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Autore: F_Brekker    20/04/2021    3 recensioni
Dopo aver terminato Il regno corrotto, avevo assolutamente bisogno di far continuare la storia fra Kaz e Inej. La narrazione è ambientata a partire da un periodo ipotetico in cui Inej torna dalla sua prima avventura in mare, a caccia di schiavisti. Lei e Kaz si ritrovano a fare i conti con il desiderio e le difficoltà che hanno sempre caratterizzato il loro rapporto.
Ho cercato di mantenere il più possibile i personaggi fedeli a quelli descritti dalla Bardugo, spero che non troverete grandi dissonanze fra quelli che conoscete e quelli di cui sto scrivendo.
Buona lettura :)
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Kaz Brekker
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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E così Inej ci era riuscita, a tirare fuori quel briciolo di umanità che lui era convinto di aver perso per sempre. Aveva teso la mano a Kaz Rietveld, un bambino di nove anni sepolto dai cadaveri e morto di peste, e quel fantasma aveva risposto alla sua stretta, emergendo dall’acqua putrida e stringendosi a lei con tutte le sue forze. Ce l’aveva fatta, quel maledetto Spettro, a fare breccia nelle parti più profonde del bastardo del Barile. E la cosa peggiore era che questo lo faceva stare bene, dannatamente bene. Si ritrovò a chiedersi se avrebbe ugualmente insistito con Per Haskell per l’acquisto del suo contratto, se allora avesse saputo che quella ragazza gli avrebbe accartocciato l’anima, e fatto mettere in discussione le fondamenta del suo essere. Manisporche non avrebbe fatto quell’errore, ma il Kaz che era diventato benediceva ogni giorno il coraggio che aveva avuto Inej nel pronunciare quelle parole, io ti posso aiutare. Gli veniva la pelle d’oca a pensarci. 

E poi, cosa gli aveva detto lei? Che il pensiero di lui era l’unica cosa immobile e rumorosa della sua vita. Trattenne un sorriso, pensando che probabilmente lui era un pensiero immobile e rumoroso per tutto il Barile. Ma ovviamente, per lei era una questione diversa, lo conosceva in un modo che lui stesso faticava a capire. Ogni tocco delle sue dita, ogni scambio di baci, la sentiva sfiorare le sue parti più vulnerabili, accarezzarle come se fossero qualcosa che poteva essere amato. E lui voleva essere amato da lei, con ogni fibra del suo corpo. 

Proprio per questo, voleva regalarle un ricordo da portare con sé, per quando la sua nave da guerra sarebbe salpata portandola in terre lontane da Ketterdam, lontane da lui. Una parte del suo cervello insisteva nel dirgli che stava per fare un’idiozia, e l’altra parte pure, ma era emozionato come un ragazzino. La stessa eccitazione di quanto la notte, sul suo letto, si esercitava per ripetere i trucchi da prestigiatore che lo affascinavano tanto. Anche se doveva ammettere che stava per fare qualcosa di gran lunga più complesso di un trucco di magia.

— Guarda chi si vede! — esclamò Jesper, non appena lo vide sulla soglia. — Vorrei chiederti qual buon vento di porta qui, ma ti conosco abbastanza da sapere che nessun buon vento ti porta da nessuna buona parte —. I suoi occhi verdi scintillavano di entusiasmo. Sperò vivamente che non lo abbracciasse.

— Ciao, Jes. Lo sai, che decido io quale direzione far prendere al vento —. 

— Wy, attacca col flauto la famosa canzone “Il vento mi porta galoppando da te, mia bellissima Inej”. E’ la preferita di Kaz —. Wylan scosse la testa con aria divertita e poi tornò ad immergersi in scartoffie ricoperte di numeri. 

— Piantala — disse seccamente Kaz. 

— Dai, Kaz, un po’ di allegria! — lo incoraggiò Jesper. — E dal momento che sei qui, dimmi, chi devo centrare con le mie bambine? Stanno facendo la polvere e non vorrei che si abituassero —.  Così dicendo estrasse le pistole dal fodero e se le fece roteare velocemente fra le dita. 

— Nessuno, in realtà. Sono qui per un consiglio —. L’ultimo parola gli bruciò sulla lingua come se fosse velenosa. 

Jesper si immobilizzò con la bocca spalancata, e persino Wylan si affrettò a distogliere l’attenzione dai suoi fogli e a puntarla su di lui.

— Ho sentito quel che credo di aver sentito? — domandò Jesper non appena si riprese dallo shock.

— Hai sentito quel che credi di aver sentito — ammise Kaz. Dopodiché, non ci fu un solo muscolo di Jesper che rimase fermo al suo posto, e lo vide guizzare in mille direzioni farfugliando parole come “colpo grosso”, “braccio destro” e poi “le kruge sono sempre kruge”. 

— Nulla di tutto questo, Jes. Ma ti assicuro, non è meno importante — lo rassicurò. Dopotutto, gli dispiaceva vedere la sua espressione raggiante sgonfiarsi come un palloncino.

Jesper esitò un attimo, e poi si illuminò. — Sei qui per Inej? —.

— Esattamente — rispose Kaz, che cominciava seriamente a rimpiangere ciò che stava facendo. 

— Cos’hai in mente? — gli chiese l’amico, sedendosi su una sedia e appoggiando il viso sui palmi delle mani. Gli luccicavano gli occhi. 

Kaz era davvero in difficoltà. Si sforzò di pensare che non sarebbe stato molto diverso dal  progettare un colpo, con lucidità e astuzia.

— Qualcosa di bello — disse infine. 

Jesper in risposta fece un lungo fischio. — Lo Spettro ha fatto un ottimo lavoro con te — commentò.

— Tipo una cena? — s’intromise Wylan, facendo tirare un sospiro di sollievo a Kaz.

— Tipo una cena, sì —.

— Allora lasciatelo dire, amico, quei capelli hanno bisogno di una sistemata —. Ma perché il mondo intero ce l’aveva con i suoi capelli? Si passò d’istinto le mani ai lati della testa, e annuì in direzione di Jesper. Quella sera doveva essere tutto perfetto, anche il suo taglio di capelli. 

— Poi? — chiese.

— Poi cosa? — 

— Cosa diavolo si fa ad una cena con la propria ragazza? —. Nessuno rise, e fu loro riconoscente. Lo capivano più di quanto credesse.

— Si portano dei fiori? — provò Jesper. Si immaginò porgere un mazzo di rose a Inej, e scacciò via rapidamente quell’immagine. Si sarebbe sentito un’idiota. Scossa la testa in segno di diniego.

— Cioccolatini? —. 

Scosse nuovamente la testa. Manisporche con dei cioccolatini, ma per piacere. 

— Regalale un pugnale, Kaz — propose Wylan, che ormai aveva definitivamente abbandonato l’idea di riprendere i suoi calcoli.

— E’ una buona idea, ma gliene ho già regalato uno. Il suo primo pugnale — rispose.

— Sankt Petyr? — chiese Jesper. Annuì in risposta. 

— Quanto tempo è passato? Anni? — chiese Wylan.

— Sì, perché? —.

— Allora, io credo... — iniziò, alzando timidamente lo sguardo verso di lui — che potresti regalargliene un altro, diverso. Uno che racconti chi siete diventati —.

Quelle parole aleggiarono nell’aria, facendo sprofondare tutti nel silenzio. Era un’ottima idea, ma esattamente, chi erano diventati, lui e Inej? 

Wy, penso che tu ti sia appena guadagnato un bacio! — esclamò Jesper, e così dicendo si diresse verso di lui, stampandogli un bacio sulle labbra nonostante le sue proteste. 

— Penso si possa fare. Grazie, Wylan —. 

— Di nulla. E invece, per la cena, sai già dove andare? — gli chiese.

Kaz finse di riflettere per un attimo poi scosse la testa. — No —. Manisporche non aveva mai avuto bisogno di viziarsi in ristoranti di lusso, quelle erano le abitudini dei polli che spennava.

— Che ne dici di questo splendido posto? —. Jesper accompagnò la sua domanda con un ampio gesto delle braccia, sotto lo sguardo in cagnesco del suo ragazzo. 

— Non credo che Wylan mi sia così debitore da farmi un favore del genere, Jes —. Le guance del figlio di Van Eck si erano fatte color porpora.

— Eddai, mercantuccio! — insisteva Jesper — Dì ai cuochi di preparare una cena coi fiocchi, e di sparire non appena sia stato tutto servito! Io e te andiamo a farci qualche partita a Tre Uomo Mora e poi piangiamo le kruge perse sui cuscini dorati di un sontuoso albergo. Pensi di poter davvero resistere a questa proposta? —. 

Kaz non seppe dire con certezza cosa convinse Wylan, ma sospettava che avesse a che fare con l’occhiata che gli lanciò Jesper.

— Spiegherò alla servitù cosa fare — disse annuendo Wylan — ma per favore, Kaz, non combinare guai — lo implorò.

— Hai la mia parola — gli assicurò Kaz, e vide il figlio di Van Eck sbiancare in risposta al suo sorriso. 

Fece un cenno di saluto, e poi si calcò il cappello sulla testa. Si diresse a grandi passi verso la porta: aveva un’arma da procurarsi per il suo amato Spettro. 

 

Inej aveva avuto una giornata lunga. I preparativi per la partenza anticipata le rubavano tempo ed energie, che avrebbe volentieri speso in altro modo. Ma gli schiavisti non si fermavano da soli e aveva una causa da perseguire: i compromessi facevano parte del gioco. Un sorriso le increspò le labbra pensando alle lettere che avrebbe scritto a Kaz durante il suo viaggio verso Ravka, ma soprattutto a quelle che avrebbe ricevuto da lui. Sarebbe stato pragmatico anche in quel caso, o avrebbe lasciato scorrere le parole più fluidamente, vergandole sulla carta? Lo avrebbe scoperto, ma prudentemente sceglieva di tenere basse le aspettative. Gli spiragli nel cuore di Kaz erano difficili da aprire e si rimarginavano con una rapidità sorprendente. 

Non vedeva l’ora di tuffarsi in un bagno caldo a casa di Jesper e Wylan, e di mettere sotto i denti qualcosa di buono. Erano passate molte ore dal suo ultimo pasto. Si calò giù per una grondaia e dopo un paio di minuti si trovò davanti alla porta d’ingresso.

Compagni marinai, stappate le bottiglie! Questa notte le sirene cantano per noi, compagni marinai! — cantò a squarciagola Inej entrando, aspettando che Jesper intonasse in risposta la parte successiva. Silenzio. Si arrestò di colpo, quella casa non era mai così silenziosa, e nemmeno così buia. C’era qualcosa di strano nell’aria, e restò in allerta.

Lo sfrigolio di un fiammifero nel buio illuminò il sorriso obliquo di Kaz, che senza alzare lo sguardo accendeva alcune lunghe candele disposte ordinatamente sulla tavola. Per tutti i Santi. 

— Sento di poter dire che né la compagnia di Jesper né quella dei marinai ti facciano bene, Spettro —. La sua voce rauca si fece spazio fra loro, e in qualche modo le ricordò il profumo dei gerani selvatici che amava sua madre. Le ricordò casa. Kaz Brekker era casa. 

— Perché, la tua sì? — ribatté lei, avvicinandosi curiosa alla tavola imbandita. C’erano tutti i suoi piatti preferiti, nessuno escluso. Cosa stava succedendo? Avevano confuso la data del suo compleanno? Si sentì improvvisamente in imbarazzo.

— Me lo dirai alla fine di questa serata, Inej —. Benedì la semioscurità della sala da pranzo che le nascondeva il rossore sulle guance, anche se non escludeva che Kaz potesse percepirlo nell’aria. 

Si impegnò per mantenere la voce ferma. — Cosa si festeggia? —. 

Kaz si schiarì la gola. — Noi due —. 

Si appoggiò ad una sedia per non cadere. O uno di loro due si era tracannato una bottiglia intera di whisky, o cominciava ad avere delle allucinazioni. Perché chiaramente quella non poteva essere la realtà. Le ci volle un attimo per riprendersi, e poi alzò lo sguardo verso Kaz, che la scrutava attentamente. Era vestito di tutto punto, la giacca gli cadeva perfettamente sulle spalle, e sotto di essa la camicia stirata aderiva al suo corpo tradendone la struttura muscolosa. Intorno al collo aveva annodata una cravatta bianca, il nodo fermato da un gioiello notevole. Persino i suoi capelli erano più ordinati del solito. Faceva sul serio. Gli occhi color caffè amaro erano in attesa di una sua risposta, ma quando lei aprì bocca non fu in grado di dire nient’altro che — Posso farmi un bagno, prima? —. 

— Ma certo — le rispose lui. — Ti aspetto qui —. 

A quelle parole Inej volò al piano di sopra, doveva fare in fretta, di certo non voleva farlo aspettare troppo, correndo il rischio che lui rinsavisse e se la desse a gambe. Entrata in camera notò subito che qualcuno aveva appoggiato sul suo letto un elegante abito nero, di seta. Maledetta seta. Prese il biglietto che vi si trovava sopra. “Nemmeno il sacro bastone di Kaz saprà resisterti” c’era scritto, con una calligrafia nervosa, e in un angolo si leggeva la firma “Jes (e Wylan)”. Le sfuggì una risatina. 

Si passò la stoffa del vestito tra le mani, facendosi venire i brividi, e sentì gli incubi riaffiorare in superficie. Scosse la testa nel tentativo di scacciare via quelle immagini. A occhio e croce, era della misura giusta. Aveva un taglio semplice, senza fronzoli, anche se la scollatura era certamente più generosa di qualsiasi cosa avesse mai indossato. Jesper e Wylan si erano persino occupati di procurarle delle scarpe da abbinare al vestito. Anche in questo caso, per fortuna, nulla di troppo sfarzoso, avevano un po’ di tacco ma nel complesso erano piuttosto sobrie. Prese tutto e andò in bagno, dove trovò già pronta persino la vasca da bagno. Mise una mano nell’acqua e sentì che era ancora calda, si spogliò di tutti i vestiti che indossava e ci si fiondò dentro. Si era dimenticata di chiudere la porta a chiave, ma ad essere sincera forse non era stato un errore accidentale. Da quando era diventata così sfacciata? Decise che dopo tutto quello che aveva passato e che avrebbe passato, non era un peccato così grave desiderare Kaz Brekker, e non se ne sarebbe fatta una colpa. 

Prese una saponetta e cominciò a strofinarsela con vigore sul corpo, l’obiettivo era profumare almeno la metà di quanto profumava lui. Si interruppe quando sentì battere due colpi alla porta, le sfuggì un sorriso. Kaz era davvero cambiato.

— E’ aperto —. A quelle parole sentì girare il pomello e vide Kaz entrare con un’espressione imbarazzata che cercava di dissimulare guardandosi in giro. 

— Poteva essere chiunque — disse lui, mentre si avvicinava cautamente alla vasca. Inej alzò gli occhi al cielo. 

— Non ci crederai mai, ma hai un passo piuttosto inconfondibile —. Lui grugnì in risposta, e poi le sventolò sotto al naso il bigliettino di Jesper.

— E questo? — le chiese. Inej gli indicò il vestito che aveva appoggiato ad uno sgabello nell’angolo del bagno. Kaz lo prese con attenzione, studiandone la forma, e ne toccò il tessuto con le mani nude. 

— Credo che tenere Jesper lontano dalle bische lo stia facendo diventare più saggio — sentenziò, e poi, rivolgendosi a lei, aggiunse — Ma non devi farlo per forza —. 

— Ci proverò, Kaz — gli rispose, reggendo il suo sguardo indagatore. Poi lo vide frugare su uno scaffale, ed estrarre un asciugamano sufficientemente grande da avvolgerla completamente. Sprofondò ancora di più nell’acqua. Chi era quel ragazzo e cosa ne aveva fatto di Kaz Brekker? Poi lui avvicinò alla vasca lo sgabello su cui prima erano appoggiati i vestiti, e ci si sedette sopra, con gli occhi che indugiavano su di lei. Aveva la stessa espressione sul viso di quando fiutava un buon affare. 

— Sei dannatamente bella, Inej — le disse. A lei ronzavano le orecchie.

— Cosa? — le sfuggì, incredula. Non si sarebbe mai aspettata che Kaz nella sua vita le facesse un complimento simile.

— Mi hai sentito —. Quelle parole la fecero tornare alla realtà. Era proprio Kaz, e non si era sbagliata su ciò che le aveva detto. 

— Sì, ti ho sentito. E ora voglio un bacio —. Lui a quelle parole si immobilizzò, gli vide serrare la mascella. Inej attese.

— A stare con me hai preso la brutta abitudine di dare ordini — commentò lui, e dal cambiamento della sua espressione sul volto, Inej capì che stava per ricevere quel bacio.

— Kaz, amore del mio cuore, potresti, per favo... — le labbra di Kaz si posarono delicatamente sulle sue, e la baciò piano, sfiorandola leggermente per poi ritrarsi, una, due, tre volte. Una lenta agonia. Si issò per rubargli un bacio più deciso, che lui le restituì con piacere. Sentiva il suo sorriso sfiorarle il viso, e le sue mani appoggiarsi sui suoi fianchi per poi risalire sulle lievi curve del suo corpo, esitando infine sui suoi seni. Avrebbe desiderato restare lì per sempre, col respiro affannato di Manisporche sulla sua pelle, e i loro cuori che martellavano all’unisono.

Poi si accorse che Kaz si era portato una mano alla gola, e capì. Si scostò dalle sue labbra, e vide un’ombra attraversargli gli occhi.

— Mi dispiace — le disse, con un soffio di voce. Gli posò una mano sotto al mento per costringerlo a guardarla.

— Raccontami, Kaz Rietveld. Cos’è successo a Jordie? —. Lo vide deglutire, l’eccitazione scomparsa dal suo viso. Non c’era posto per nient’altro che non fosse dolore. 

— Perché ora? — le chiese. 

— Perché non c’è mai un momento giusto, per queste cose —. 

Lui si protese in avanti e infilò una ciocca di capelli ribelle dietro al suo orecchio. — Allora preparati, perché ti racconterò come sono morto —. 

— Sono pronta, lo sono sempre stata — gli disse lei, prendendogli le mani, e cercando di abbracciarlo, in qualche modo, col suo sguardo.

   
 
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