ed era arrivato alla conclusione che la forza che Arthur aveva ritrovato nell’ultimo periodo dipendesse dalla consapevolezza che mai, nella sua vita, avrebbe ritrovato qualcuno che lo facesse sentire come lo faceva sentire Merlin.
Arthur era consapevole di aver trovato la sua anima gemella e aveva combattuto per assicurarsi di averla al suo fianco.
Gwaine sospirò, percependo solo vagamente i discorsi dei suoi amici, intorno a sé. Merlin stava facendo i complimenti ad Elena per la mostra e lei gli stava parlando delle varie fasi dei suoi processi creativi, comprese le crisi di pianto dovute ai dubbi di non essere abbastanza brava, o originale. Sentì Merlin dirle che non doveva dubitare di sé, perché era bravissima. E vide persino un sorriso sincero comparire sul volto dell’amica, prima che procedesse a ringraziare Merlin.
“Allora, alla fine chi è il tuo più uno?” Udì poi Arthur chiedere alla sorella.
“Nessuno,” Rispose lei con una noncurante alzata di spalle. “L’avevo chiesto a Leon, ma non poteva.”
“Esci con Leon?” Lo stupore nella voce di Arthur, fece sì che per un attimo Gwaine prestasse interamente attenzione alla loro conversazione.
“Non esco con Leon. Siamo semplicemente amici. È il fratello che non ho mai avuto.”
Arthur la guardò malissimo, quasi con ferocia, e Gwaine dovette trattenersi dal non ridere.
“Tu ce l’hai un fratello, Morgana!” Sibilò Arthur.
“Allora diciamo che lui è il fratello non fastidioso che non ho mai avuto, contento??”
Arthur le fece una linguaccia, risentito. “Strega.”
“Spina nel fianco!” Ribatté lei.
Gwaine scosse il capo, prima di distogliere da loro l’attenzione e portarla sull’oggetto dei suoi iniziali pensieri. Mithian stava ascoltando Elena, ma come se avesse improvvisamente percepito i suoi occhi su di sé, spostò lo sguardo su di lui.
Lo osservò per qualche istante, gli occhi castani fissi nei suoi e sulla fronte rughe di espressione – come se fosse concentrata ad analizzarlo, a leggergli dentro.
Lo faceva fin da quando erano ragazzini.
Gwaine riteneva che Arthur fosse il suo migliore amico, ma Mithian… Mithian l’aveva sempre capito meglio di chiunque altro. A lei bastava uno sguardo e riusciva a leggerlo come un libro aperto. Non era mai stato in grado di celarle niente perché lei era così intuitiva da capirlo solamente con un’unica occhiata.
Era questo quello che non aveva mai ritrovato in nessun’altra. La complicità. La comprensione. E non l’aveva capito fin quando non aveva visto Arthur uscire di fretta da qual pub per raggiungere la persona che gli faceva provare le stesse cose che Mithian faceva provare a lui.
“Va tutto bene?” Gli chiede Mithian, sottovoce.
“Sì.”
Lei lo osservò come se riuscisse a subodorare la sua bugia, ma non insistette. Appoggiò semplicemente e con un’apparente casualità una mano sul suo avambraccio – un segno silenzioso del suo conforto – e continuò a prestare attenzione alle parole di Merlin ed Elena.
Lui osservò quel piccolo gesto, fatto con premura. Avrebbe voluto coprire la sua mano con la propria, avrebbe voluto parlarle di quello che stava provando. Avrebbe voluto avere una macchina del tempo per tornare indietro, a quegli attimi che avevano vissuto insieme, e capire prima che quello che lo legava a lei non era semplice amicizia, o bramosia.
Avrebbe voluto.
Ma non poteva.
Era troppo tardi.
Così rimase immobile e, silenziando i suoi pensieri, si concentrò sulla conversazione dei suoi amici.





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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Con un ritardo imperdonabile sono finalmente riuscita ad aggiornare! Vi chiedo scusa per averci messo così tanto!
Venendo al capitolo, ci sono dei punti che mi rendono un po’ titubante, ma che ho deciso comunque di lasciare – vedi la conversazione tra Merlin e Mithian riguardante Vivian. Spero che si sia capito che Merlin non dubita di Arthur, ma è infastidito dai comportamenti di Vivian. Volevo provare a mostrare le insicurezze che, inevitabilmente, ci colgono quando teniamo a qualcuno – e da qui, la gelosia di Merlin. Spero che non sia un pezzo troppo zoppicante in questo capitolo.
Ponendo l’attenzione su altro, invece, Arthur e Merlin si sono detti le paroline magiche *v*  – e anche se stanno insieme da poco, ho comunque pensato che potesse essere credibile perché alla fine, Merlin sa di essere innamorato di lui da mesi, anche se ha sempre negato quei sentimenti per paura di soffrire, e Arthur ha capito che, in fondo, quello che provava per Merlin era sempre più che amicizia, solo che non l’aveva realizzato. Ad ogni modo, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se vi va, ovviamente!
Da ultimo – e non per importanza – Gwaine. La parte finale che lo vede protagonista non era preventivata. All’inizio, avevo pensato solamente di scrivere di Mithian, ma poi mi sembrava giusto scrivere qualcosa dal suo punto di vista, soprattutto in relazione al ruolo che lui stesso ha avuto nell’inizio della storia tra Arthur e Merlin. Diciamo che fare da Cupido l’ha fatto riflettere. Forse è un po’ OOC, ma spero che comunque possa risultare fattibile.
E perché con Mithian? Non lo so. Mi piaceva l’idea, anche se è un po’ bizzarra. So che nella serie interagiscono poco, ma nel contesto di questo racconto si conoscono da quando erano ragazzini, quindi poteva essere fattibile.
Detto ciò, terminerò queste infinite note! Vi saluto e, se vi va, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate del capitolo!
Ringrazio chiunque legga, abbia messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e chiunque trovi il tempo per recensire! Lo apprezzo davvero tanto!
Vi mando un abbraccio, alla prossima! <3 
   
 
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