Anime & Manga > BeyBlade
Segui la storia  |       
Autore: Chocolate_senpai    18/04/2021    0 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 17

 

Nel laboratorio era calato il silenzio. Emily era rimasta con il tablet a mezz’aria, Hilary si copriva la bocca con la mano. Kai lanciava fiamme dagli occhi, e Yuriy avrebbe potuto uccidere con uno sguardo.

 

Boris, Ivan e Michael erano tornati poco prima di Rick e Garland. Senza por tempo in mezzo avevano spiegato la situazione, con parole scarne e lapidarie: qualcuno aveva fatto fuori Torres.

Non avevano fatto in tempo a preoccuparsi di capire come fosse successo, e soprattutto perchè, che Ming Ming aveva ricevuto la chiamata di Garland. Si era allontanata dalla sala, per tornarci un attimo dopo seria in viso. Con gli occhi assottigliati e la voce piatta, aveva annunciato che erano ufficialmente in pericolo.

Kenny stava quasi per svenire, ma Max lo sorresse.

Cinque minuti dopo Garland e Rick erano tornati. Avevano parcheggiato con una sgommata, si erano richiusi le porte del laboratorio a doppia mandata dietro di loro e si erano fiondati dagli altri blader. Sembravano usciti da un campo di battaglia. Rick aveva la camicia completamente aperta e la giacca dispersa chissà dove, e dall'elegante coda dI cavallo di Garland sfuggivano la metà delle ciocche grigie. Senza mezzi termini avevano raccontato la serata. In due parole avevano descritto l’incontro con quello che doveva essere Torres, soffermandosi sull’infarto che gli aveva procurato l’orrenda sorpresa di trovarsi davanti Vladimir Vorkov.

Sergej si era alzato di scatto dalla sedia. Boris aveva preso direttamente a pugni il muro, mentre Ivan cercava di non imitarlo, trattenendo a stento gli insulti nella sua madrelingua. Yuriy era letteralmente esploso in copiose bestemmie, mettendosi a litigare con Kai, come se lui ci potesse fare qualcosa.

Nessuno aveva avuto il coraggio di fermarlo. Sembrava completamente indemoniato.

Si era risolto tutto solo quando, con la voce ormai rauca, il capitano dei Neo Borg aveva lasciato la comitiva a passi svelti, seguito da Kai, che ancora aveva fiato da vendere.

Sergej si sedette di nuovo. Gettò il capo all’indietro, cercando di controllarsi.

Non va bene. No, non va bene per niente.

Garland si tolse la giacca, gettandola in un angolo.

- Mi dispiace. Ci ha presi totalmente alla sprovvista –

- Non avreste potuto fare molto –

- Già ... –

Hilary si sedette; le gambe stavano minacciando di farla cadere.

- M-morto ... quell’uomo è ... –

- E noi faremo la stessa fine se non ce ne andiamo –

Mao saettò gli occhi su Ivan, stringendoli fino a farne due fessure.

- Potresti evitare certi commenti macabri –

- Se volevate stare tranquille potevate starvene nella vostra casa delle bambole –

La cinesina gonfiò le guance. Ivan non la guardava nemmeno, perso in chissà quali pensieri, in chissà che tipo di brutti ricordi a giudicare dalla ruga che gli percorreva la fronte. Emetteva sentenze acide senza bisogno di pensare, in automatico.

Hilary stava a capo chino a stringersi i lembi della felpa fucsia con le mani. Emily si era messa dietro al pc a cercare chissà cosa, Max e Kenny semplicemente non provarono nemmeno a formulare una frase. Il silenzio regnava sovrano, tra chi non sapeva cosa dire e cominciava a sentirsi fuori posto, chi non parlava per non sembrare scontato, e chi di parole ne avrebbe avute troppe, tutte molto brutte.

In quell’ovattata sensazione di disagio, vibravano nell’aria parole di una lingua a molti incomprensibile pronunciate con cattiveria dal capitano dei Neo Borg, dall’altra parte del corridoio. Risposte di fuoco alle altrettanto focose imprecazioni di Kai.

Un Mon Dieu si perse nel silenzio. Mao annuì, in tacito accordo con il francese.

- Sì, davvero –

- Come ha fatto? Io ... non capisco -

Emily scartabellò al computer, battendo con forza le piccole dita pallide sui tasti – Questa è una presa in giro bella e buona –

- In che senso Emy?-

- è morto un uomo, e nessuno si è accorto che Vorkov lo ha sostituito? Siamo seri? Dai, ok che siamo in America, ok che chiunque può girare armato, ok che quell’uomo ha amici potenti ... ma in un gala, pieno di persone, nessuno si fa delle domande?-

Ivan esplose in una brevissima risata. Sergej lo fulminò con un’occhiata, ma ormai l’amico era partito per la tangente. Il ragazzo rivolse all’americana uno sguardo di falso stupore. 

- Cavolo, non lo avrei mai detto. Non avrei mai pensato che degli schifosissimi ricconi potessero difendere qualcuno solo perchè gli fa comodo. Davvero, com’è possibile fare qualcosa solo per i soldi? Mio dio, che scandalo –

Le dita di Emily fremettero sui tasti.

- Non intendevo questo ... –

- No? E allora cosa intendevi?-

- Io ... –

- Te lo dico io cosa – La interruppe bruscamente – Intendevi che tutto questo non è giusto. No? Non è questo che volevi dire? Che non è logico. Bene, mia cara dottoressa, forse non lo hai notato ma questa non è una fiaba di principesse, dove alla fine vivono tutti felici e contenti –

Emily era congelata dietro al pc, abbastanza incredula. Avevano accolto quei ragazzi, si erano offerti di aiutarli ... cavolo, lei aveva persino speso le ultime giornate a studiare Falborg per cavarci qualche cosa, non aveva capito nemmeno lei cosa. E ora in pratica la si accusava di vivere nel mondo magico dei mini pony?

La sua geniale mente stava elaborando una risposta che avesse il giusto connubio di razionalità e acido, ma Mao fu più rapida. Ancora piccata per i commenti che il russo le aveva rivolto in aereo, si allontanò da Hilary per fronteggiare il ragazzo.

- Ora mi hai davvero stancata –

Ivan non si scompose nemmeno. La guardò con aria di sfida, la stessa con cui, ormai tanti anni prima, aveva guardato volare fuori dal campo i bey della squadra americana al torneo di beneficenza.

Davanti a quegli occhi velenosi, Mao non perse l’indole combattiva – Stiamo rischiando grosso per voi, perché vogliamo aiutarvi, perchè vi riteniamo amici. Potete smetterla di trattarci come degli imbecilli?-

- Nessuno vi ha chiesto niente. E mi sembra che vi abbiamo già ringraziato –

Emily decise che quello era il momento buono per inserirsi nella discussione.

- Che bisogno c’è di essere così arrogante, me lo vuoi spiegare? Mi sembra che abbiamo già abbastanza problemi, non c’è bisogno di crearne altri –

- Non credo di aver chiesto la tua opinione –

- Il problema è che non chiedi quella di nessuno, e di conseguenza sbagli –

Per un attimo Ivan fece saettare sull’americana gli occhi, infiammati di un accenno di collera e un pizzico, ma anche due, di orgoglio ferito. Emily non si lasciò intimidire; non troppo almeno.

- Non credi che anche noi, poveri mortali, ormai ci siamo abbastanza dentro a questa storia? E che magari, dico magari, se riusciremo a fare passi avanti sarà anche grazie alle nostre capacità? Anche grazie a me che, così per dire, ho un computer davanti da quando sono nata?-

- Non mi frega nulla della tua vita, quando sono nato io davanti ho avuto cose molto peggiori –

- Non è una gara a chi è stato meno fortunato, voglio solo dire che questi litigi sono stupidi! Siamo qui per aiutarvi!-

- Quando saprai impugnare un’arma e sparare dritto tra gli occhi di un uomo potrai esserci davvero utile -

- Ivan –

Il vocione di Sergej risuonò tra le pareti, paralizzando il compagno di squadra. Non era più il tono diplomatico, amichevole, quello che il biondo aveva cercato di sfoderare anche nelle occasioni peggiori per mantenere la calma. Era una voce profonda, severa, accompagnata da un paio di occhi piccoli e freddi che penetrarono quelli cremisi di Ivan in una richiesta, piuttosto esplicita, di darsi una calmata.

Il più piccolo alzò le spalle, come a volersene fregare, ma non disse più nulla. Si alzò e se ne andò a grandi passi, più che intenzionato a non vedere nessuno degli ospiti di quel laboratorio almeno fino alla mattina dopo.

Il volto indurito di Sergej si rilassò; le spalle si abbassarono e un lungo sospiro gli fuoriuscì dalle labbra.

Le parole di Ivan erano state taglienti come una lama, più di quello che Emily si aspettava. Un sonoro schiaffo, che le fece ricordare una cosa che ogni tanto il suo cervello metteva da parte: il rischio della vita. Si ricordava quel che avevano raccontato i giapponesi. Al dojo erano arrivati uomini armati, avevano sparato a Mao, e per poco non lo facevano anche con Rei. E, prima ancora, non avevano esitato a ferire Kai in casa sua.

- Scusateci – Sergej si passò due dita sugli occhi – Siete stati molto gentili a volerci aiutare, ma credo sia stata una pessima idea –

- No!-

Gli occhi dei presenti, fino a quel momento rimasti a fissare ovunque tranne che il centro della stanza, si alzarono tutti su Hilary. Lei si accorse di essersi lasciata scappare il commento troppo presto, e con troppa enfasi, arrossendo fino alle orecchie. Le piaceva essere al centro dell’attenzione; adorava sentirsi la paladina della giustizia, il braccio su cui fare affidamento per aggrapparsi, la mano da afferrare nel momento del bisogno. Ma di tutta quella storia ne capiva poco. Troppo poco. E questo la faceva sentire continuamente fuori posto, come una gazzella in uno stagno di coccodrilli. Come se lei fosse la gabbianella e chiunque altro il gatto; ma il gatto non era Zorba, e la storia finiva molto prima che l’uccello imparasse a prendere il volo.

Poi però la giapponesina tirò su la testa, che stava per scomparire fra le spalle, puntando sull’enorme ragazzo russo i suoi determinati occhi nocciola. Non era più una bambina. E se davvero non voleva apparire come un peso, tanto valeva darsi da fare. Poi non si era mai fatta problemi a dire quello che pensava. Non avrebbe certo cominciato ora.

- Io sono ... sono contenta di essere qui. No. Sono fiera di esserci, di non aver ... abbandonato qualcuno nel momento del bisogno, soprattutto se si tratta di amici –

Si alzò, asciugandosi un occhio ancora umido con il polsino della felpa. Ne aveva abbastanza di lacrime. E sapeva, era sicura, che avrebbero continuato a scendere, che avrebbe pianto ancora. Ma per quel giorno poteva bastare.

- Mi dispiace solo vedere che non riuscite a fidarvi, ma vi capisco. Cioè, con quello che avete passato ... è ovvio, credo. Ma ... ma adesso, ormai siamo tutti qui, e abbiamo bisogno di stare uniti. Come dieci anni fa, sempre contro quel Vorkov –

Sergej sostenne il suo sguardo con severità, quel tipo di severità adulta, ma non cattiva. Quella con cui gli adulti si guardano mentre discutono delle loro idee, mettendosi davvero ad ascoltare le opinioni l’uno dell’altro. Era la severità maturata con il tempo, e Hilary fu felice di essere presa sul serio in quel modo, senza lo sguardo carico di pietà di chi in lei vedeva una ragazzina cresciuta tra gli abbracci della mamma.

Si sentì grande. E il pensiero le diede la spinta per raddrizzare meglio le spalle, e non distogliere lo sguardo.

Sergej le rispose a tono, senza nasconderle niente – Non dovevamo raccontarvi questa storia. È stato per quello che ci siete caduti in mezzo. Non ero d’accordo con Yuriy quando è voluto andare al dojo a tutti i costi per chiamare Andrew. Ma lui è il capitano, e sa quello che fa –

- Ma ormai siamo qui!- Hilary prese a gesticolare, sostenuta dai cenni del capo di Emily e Mao – Non si torna indietro. A questo punto, tanto vale darci più sostegno possibile –

- E come?-

Hilary restò interdetta. Non si aspettava una domanda del genere, e non poteva certo rispondere con un gli amici si aiutano a vicenda, molto alla Takao. Belle parole, ma che di pratico non avevano nulla. Invece Sergej, che non aveva sbattuto un momento le palpebre davanti al bel monologo della giapponesina, sembrava tacitamente chiedere proprio questo: un piano. Uno che non fosse quello di Yuriy, che avrebbe preso a morsi chiunque giunti a quel punto, sbattendosene della discrezione. Un piano che avrebbe limitato le perdite e li avrebbe tenuti tutti in vita. Un piano molto convincente, perchè a lui la determinazione della ragazza poteva aver fatto buona impressione, ma, ne era sicuro, i suo compagni di squadra sarebbero stati inamovibili.

Fu la grinta vestita di rosa e dagli occhi d’oro che si fece avanti.

- Chi era Rosemary?-

Il primo fremito della serata trapassò gli occhi del russo. Mao continuò, sicura che la sua via d’azione fosse la più giusta.

- è cominciato tutto per lei, giusto? E adesso ... dai, lo hanno visto tutti, da quando è ... beh ... morta ... la situazione è peggiorata. Non penso di sbagliare se dico che siete tutti più ... non lo so –

- Acidi?- Azzardò Emily.

- Scorbutici – Precisò Olivier, che solo in quel momento decise di poter tornare a parlare senza rischiare la vita.

- Comunque – Mao riprese il filo del discorso – Quello che voglio dire è che non possiamo capirvi se voi non vi spiegate. Come facciamo a starvi dietro? –

- Rosemary non c’entra più nulla ormai – Sergej fu lapidario. Si alzò di scatto, come se tutta quella faccenda lo avesse improvvisamente messo a disagio – Il discorso è chiuso –

Se ne andò, attento a non incrociare gli occhi con nessuno, più che fermo nella sua convinzione che per la loro causa non sarebbe servito soddisfare la curiosità di quei volenterosi ragazzi. Quando si fu allontanato, Olivier tirò un sospiro. La tensione lo stava per soffocare, quasi quanto il sonno.

- Impenetrabili come una colata di cemento armato. Sto cominciando a pensare che quel russo abbia ragione: aiutarli è stata una pessima idea –

- Non sono qui per aiutarli, ma per vederci chiaro – Garland liberò i capelli dall’elastico, sotto gli occhi estasiati di Mao nel veder svolazzare quei bellissimi fili argentati – è tardi ora, e ci dormiremo su. Ma, considerando quello che è successo stasera, non credo che potremo rimanere in questo posto ancora a lungo –

- Pensi – Emily deglutì; sapeva dove l’altro stava andando a parare – Pensi che Vorkov verrà a cercarci?-

- Dopo che hanno smascherato la sua complice ha cominciato a sfoderare le armi pesanti. E adesso è addirittura uscito allo scoperto. Sì Emily, io penso proprio che non si farà più nessuno scrupolo per portare a termine quello che ha cominciato. Evidentemente ha visto che con le buone non ha cavato nulla, e ora ... è pronto con le cattive –

............................

 

- Dovevamo muoverci prima, senza aspettare la maledetta festa!-

- Yuriy, mi dici come cazzo facevamo a prevedere che avrebbero fatto fuori Torres?-

- Ma chissene frega! Dovevamo farlo di principio! Non aspettare i vostri piani da damerini in giacca e cravatta solo perché sono una virgola più legali di andare a spaccare la faccia di qualcuno a pugni!-

- Certo, oh, certamente! Infrangiamo trecento leggi, e magari facciamoci sbattere in galera, perchè tanto cercare di dare nell’occhio meno possibile è da damerini!-

- Lo vedi che non capisci un cazzo?!-

- No, sei tu che non ci arrivi! Ci sei dentro da tutta la vita, stupido coglione che non sei altro, e non hai ancora capito che questo è quello che vuole Vorkov! Questo! Vedervi disperati, aspettare che facciate una mossa falsa! –

- Non ti permettere di dire queste cazzate, sai meglio di noi tutto quello che abbiamo fatto per farlo sparire! Per quanto tempo ci siamo dovuti nascondere!-

- E allora, mi dici perchè cazzo adesso non sei più capace di farlo?!-

- Perché lei è morta!-

Ormai era più di un’ora che per i corridoi le loro voci risuonavano come un coro di soprani, acute e taglienti. Ma, mentre la gola di Yuriy era graffiata di ira e odio, in quella di Kai tintinnava ancora una goccia di limpida razionalità.

Lei è morta

È questo quello che voleva sentirsi dire. E, adesso che erano arrivati, al prezzo delle loro corde vocali, al nocciolo della questione, lo avrebbero risolto. Che Yuriy lo avesse voluto o meno. Non come era successo giorni prima alla villa, quando il discorso si era perso per strada e loro due, mezzi ubriachi, erano andati a far parlare la rabbia attraverso i beyblade.

Kai poggiò la schiena alla parete della stanza, senza ricordare come ci erano arrivati a urlarsi in faccia nella camera da letto. Fronteggiò il suo ex capitano con uno sguardo di fuoco, uno di quelli che gli riuscivano benissimo dietro gli occhi limpidi e le sopracciglia corrugate, con quei segni blu che dalle guance urlavano guerra.

- Continua –

Yuriy era come una tempesta. Non potevi far nulla per fermarla, se non lasciarla sfogare, aspettare che scaricasse tutto quello che aveva. Una volta che partiva, bastava solo aspettare.

Il russo ansimava impercettibilmente, con gli occhi così carichi di rabbia che rischiavano di esplodere.

- Continua? Mi sai dire solo questo? Continua?-

Kai stette al suo posto, resistendo alla tentazione di riprendere ad urlargli in faccia – Cosa dovrei dirti?-

- Che ti dispiace! Brutto pezzo di merda, ecco cosa dovresti dirmi! Che avevo ragione, che dovevamo muoverci prima!-

- Questo non l’avrebbe riportata in vita –

- Non parlare di lei come se non te ne fregasse un cazzo! Lo vuoi capire che Vorkov l’ha uccisa? Che è stato lui, con le sue orrende mani, a portarsela via?! Lo hai capito che non tornerà?!-

- E allora? Vuoi che mi senta in colpa? Come state facendo voi da dieci anni?-

Kai non riuscì a trattenere la sfuriata, e Yuriy incassò il colpo.

- L’avete allotanata, perchè la vostra vita era troppo pericolosa per lei. Non avete mai pensato che potreste averla ferita?-

- Lei non avrebbe mai capito. Lo sai come era fatta!-

- E l’avreste dovuto sapere anche voi! È inutile avere i rimpianti adesso -

- Tu non capisci Kai –

- Forse, ma non lo avete fatto nemmeno voi. Non siete mai stati capaci a fare i padri di famiglia, potevate farne a meno con lei –

- Volevamo solo proteggerla!-

- Da cosa? Da voi? Da Vorkov? Beh, non ci siete riusciti mi sembra-

Fu un lampo. Yuriy colmò la distanza tra lui e Kai con un passo, inchiodandolo alla parete. Era a una frazione di un pelo dal tirargli un pugno che gli facesse ingoiare tutti i denti, e magari anche la lingua, con le pupille ridotte a due fessure e uno sguardo feroce in volto.

- Tu non sai niente di noi – Il sibilo arrivò alle orecchie del giapponese, tagliente e sottile – Non sai cosa le era successo al monastero, non sai da cosa cercavamo di tenerla lontana. L’hai sempre e solo vista come una bambina, che piangeva e si lamentava –

Prese fiato per un secondo. Kai attese. Quello era il momento di farlo sbollire, di lasciar scatenare la tempesta.

- Vorkov l’ha trattata come un gioco, ci si è divertito per anni, come se fosse un passatempo vederla stare male. L’ha picchiata, violentata, e ci ha fatto guardare mentre cercava di ridurla in polvere. Siamo stati costretti a farle del male, ma lei non ci ha mai abbandonati. Non ha smesso di ridere, non ha smesso di piangere. Era lì per noi, c’è sempre stata – Ormai la gola non aveva più la spinta per urlare, e la voce graffiava come carta vetrata su una parete – Ma non potevamo farle rivivere un incubo. Lasciarla fuori dai nostri progetti non è stata una scelta, era l’unica via. Non è stato indolore, non siamo stati contenti di farlo, è solo che ... non potevamo fare altro . Appena fosse stato possibile, appena Vorkov fosse sparito dalle nostre maledettissime vite ... saremmo tornati da lei –

Yuriy si allontanò di un paio di passi, lasciando che il respiro si spezzasse, lasciando che i polmoni lo facessero ansimare per raccogliere abbastanza aria. Gli occhi cattivi si riempirono di odio, e la ferita che portava nel cuore divenne quasi visibile dall’esterno.

- Mai lui torna ... torna, in continuazione. Rosemary era l’ultima luce, quella per cui sapevamo che ne valeva la pena di rischiare tutto pur di buttare quell’uomo giù dal suo trono. Era l’ultimo ricordo davvero bello di quel monastero dimenticato da dio. L’ultimo. E come una stupida ha voluto fare tutto da sola, e si è accorta solo alla fine che non ce l’avrebbe fatta. Era una bambina, un’infantilissima ingenua. Era ... era tutto quello che noi non siamo stati –

Si lasciò cadere sul letto di peso, guardando Kai con occhi sempre meno taglienti, mentre la voce diventava bassa, lenta, e la rabbia scompariva. Un velo lucido appena accennato gli appannò lo sguardo, ma sparì subito.

- Le volevo bene. Tanto. Tu non hai idea di quanto gliene abbia voluto. E se Ivan in questi giorni è intrattabile, è per lo stesso motivo. Se Boris si sfoga prendendo tutto a pugni, è per non darli in faccia a qualcuno. Lo stesso vale per Sergej, che preferisce semplicemente stare zitto –

Si passò una mano fra i capelli, lasciando le dita bianche giocare a nascondino tra le ciocche rosso fuoco.

- Voglio solo vederlo morto. Voglio davvero, come non l’ho mai voluto prima d’ora, puntargli una pistola in fronte e premere il grilletto –

A quel punto fu silenzio. Tutta l’ira accumulata fino a quel momento si spense senza fare rumore, come la neve che cade sull’asfalto. Yuriy rimase sul letto, Kai, con le braccia incrociate, appoggiato alla parete. Gli sguardi di fuoco e d’acciaio si erano spenti, lasciando il posto alla quiete scompigliata e stanca che accompagna le tempeste.

- Daichi aveva ragione. Un branco è più forte di un lupo solo. E lo sai anche tu. Ora non venire a farmi la morale da vecchio eremita, non venire a dirmi che sono tutti qui per intralciarti e che avresti sistemato tutto da solo, perché sarebbe una bugia. E tu non sei un bugiardo –

- Non starai per farmi uno dei discorsi da migliori amici, vero Kai? – Yuriy si passò una mano sul viso, tirando dietro tutto i ciuffi rossi che, nella foga della discussione, gli erano caduti sulla fronte. Si permise un breve, tirato sorriso. Il primo dell serata – Da te non lo accetto –

- Non lo accetteresti da nessuno –

- Touchè-

- Io voglio che tu capisca una cosa, Yuriy –

- Che siamo tutti grandi amici e ci vogliamo bene?-

- No, zuccone. Che ci siamo in mezzo tutti. Tu, io, Garland, Takao, Emily, Daichi ... tutti. E non è perchè ci divertiamo all’idea di farci ammazzare. E adesso ... – Si sedette accanto al russo, tenendo le braccia incrociate al petto – non potrete fare più nulla per Rosemary. Nessuno di noi può. Ma – Anticipò Yuriy, zittendolo prima che potesse ricominciare ad inveire – Possiamo combattere, e vincere. E farci giustizia da noi, visto che nessuno lo farà al posto nostro. E questo significa che dobbiamo stare attenti, perchè abbiamo il mondo intero contro –

Si alzò, pronto all’uscita di scena dopo quasi due ore di discussione da malati mentali, per tornare alla calma surreale della notte. Immaginava già lo sguardo impensierito che Takao gli avrebbe sfoderato la mattina dopo, quando lui, e chi come lui dormiva già prima del ritorno di Garland e Rick, sarebbe venuto a conoscenza degli ultimi avvenimenti. Anche se Kai sperava già di affibbiare a Kenny il compito di riassumerli all’amico.

- E smettila di sentirti solo¸ come se non sapessi che hai una squadra pronta a seguirti ovunque. Smettila di sentirti responsabile di tutto. Te l’ho già detto, no? Fidati. O almeno, provaci. Ti potremmo sorprendere –

.............................

 

- E quella?-

La mattina era arrivata presto, troppo presto per chi di loro aveva dormito solo poche, tormentate ore. Michael reggeva in mano un bicchiere straripante di caffè americano, mentre il dito indicava scettico una valigia enorme materializzatasi in camera di Emily. La ragazza fuoriuscì dal piccolo armadio con due maglie per mano.

- Garland ha detto chiaro e tondo che, quasi certamente, Vorkov verrà a cercarci qui. Non ho intenzione di lasciargli i miei vestiti –

- Ti stai preparando alla fuga?-

- E che devo fare? Sarà meglio essere pronti, prima di prenderlo in quel posto –

Michael sghignazzò. Vedere la dottoressa Watson arrabbiata di prima mattina, con i capelli arruffati e gli occhiali storti sul naso, era un privilegio concesso a pochi.

- Non sono d’accordo –

- Con chi?-

- Con Garland. Quell’uomo non può venire qui e fare il bello e il cattivo tempo così, senza conseguenze –

Emily puntò contro di lui lo sguardo più allibito possibile - Michael, ieri sera era a una festa. Davanti a tutti. libero di saltellarsene in giro. Dopo aver probabilmente fatto uccidere una persona –

- E allora? Pensi che possa venire qui, cominciare a sparare e far finta di nulla? Questo è un laboratorio del PPB! Non c’è una torma di ricconi a difenderlo –

- Ma ... ci siamo solo noi! Dimmi, di grazia, come faremo a fermarlo?-

- Se manda dei sicari chiameremo la polizia! ...  Non starai diventando un pelo paranoica?-

La ragazza fermò il suo andirivieni tra l’armadio e le valigie solo per guardare sconfortata il capitano, raggiante con la sua tazza di caffè e la sua innata sicurezza nelle proprie capacità. Si sedette sul letto, gettando al vento maglioni, pigiami e camici da laboratorio.

- Non lo so – Concluse – Non lo so. Ma non resterò qui a scoprirlo. Sai cos’è? Lo sai? … è che Ivan aveva ragione – Le costò uno sforzo immenso dirlo – Noi non ci rendiamo conto di quello che succede. Cavolo ... quando Judy ci ha detto che Max e gli altri erano in pericolo non immaginavo certo un macello del genere –

- Hai trovato qualcosa dentro Falborg?- Michael cambiò argomento, giusto per alleggerire l’atmosfera. Emily scosse il capo.

- Nothing but a bitbeast. Se ci hanno nascosto qualcosa, lo hanno fatto molto, molto bene. Sai Michael, sarà per una questione di orgoglio, ma ormai devo, voglio sapere cosa c’è sotto. Sarà che forse solo noi riusciremo ad aiutarli ... beh, noi, i nostri laboratori, la nostra tecnologia ... –

- Questi mi sembrano discorsi da mammina –

- Non è vero!- Emily saettò su di lui uno sguardo di ripicca, che lo fece sorridere – è che ... bah, mettila come ti pare – Fece per rialzarsi e tornare alle valigie, ma Michael la afferrò per un braccio, facendola ricadere sul letto. Il tempo di lasciare a terra il bicchiere vuoto, e le fu sopra. Emily nascose l’imbarazzo dietro un sorriso furbo, fingendo una sicurezza che non aveva.

- Non è il momento, caro il mio capitano – Gli mise una mano sulla spalla, tenendolo a distanza – Siamo in piena crisi qui, e la porta è aperta –

Michael alzò un sopracciglio, senza smettere di sorridere – E allora? Le crisi si risolvono ... – Appoggiò il peso su un mano, mentre l’altra andava alla ricerca delle ciocche ramate di Emy - ... e le porte si chiudono –

- Sì, beh, ma ti dovrai alzare per chiuderla, perché io non ho la forza del pensiero –

- E se poi tu fuggi?-

- Ah, non garantisco che starò qui ad aspettarti –

L’americano si abbassò su di lei, nonostante la distanza che Emily cercava di mantenere. Il sorriso sul suo volto era sempre più largo. La voce divenne un soffio, e la ragazza lo sentì scivolare fino al collo, rabbrividendo.

- Non credo di voler correre il rischio –

Una parte di lei stava davvero, davvero per cedere alla tentazione, mentre il suo cervello urlava Emily Watson, hai altro da fare. Ma Venere quella mattina dormiva ancora, e la Dea Bendata si era girata dall’altra parte; nessuna divinità si frappose fra i due piccioncini, lo sbocciare del loro amore e il trotterellare di una cascata di boccoli celesti che fece capolino dalla porta, aperta.

- Emy, hai mica vistoooocazzo – Ming Ming si fermò di sasso sullo stipite, riempiendosi gli occhi del capitano degli All Starz a cavallo della sua compagna di squadra. Emily divenne del colore della mela di Biancaneve, rossa come mai una ragazza era diventata. Michael sfoderò un sorriso gigante.

- Ehm, ti dispiacerebbe, beh ... chiudere la porta?-

Gli occhi di Ming si illuminarono. Quelli di Emy si fecero grandi, enormi. Con uno scatto di cui non si credeva capace l’americana sgusciò giù dal letto, lontana dalle amorevoli braccia di Michael. In un lampo raggiunse l’amica, spingendola fuori dalla stanza, gridando qualcosa a proposito dell’essere in ritardo per la colazione.

 

 

- Da chi? E chi è Ralph?-

- Dai, il nostro compagno di squadra! Quello sempre arrabbiato!-

- Gianni!-

Olivier tirò una gomitata all’amico – Non ascoltatelo, non è sempre arrabbiato-

L’italiano tornò a sorseggiare, con malcelato disgusto, l’unico caffè che girava per quel laboratorio.

- Beh, però lo sembra –

- Lo avrai visto un paio di volte Daichi, ma è un tipo affidabile – Takao si batté il petto in segno di garanzia – Te lo dico io. Però ... non volevate evitare di tirarlo in mezzo?-

- Se sarà necessario lo faremo. Garland dice che non potremmo nasconderci qui molto a lungo – Concluse l’italiano, in tono cospiratorio.

Max si pulì le labbra dai residui di latte, dopo aver svuotato nell’enorme tazza una scatola intera di cereali al miele.

- Non è un po’ drastica come soluzione? Siamo appena arrivati, come sanno che siamo qui? Poi pensate davvero che verrà a prenderci di prepotenza, scatenando il caos in un laboratorio del PPB? Io credo che siamo abbastanza protetti –

- Già, ma adesso che facciamo? L’unico appiglio che avevamo è passato a miglior vita –

La sentenza di Gianni rese tutti pensierosi.

Già.

E adesso?

Max si illuminò.

- Wait a moment! Ma Boris e Ivan non avevano trovato qualcosa a casa del banchiere? Una specie di scatola ... non ho visto cosa c’era dentro –

Il tonfo di un oggetto metallico e rettangolare appoggiato sul tavolo in mezzo a loro li fece trasalire. Per lo spavento, Olivier lanciò per aria il bicchiere di caffè, che finì sulla generosa porzione di uova strapazzate di Daichi. Lui non se ne curò, continuando a mangiare.

Davanti a loro si era materializzato Kai che, con la faccia di chi aveva dormito due minuti in una notte intera, aveva palesato l’oggetto di cui stavano tutti parlando.

- Questo – Annunciò laconico – Questo è il qualcosa che hanno trovato a casa di Torres –

Poi si sedette al tavolo, passandosi una mano sugli occhi. Takao lo squadrò come si fa con i malati terminali.

- Hai una faccia, amico ... –

- Credo di non aver dormito un cazzo –

- Vuoi del caffè?-

Kai declinò l’offerta. Ne aveva fin sopra i capelli di quella brodaglia marroncina.

Un istante dopo nella sala comune, o quella che era stata ribattezzata come tale da Max e Kenny in un impeto di riscoperto amore per Harry Potter, fecero la loro comparsa Ivan e Boris, entrambi chini su un plico di fogli.

- Bonjour-

Boris rispose con un cenno della mano, senza alzare la testa dalla documentazione. Lasciò tacitamente a Ivan il compito di dare spiegazioni.

- Questo – E fece svolazzare le pagine intarsiate di caratteri neri – Era lì dentro – Concluse, indicando l’oggetto che Kai aveva barbaramente abbandonato sul tavolo – quello è una specie di disco fisso in miniatura –

- E ci hai trovato quei documenti?-

- Rick ha stampato tutto quello che c’era –

- E ... – Takao azzardò la domanda, pur sapendo che, molto probabilmente, di risposte ancora non ce n’erano - ... Cosa sarebbero?-

Ivan alzò le spalle. Lui e Boris guardavano il foglio come se fosse inciso di geroglifici. Olivier si unì a loro. Indicò un paio di parole, aprì la bocca, poi la richiuse. Stavano penetrando la carta con gli occhi, se avessero avuto dei laser ne avrebbero fatto la scansione. Ma nessuno riusciva a cavarci nulla. Ivan ci aveva già rinunciato; aveva squadrato quell’insieme di lettere e numeri una decina di volte prima di decidersi a stamparlo, e sottoporlo all’altrui giudizio.

Era snervante.

Olivier sbatté le palpebre un paio di volte, come per accertarsi che i suoi occhi non lo stessero prendendo in giro.

- Vi prego, ditemi che non è essenziale per risolvere i nostri problemi –

- Credo – Cominciò Ivan – E badate bene che è solo una mia supposizione, ma credo che qua dentro ci siano nascoste le coordinate del fantomatico arsenale –

Boris alzò un sopracciglio, senza staccare gli occhi dal foglio.

- Seriamente? Mi stai dicendo che ci serve per forza?-

Ivan annuì, alzando e abbassando il capo lentamente.

Due vocette acute, una più allarmata dell’altra, si fecero strada dal corridoio, distogliendo l’attenzione generale dal problema dei fogli. Ming Ming zompettò in sala, trotterellando a due metri dal suolo, mentre Emily la rincorreva con occhi di fuoco e guance altrettanto arrossate.

- Ti giuro Ming, se esce qualcosa dalla tua bocca ... –

- Tesoro, te l’ho detto, no? Sarò una tomba –

Mimando un bacio verso l’americana, la ragazza dai boccoli azzurri si versò un’abbondante dose di caffè.

- Comunque non ci vedo nulla di male –

- MA non dirai una parola. Ok?-

- Ma sì, ma sì!-

- Io ... –

Emily si fermò con il bricco del caffè in mano. Si accorse solo in quel momento del silenzio che si era creato al loro passaggio. Tutti gli occhi erano puntati su di loro.

- Abbiamo ... interrotto qualcosa? –

Gianni alzò le spalle - Solo una questione di vita o di morte, nulla di cui preoccuparsi –

- Watson –

Ivan richiamò l’americana, lasciando a Boris il compito di capirci qualcosa dai fogli che avevano davanti. Si avvicinò a lei a passo di marcia, guardandola fissa negli occhi con una determinazione degna di nota. Le si parò davanti, inchiodandola al buffet della colazione a reggere la caraffa. Per un istante Emily fu tentata di cercare una via di fuga; sembrava quasi che stesse per farle una dichiarazione di guerra.

Invece Ivan chiuse gli occhi, fece un bel respiro, prese il coraggio a due mani e:

- Scusami. Mi sono comportato come un idiota ieri sera. E questo non è un buon momento per essere stupidi – 

L’americana non ne fu sicura, ma giurò a se stessa di aver notato che lo sguardo del ragazzo si abbassava sempre di più verso il pavimento, impercettibilmente. Quasi come se fosse ... in imbarazzo.

- Tutto quello che abbiamo trovato da Torres ... beh, non si risolverà da solo. Ci dai una mano?-

Emily per poco non lasciò cadere la caraffa. L’ultima frase voleva suonare come un ordine nella testa di Ivan, ma l’intonazione vocale si inclinò inesorabilmente verso la richiesta. Persino Daichi, che fino a un secondo prima era immerso nelle sue uova insaporite al caffè, aveva teso incredulo le orecchie. Gli occhi di Max per poco non diventarono a forma di cuore.

L’americano si alzò di scatto, e questa volta fu il turno di Kai di sobbalzare.

- Che bello! È così che si ragiona!-

Ivan si sarebbe voluto sotterrare. Non è che quella mattina avesse più voglia di socializzare del solito. Era solo che per tutta la notte lo aveva tormentato un pensiero fisso, un chiodo che lo martellava. Si era svegliato più volte, rigirandosi nel letto fino allo sfinimento, finché non si era deciso ad alzarsi. Aveva camminato per la struttura, si era fatto una camomilla, era tornato in camera e, guardandosi allo specchio, non aveva notato nulla di diverso dal solito.

Eppure c’era qualcosa che non andava.

C’è che sei diventato un’idiota

Se lo era detto da solo. Anni passati a socializzare con colleghi inopportuni e clienti insopportabili, a fingere interesse nelle riunioni troppo lunghe, a imparare a comportarsi come una persona qualsiasi ... si erano volatilizzati. In pochi giorni era tornato il solito Ivan, quello del monastero, quello acido e scorbutico, sempre con un sorriso cattivo sulle labbra e un insulto sulla punta della lingua. Ma quell’Ivan era anche efficiente, rapido, era quello dei lavori puliti che non lasciavano traccia. Quello di cui ci si fidava sempre.

E, guardandosi in quel terrificante specchio illuminato da un accecante e bianchissimo led, si era reso conto che non gli dispiaceva poi così tanto aver imparato a stare tra le persone senza essere considerato una macchina assassina. Ma anche che gli piaceva che gli altri facessero affidamento su di lui. Perché lui era bravo a risolvere i problemi.

E non voleva tornare a essere il ragazzo glaciale, che rispondeva agli ordini come un animale da circo.

Non era altrettanto bravo a chiedere scusa, e di psicologia umana ne capiva poca. Ma lavorare per anni, circondato da petulanti colleghi, gli era comunque servito a qualcosa.

- Fra venti minuti, in laboratorio –

Emily avrebbe voluto essere seria, stoica; non ci riuscì. Gli angoli delle labbra non accennavano a scendere. Era una scena comica ed epica allo stesso tempo, vedere quel ragazzo scendere dal suo trono di commenti acidi e colmare, nel giro di pochi minuti, tutta la distanza che aveva messo tra se stesso e il mondo intero.

- Non fare tardi – Aggiunse, porgendogli un bicchiere di caffè.

Ivan non ci pensò due volte. Lo prese e lo alzò verso di lei, come segno di assenso.


 

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > BeyBlade / Vai alla pagina dell'autore: Chocolate_senpai