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Autore: Doralice    22/04/2021    2 recensioni
Ispirata a un sogno che ho fatto stanotte, ecco una SamBucky in tre parti, post episodio 2 di TFATWS.
Estratto dal primo capitolo:
“Può essere che in quel sogno tu e Sam aveste obiettivi diversi?” suggerisce lei.
“Può essere.” concede.
“E qual era il suo obiettivo?”
“Vedere l’animale.” risponde subito, con il solito senso di efficienza che prova quando è focalizzato su una missione.
“E qual era l’obiettivo di Sam?”
Bucky ripensa al sogno. Al modo in cui Sam tiene in spalla il bambino, come lo guarda, come gli parla, come scherza con lui anche mentre lo mette giù perché è stanco di portarne il peso.
“Il bambino.” risponde, la consapevolezza che lentamente si fa strada dentro di lui, “Il suo obiettivo era il bambino.”
“Dunque Sam teneva letteralmente sulle spalle il proprio pesante obiettivo, che in teoria era anche il suo. Mentre lei era defocalizzato.” riassume la dottoressa, implacabile.
“Beh, messa così…”
“Messa così…” lei riprende le sue parole, “Cosa pensa del modo in cui Sam alla fine ha risolto la vostra diatriba?”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Sam Wilson/Falcon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The Cat

 

* * *

 

Il gatto spunta fuori circa un mese dopo che si sono trasferiti al cottage. Guarda caso proprio nel momento in cui hanno finito il grosso dei lavori e finalmente hanno preso una cucina dove poter preparare del cibo vero.

È vecchia, di quelle che vanno con la bombola del gas, ma quella ha il rigattiere del paese quando vanno a cercare dei mobili a buon mercato, e quella si fanno andare bene. Funziona, che è la sola cosa importante. Finalmente possono mettere da parte le scatolette di fagioli e il fornelletto da campo.

Loro cucinano e il gatto appare magicamente. Ogni volta che lo vede, Sam snocciola una serie di nomignoli poco carini. Lui è più un tipo da cani, i gatti non gli ispirano fiducia, e quello lì non fa eccezione. Può essere bello quanto vuole, con quel manto candido e gli occhioni blu, ma resta comunque uno scroccone che appare solo al momento dei pasti e scappa via subito dopo.

Bucky reagisce in maniera… diversa.

Sam all’inizio non capisce proprio come sia possibile, ma le cose stanno così: il gatto appare e Bucky si instupidisce. Gli offre cibo, lo richiama con i versi più ridicoli, lo osserva da lontano con sguardo adorante.

Bucky osserva il gatto e Sam osserva Bucky e non se ne capacita.

“Non verrà mai a farti le fusa. È un randagio, vuole solo mangiare.”

Bucky gli lancia un’occhiata letale e riprende il suo corteggiamento serrato, fatto di bocconcini succulenti e moine surrate. Sam sente lo stesso fastidio che prova quando lo vede flirtare con Sarah e non sa spiegarsi bene cosa sia, ma certamente non può dirgli di smettere di flirtare col gatto. Così se ne sta sulle sue.

Un giorno, mentre sono in paese a far compere nell’unico supermercato locale, Bucky fa quello che Sam sapeva avrebbe fatto. Mette nel carrello due ciotole e un’enorme busta di crocchette per gatti. Lo fa guardandolo fisso, come lo stesse sfidando a fermarlo. Sam alza le mani in segno di resa e si dirigono alla cassa.

Al cottage, Bucky mette le ciotole fuori, davanti al patio. E aspetta. Sam riconosce un piano quando lo vede in atto. Il gatto non è mai voluto entrare in casa e non lo farà certo di punto in bianco, ma Bucky avvicina le ciotole ogni giorno un pochino di più.

Lui gli lascia il cibo e poi si allontana, restando a guardarlo a distanza. Non si avvicina mai, ma si cura bene di farsi vedere e di non fare movimenti bruschi. Sam trova inquietante e al contempo ammirevole il modo in cui riesce a stare immobile a fissarlo.

Bucky osserva il gatto e Sam osserva Bucky e forse inizia a capire.

“Credo che non ci senta.”

Sam aveva letto, chissà dove e chissà quando, che i gatti bianchi con gli occhi azzurri spesso sono sordi a causa di un difetto genetico. Aveva anche letto ‒ anni prima, quando studiava per diventare consulente ‒ del potere terapuetico degli animali da compagnia.

Così succede che la settimana dopo, di nuovo a far spese, Sam mette nel carrello una cesta con un cuscino. Lo fa premurandosi di non guardare Bucky, anche se lui lo sta guardando fisso ‒ proprio perché lui lo sta guardando fisso. Mentre pagano e mettono via le cose, Bucky ha in faccia un sorriso quieto e continua ad averlo per tutto il viaggio di ritorno.

Al cottage, la cesta con il cuscino viene messa vicino alle ciotole, che nel frattempo sono migrate sulla veranda. E poi aspettano, questa volta insieme.

All’ora di cena, il gatto si palesa e svuota la ciotola; si fa le pulizie sotto gli ultimi raggi del sole; si rotola per terra giocando con qualunque cosa venga a tiro di zampa.

Tutto come al solito, tutto nella norma. Sempre che sia normale per due tizi mettersi a spiare ansiosamente un gatto randagio da dietro la finestra. E trattenere il respiro, sgomitando l’un l'altro, quando pare si sia finalmente accorto della cesta.

Lo osservano mentre ci si avvicina, ci gira attorno circospetto, annusa con cautela.

E poi se ne va.

Sam si volta verso Bucky. Non può dire che abbia l’aria di un cucciolo bastonato, perché uno come lui non l'avrà mai, ma quella faccia ci si avvicina pericolosamente.

Gli batte sul braccio: “Domani andrà meglio.”

Ma l’indomani non va meglio.

Il gatto nemmeno si avvicina alla cesta. Mangia, si pulisce, gioca, e se ne va. Muovere le ciotole dentro casa sarebbe una pessima idea, considerando che la bestiola scappa al minimo movimento inaspettato.

Sono ad uno stallo. E Bucky deve sforzarsi di non apparire deluso, di non dare a Sam la soddisfazione di poter dire ‘Te l’avevo detto’. Peccato che Sam non sia così facile da fregare.

Ormai è passato il tempo in cui il suo sguardo enigmatico lo metteva a disagio. Hanno avuto modo di confrontarsi senza filtri, e non sempre ne sono usciti emotivamente interi, ma il loro legame ne ha guadagnato qualcosa. Sicuramente ne sono usciti più forti.

D’altra parte non è che la vita abbia dato loro molta altra scelta se non mettersi seduti e parlare ‒ parlare davvero, senza urlarsi addosso e basta. Quando metti fuori gioco il nuovo Captain America, rubi il simbolo storico di una nazione, e fai scappare un ricercato internazionale, il tutto mentre Power Broker fomenta un'organizzazione terroristica, beh, finisci inevitabilmente per imbatterti in qualche piccolo problema.

Loro due hanno fatto tutto questo insieme, pur litigando sul come, sul quando e persino sul perché. Eppure sempre uniti in un ideale più alto, qualcosa che ancora sentono fuori dalla loro portata ma al quale non riescono ‒ non possono ‒ voltare le spalle. Hanno fatto tutto questo ed ora non resta niente altro che darsi alla macchia.

Nomi falsi, profilo basso, vita ritirata ‒ proprio come ai bei vecchi tempi. Almeno finché Sharon, tirando i fili giusti, non riuscirà a far calmare le acque a sufficienza.

Il gatto, in tutto questo, è una parentesi nella parentesi. Un surreale punto di normalità in due vite che di normale non hanno proprio niente.

Bucky osserva il gatto, Sam osserva Bucky. E vede in quello stallo le loro stesse vite.

“Quando AJ era piccolo, non ne voleva sapere di andare a dormire nella sua cameretta.”

Stanno stendendo insieme i panni sui fili tesi dietro il cottage. Bucky è un’ombra proiettata dal sole estivo contro la tela bianca delle lenzuola. E siccome non dice niente, lui continua.

“Sarah aspettava Cass e non sapeva più come fare. Allora è intervenuta mamma.”

Bucky si china a prendere una tovaglia e insieme la spiegano su un filo libero.

“Con la scusa che Sarah faceva fatica a stargli dietro, è rimasta in casa loro fino al termine della gravidanza. Giocava con AJ tutto il giorno nella sua cameretta e ogni sera preparava il letto accanto al suo. Gli chiedeva ‘Vuoi fare la nanna nel lettone di mamma e papà o nel tuo lettino?’. E lui rispondeva sempre ‘Nel lettone di mamma e papà’.”

Bucky gli passa un'altra cesta di panni, questa volta piena di calzini che sicuramente sarebbero risultati spaiati. Mentre cercando di accoppiarli, Sam pensa che non è possibile che abbiamo solo calzini neri: devono comprarne di colore diverso, ne va della loro sanità mentale.

“Com’è finita?”

Sam alza due calzini al sole per confrontare la tonalità di nero.

“È finita che una sera mamma gli ha fatto la solita domanda e lui ha risposto che voleva dormire nel suo lettino.”

“Mi stai suggerendo di dormire nella cesta di Alpine?”

Sam abbassa i calzini e lo guarda con un sopracciglio alzato: “Alpine?”

“È il suo nome.”

“E da quando?”

“Da ora.” Bucky gli toglie di mano un calzino e gliene porge un altro, “Quello va con questo.”

Sam sbatte i calzini e li appende al filo.

“E non avrei dovuto essere interpellato sulla scelta del nome?”

“Da quando ti interessa qualcosa del mio gatto?”

“Sai che c’è?” Sam prende le ceste ormai vuote e se ne torna dentro casa, “Mi rimangio i consigli.”

“Ehi, adesso non fare l’offeso!”

“Arrangiati!”

“Permaloso!”

Qualche giorno dopo, Bucky torna dal paese con un vecchio dondolo da giardino e lo piazza nella veranda, dalla parte opposta alla cuccia di Alpine. Poi prende un libro e si mette a leggere sotto la luce che filtra dalla finestra.

Ogni sera Bucky riempie la ciotola di Alpine e si mette a leggere sulla sdraio. Ogni sera Sam osserva lui e il gatto ignorarsi reciprocamente.

Finché una sera Sam sente battere alla finestra e lascia il pc, si avvicina per guardare fuori. Bucky è stretto in un angolo della sdraio, con il libro in mano e in faccia un sorriso che così gliel’ha visto, forse, solo quel giorno che hanno portato fuori la Paul&Darlene. Alpine ha occupato metà della sdraio, tutto intento nei suoi contorsionismi per farsi le pulizie. 

Da quel momento, non li lascerà mai più.

*

Alpine è lì con loro il giorno del compleanno di Sam.

Fare una torta non dovrebbe essere tanto impegnativo, certamente non dovrebbe richiedere un intero pomeriggio né ridurre la cucina a un campo di battaglia. Il contributo di Alpine è una zampa dentro la terrina dell’impasto: Sam lo caccia via e quello scappa soffiando, si va a nascondere dietro Bucky.

“Se lo fa di nuovo,” Sam gli punta un mestolo contro, “Lo faccio al forno.”

Bucky svuota l'impasto nella tortiera e poi di nascosto lascia la terrina da leccare ad Alpine, facendogli ‘ssh’ con un dito premuto sulle labbra.

“Ti ho visto!” grida Sam dall’altra parte della stanza.

Alla fine tirano fuori dal forno un mostro bruciacchiato fuori e crudo dentro, e ci mettono sopra una candelina. C'è tutta la famiglia di Sam in videochiamata, persino qualche amico. Bucky gli mette un cappellino in testa, godendo dell’espressione di disappunto di Sam, e tutti insieme gli cantano ‘tanti auguri a te’.

La torta fa schifo, così tirano fuori dei biscotti e si mettono mangiarli sul divano, il laptop di Sam aperto davanti a loro. Le immagini sono sgranate e non si capisce bene chi dica cosa, ma dopo mesi di reclusione è bello rivederli. Bucky guarda Sam, la sua espressione rilassata e felice di fronte alle persone a cui vuole bene, e pensa che non si merita di fare questa vita, di stare lontano da loro.

Poi, uno ad uno, gli amici salutano per andare a dormire, restano solo Sarah e i ragazzi. Bucky saluta con la scusa di dover riordinare la cucina, e lascia loro un po’ di privacy.

Alpine gli fa compagnia mentre lava i piatti, osservandolo dall’alto del frigorifero.

“Ti stai riposando?”

“Mrr.”

“Potresti darmi anche una mano, visto che ti ho fatto leccare le terrina.”

Lui stringe gli occhi e si stira pigramente.

“Capito. Sappi che sono molto deluso.”

“Hai intenzione di diventare una vecchia gattara?”

Bucky lancia un’occhiata da sopra la spalla: Sam è sull’ingresso della cucina.

“Quando ero bambino la signora che abitava sopra di noi era una gattara. Era molto simpatica.”

Sam gli si affianca e uno alla volta prende i piatti lavati per sciacquarli e metterli a scolare.

“Metti troppo sapone.”

“E tu sprechi un sacco di acqua.”

“Devo usare tanta acqua perché tu usi troppo sapone.”

Alpine fa le fusa, loro bisticciano, Sam ha il volto rilassato. Bucky non ci pensa più di tanto, ma quella somiglia a felicità.

*

Alpine è lì con loro quando i giorni cominciano ad accorciarsi e le notti a farsi più fredde.

All’inizio aggiungono coperte e stringono i denti, e per un po’ funziona. Ma il tempo è inclemente e quella casa troppo vecchia, piena di spifferi. Hanno una sola stufa e sta in soggiorno: non per niente Alpine se la dorme beatamente nella sua cesta, strategicamente posta vicina alla fonte di calore.

Una sera si ritrovano tutti e due sul divano, i piedi gelati allungati verso il fuoco. Si addormenterebbero così se non fosse per la scomodità. Bucky fa un versaccio e sposta il divano proprio davanti alla stufa. Si sistemano uno all’opposto dell’altro, con la testa sul bracciolo e le gambe raccolte.

Continuano ad essere scomodi e infreddoliti. Se passano la notte così si sveglieranno con il torcicollo e il raffreddore. Per lo meno, Sam sicuramente si sveglierà con torcicollo e raffreddore, non può dire lo stesso per Bucky, ma lui pure non sembra gradire la situazione.

“Ma questo non è un divano-letto?”

Si scambiano un'occhiata e un attimo dopo sono all’opera. Bucky sposta di nuovo il divano e lo apre, Sam va nelle loro camere a raccattare cuscini e coperte. Quando torna, Bucky sta riempiendo la stufa con dei ciocchi di legna. Insieme sistemano le coperte alla bell’e meglio ci si infilano sotto tremanti.

La mattina dopo, Sam si sveglia con un braccio bionico che gli blocca la vita e un gatto che gli ronfa sui piedi. Freddo non ne ha più.

“Ehi.” gli fa Bucky quando si ritrovano in cucina a colazione.

“Ehi.” Sam si finge indaffarato, “Uh… forse finché fa freddo dovremmo‒ uhm…”

“Sì.” Bucky addenta un toast e annuisce, guardando altrove.

“Bene.”

“Perfetto.”

Per un tacito accordo, nessuno dei due parla più della cosa. Né al momento di andare a dormire, né ‒ men che meno ‒ al momento del risveglio.

Ogni sera riempiono la stufa, aprono il divano-letto e si mettono sotto le coperte tirandole a vicenda con aria minacciosa. Ogni sera Alpine arriva e fa la palla in mezzo a loro. Ogni sera si addormentano accompagnati dalle sue fusa, dal crepitare del legno nella stufa, e dal calore dell’altro a un braccio di distanza.

Ogni mattina scoprono che quella distanza è stata annullata durante la notte.

Sam è un tipo mattiniero, eppure ogni giorno impiega sempre più tempo ad uscire dal letto. Dà la colpa all’incastro in cui si trova, ma la verità è che gli piace. Non dorme con qualcuno da tanto ‒ troppo tempo. Quella parentesi di intimità gli fa bene al cuore.

E quanta intimità c’è a condividere il sonno con un’altra persona? Il sesso è niente, in confronto. Due persone possono anche scopare ma poi rifiutarsi di dormire insieme: quel tipo di intimità è su un altro livello. Sapere che qualcuno ha abbassato la guardia al punto da lasciarsi andare al sonno vicino a te, non ha paragoni.

Sapere che quella persona è un super soldato con un passato traumatico alle spalle, fa fare al cuore di Sam un paio di capriole. Ogni mattina si sveglia e trova il braccio di Bucky su di sé, come un punto fermo. Il peso del vibranio è soffocante, ma poi Sam lo vede dormire e pensa che non c’è niente di male a stare ancora cinque minuti sotto le coperte.

Che non c’è niente di male a rubare qualche altro minuto di felicità.

*

Alpine è lì con loro quando Bucky viene svegliato da un incubo che per una volta non ha fatto lui.

Sapeva che anche Sam ne avesse, ma finché dormivano in letti separati ognuno gestiva la cosa per i fatti propri. Ora che Sam gli singhiozza accanto, è un’altro paio di maniche.

Bucky allunga una mano, poi la ritrae, poi ci ripensa e, oh, Sam gli si appiccica addosso appena lo tocca. Braccia grandi e forti lo agguantano e Bucky è annichilito. Sam è un armadio a due ante, chiunque altro sarebbe distrutto dal suo peso ‒ chiunque altro non coglierebbe la fragilità.

Bucky non sa bene dove mettere le braccia, non sa come incastrarsi con lui. Alla fine ci pensa Sam e lui capisce che deve solo fare da cuscino.

“Così? Va bene. Mettiti comodo, eh.”

Sam borbotta qualcosa nel sonno e lo stringe di più, allaccia una gamba alla sua e ficca la faccia nell’incavo del collo. Sospira forte mentre il pianto si quieta lentamente. 

Bucky si immobilizza, deglutisce. Il cuore gli sta facendo degli strani scherzi. Ci pensa Alpine a distrarlo da tutta quella grande agitazione. Svegliato dal movimento, cerca un altro posto dove mettersi a dormire. Finisce per fare la palla sotto il suo braccio.

“Anche tu? Ma prego, c’è posto per tutti.”

Bucky sospira, si sistema meglio. Non è poi così scomodo ‒ non è poi così brutto. Si addormenta prima di capire cos’è, e meno male, o il cervello gli avrebbe fatto cortocircuito.

Il giorno dopo Sam non ne parla e lui non sarà quello che aprirà il discorso rischiando di metterlo in imbarazzo. Ma è strano ed evasivo, e non gli piace che Sam sia strano ed evasivo. Bucky vorrebbe avere metà dell’invadenza di Alpine e semplicemente piazzarglisi addosso finché non parla. Ma non lo fa ‒ ovviamente non lo fa.

Nonostante il freddo, Sam sta fuori tutto il giorno ad allenarsi con lo scudo, e quando torna ha la faccia più scura del cielo plumbeo là fuori. Ancora col fiatone, entra in cucina e si avvicina alla brocca del caffè. Bucky gli passa una tazza già piena. Lui gli lancia un’occhiata di traverso e mugugna un ‘Grazie’ appena udibile.

“Mh… wow! Questa roba potrebbe ammazzare Hulk.”

Bucky sorseggia dalla sua tazza.

“Ho immaginato avessi bisogno di qualcosa di forte.”

Sam non lo guarda, annuisce e basta. C’è silenzio mentre bevono quel caffè e fuori sta iniziando a piovere, Alpine è nella sua cesta e pisolare. Quando Sam finisce e si volta a mettere la tazza nel lavello, Bucky pensa che sia tutto lì. Che sarà per un’altra volta, magari. Va bene fidarsi nel cuore della notte, nella confusione post-incubo, con le difese della coscienza abbassate. Altra cosa è tirare fuori tutto il giorno dopo, tirando giù consapevolmente le barriere.

Bucky pensa male.

“Ho sognato Riley.”

È accanto a lui, immobile come lo era durante la notte. Silenzioso di fronte alla sua fragilità, come sa che lui ha bisogno.

“Ne faccio diversi, di incubi. Voglio dire, con la vita che facciamo… lo sai com’è.” Sam si china sul lavello e ci si appoggia con i gomiti, scuote la testa, “Ma quelli con lui... Cristo santo, sono i peggiori.”

Sì, Bucky lo sa com’è. La vita di un soldato è così: una quantità di brutta roba cesellata nel cervello, c’è l’imbarazzo della scelta. Poi però c'è quella cosa lì, quella che le batte tutte. Tutti ne hanno una: per Bucky è il momento in cui è caduto dal quel treno. È la prima volta che sente Sam parlare della 'sua cosa'.

Sam sospira e guarda fuori, stringe gli occhi contro la luce ovattata che proviene da fuori.

“E la cosa che mi fa incazzare, lo sai qual è? È che quello è l’ultimo ricordo che ho di lui.”

Bucky si volta per posare la tazza accanto alla sua, si appoggia con un fianco al lavello, le braccia incrociate sul petto.

“Quando eravamo in Europa, tra un attacco e l’altro alle basi dell’Hydra, dovevamo restare nascosti.”

Sam alza lo sguardo su di lui, l’espressione ancora accigliata mista a curiosità.

“Prima di assaltare il treno dove viaggiava Zola,” La voce quasi cede sulla parola ‘treno’ e Sam serra la mascella, “Abbiamo attaccato una base in nord Italia. Era nascosta in una vecchia fabbrica nei pressi di Trieste. Per capire come introdurci abbiamo dovuto restare nascosti per settimane nella fattoria di una coppia di anziani. Erano soli, i figli erano tutti o morti in guerra o partigiani dispersi tra i monti.”

Sam ora si è raddrizzato e lo sta guardando in silenzio, mimando la stessa posa di Bucky. È una strana intimità parlare di queste cose, così lontane nel passato eppure ancora sanguinanti, mentre sono al sicuro in quella sorta di rifugio che si sono costruiti insieme.

“Lei si chiamava Luisa e non immagini di cosa era capace in cucina.” Bucky azzarda un sorriso e Sam lo imita, “Avevano poco da offrire, ma lo dividevano con noi ugualmente. Persino il caffè.”

Bucky punta un dito alle loro spalle e Sam si volta a guardare. C’è una moka sul fornello spento.

“C’era il razionamento, ma loro avevano questa scorta di caffè che tenevano gelosamente nascosta e centellinavano ogni chicco. A colazione lui... si chiamava Vittorio... lui prendeva il macinacaffè e lo riempiva e faceva la polvere. Poi Luisa preparava la moka,” Bucky indica di nuovo i fornelli, “Lo faceva per tutti noi. E quando ti passava la tazza, ti accarezzava la faccia e diceva ‘che bel figliolo che sei’ in un dialetto locale che non…” Alza le mani e inarca le sopracciglia, strappando una risatina a Sam, “Non mi chiedere di ripeterlo. Me le ricordo ancora le parole ma non ho intenzione di… vabbè, comunque.”

Bucky si schiarisce la voce e sospira nervoso. Non ci è abituato a questo grado di confidenza, certe cose non le ha dette nemmeno alla dottoressa Raynor.

“A volte sogno il treno.” Butta fuori le parole prima che si incastrino in gola fino a soffocarlo.

L’espressione di Sam è di nuovo accigliata.

“Allora il giorno dopo prendo una moka e preparo il caffè come lo facevano Vittorio e Luisa.”

Sam lo guarda e Bucky pensa che non gli ha mai visto quello sguardo così soffice e vorrebbe solo scappare. Si limita a prendere la moka e portarla al lavello per lavarla assieme alle tazze..

“Sai, non saresti male come consulente, signor Barnes.” Sam gli batte sulla spalla e Bucky sorride tra sé, “Vado a fare una telefonata.”

Dal soggiorno la voce di Sam arriva ovattata. Bucky si asciuga le mani in uno straccio e lo osserva: ha il cellulare all’orecchio e in mano una foto di Riley.

Alpine si avvicina per strusciarsi sulle sue gambe.

“Che ne dici?” Bucky lo guarda dall’alto, “Sono stato bravo?”

“Mrr?”

Bucky lo prende in braccio e gli gratta dietro le orecchie, sorride guardando Sam.

“Altroché se sono stato bravo!”

*

Alpine è lì con loro la sera di Halloween.

Il cottage è troppo isolato per sperare che qualche bambino venga a bussare alla loro porta, ma non hanno niente da fare e al mercato contadino c’era questa meravigliosa zucca. Se la portano a casa e per un paio d’ore litigano su come intagliarla. Alla fine decidono che ognuno avrebbe intagliato un lato e poi avrebbero confrontato il risultato, sottoponendolo allo scrutinio dei nipoti di Sam.

Vince il lato di Bucky.

Ma Sam si rifà quando devono giudicare il trucco: Bucky è un licantropo, Sam un vampiro. Per provare chi dei due sia più pauroso cercano di spaventare Alpine. Il povero gatto scappa via appena Sam gli mostra i canini finti.

“Io non credo che valga. Lui ha paura di te a priori.” obietta Bucky.

“È stata la mia interpretazione.” Ribatte Sam, “Sarei un attore degno di Bela Lugosi.”

Finiscono la serata guardando Fright Night ‒ sia quello del 1985 che quello del 2011, perché beh, perché no?

Sam e Alpine fanno pace e quella è solo prima di tante serate in cui fuori nevica e dentro mangiano pop corn e maratonano film.

*

Alpine è lì con loro il giorno del Ringraziamento.

Da gatto che si rispetti, cerca di rubare il tacchino sotto il loro naso. Lo salvano appena in tempo, salvo poi mettersi a litigare sul modo appropriato di tagliarlo e impiattarlo. Alla fine ognuno taglia un pezzo e lo impiatta a modo suo, poi si scambiano i piatti e si danno il voto finale.

“L’avete finita?” Li rimprovera Sarah dalla videochiamata, “Non è mica Masterchef!”

“Se fosse il tuo tacchino avrei dato un 10, ma quello di Sam si merita un 6. E sono generoso.”

Sarah ridacchia e Sam fissa Bucky con lo sguardo d'avvertimento che gli riserva quando flirta con sua sorella. Bucky mastica un boccone, sostenendo lo sguardo con aria sfrontata. È tutto perfettamente nella norma.

*

Alpine è lì con loro il giorno di Natale.

Il rachitico alberello che hanno messo su in soggiorno rischia di venire giù per colpa sua. Da applaudire il tempismo: Sam aveva appena scartato il suo regalo e quasi si stava mettendo a piangere.

“È un 33 giri originale? Come diavolo hai fatto a trovarlo?!”

Bucky si stringe nelle spalle e nasconde la soddisfazione dietro le pagine del libro che Sam gli ha regalato ‒ non lo sapeva mica che era uscito un seguito de Lo Hobbit.

Sam toglie dal giradischi il vinile di Frank Sinatra e ci mette quello nuovo. Le note di apertura di You Sure Love To Ball riempiono la stanza e, oddio, Bucky sbianca, le mani artigliate sul libro che sudano. Grazie al cielo Alpine attenta di nuovo all’albero e stavolta il suo attacco va a buon fine, distraendo Bucky dal testo inappropriato della canzone e soprattutto dal movimento di fianchi di Sam.

*

Alpine è lì con loro la sera di Capodanno.

Fuori nevica, dentro è buio eccetto per lo schermo del laptop che proietta i titoli di coda di Una Poltrona Per Due. La stufa crepita e Alpine dorme sui piedi di Bucky, che a sua volta dorme a cucchiaio con Sam, tutti stretti sul divano.

Un botto, poi una luce violetta filtra nella stanza. Bucky si sveglia e strizza gli occhi verso la finestra. Il paese non è abbastanza vicino per poter vedere i fuochi d’artificio, ma il suono riesce ad arrivare fino a lì, e in lontananza il cielo si tinge di colori diversi.

“Sam.” Bucky si gratta la testa e prova a svegliarlo con una gomitata, “Ohi, Sammie…”

Lui risponde con un grugnito intelligibile.

“È mezzanotte.”

Sam sospira seccato e lo agguanta per il maglione, tirandolo giù bruscamente.

“Torna a dormire.”

Bucky crolla giù, accigliato per essere stato preso alla sprovvista. Sam gli si sistema meglio alle spalle.

“Dovremmo aprire il letto?”

“Mhnno.”

Bucky sorride tra sé: “Ti piace così, eh?”

“Piace anche a te, quindi sta’ zitto.”

Bucky sta zitto. Per qualche secondo, per lo meno.

“Buon anno, Sam.”

Sam lo stringe un po’, spinge la testa contro la sua nuca.

“Buon anno, Jamie.”

Fuori nevica, dentro le luci dei fuochi si proiettano su di loro e Alpine fa le fusa sopra i loro piedi. Cosa sia questo, Bucky non lo sa, ma si avvicina abbastanza a quello che vuole nella vita.

 
   
 
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