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Autore: Little Firestar84    18/04/2021    5 recensioni
Trevor Pierce è convinto di essere l'incarnazione del di Eros, e che l'unico modo per poter tornare allo status di divinità, alla sua bella casetta tra le nubi del monte Olimpo, e nel letto della sua amata Psiche, sia unire cento coppie solo con parole e gesti, senza magie o inganni di sorta.
Ma ormai, sono mesi che l'odiato numero rimane fermo.
Novantanove coppie. Ne manca una, ma a Trevor sembra impossibile riuscire a trovarla, tutti vittime della lussurua e della voluttà e non dell'amore romantico che ti starvolge la vita.
Almeno, fino a che, per seguire la bella del suo cuore, non arriva a Tokyo, dove in un grazioso locale incontra quelli che, secondo lui, sono due cuori destinati a battere l'un per l'altro per l'eternità...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Io sono quella a cui piacciono i fandom oscuri, che nel paese siamo in tre a guardare, ed io sola a scrivere, e forse in cinque a livello globale- non scherzo, davvero.

“CUPID” è parte di essi. Serie del 1998, con un reboot del 2008 (da cui prende il LA questa shot), narrava le vicende di Trevor Pierce. In cura per un esaurimento nervoso presso la nota psichiatra e psicanalista Claire McRae (interpretata da una Sarah Paulson agli arbori della sua carriera), Trevor è convinto di essere in realtà Eros, e che Zeus l’abbia punito per la sua incapacità di creare legami duraturi tra i mortali scagliandolo nel mondo dei mortali e lontano dall’Olimpo. Trevor si convince che Claire sia la reincarnazione della sua amata Psiche, inviata da Zeus per alleggerire la sua sofferenza, e che l’unico modo per tornare insieme allo status di divinità sia quello di unire, solo con parole e gesti, senza magia, cento coppie per la vita.

Come potete immaginare, lo show è finito ben prima di mostrarci cosa sia accaduto: l’idea dei creatori della serie era di rendere quella di Trevor e Claire la coppia 100, lasciandoci però con il dubbio che lui fosse davvero Eros o meno.

Io, invece, ho giocato con l’ultima coppia fatidica: e se invece di Trevor e Claire… la centesima coppia incontrata da Trevor fosse stata quella di Ryo e Kaori?

 

 

Trevor Pierce era – o almeno così lui dice -  un brillante professore di storia e mitologia greca, almeno fino a che la morte dalla sua compagna, causata dalla di lei sorella, gelosa, lo trascinò nel baratro. Causa un brutto esaurimento nervoso, Trevor si convinse di essere il leggendario Eros, alias Cupido, dio greco dell’amore e della scintilla passionale, reincarnato in un corpo umano con lo scopo di ritrovare la sua dolce Psiche, che Trevor identifica nella sua terapista, Claire McRae…

Claire cerca in tutti i modi di rompere il muro di illusione di Trevor, ma lui riesce a comparare ogni cosa che capiti loro con situazioni somiglianti avvenute nel mito originale, e le assicura che, una volta riunite cento coppie, la maledizione scagliata da Zeus su di loro si romperà, e finalmente entrambi ricorderanno il loro passato.

Siamo a quota 99: ormai, manca solo una coppia perché, secondo il ragionamento dell’uomo, l’incantesimo sia rotto.

 

Non ricordo di essermi mai annoiato così tanto… per la milionesima volta, l’uomo sulla cui carta d’identità c’era scritto Trevor Pierce si guardò intorno con aria annoiata, giocherellando distrattamente con la cannuccia del suo drink mentre, sbuffando, cercava di godersi l’atmosfera amichevole e simpatica di quel grazioso locale di Tokyo. Ormai gli rimaneva forse un solo sorso da bere, eppure non riusciva ad ammettere che il bicchiere fosse quasi vuoto, nemmeno fosse stata una curiosa metafora della sua vita.

Un bicchiere vuoto significava essere giunti alla fine senza ottenere un risultato, e questo lui non poteva né voleva ammetterlo. Lui doveva tornare ad essere Eros, doveva ritornare a soggiornare tra le bianche nubi che avvolgevano la cima del monte Olimpo, e con la sua dolce amata Claire al fianco, certa di essere Psiche.

Sapeva che doveva essere paziente. Ormai era vicino al suo obbiettivo, gli mancava solo una coppia per rompere la maledizione scagliatagli contro da Zeus, poi finalmente sarebbe tornato a casa, e Claire avrebbe ricordato chi fossero veramente.  Purtroppo però le cose stavano iniziando ad andare per le lunghe: ormai erano mesi che sembrava del tutto incapace di combinare qualcosa, tutte le coppie che aiutava a mettersi insieme si rivelavano guidate solo da una passione fugace, dal trasporto del momento, ed intanto lui rimaneva sempre lì, fermo a quel dannato novantanove.

Non era che fosse depresso, forse era solo un po’ malinconico. Il tempo passava, e lui era sempre allo stesso punto. E lui iniziava a sentire la mancanza di casa- come la chiamavano i brasiliani quella sensazione, la saudad?

E adesso, ci si era messa anche Tokyo… quel disastro totale di Tokyo.

Claire era andata a presentare il suo ultimo saggio, che era stato appena tradotto, e lui si era imbarcato sul volo successivo per farle una sorpresa, certo che un gesto smile l’avrebbe fatta sciogliere, tanto era romantico e sdolcinato, ma invece lei era stata fredda e distaccata, e quasi l’aveva fatto sbattere fuori dalla libreria dove faceva il firma-copie. Non che lui poi fosse tornato a New York con la coda tra le gambe: semplicemente, aveva preferito girare un po’ tra i locali della città, ed intrattenersi con i nativi, godersi la vita ed assaporare quell’atmosfera. Aveva sempre apprezzato il quartiere di Shinjuku, lì la gente coglieva l’attimo, si faceva travolgere dalla passione, non si vergognava dei propri istinti o dei desideri…..

(Poco importava che Claire gli ripetesse fino alla nausea che lui aveva studiato il Giapponese e aveva solo visitato il quartiere; lui era certo che fosse la sua onniscienza divina che gli permetteva di comunicare in quella lingua, e il quartiere.. beh, era un immortale: era andato non so quante volte lì nel corso della sua lunga vita, non poteva certo essere come diceva lei, che si era limitato a vedere documentari sul posto!)

E se poi, nel suo girovagare, avesse messo gli occhi su due anime solitarie da far mettere insieme fino alla fine dei tempi e oltre, allora sarebbe andata ancora meglio: avrebbe significato raggiungere quella cifra tonda e finalmente avere Claire tutta per sé: il loro ritorno a New York sarebbe stato perfetto, degno di una festa pantagruelica!

In realtà, Trevor agognava trovare quella stramaledetta coppia, chiunque essi fossero. Aveva bisogno che le cose cambiassero, tra loro due. Fino a poco tempo prima aveva creduto di poter vivere benissimo come Trevor e Claire, ma la donna resisteva strenuamente alla sua corta sfacciata. L’aveva raggiunta a Tokyo nella speranza che, dopo aver passato due settimane lontana da lui, lei si fosse ammorbidita, che avesse compreso quanto lo voleva e aveva bisogno di lui nella sua vita. Quando l’aveva avvicinata era davvero convinto che si sarebbe gettata tra le sue braccia confessandogli il suo amore, cosicché anche lui avrebbe potuto fare lo stesso, e avrebbero consumato il loro amore: eterni amanti, destinati a ritrovarsi dal volere degli dei, la scintilla del potere divino sarebbe scoccata, e avrebbero ripreso, finalmente, i ruoli che erano stati loro destinati dalle tre Moire.

Peccato che la bella dottoressa del suo cuore fosse decisamente troppo razionale per una cosa del genere, e se non fosse stato loro il numero cento… allora si sarebbe messo a cercare gli amanti predestinati, a qualunque costo. Sentiva dentro di sé qualcosa, una forza mistica che gli diceva che era lì che doveva essere, nonostante ad un primo sguardo quel luogo non sembrasse gridare amore eterno: se si guardava intorno, per quanto apprezzasse quello stile di vita lascivo, sensuale ed istintivo, che tanto gli ricordava i Baccanali festeggiati a casa sull’Olimpo, vedeva l’amore carnale, incontri sessuali di pochi attimi che nulla avevano a che fare con l’amore eterno e puro che gli avrebbe permesso di tornare a casa.

Trevor aveva ormai perso ogni speranza di risolvere quel triste dilemma prima di tornare in America, stava quasi per ammettere ad alta voce, quasi fosse stato un alcolizzato, che ormai il suo bicchiere era vuoto, ma poi, li sentì, ed un sorriso pieno, quasi maniacale, gli si stampò sul viso.

Non li conosceva – non conosceva nessuna delle coppie che negli anni aveva aiutato ad unirsi, trovarsi- eppure era come se li avesse sempre conosciuti. E soprattutto, li comprendeva, forse meglio e più di quanto conoscevano sé stessi.

Dimentico del bicchiere  e della cannuccia, Trevor si sporse verso di loro, cercando di afferrare meglio la situazione, nonostante fosse palese ciò che stava accadendo… palese, e da morire dal ridere!

“Tu, porco pervertito maniaco che non sei altro!” La rossa tutto pepe sbraitò, dando una martellata in testa all’uomo che era con lei, non appena lui aveva attentato alle grazie della bella barista. “Te lo do io il punto di inizio, vergogna della nazione!”

“Ma… ma… Kaori…” l’uomo singhiozzò, mentre era letteralmente piantato nel muro; Trevor sibilò, quasi avvertendo male per lui: com’era dura la vita di certi mortali! “Io volevo solo sincerarmi che la bella Miki stesse bene, fosse tornata in forze….”

Kaori non gli diede minimamente retta, senza badare a cosa lui le stava dicendo, si sedette al bancone del bar, e “Falcon”, il nerboruto tuttofare di quel grazioso posticino chiamato Cat’s Eye, le servì da bere in una tazza grande, bianca, senza bisogno che lei chiedesse nulla: era lampante che si conoscessero, e che i due strambi tipi erano degli habitué.

Com’era pure lampante che la bella rossa, Kaori, era gelosa delle attenzioni dell’uomo verso ogni altro elemento di sesso femminile, e che lui, nonostante mostrasse il suo interesse in modo plateale verso le altre, era lei che guardava, a cui lanciava sguardi carichi di amore e dolcezza, languidi sospiri quando credeva che nessuno gli prestasse attenzione.

Ma Trevor era la reincarnazione di Eros: vedeva tutto ciò che riguardava i cuori innamorati!

“Miki stava benissimo anche prima che tu cercassi di saltarle addosso, maiale!” Kaori sibilò a denti stretti. “Ryo, se mettessi nel lavoro anche solo un decimo dell’impegno che metti nel correre dietro alle gonnelle saremmo ricchi, sai?”

“Bah, come se ultimamente il lavoro ci mancasse….” Ryo le rispose, sedendosi accanto a lei al bancone; si accese una sigaretta, accettando il liquore che l’energumeno gli versò, e senza essere visto prese a guardare il riflesso della bella donna dai capelli ramati nel bicchiere.

Trevor alzò gli occhi al cielo: scommetteva cento dollari che non le aveva mai detto di amarla, ripetendosi che per lei era meglio non sapere.

Idiota. Come poteva non notare gli sguardi sofferenti, il modo in cui lei stringeva le mani fino a rendere le nocche bianche quando lui manifestava il suo ardore verso altre donne?

“Lavori pagati, Ryo. Sarebbe ora che iniziassi a riscuotere un po’ di pagamenti da Saeko, e….” Ryo iniziò a sbavare alla menzione di Saeko, e Trevor rimase stupito di quanto idiota sembrasse con quell’espressione da maiale in calore. Non gli durò molto, perché Kaori lo rimise al suo posto. Con un’altra martellata. L’arnese era apparso come dal nulla, e Trevor si chiese se quella donna fosse una dea come lui, o se fosse una delle migliaia di mezzosangue che popolavano la terra, quasi tutti concepiti da Zeus sotto mentite spoglie.  “Pagamenti in denaro, idiota! Ma come diavolo faceva mio fratello con te?”

Sorridendo tutto compiaciuto, Trevor decise di avvinarsi ancora di più; afferrando il suo bicchiere, si avvicinò al bancone, e chiese un caffè, sedendosi accanto alla rossa, un solo sgabello vuoto tra di loro. Ryo, intanto, era tornato in piedi, sedeva di nuovo accanto alla bella Kaori, e di nuovo fingeva di non guardarla, approfittando della cocciutaggine di lei e della bassa tolleranza della barista Miki; l’unico che sembrava capire qualcosa era l’omaccione. Cieco, percepiva cose che agli altri sfuggivano, esattamente come l’oracolo Tiresia, che da Zeus aveva ricevuto il dono della veggenza dopo essere stato privato della vista dalla furia di Era.

“Ma perché diavolo perdo ancora tempo con te? Avrei decisamente fatto meglio a rimanermene con Mick, almeno lui apprezza gli sforzi che faccio, e soprattutto era intenzionato ad addestrami decentemente, non come te!” Kaori sbuffò, mento appoggiato al palmo, parlando quasi tra sé e sé.  Anche Ryo sbuffò, con grande gioia e divertimento di Trevor: solo il sentire nominare questo Mick lo faceva andare in bestia.

Era geloso anche lui: ma non era pronto ad ammetterlo.

Da quel poco che aveva ascoltato, gli pareva di capire che i due si conoscessero ormai da molto tempo; Claire li avrebbe adorati, dato che lei per prima era certa che la base di una sana e dura relazione amorosa fosse una profonda amicizia, ed una conoscenza non superficiale. In più, gli pareva di capire che non fosse ancora capitato nulla tra di loro, quindi lui aveva ancora tutto il tempo per mettesi in mezzo, e accendere lo zampillo che avrebbe causato un’esplosione di fuochi d’artificio di passione (sì, certo, l’amore era bello, ma serviva anche la passione in una relazione, e lo sapeva lui, dato che erano stati lui e Psiche, durante un peccaminosissimo incontro, a generare Voluttà); l’amore che nutrivano era lampante, eppure se lo negavano, principalmente per... cosa, paura?

Sospirò, triste: la paura era una forza davvero potente, lui stesso si era a lungo negato l’amore di Psiche perché temeva le ire della madre Afrodite.

Strinse i pugni, i denti, dicendosi che non era giusto: quei due possedevano un amore raro, bellissimo: l’amore eterno, e lo sprecavano così. Le loro aure risonavano l’una con l’altra, era come se si cercassero per completarsi a vicenda, ma loro sfuggivano a ciò che provavano. Forse lui in quel momento non era Eros, ma solo Trevor, era un mortale e non il Dio dell’amore, ma sentiva di dover fare qualcosa, non solo per poter riuscire a riavere la sua vera vita, ma perché… perché era la cosa giusta da fare. Chiunque essi fossero, Ryo e Kaori meritavano di amarsi.

Lei era troppo gelosa, temeva troppo un rifiuto per farsi avanti.

Lui era troppo orgoglioso, troppo testardo per fare il primo passo.

Di quel passo, sarebbero morti prima di darsi un bacio.

Doveva fare qualcosa: era il suo compito come dio dell’amore.

“Ehm. Mi scusi signorina… sono il professor Trevor Pierce, Storia e Cultura dei Paesi del Mediterraneo alla New York University… ” Schiarendosi la gola, si girò verso Kaori per attirare la sua attenzione, e sorridendole le porse la mano, galante ad affabile, iniziando a parlare in un perfetto giapponese che stupì i presenti, imbellettando un po’ la verità e rigirandola in modo che gli facesse comodo. “Spero di non essere troppo…. Come dire… audace, ma mi chiedevo se le andasse di farmi compagnia, prendere un the o un gelato con me e chiacchierare. Sono a Tokyo per lavoro e non conosco nessuno, e andare in giro da solo è meno divertente di quello che pensavo.”

Kaori arrossì, guardandolo stupita, ma con un’aria molto dolce: sembrava quasi che non potesse credere che un uomo desiderasse la sua compagnia… ma quel cavernicolo cosa le diceva, per farla essere così sulle sue?

“Oh, beh, ecco, io… non saprei…” balbettò lei, tenendo gli occhi bassi, mentre l’amica Miki stava letteralmente gongolando, osservando Ryo che stringeva i denti con forza.

“Ha ragione, mi scusi, sono stato un villino…villano, chiedo scusa. Avrei dovuto immaginare che lei fosse impegnata col signore.” Fece un cenno col capo a Ryo, con un sorriso falso che più falso non si poteva stampato in faccia. “Era logico che una tale bella donna avesse già un accompagnatore. Errore mio.”

“Io, con una virago mezza uomo come questa?” Ryo si scandalizzò, alzandosi in piedi e mettendo tanta più distanza tra lui e Kaori che poteva, indicandola da lontano con un’espressione di terrore e rabbia, nemmeno lei fosse stata l’Idra di Lerna. “Ma per favore, non scherziamo! Lo Stallone di Shinjuku ha gusti migliori! Io voglio solo vere donne, io! Donne belle! Donne sensuali! Donne sessuali!”

Kaori non gli lanciò il martello.

Stavolta, gli lanciò contro un pesante vassoio di Peltro, riccamente lavorato con motivi che sembravano ricreare un qualche evento della mitologia greca (ci cadeva a pennello), colpendolo in pieno volto: quella donna dalla forza sovraumana, dalla capacità di chiamare da un’altra dimensione i suoi martelli, di lanciare con precisione letale ogni oggetto, doveva per forza appartenere ai ranghi dell’Olimpo!

Kaori si voltò verso di lui, occhi bassi e timida, immaginandosi chissà che reazione di repulsione o sdegno, o terrore; invece, Trevor stava sorridendo, addirittura rideva, ma come se volesse essere suo complice, non per prenderla in giro. Kaori arrossì, poi sorrise, schiarendosi la gola per riprendere un po’ di controllo: sapeva di aver fatto una pessima figura, davanti a quello che era indubbiamente un bell’uomo.  

“Oh, lui, no, Ryo ed io non stiamo insieme, lui è il mio partner. Di lavoro, intendo. Il mio socio, insomma. Anche se viviamo insieme. Sotto allo stesso tetto, non nello stesso letto, voglio dire, eh, eh, eh…” si morse la lingua, imbarazzata, quando si rese conto che stava decisamente straparlando. Lei e Trevor rimasero in silenzio, ognuno godendosi il proprio caffè, mentre l’autoproclamato Dio dell’Amore avvertiva lo sguardo irrazionale e carico di ira e gelosia di Ryo su di sé.

“Sto facendo una figuraccia dietro l’altra, vero?” Kaori gli domandò, con un sorriso onesto, senza indugi. “Le chiedo scusa, Trevor, purtroppo in queste cose non sono mai stata molto brava…”

“Intende dire a… flirtare?” le sussurrò nell’orecchio, sorridendo, lanciandole uno sguardo malizioso. “Guardi che con il suo amico le riesce molto bene. Un po’ violento come modo di fare, ma secondo me lui sotto, sotto lo apprezza - a certi uomini il dolore fa aumentare il piacere, sa?”

“Ma, ma no, cosa dice!” Kaori borbottò, arrossendo timida. Trevor si morse la lingua prima di aggiungere qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire o mettere in ulteriore imbarazzo Kaori. La ragazza era davvero innocente: qualcosa gli diceva che a causa di quel cretino lei era ancora casta e pura. Non riusciva a credere quanto Ryo fosse idiota: lei lo amava, lui la amava, era chiaro che pure i loro amici lo avevano capito, e invece di trovare sollazzo nell’abbraccio dell’unica donna che avrebbe potuto completarlo e donargli la pace dei sensi e dell’anima, saltellava allegramente da un letto all’altro - o perlomeno, ci provava. “Ha sentito cosa dice, lui non mi vede come una donna… insomma, so di non essere una bellona…”

“Kaori…” Trevor sospirò, mettendole una mano sulle sue, che poggiavano sul bancone. “Spero non ti offenderai, ma dopo la vostra, ehm, entrata, non ho potuto fare a meno di guardarvi, e ho notato che Ryo, quando crede che nessuno lo stia osservando, si concentra totalmente su di te, con quella che oserei definire un’espressione da pesce lesso, per distogliere lo sguardo quando ha il minimo sentore che tu lo voglia guardare in faccia.”

“Ma, ma no, cosa dice, è impossibile.” Kaori provò a dire, nonostante nella sua voce ci fosse una certa tristezza di fondo, quasi ormai la giovane donna fosse disillusa, e Trevor si domandò chi volesse convincere, continuando a negare imperterrita l’evidenza: lui,  se stessa… o il resto del mondo? “Cioè, lui un paio di volte ha accennato che… ma non mi ha mai detto chiaro e tondo… non ha mai fatto nulla… voglio dire, noi non siamo una coppia, davvero, insomma, Ryo non mi ama in quel modo.”

“Mia dolce Kaori, io non ci giurerei…” Di nuovo Trevor le si avvicinò; Kaori sentì il respiro caldo dell’uomo sul collo, ma differentemente dalle volte che era capitato con Ryo- poche, rare, ma se le ricordava tutte- la cosa non la elettrizzava, non le faceva scorrere brividi per tutto il corpo partendo dal ventre.

Guardando fisso negli occhi Ryo, che stava in piedi contro il muro dove era stato sbattuto, occhi neri carichi di odio e fuoco che lo fissavano, letali come quelli del focoso amante della madre,  Ares, Trevor lasciò un delicato bacio sulla guancia di Kaori, facendola sussultare per l’imbarazzo: da dove si trovava, Ryo avrebbe pensato che l’avesse baciata per davvero, sulle labbra, rubandogli ciò che sentiva essere suo di diritto nonostante fosse troppo codardo da afferrarlo e viverlo.

“È stato un piacere, Kaori. Spero che le nostre strade possano nuovamente incrociarsi in futuro.”  Le diede un altro leggero bacio, stavolta facendo in modo che fosse lampante che aveva sfiorato la delicata guancia, poi si alzò in piedi e lasciò il locale: raggiunse Ryo, che, all’aperto, si era acceso l’ennesima sigaretta, e gli si avvicinò. “Posso?”

Scrollando le spalle, Ryo gli diede una delle sue sigarette, e gliela accese, e Trevor, come un consumato poeta maledetto francese, prese a fumare, godendosi la sensazione tattile della sigaretta che si consumava tra le dita, la vista del fumo che saliva verso le nubi, ed il profumo ed il sapore della nicotina che gli scorreva in naso, bocca e gola. “Dottor Trevor Pierce, salve. Mi chiamano anche il Dottor Eros.”

Ryo lo squadrò dal basso verso l’alto e viceversa, sollevando un sopracciglio, facendo finta di non notare la mano che gli veniva offerta da stringere. “Lo Stallone di Shinjuku non ha bisogno di un sessuologo, me la cavo benissimo tra le lenzuola.”

“Uhm, no, io sono professore di storia e mitologia, veramente. Mi chiamano Dottor Eros perché risolvo le questione di cuore. Sono un… accidenti, come si dice match-maker in giapponese?” fece schioccare le dita, cercando la parola, sentendo che era sulla punta della lingua. “Sensale! Sono una specie di sensale. Capisco quando tra due persone potrebbe esserci chimica e faccio in modo di farle incontrare, se non si conoscono ancora, e se si conoscono cerco di fare aprire loro gli occhi.”

Il sopracciglio di Ryo raggiunse praticamente l’attaccatura dei suoi capelli.

“Hai capito che sto parlando di voi due, vero?” Trevor gli domandò, come se stesse parlando di qualcosa di ovvio. Quando Ryo rimase impassibile, e nemmeno gli rispose, l’americano sbuffò. Gettata a terra la sigaretta, si voltò verso Ryo, leggermente furibondo. “Senti, io non so perché fai lo stronzo con quella povera ragazza che venera il terreno su cui tu cammini, ma sul serio, quando si è così fortunati da trovare la propria anima gemella, la si deve afferrare, non spingerla il più lontano possibile. Non tutti sono così fortunati da avere l’amore, sai?”

“Sembri esperto in materia…” Ryo sbuffò, volgendo lo sguardo altrove, tirando alla sigaretta.

“Lascia che ti racconti la storia di un brillante e stimato professore, che amava una collega in modo travolgente, e viveva nel terrore che lei un giorno decidesse che lui non era abbastanza. Ma la vuoi sapere una cosa? Lei credeva di non essere abbastanza. Sua sorella, gelosa, innamorata dello stesso uomo, le raccontò un mucchio di bugie, le disse che quell’uomo era un mostro, che era crudele e perverso, e la professoressa, col cuore spezzato, ingoiò una bottiglia di barbiturici, e morì, lasciando il professore solo, che per la sofferenza e la delusione si ritrovò solo e finì a fare il barista nel Queens.”

“Quindi sei un barista vedovo e non un professore?” Ryo gli domandò; Trevor sbuffò a denti stretti: la storia non aveva funzionato. Quella storia- il suo primo incontro con la mortale nel cui corpo veniva ospitata la sua amata Psiche – aveva perfino smosso Claire, l’umana successiva che aveva accolto nelle proprie vestigia mortali la dea.

“Domanda: ma sei un coglione per aver afferrato solo quello da tutto il mio discorso?”

“Guarda che la tiritera dell’amore da vivere perché lo si può perdere da un momento all’altro l’ho capita perfino io!” Ryo scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro. Gettata la sigaretta a terra, la spinse col piede, e poi si voltò verso Trevor, mani in tasca. “Senti, amico, mi spiace per te, ma tu ed io siamo decisamente diversi. Kaori sta molto meglio lontano da uno come me.”

“Ah. Ed è tenendola come socia, a vivere sotto allo stesso tetto, a portartela dietro ovunque che pensi di tenerla lontano da te?” Trevor gli domandò, fissandolo con sguardo interrogativo che in realtà sembrava ribadire la sua idea che Ryo fosse, usando la sua stessa parola, un coglione.

“Sì, effettivamente è, come dire…” Ryo arrossì lievemente, e rese a grattarsi il collo, leggermente impacciato: Trevor represse a malapena un sorriso, divertito da quell’uomo adulto che, nelle questioni di cuore, sembrava comportarsi come un ragazzino. Anche il modo in cui corteggiava le donne sotto agli occhi di Kaori sembrava essere un modo per richiamare l’attenzione di lei su di sé.

“Un po’ irrazionale? Sì, lo avevo notato.” Trevor fece scioccare la lingua contro il palato, ed emise una leggera risata. “Ma l’amore è così. Non conosce ragioni. Per questo finiamo spesso per innamoraci dell’ultima persona che sembrerebbe fatta per noi. Eppure, quella persona è l’unica con cui alla fine potrebbe davvero funzionare.”

Ryo si grattò il collo, senza rispondere o aggiungere nulla; con gli occhi rivolti nel locale, dove Kaori stava parlando con Miki, lo sweeper si chiese quanto di ciò che il curioso ometto gli avesse detto corrispondesse al vero. Nel locale, Kaori sorrise a Miki, e poi si voltò verso di lui, raggiante ma al contempo curiosa, e nello sguardo aveva una luce bellissima, la stessa che lui aveva visto negli occhi color nocciola quando, nella radura, le aveva detto di amarla.

Non gli importava più nulla, nemmeno Trevor: l’unica cosa che contasse era essere di nuovo al fianco della sua Kaori.

Sollevando un braccio a mo’ di saluto, Ryo rientrò nel locale, e col sorriso sulle labbra si diresse verso Kaori. In piedi, mani nelle tasche dei pantaloni, si chinò su di lei, sussurrandole qualcosa nell’orecchio, e Kaori arrossì. Il sorriso di Ryo si fece più raggiante, vero, felice, e le fece cenno di sì col capo. Gli occhi di Kaori presero a brillare per le lacrime che si rifiutava di piangere in pubblico- lacrime di gioia, Trevor immaginò- e si limitò ad abbassare lo sguardo, sfiorando con la mano la striscia di pelle lasciata scoperta dalla giacca di Ryo. Poi si alzò in piedi, ed entrambi salutarono la coppia di baristi, e solo una volta usciti, Kaori prese, finalmente, il braccio che Ryo le offriva.

Trevor li guardò da lontano, sospirando.

Niente baci o grandi dichiarazione, ma sussurri e sguardi, quasi quei due non avessero avuto bisogno di parole per comunicare. Eppure, sentiva che le cose erano finalmente cambiate per loro: forse agli occhi del mondo sarebbero stati ancora per un po’ Ryo e Kaori, eppure era certo che ormai fossero divenuti una cosa sola, e che presto o tardi avrebbero finalmente consumato il loro amore, magari appena tornati nella loro casa.

Eh sì, la sua adorabile bambina, Voluttà, stava decisamente per fare loro una visita!

Scuotendo lieve il capo, fece per tornare alla libreria dove c’era Claire. Dopotutto, ce l’aveva fatta: aveva unito cento coppie, e forse Zeus l’avrebbe premiato, permettendo a lui e alla sua amata di tornare nell’Olimpo. Ma anche se così non fosse stato, per lui sarebbe andato bene lo stesso. Claire e Trevor, Eros e Psiche, a lui non faceva nessuna differenza. Dopotutto, a lui bastava l’amore!

   
 
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