Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: lavendelblauw    18/04/2021    1 recensioni
Il taxi procedeva adagio lungo strade che cominciavo ormai a dimenticare. La plumbea città mi riaccoglieva col suo strano, inusuale silenzio. D’un tratto il telefono irruppe tra i miei pensieri “Ho letto solo adesso, sono appena atterrato” diceva. Sentivo l’incertezza crescere, ma in quell’annebbiamento mi ci avvolgevo, come in una coperta. Calda, sicura incertezza.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il taxi procedeva adagio lungo strade che cominciavo ormai a dimenticare. La plumbea città mi riaccoglieva col suo strano, inusuale silenzio. D’un tratto il telefono irruppe tra i miei pensieri “Ho letto solo adesso, sono appena atterrato” diceva. Sentivo l’incertezza crescere, ma in quell’annebbiamento mi ci avvolgevo, come in una coperta. Calda, sicura incertezza. 

Giunta al mio appartamento infilai la chiave nella serratura, mentre la piccola Torre Eiffel ciondolava lentamente. Comprai quel portachiavi a Parigi, tre anni prima, ripromettendomi di utilizzarlo quando avrei avuto una casa mia. Tante cose sono cambiate da quel giorno in cui passeggiando spensierata per le vie di Parigi con Marco e José, mi fermai in quel piccolo negozio di souvenir, comprando un tipico basco parigino e il portachiavi con la piccola Torre Eiffel. Sono certa che non si sarebbe mai aspettata di trovarsi attaccata ad un mazzo di chiavi di una casa in affitto a Milano, meno di tre anni dopo. Ne avevo fatti dodici di traslochi dal momento in cui comprai il portachiavi: ma nessuna stanza, nessuna casa in nessuna delle città in cui avevo vissuto aveva fino ad allora meritato la piccola Torre Eiffel. Neppure la casa in cui ero andata a vivere col mio ex poco tempo prima. Forse un po’ me l’aspettavo che non sarebbe durata. E invece la casa in cui vivevo ora, benché non propriamente mia, l’avevo anelata, desiderata e sognata un pezzetto per volta, ad ogni trasloco. Avevo immaginato le ampie vetrate permettere al sole di inondare la stanza con i suoi caldi raggi di luce, avevo immaginato le piante che avrebbero adornato l’ingresso, le librerie di legno colme dei miei amati libri di letteratura, i pensili della cucina con i miei piatti e le mie posate, quel balcone da cui poter ammirare il tramonto. Avevo immaginato per anni ogni dettaglio di quella casa che avrebbe meritato il portachiavi con la piccola Torre Eiffel. Ed era come se d’un tratto si fosse palesata apposta per me, al momento giusto.

L’indomani ci saremmo rivisti. Lo conoscevo da circa un paio d’anni, avevamo alcuni amici in comune. Dapprima ci sentivamo ogni tanto, per ridere, come buoni vecchi amici. Poi a poco a poco la frequenza e l’intensità dei nostri messaggi aumentò. A lungo non potemmo vederci. Più il tempo passava più il desiderio di vederci ci tormentava. E così, appena ci fu consentito farlo, decidemmo di tornare. Ma il virus non era l’unico ostacolo da superare. Della nostra non-relazione un po’ ambigua ci raccontavamo che “in fondo non è di persona. La realtà è un’altra”. Ma in consapevole contraddizione decidemmo di vederci lo stesso.

Eravamo teneramente impacciati nei nostri cappotti, con le sciarpe, le mascherine e gli occhiali appannati. Indossavo una maglia di cashmere rossa, una minigonna di lana, delicate calze nere con piccoli cuoricini e stivali fino al ginocchio. Lui invece non ricordo più con precisione cosa indossasse ma anche la sua maglia era di cashmere: ricordo benissimo il nostro primo abbraccio. Sentivo il calore del suo corpo, la compattezza dei suoi muscoli, il profumo della sua pelle: fu molto intenso, soprattutto proibito. Eravamo totalmente a nostro agio: insieme riuscivamo a dimenticare l’assurdità che il mondo stava vivendo.

Salimmo su un tram affollato. Lui mi guardò negli occhi accarezzandomi la schiena. In quell’istante un magnetismo fulminante si impadronì di noi, senza chiederci il permesso. Era un collegamento diretto tra le nostre anime, tangibile e persistente. E i nostri occhi, sorpresi e impauriti si specchiavano gli uni negli altri, alla ricerca di una risposta che nessuno avrebbe dato. Era come se non esistessimo altro che noi due. Ma eravamo in un tram, c’erano altre persone, facevamo fatica a rimanere in piedi. Avevamo voglia di baciarci ma non potevamo. Quel magnetismo lacerante ci attraeva l’un l’altra con una forza dirompente. Scendemmo dal tram, mano nella mano, frastornati e confusi. Nessuno dei due voleva far del male a qualcuno. Trovarci da soli a pochi centimetri di distanza cancellò tuttavia di colpo tutti i nostri buoni propositi. Ricordo che eravamo abbracciati.  E d’un tratto, con estrema delicatezza, avvicinò il suo volto al mio e mi baciò.

Quell’ultima settimana in zona gialla fu un piccolo angolo di paradiso. Ci vedemmo tutti i giorni nascondendoci nei vicoletti come due giovani amanti d’altri tempi. Non c’era un modo per non far soffrire nessuno. Andò infine a parlare con la sua ragazza. Mi mandò un messaggio con poche, semplici parole “Mi sono reso conto che la amo ancora”. 

Rimasi per un po’ a guardare quelle singole piccole lettere, lontane, fredde, decisive. 

Aprii adagio la porta d’ingresso che fa sempre un po’ fatica e la chiusi con due mandate, stringendo tra le dita la piccola Torre Eiffel.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: lavendelblauw