Io sono quella a cui piacciono i fandom oscuri,
che nel paese siamo in tre
a guardare, ed io sola a scrivere, e forse in cinque a livello globale-
non
scherzo, davvero.
“CUPID” è parte di
essi. Serie del 1998, con un reboot del 2008 (da cui
prende il LA questa shot), narrava le vicende di Trevor Pierce. In cura
per un esaurimento
nervoso presso la nota psichiatra e psicanalista Claire McRae
(interpretata da
una Sarah Paulson agli arbori della sua carriera), Trevor è
convinto di essere
in realtà Eros, e che Zeus l’abbia punito per la
sua incapacità di creare
legami duraturi tra i mortali scagliandolo nel mondo dei mortali e
lontano dall’Olimpo.
Trevor si convince che Claire sia la reincarnazione della sua amata
Psiche,
inviata da Zeus per alleggerire la sua sofferenza, e che
l’unico modo per
tornare insieme allo status di divinità sia quello di unire,
solo con parole e
gesti, senza magia, cento coppie per la vita.
Come potete immaginare, lo show è
finito ben prima di mostrarci cosa sia accaduto:
l’idea dei creatori della serie era di rendere quella di
Trevor e Claire la
coppia 100, lasciandoci però con il dubbio che lui fosse
davvero Eros o meno.
Io, invece, ho giocato con l’ultima
coppia fatidica: e se invece di Trevor
e Claire… la centesima coppia incontrata da Trevor fosse
stata quella di Ryo e
Kaori?
Trevor Pierce era – o almeno
così lui dice - un
brillante professore
di storia e mitologia greca, almeno fino a che la morte dalla sua
compagna,
causata dalla di lei sorella, gelosa, lo trascinò nel
baratro. Causa un brutto
esaurimento nervoso, Trevor si convinse di essere il leggendario Eros,
alias
Cupido, dio greco dell’amore e della scintilla passionale,
reincarnato in un
corpo umano con lo scopo di ritrovare la sua dolce Psiche, che Trevor
identifica
nella sua terapista, Claire McRae…
Claire cerca in tutti i modi di
rompere il muro di illusione di Trevor, ma lui riesce a comparare ogni
cosa che
capiti loro con situazioni somiglianti avvenute nel mito originale, e
le
assicura che, una volta riunite cento coppie, la maledizione scagliata
da Zeus
su di loro si romperà, e finalmente entrambi ricorderanno il
loro passato.
Siamo a quota 99: ormai, manca
solo una coppia perché, secondo il ragionamento
dell’uomo, l’incantesimo sia
rotto.
Non ricordo di essermi mai
annoiato così tanto…
per la milionesima volta, l’uomo sulla cui carta
d’identità c’era scritto
Trevor Pierce si guardò intorno con aria annoiata,
giocherellando
distrattamente con la cannuccia del suo drink mentre, sbuffando,
cercava di
godersi l’atmosfera amichevole e simpatica di quel grazioso
locale di Tokyo.
Ormai gli rimaneva forse un solo sorso da bere, eppure non riusciva ad
ammettere che il bicchiere fosse quasi vuoto, nemmeno fosse stata una
curiosa
metafora della sua vita.
Un bicchiere vuoto significava essere giunti alla
fine senza ottenere un
risultato, e questo lui non poteva né voleva ammetterlo. Lui
doveva tornare ad essere Eros,
doveva
ritornare a soggiornare tra le bianche nubi che avvolgevano la cima del
monte
Olimpo, e con la sua dolce amata Claire al fianco, certa di essere
Psiche.
Sapeva che doveva essere paziente. Ormai era
vicino al suo obbiettivo, gli
mancava solo una coppia per rompere la maledizione scagliatagli contro
da Zeus,
poi finalmente sarebbe tornato a casa, e Claire avrebbe ricordato chi
fossero
veramente. Purtroppo
però le cose
stavano iniziando ad andare per le lunghe: ormai erano mesi
che sembrava del tutto incapace di combinare qualcosa, tutte
le coppie che aiutava a mettersi insieme si rivelavano guidate solo da
una
passione fugace, dal trasporto del momento, ed intanto lui rimaneva
sempre lì,
fermo a quel dannato novantanove.
Non era che fosse depresso, forse era solo un
po’ malinconico. Il tempo
passava, e lui era sempre allo stesso punto. E lui iniziava a sentire
la
mancanza di casa- come la chiamavano i brasiliani quella sensazione, la saudad?
E adesso, ci si era messa anche Tokyo…
quel disastro totale di Tokyo.
Claire era andata a presentare il suo ultimo
saggio, che era stato appena
tradotto, e lui si era imbarcato sul volo successivo per farle una
sorpresa,
certo che un gesto smile l’avrebbe fatta sciogliere, tanto
era romantico e
sdolcinato, ma invece lei era stata fredda e distaccata, e quasi
l’aveva fatto
sbattere fuori dalla libreria dove faceva il firma-copie. Non che lui
poi fosse
tornato a New York con la coda tra le gambe: semplicemente, aveva
preferito
girare un po’ tra i locali della città, ed
intrattenersi con i nativi, godersi
la vita ed assaporare quell’atmosfera. Aveva sempre
apprezzato il quartiere di
Shinjuku, lì la gente coglieva l’attimo, si faceva
travolgere dalla passione,
non si vergognava dei propri istinti o dei desideri…..
(Poco importava che Claire gli ripetesse fino alla
nausea che lui aveva studiato il
Giapponese e aveva solo
visitato il quartiere; lui era certo che fosse la sua onniscienza
divina che
gli permetteva di comunicare in quella lingua, e il quartiere.. beh,
era un
immortale: era andato non so quante volte lì nel corso della
sua lunga vita,
non poteva certo essere come diceva lei, che si era limitato a vedere
documentari sul posto!)
E se poi, nel suo girovagare, avesse messo gli
occhi su due anime solitarie
da far mettere insieme fino alla fine dei tempi e oltre, allora sarebbe
andata
ancora meglio: avrebbe significato raggiungere quella cifra tonda e
finalmente
avere Claire tutta per sé: il loro ritorno a New York
sarebbe stato perfetto,
degno di una festa pantagruelica!
In realtà, Trevor agognava trovare
quella stramaledetta coppia, chiunque
essi fossero. Aveva bisogno che le cose cambiassero, tra loro due. Fino
a poco
tempo prima aveva creduto di poter vivere benissimo come Trevor e
Claire, ma la
donna resisteva strenuamente alla sua corta sfacciata.
L’aveva raggiunta a Tokyo
nella speranza che, dopo aver passato due settimane lontana da lui, lei
si
fosse ammorbidita, che avesse compreso quanto lo voleva e aveva bisogno
di lui
nella sua vita. Quando l’aveva avvicinata era davvero
convinto che si sarebbe
gettata tra le sue braccia confessandogli il suo amore,
cosicché anche lui
avrebbe potuto fare lo stesso, e avrebbero consumato il loro amore:
eterni
amanti, destinati a ritrovarsi dal volere degli dei, la scintilla del
potere
divino sarebbe scoccata, e avrebbero ripreso, finalmente, i ruoli che
erano stati
loro destinati dalle tre Moire.
Peccato che la bella dottoressa del suo cuore
fosse decisamente troppo
razionale per una cosa del genere, e se non fosse stato loro il numero
cento…
allora si sarebbe messo a cercare gli amanti predestinati, a qualunque
costo.
Sentiva dentro di sé qualcosa, una forza mistica che gli
diceva che era lì che
doveva essere, nonostante ad un primo sguardo quel luogo non sembrasse
gridare
amore eterno: se si guardava intorno, per quanto apprezzasse quello
stile di
vita lascivo, sensuale ed istintivo, che tanto gli ricordava i
Baccanali
festeggiati a casa sull’Olimpo, vedeva l’amore
carnale, incontri sessuali di
pochi attimi che nulla avevano a che fare con l’amore eterno
e puro che gli
avrebbe permesso di tornare a casa.
Trevor aveva ormai perso ogni speranza di
risolvere quel triste dilemma
prima di tornare in America, stava quasi per ammettere ad alta voce,
quasi
fosse stato un alcolizzato, che ormai il suo bicchiere era vuoto, ma
poi, li
sentì, ed un sorriso pieno, quasi maniacale, gli si
stampò sul viso.
Non li conosceva – non conosceva nessuna
delle coppie che negli anni aveva
aiutato ad unirsi, trovarsi- eppure era come se li avesse sempre
conosciuti. E
soprattutto, li comprendeva, forse meglio e più di quanto
conoscevano sé
stessi.
Dimentico del bicchiere
e della
cannuccia, Trevor si sporse verso di loro, cercando di afferrare meglio
la
situazione, nonostante fosse palese ciò che stava
accadendo… palese, e da
morire dal ridere!
“Tu, porco pervertito maniaco che non
sei altro!” La rossa tutto pepe
sbraitò, dando una martellata in
testa all’uomo che era con lei, non appena lui aveva
attentato alle grazie
della bella barista. “Te lo do io il punto di inizio,
vergogna della nazione!”
“Ma… ma…
Kaori…” l’uomo singhiozzò,
mentre era letteralmente piantato nel
muro; Trevor sibilò, quasi avvertendo male per lui:
com’era dura la vita di
certi mortali! “Io volevo solo sincerarmi che la bella Miki
stesse bene, fosse
tornata in forze….”
Kaori non gli diede minimamente retta, senza
badare a cosa lui le stava
dicendo, si sedette al bancone del bar, e “Falcon”,
il nerboruto tuttofare di
quel grazioso posticino chiamato Cat’s Eye, le
servì da bere in una tazza
grande, bianca, senza bisogno che lei chiedesse nulla: era lampante che
si
conoscessero, e che i due strambi tipi erano degli habitué.
Com’era pure lampante che la bella
rossa, Kaori, era gelosa delle
attenzioni dell’uomo verso ogni altro elemento di sesso
femminile, e che lui,
nonostante mostrasse il suo interesse in modo plateale verso le altre,
era lei che guardava, a cui
lanciava sguardi
carichi di amore e dolcezza, languidi sospiri quando credeva che
nessuno gli
prestasse attenzione.
Ma Trevor era la reincarnazione di Eros: vedeva
tutto ciò che riguardava i
cuori innamorati!
“Miki stava benissimo anche prima che tu
cercassi di saltarle addosso,
maiale!” Kaori sibilò a denti stretti.
“Ryo, se mettessi nel lavoro anche solo
un decimo dell’impegno che metti nel correre dietro alle
gonnelle saremmo
ricchi, sai?”
“Bah, come se ultimamente il lavoro ci
mancasse….” Ryo le rispose,
sedendosi accanto a lei al bancone; si accese una sigaretta, accettando
il
liquore che l’energumeno gli versò, e senza essere
visto prese a guardare il
riflesso della bella donna dai capelli ramati nel bicchiere.
Trevor alzò gli occhi al cielo:
scommetteva cento dollari che non le aveva
mai detto di amarla, ripetendosi che per lei era meglio non sapere.
Idiota. Come poteva non notare gli sguardi
sofferenti, il modo in cui lei
stringeva le mani fino a rendere le nocche bianche quando lui
manifestava il
suo ardore verso altre donne?
“Lavori pagati,
Ryo. Sarebbe ora
che iniziassi a riscuotere un po’ di pagamenti da Saeko,
e….” Ryo iniziò a
sbavare alla menzione di Saeko, e Trevor rimase stupito di quanto
idiota
sembrasse con quell’espressione da maiale in calore. Non gli
durò molto, perché
Kaori lo rimise al suo posto. Con un’altra martellata.
L’arnese era apparso
come dal nulla, e Trevor si chiese se quella donna fosse una dea come
lui, o se
fosse una delle migliaia di mezzosangue che popolavano la terra, quasi
tutti
concepiti da Zeus sotto mentite spoglie. “Pagamenti
in
denaro, idiota! Ma come diavolo faceva mio fratello con
te?”
Sorridendo tutto compiaciuto, Trevor decise di
avvinarsi ancora di più;
afferrando il suo bicchiere, si avvicinò al bancone, e
chiese un caffè,
sedendosi accanto alla rossa, un solo sgabello vuoto tra di loro. Ryo,
intanto,
era tornato in piedi, sedeva di nuovo accanto alla bella Kaori, e di
nuovo
fingeva di non guardarla, approfittando della cocciutaggine di lei e
della
bassa tolleranza della barista Miki; l’unico che sembrava
capire qualcosa era
l’omaccione. Cieco, percepiva cose che agli altri sfuggivano,
esattamente come
l’oracolo Tiresia, che da Zeus aveva ricevuto il dono della
veggenza dopo
essere stato privato della vista dalla furia di Era.
“Ma perché diavolo perdo
ancora tempo con te? Avrei decisamente fatto
meglio a rimanermene con Mick, almeno lui apprezza gli sforzi che
faccio, e
soprattutto era intenzionato ad addestrami decentemente, non come
te!” Kaori
sbuffò, mento appoggiato al palmo, parlando quasi tra
sé e sé. Anche
Ryo sbuffò, con grande gioia e
divertimento di Trevor: solo il sentire nominare questo Mick lo faceva
andare
in bestia.
Era geloso anche lui: ma non era pronto ad
ammetterlo.
Da quel poco che aveva ascoltato, gli pareva di
capire che i due si conoscessero
ormai da molto tempo; Claire li avrebbe adorati, dato che lei per prima
era
certa che la base di una sana e dura relazione amorosa fosse una
profonda
amicizia, ed una conoscenza non superficiale. In più, gli
pareva di capire che
non fosse ancora capitato nulla tra di loro, quindi lui aveva ancora
tutto il
tempo per mettesi in mezzo, e accendere lo zampillo che avrebbe causato
un’esplosione di fuochi d’artificio di passione
(sì, certo, l’amore era bello,
ma serviva anche la passione in una relazione, e lo sapeva lui, dato
che erano
stati lui e Psiche, durante un peccaminosissimo incontro, a generare
Voluttà);
l’amore che nutrivano era lampante, eppure se lo negavano,
principalmente
per... cosa, paura?
Sospirò, triste: la paura era una forza
davvero potente, lui stesso si era
a lungo negato l’amore di Psiche perché temeva le
ire della madre Afrodite.
Strinse i pugni, i denti, dicendosi che non era
giusto: quei due
possedevano un amore raro, bellissimo: l’amore eterno, e lo
sprecavano così. Le
loro aure risonavano l’una con l’altra, era come se
si cercassero per
completarsi a vicenda, ma loro sfuggivano a ciò che
provavano. Forse lui in
quel momento non era Eros, ma solo Trevor, era un mortale e non il Dio
dell’amore, ma sentiva di dover fare qualcosa, non solo per
poter riuscire a
riavere la sua vera vita, ma perché…
perché era la cosa giusta da fare.
Chiunque essi fossero, Ryo e Kaori meritavano di amarsi.
Lei era troppo gelosa, temeva troppo un rifiuto
per farsi avanti.
Lui era troppo orgoglioso, troppo testardo per
fare il primo passo.
Di quel passo, sarebbero morti prima di darsi un
bacio.
Doveva fare qualcosa: era il suo compito come dio
dell’amore.
“Ehm. Mi scusi signorina…
sono il professor Trevor Pierce, Storia e Cultura
dei Paesi del Mediterraneo alla New York University…
” Schiarendosi la gola, si
girò verso Kaori per attirare la sua attenzione, e
sorridendole le porse la
mano, galante ad affabile, iniziando a parlare in un perfetto
giapponese che
stupì i presenti, imbellettando un po’ la
verità e rigirandola in modo che gli
facesse comodo. “Spero di non essere troppo…. Come
dire… audace, ma mi
chiedevo se le andasse di farmi compagnia, prendere
un the o un gelato con me e chiacchierare. Sono a Tokyo per lavoro e
non
conosco nessuno, e andare in giro da solo è meno divertente
di quello che
pensavo.”
Kaori arrossì, guardandolo stupita, ma
con un’aria molto dolce: sembrava
quasi che non potesse credere che un uomo desiderasse la sua
compagnia… ma quel
cavernicolo cosa le diceva, per farla essere così sulle sue?
“Oh, beh, ecco, io… non
saprei…” balbettò lei, tenendo gli
occhi bassi,
mentre l’amica Miki stava letteralmente gongolando,
osservando Ryo che
stringeva i denti con forza.
“Ha ragione, mi scusi, sono stato un
villino…villano, chiedo
scusa. Avrei dovuto immaginare che lei fosse
impegnata col signore.” Fece un cenno col capo a Ryo, con un
sorriso falso che
più falso non si poteva stampato in faccia. “Era
logico che una tale bella
donna avesse già un accompagnatore. Errore mio.”
“Io, con una virago mezza uomo come
questa?” Ryo si scandalizzò, alzandosi
in piedi e mettendo tanta più distanza tra lui e Kaori che
poteva, indicandola
da lontano con un’espressione di terrore e rabbia, nemmeno
lei fosse stata
l’Idra di Lerna. “Ma per favore, non scherziamo! Lo
Stallone di Shinjuku ha
gusti migliori! Io voglio solo vere donne, io! Donne belle! Donne
sensuali!
Donne sessuali!”
Kaori non gli lanciò il martello.
Stavolta, gli lanciò contro un pesante
vassoio di Peltro, riccamente
lavorato con motivi che sembravano ricreare un qualche evento della
mitologia
greca (ci cadeva a pennello), colpendolo in pieno volto: quella donna
dalla
forza sovraumana, dalla capacità di chiamare da
un’altra dimensione i suoi
martelli, di lanciare con precisione letale ogni oggetto, doveva per
forza
appartenere ai ranghi dell’Olimpo!
Kaori si voltò verso di lui, occhi
bassi e timida, immaginandosi chissà che
reazione di repulsione o sdegno, o terrore; invece, Trevor stava
sorridendo, addirittura
rideva, ma come se volesse essere suo complice, non per prenderla in
giro.
Kaori arrossì, poi sorrise, schiarendosi la gola per
riprendere un po’ di
controllo: sapeva di aver fatto una pessima figura, davanti a quello
che era
indubbiamente un bell’uomo.
“Oh, lui, no, Ryo ed io non stiamo
insieme, lui è il mio partner. Di
lavoro, intendo. Il mio socio, insomma. Anche se viviamo insieme. Sotto
allo
stesso tetto, non nello stesso letto, voglio dire, eh, eh,
eh…” si morse la
lingua, imbarazzata, quando si rese conto che stava decisamente
straparlando.
Lei e Trevor rimasero in silenzio, ognuno godendosi il proprio
caffè, mentre
l’autoproclamato Dio dell’Amore avvertiva lo
sguardo irrazionale e carico di
ira e gelosia di Ryo su di sé.
“Sto facendo una figuraccia dietro
l’altra, vero?” Kaori gli domandò, con
un sorriso onesto, senza indugi. “Le chiedo scusa, Trevor,
purtroppo in queste
cose non sono mai stata molto brava…”
“Intende dire a… flirtare?” le
sussurrò nell’orecchio, sorridendo, lanciandole
uno sguardo malizioso. “Guardi
che con il suo amico le riesce molto bene. Un po’ violento
come modo di fare,
ma secondo me lui sotto, sotto lo apprezza - a certi uomini il dolore
fa
aumentare il piacere, sa?”
“Ma, ma no, cosa dice!” Kaori
borbottò, arrossendo timida. Trevor si morse
la lingua prima di aggiungere qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire
o
mettere in ulteriore imbarazzo Kaori. La ragazza era davvero innocente:
qualcosa gli diceva che a causa di quel cretino lei era ancora casta e
pura.
Non riusciva a credere quanto Ryo fosse idiota: lei lo amava, lui la
amava, era
chiaro che pure i loro amici lo avevano capito, e invece di trovare
sollazzo
nell’abbraccio dell’unica donna che avrebbe potuto
completarlo e donargli la
pace dei sensi e dell’anima, saltellava allegramente da un
letto all’altro - o
perlomeno, ci provava. “Ha sentito cosa dice, lui non mi vede
come una donna…
insomma, so di non essere una bellona…”
“Kaori…” Trevor
sospirò, mettendole una mano sulle sue, che poggiavano sul
bancone. “Spero non ti offenderai, ma dopo la vostra, ehm,
entrata, non ho
potuto fare a meno di guardarvi, e ho notato che Ryo, quando crede che
nessuno
lo stia osservando, si concentra totalmente su di te, con quella che
oserei
definire un’espressione da pesce lesso, per distogliere lo
sguardo quando ha il
minimo sentore che tu lo voglia guardare in faccia.”
“Ma, ma no, cosa dice, è
impossibile.” Kaori provò a dire, nonostante nella
sua voce ci fosse una certa tristezza di fondo, quasi ormai la giovane
donna
fosse disillusa, e Trevor si domandò chi volesse convincere,
continuando a
negare imperterrita l’evidenza: lui,
se
stessa… o il resto del mondo? “Cioè,
lui un paio di volte ha accennato che… ma
non mi ha mai detto chiaro e tondo… non ha mai fatto
nulla… voglio dire, noi
non siamo una coppia, davvero, insomma, Ryo non mi ama in quel
modo.”
“Mia dolce Kaori, io non ci
giurerei…” Di nuovo Trevor le si
avvicinò;
Kaori sentì il respiro caldo dell’uomo sul collo,
ma differentemente dalle
volte che era capitato con Ryo- poche, rare, ma se le ricordava tutte-
la cosa
non la elettrizzava, non le faceva scorrere brividi per tutto il corpo
partendo
dal ventre.
Guardando fisso negli occhi Ryo, che stava in
piedi contro il muro dove era
stato sbattuto, occhi neri carichi di odio e fuoco che lo fissavano,
letali
come quelli del focoso amante della madre, Ares,
Trevor lasciò un delicato bacio sulla
guancia di Kaori, facendola sussultare per l’imbarazzo: da
dove si trovava, Ryo
avrebbe pensato che l’avesse baciata per davvero, sulle
labbra, rubandogli ciò
che sentiva essere suo di diritto nonostante fosse troppo codardo da
afferrarlo
e viverlo.
“È stato un piacere, Kaori.
Spero che le nostre strade possano nuovamente
incrociarsi in futuro.”
Le diede un
altro leggero bacio, stavolta facendo in modo che fosse lampante che
aveva
sfiorato la delicata guancia, poi si alzò in piedi e
lasciò il locale:
raggiunse Ryo, che, all’aperto, si era acceso
l’ennesima sigaretta, e gli si
avvicinò. “Posso?”
Scrollando le spalle, Ryo gli diede una delle sue
sigarette, e gliela accese,
e Trevor, come un consumato poeta maledetto francese, prese a fumare,
godendosi
la sensazione tattile della sigaretta che si consumava tra le dita, la
vista
del fumo che saliva verso le nubi, ed il profumo ed il sapore della
nicotina
che gli scorreva in naso, bocca e gola. “Dottor Trevor
Pierce, salve. Mi
chiamano anche il Dottor Eros.”
Ryo lo squadrò dal basso verso
l’alto e viceversa, sollevando un
sopracciglio, facendo finta di non notare la mano che gli veniva
offerta da
stringere. “Lo Stallone di Shinjuku non ha bisogno di un
sessuologo, me la cavo
benissimo tra le lenzuola.”
“Uhm, no, io sono professore di storia e
mitologia, veramente. Mi chiamano
Dottor Eros perché risolvo le questione di cuore. Sono
un… accidenti, come si
dice match-maker in giapponese?” fece schioccare le dita,
cercando la parola,
sentendo che era sulla punta della lingua. “Sensale! Sono una
specie di
sensale. Capisco quando tra due persone potrebbe esserci chimica e
faccio in
modo di farle incontrare, se non si conoscono ancora, e se si conoscono
cerco
di fare aprire loro gli occhi.”
Il sopracciglio di Ryo raggiunse praticamente
l’attaccatura dei suoi
capelli.
“Hai capito che sto parlando di voi due,
vero?” Trevor gli domandò, come se
stesse parlando di qualcosa di ovvio. Quando Ryo rimase impassibile, e
nemmeno
gli rispose, l’americano sbuffò. Gettata a terra
la sigaretta, si voltò verso
Ryo, leggermente furibondo. “Senti, io non so
perché fai lo stronzo con quella
povera ragazza che venera il terreno su cui tu cammini, ma sul serio,
quando si
è così fortunati da trovare la propria anima
gemella, la si deve afferrare, non
spingerla il più lontano possibile. Non tutti sono
così fortunati da avere
l’amore, sai?”
“Sembri esperto in
materia…” Ryo sbuffò, volgendo lo
sguardo altrove,
tirando alla sigaretta.
“Lascia che ti racconti la storia di un
brillante e stimato professore, che
amava una collega in modo travolgente, e viveva nel terrore che lei un
giorno
decidesse che lui non era abbastanza. Ma la vuoi sapere una cosa? Lei credeva di non essere abbastanza.
Sua sorella, gelosa, innamorata dello stesso uomo, le
raccontò un mucchio di
bugie, le disse che quell’uomo era un mostro, che era crudele
e perverso, e la
professoressa, col cuore spezzato, ingoiò una bottiglia di
barbiturici, e morì,
lasciando il professore solo, che per la sofferenza e la delusione si
ritrovò
solo e finì a fare il barista nel Queens.”
“Quindi sei un barista vedovo e non un
professore?” Ryo gli domandò; Trevor
sbuffò a denti stretti: la storia non aveva funzionato.
Quella storia- il suo
primo incontro con la mortale nel cui corpo veniva ospitata la sua
amata Psiche
– aveva perfino smosso Claire, l’umana successiva
che aveva accolto nelle
proprie vestigia mortali la dea.
“Domanda: ma sei un coglione per aver
afferrato solo quello da tutto il mio
discorso?”
“Guarda che la tiritera
dell’amore da vivere perché lo si può
perdere da un
momento all’altro l’ho capita perfino
io!” Ryo scoppiò a ridere, gettando la
testa all’indietro. Gettata la sigaretta a terra, la spinse
col piede, e poi si
voltò verso Trevor, mani in tasca. “Senti, amico,
mi spiace per te, ma tu ed io
siamo decisamente diversi. Kaori sta molto meglio lontano da uno come
me.”
“Ah. Ed è tenendola come
socia, a vivere sotto allo stesso tetto, a
portartela dietro ovunque che pensi di tenerla lontano
da te?” Trevor gli domandò, fissandolo
con sguardo
interrogativo che in realtà sembrava ribadire la sua idea
che Ryo fosse, usando
la sua stessa parola, un coglione.
“Sì, effettivamente
è, come dire…” Ryo arrossì
lievemente, e rese a
grattarsi il collo, leggermente impacciato: Trevor represse a malapena
un
sorriso, divertito da quell’uomo adulto che, nelle questioni
di cuore, sembrava
comportarsi come un ragazzino. Anche il modo in cui corteggiava le
donne sotto
agli occhi di Kaori sembrava essere un modo per richiamare
l’attenzione di lei
su di sé.
“Un po’ irrazionale?
Sì, lo avevo notato.” Trevor fece scioccare la
lingua
contro il palato, ed emise una leggera risata. “Ma
l’amore è così. Non conosce
ragioni. Per questo finiamo spesso per innamoraci dell’ultima
persona che
sembrerebbe fatta per noi. Eppure, quella
persona è l’unica con cui alla fine
potrebbe davvero funzionare.”
Ryo si grattò il collo, senza
rispondere o aggiungere nulla; con gli occhi
rivolti nel locale, dove Kaori stava parlando con Miki, lo sweeper si
chiese
quanto di ciò che il curioso ometto gli avesse detto
corrispondesse al vero.
Nel locale, Kaori sorrise a Miki, e poi si voltò verso di
lui, raggiante ma al
contempo curiosa, e nello sguardo aveva una luce bellissima, la stessa
che lui
aveva visto negli occhi color nocciola quando, nella radura, le aveva
detto di
amarla.
Non gli importava più nulla, nemmeno
Trevor: l’unica cosa che contasse era
essere di nuovo al fianco della sua Kaori.
Sollevando un braccio a mo’ di saluto,
Ryo rientrò nel locale, e col
sorriso sulle labbra si diresse verso Kaori. In piedi, mani nelle
tasche dei
pantaloni, si chinò su di lei, sussurrandole qualcosa
nell’orecchio, e Kaori
arrossì. Il sorriso di Ryo si fece più raggiante,
vero, felice, e le fece cenno
di sì col capo. Gli occhi di Kaori presero a brillare per le
lacrime che si
rifiutava di piangere in pubblico- lacrime di gioia, Trevor
immaginò- e si
limitò ad abbassare lo sguardo, sfiorando con la mano la
striscia di pelle
lasciata scoperta dalla giacca di Ryo. Poi si alzò in piedi,
ed entrambi
salutarono la coppia di baristi, e solo una volta usciti, Kaori prese,
finalmente, il braccio che Ryo le offriva.
Trevor li guardò da lontano,
sospirando.
Niente baci o grandi dichiarazione, ma sussurri e
sguardi, quasi quei due
non avessero avuto bisogno di parole per comunicare. Eppure, sentiva
che le
cose erano finalmente cambiate per loro: forse agli occhi del mondo
sarebbero
stati ancora per un po’ Ryo e Kaori, eppure era certo che
ormai fossero
divenuti una cosa sola, e che presto o tardi avrebbero finalmente
consumato il
loro amore, magari appena tornati nella loro casa.
Eh sì, la sua adorabile bambina,
Voluttà, stava decisamente per fare loro
una visita!
Scuotendo lieve il capo, fece per tornare alla
libreria dove c’era Claire.
Dopotutto, ce l’aveva fatta: aveva unito cento coppie, e
forse Zeus l’avrebbe
premiato, permettendo a lui e alla sua amata di tornare
nell’Olimpo. Ma anche
se così non fosse stato, per lui sarebbe andato bene lo
stesso. Claire e
Trevor, Eros e Psiche, a lui non faceva nessuna differenza. Dopotutto,
a lui
bastava l’amore!