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Autore: Parmandil    22/04/2021    1 recensioni
Dopo tre anni di sanguinosa guerra civile, l’Unione Galattica si appresta a soffocare gli ultimi focolai di ribellione. Mentre i Voth colonizzano la Terra, una progressiva sterilità condanna gli esuli Umani all’estinzione. La Presidente Rangda si accinge a trasferire la capitale sul suo mondo d’origine, mentre prosegue l’indottrinamento di massa per cancellare ogni memoria del passato.
Messi di fronte all’annientamento, i ribelli della Keter giocano l’ultima carta. Andranno ad Andromeda, dove ancora vivono i Proto-Umanoidi, per implorarli di fare da arbitri della contesa. A loro si unisce la banda dello Spettro, la cui sorte è però segnata da un nemico implacabile e forse dal tradimento. Nel frattempo una forza inarrestabile avanza verso l’Unione, diramando un famigerato messaggio: «La resistenza è inutile».
È l’ultima battaglia per la salvezza della Terra. Molti la abbandoneranno, giudicandola persa; altri lotteranno fino all’ultimo per difenderla. E quando Rangda lancerà il suo ordine finale per estirpare l’Umanità, inizierà la corsa contro il tempo. Amico contro amico, fratello contro sorella, ciascuno compirà il suo destino. Al termine della Guerra Civile, la Galassia è cambiata per sempre. E anche per noi è tempo di dire addio agli eroi della Keter.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Klingoniani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Capitolo 4: Nemici dell’Unione
Data Stellare 2593.292
Luogo: Stratos, capitale di Ardana
 
   La Guerra Civile imperversava ormai da tre anni, esigendo un tributo di sangue sempre maggiore nei mondi che toccava. Ormai non c’era più spazio per la neutralità: chiunque non appoggiasse il regime di Rangda era considerato suo nemico. Dunque i pianeti federali che inizialmente si erano dichiarati neutrali erano costretti a schierarsi con i Pacificatori, man mano che questi avanzavano. Ovunque ciò accadeva, la vita degli abitanti ne era stravolta. Le denunce anonime e la Polizia del Pensiero facevano sì che nessuno potesse fidarsi, né del prossimo, né di se stesso. La punizione poteva colpire chiunque, in qualunque momento e per i motivi più futili. Eppure in certi angoli di spazio c’erano ancora dei mondi che, a prima vista, sembravano immuni al conflitto. Uno di questi era Ardana, sede di una delle meraviglie federali: la città volante di Stratos.
   Era un trionfo della tecnica risalente a ben quattro secoli prima, ma costantemente aggiornata per accrescerne la sicurezza e ampliata per ospitare nuovi residenti. La base quadrata conteneva un potente generatore antigravitazionale che la teneva sospesa a oltre mille metri di quota. I giroscopi la mantenevano in assetto, impedendo al vento di farla oscillare. Questo basamento era spesso avvolto da nubi di condensa, dando l’impressione che la città galleggiasse su una nuvola. Sopra di esso si levavano avveniristici grattacieli. Le loro vetrate scintillavano alla luce del sole che, essendo di tipo K, era arancione. Tutta l’atmosfera del pianeta in effetti aveva una spiccata tonalità arancio, che tingeva anche la superficie brulla, percorsa da rari fiumi. In contrasto, i grattacieli di Stratos ospitavano giardini verdeggianti sui tetti e sulle balconate. Mai l’appellativo di “giardini pensili” era stato più appropriato, poiché questi fluttuavano con tutta la città al di sopra delle nubi.
   Tra un edificio e l’altro Stratos era vasta e ariosa, con grandi terrazze e vie pedonali che permettevano ai visitatori di osservare il panorama mozzafiato. Poiché la città prosperava con il turismo, le attrattive erano numerose: gallerie d’arte, esposizioni d’alta moda, centri benessere e sale ologrammi all’ultimo grido. L’arte in particolare era assai rinomata dagli Ardaniani: anche quelli che non la praticavano di mestiere spesso vi si dedicavano per svago. Come risultato, Stratos era divenuta nel tempo una grande esposizione all’aperto, con statue – solitamente astratte – che adornavano gli spazi pubblici. L’altra grande passione degli abitanti, la moda, era anch’essa sotto gli occhi di tutti. Gli uomini indossavano abiti lunghi in tinte pastello, mentre le donne avevano completi appariscenti e, se l’età e l’avvenenza lo consentivano, alquanto succinti. Le più aristocratiche portavano enormi ed elaborati orecchini, oltre a uno strascico che aleggiava dietro di loro ad ogni passo. Va detto però che Stratos era poco più di una vetrina: la grande maggioranza degli Ardaniani viveva a terra, in città assai meno eleganti e con un tenore di vita più basso.
   Era ormai il tramonto e il cielo si era fatto ancor più arancione. A quell’ora, complice l’altitudine, l’aria si rinfrescava; tuttavia non diventava mai gelida, poiché Stratos si trovava all’equatore. I turisti tornavano agli alberghi, salvo quelli che volevano godersi i divertimenti notturni. Tra questi il più apprezzato era certamente il Club Droxine, la principale discoteca. Già ora la musica promanava dall’edificio, attirando i visitatori. Gli Ardaniani facevano di tutto per far scordare il conflitto in corso; solo il detector e le guardie all’entrata testimoniavano come anche lì bisognasse rispettare alcune essenziali norme di sicurezza.
 
    Le luci stroboscopiche della discoteca disegnavano i contorni delle spogliarelliste che si dimenavano sulle pedane levitanti. Qua e là grosse bolle d’acqua erano tenute sospese in assenza di gravità, per rifrangere le luci in modi sempre mutevoli. A terra si agitava la masnada degli avventori, appartenenti a molte specie dell’Unione e anche ad alcune estere.
   «Non mi piace questa musica. Cambiatela» ordinò C’Rerr. Il grasso Caitiano era il leader di una cellula della Catena Cremisi, l’organizzazione nata per liberare la Terra e altri mondi occupati, ma rapidamente degenerata in banda criminale. Il suo ordine fu eseguito all’istante. Non poteva andare diversamente: il locale era suo. L’aveva comprato – tramite un prestanome – dopo averlo visitato una serata, perché gli era piaciuto. Adesso ci andava spesso, per combinare affari o semplicemente per svagarsi. Il malavitoso sedeva al solito tavolo appartato, da cui poteva osservare gran parte del locale, ed era circondato dai suoi scagnozzi. Teneva a portata di mano alcune gabbiette piene di uccellini, nel caso volesse farsi uno spuntino. Osservò pigramente le ballerine, chiedendosi se chiamarne qualcuna presso di sé. Ormai conosceva la maggior parte di loro. Decise di no; quella sera era lì per affari e non voleva distrazioni.
   «Salve, bel micione. Mi stavi aspettando... che galante!» disse una calda voce femminile. Un’Orioniana scarsamente vestita si adagiò sulla sedia davanti a lui, accavallando le gambe. Già questo sarebbe bastato per attirare l’attenzione di C’Rerr. Ma quella davanti a lui non era un’Orioniana qualunque: si trattava di una potenziale socia in affari.
   Era uno schianto, inutile negarlo. I capelli neri, lunghi e fluenti, erano striati di meches bionde che contrastavano con la pelle verde smeraldo. Le labbra piene erano di un rosso scuro, quasi nero, al pari delle unghie ad artiglio. Quanto all’abito color acquamarina, era nello stile dell’aristocrazia di Ardana: due fasce incrociate sul seno e una gonna lunga fino a terra, con tanto di strascico semitrasparente. Le scarpette dal tacco a spillo sembravano di cristallo; l’Orioniana ne fece dondolare una dal piede, mentre scrutava l’interlocutore da sotto le lunghe ciglia. Completavano il quadro una gran quantità di gioielli, tra cui spiccavano gli orecchini monumentali.
   «Lady Zafreen... dal vivo sei ancora più incantevole che in olo-presenza!» gongolò C’Rerr, sentendosi arruffare il pelo sul collo.
   «Non c’è nessuna Zafreen. Era uno pseudonimo che mi sono lasciata alle spalle quando ha smesso d’essermi utile» corresse l’Orioniana. «Io sono Zafira, unica esponente libera del Clan di Goutric. Il che mi rende, a tutti gli effetti, la leader del mio Clan» rivendicò con alterigia.
   «Certo, bellezza... non intendevo offendere!» si scusò il malavitoso, intrigato da quella reazione.
   «La mia padrona Zafira è uno dei membri più influenti del Sindacato di Orione» aggiunse uno scagnozzo dell’Orioniana, in tono servile. Le si affiancò restando in piedi, sebbene vi fossero altre sedie disponibili. C’Rerr gli dette una rapida occhiata. Era un Halanano, come indicavano le orecchie biforcute, e aveva i capelli castani pettinati all’indietro, senza scriminatura. All’opposto della moda sgargiante di Ardana, era vestito come per un funerale. Tutta la sua persona trasudava un’aura viscida e meschina, tanto che il Caitiano fu lieto di non dovergli stringere la mano.
   «Conosco il Sindacato» garantì C’Rerr, in tono rispettoso. «Abbiamo già fatto affari, anche se devo dire che non ti hanno mai nominata».
   «La mia padrona Zafira si è riappropriata solo di recente della sua eredità» rispose l’Halanano, che evidentemente fungeva da portavoce. «Tuttavia le è già stato accordato il posto che fu di suo padre».
   «Sono curioso: in che modo un ex ufficiale di Flotta fa una carriera così fulminante nel Sindacato?» indagò il malavitoso.
   «La mia padrona Zafira non intendere perdere tempo in inutili...» cominciò il servitore, ma l’Orioniana lo zittì con un gesto secco.
   «Taci, Elmer. Il mio nuovo amico ha tutto il diritto di sapere come sono andate le cose» disse Zafira. «Intanto vammi a prendere un drink. Voglio un mai-tai risiano, con una scorza di limone. Agitato, non mescolato!» raccomandò.
   «Sì, padrona» disse Elmer, con un inchino.
   «Ottima scelta, ne prendo uno anch’io» intervenne C’Rerr. «Naturalmente le consumazioni sono gratis per la mia gradita ospite».
   «Sentito? Portane due» fece Zafira.
   «Subito, mia signora» disse Elmer, sempre più servile, e si affrettò al bancone.
   Il Caitiano aveva seguito con divertimento i loro scambi di battute. Si chiese se quell’esagerata sottomissione del tirapiedi si limitasse alle normali mansioni, o si estendesse anche ai momenti più... informali. Ma non osò chiederlo.
   «Allora, in poche parole... non sono mai stata disconosciuta dal mio Clan» spiegò Zafira, rivolgendosi di nuovo all’anfitrione. «Avevo appena diciott’anni quando scappai da casa ed ebbi la malaugurata idea d’arruolarmi nella Flotta Stellare. Papà non si rassegnò al disonore e mi cercò per i dieci anni successivi. Alla fine mi riacciuffò... più o meno».
   «Più o meno?» s’incuriosì C’Rerr.
   «Recuperò il mio corpo, che però al momento ospitava un’altra personalità... un increscioso scambio dovuto a una tecnologia aliena» spiegò l’Orioniana. «Alla fine tornai in me, ma ormai avevamo attirato l’attenzione della Flotta, che fece una retata alla nostra villa... una lunga storia» tagliò corto. «Il succo del discorso è che papy e quasi tutti gli altri furono arrestati e il Clan restò senza una valida guida. Per giunta la nostra bella astronave, la Gemma di Orione, fu rubata da quel pirata buzzurro che si fa chiamare lo Spettro. Io però m’ero stancata di fare la brava ragazza e quindi aspettavo il momento buono per riprendere ciò che mi apparteneva, ora che la concorrenza s’era sfoltita».
   «Perché non l’hai fatto allo scoppio della Guerra Civile?» indagò il Caitiano.
   «C’erano ancora dei dettagli da sistemare» rispose Zafira. «Pensavo di portarmi dietro il mio compagno, dopo essermelo lavorato un po’, ma mi sbagliavo. Quando ho visto che la guerra era persa e che il mio Capitano si faceva sfuggire l’ultima occasione di rimediare, ho capito che era l’ora di svignarmela. Che c’è?!» chiese, notando lo sguardo divertito dell’altro. «Ogni creatura ragionevole abbandona la nave che affonda: è l’istinto di sopravvivenza» si difese.
   «Non ho detto niente. Prego, continua» la invitò C’Rerr.
   «A quel punto sono tornata su Orione e beh... non starò a dirti come ho preso la guida del Clan. Ti basti sapere che noi Orioniani siamo sbrigativi in queste faccende, e ormai non erano rimasti in molti a contendermi il titolo». Per un attimo Zafira ebbe uno sguardo così sinistro che il Caitiano si sentì nuovamente rizzare il pelo.
   «Sì... è decisamente la figlia di Goutric» si disse il malavitoso, pregustando una trattativa interessante.
 
   Recatosi al bancone, Elmer ordinò i due mai-tai alla barista, un’attraente Ellora, e restò in attesa. Quei cocktail richiedevano una lunga preparazione. Nel frattempo tenne d’occhio Zafira, che discuteva con C’Rerr al suo tavolo appartato.
   A un tratto si fece avanti un uomo dall’aria un po’ esitante. «Scusi, vorrei una birra andoriana» disse alla barista, senza guardarla in volto. Teneva il braccio sinistro curiosamente ripiegato contro la spalla, come a nascondere qualcosa.
   «Subito... ehi, aspetti un momento! Che ha lì?!» chiese l’Ellora, facendosi d’un tratto ostile e sospettosa. Il suo braccio guizzò verso quello dell’uomo: lo afferrò e lo costrinse ad abbassarlo. Tutti video allora la H gialla cucita sull’abito. Era il simbolo che, secondo una delle ultime leggi volute da Rangda, tutti gli Umani dovevano esibire sull’abito, onde rivelare la loro “pericolosità sociale” agli alieni che li incrociavano. Senza di quello, infatti, gli Umani erano così simili a tante altre specie che non ci sarebbe stato modo di distinguerli.
   «Human! Lei è un essere umano!» si scandalizzò la barista. Parecchie teste si volsero a quell’esclamazione.
   «Sì, e allora?» fece l’uomo, guardandosi attorno con crescente nervosismo.
   «Questo locale è interdetto a quelli come lei, non sa leggere?» fece l’Ellora, indicando un vistoso avviso olografico che scintillava all’entrata. Diceva: VIETATO L’ACCESSO AGLI ANIMALI E AGLI UMANI.
   «Senta, voglio solo una birra andoriana» mormorò l’uomo, facendosi paonazzo. «Se vuole la consumerò fuori da qui».
   «No senta, lei se ne deve andare subito» insisté la barista, serissima.
   «Ma cosa vuole che sia una birretta... faccia conto di non avermi visto...» mormorò il poveretto.
   «Okay, adesso lei mi sta molestando» disse l’Ellora, con un crescente isterismo nella voce. «Se ne vada subito, o chiamo la polizia».
   «Ha ragione, amico: lasciala stare!» intervenne un grosso Tarlac appoggiato al bancone. Altri avventori manifestarono il loro sostegno alla barista. Trovandosi circondato da individui ostili, molti dei quali più grossi di lui, l’Umano non poté far altro che svicolare, balbettando scuse. Infilò svelto l’uscita e non si fece più vedere.
   «Povera me... stavolta me la sono vista brutta!» mormorò la barista, esalando un sospiro di sollievo. Accortasi che l’Halanano le era vicino e la osservava, proseguì in tono complice: «Questi Umani si fanno sempre più prepotenti. Sarebbe bello se sparissero dalla circolazione, vero?».
   «Come no» rispose Elmer. Eppure c’era qualcosa, nel suo sguardo, che faceva accapponare la pelle. Per un attimo non fu più uno scagnozzo servile, ma un individuo deciso e pericoloso. «I miei cocktail?» chiese.
   «Eccoli... scusi se l’ho fatta aspettare» disse la barista, consegnandogli i due sottili bicchieri con i due strati di bevanda, arancione e verde. C’erano anche gli ombrellini e le scorze di limone, come richiesto.
   «Grazie» disse l’Halanano, e lasciò il bancone.
 
   A pochi passi da lì, seduto – o per meglio dire accasciato – presso un tavolino, Vrel Shil aveva osservato la scena senza intervenire. Il mezzo Xindi aveva la barba incolta e gli occhi cerchiati; da tutta la sua persona emanava un lezzo di alcolici. Sul suo tavolino c’erano parecchie bottiglie mezzo vuote, una persino rovesciata. A vederlo pareva che fosse ubriaco da un mese e che non intendesse smettere. Del resto non c’era nulla di piacevole nel restare sobri, in quei tempi.
   Scenate come quella della barista erano sempre più frequenti sui mondi dell’Unione. Erano la prova lampante del potere che la propaganda aveva sui cittadini. Persone normali, che fino a pochi anni prima trattavano gli Umani alla pari, ora li disprezzavano. Peggio ancora, li maltrattavano e li umiliavano pur avendo l’impressione genuina d’essere loro le vittime. C’era stato un tempo in cui Vrel aveva pensato che questa tendenza perversa potesse essere invertita; che l’Unione sarebbe tornata quella di prima. Ma non era più così ingenuo.
   «Posso portar via?» chiese una cameriera, venendo accanto a lui. Accennò alle bottiglie sul tavolino.
   «Solo quella vuota... non ho ancora finito col resto» biascicò il mezzo Xindi, guardandola con occhi appannati.
   «Come vuole. Chiami, se desidera qualcosa di solido» raccomandò la cameriera. Raccolse la bottiglia rovesciata e la portò via, lasciando quelle che avevano ancora del liquore.
   Vrel ne afferrò una, riuscendoci al secondo tentativo, e prese a tracannarla. Ogni tanto s’interrompeva per guardare con rimpianto Zafreen. La riconosceva bene, grazie al suo abito vistoso; lei invece gli dava le spalle. Vedendola trattare con quel criminale, Vrel si sentì in pena per lei ed ebbe l’impulso di trascinarla via, prima che si mettesse nei guai. Ma non lo fece. Erano finiti i tempi in cui potevano affrontare la Galassia secondo le regole della Flotta Stellare. Ormai dovevano mirare alla sopravvivenza, secondo le loro possibilità. Così il mezzo Xindi rimase al suo tavolino, scolandosi un whisky skagarano di pessima qualità.
 
   «A voi, mia signora» disse Elmer, inchinandosi mentre offriva il mai-tai a Zafira. Dopo di che porse l’altro a C’Rerr, ma stavolta tenne la schiena ben dritta. Infine tornò al fianco della padrona, vigile come un cane da guardia.
   «Ahhh... delizioso» fece il Caitiano, sorbendo il cocktail. Intanto però continuava a mangiarsi Zafira con lo sguardo. «E ora veniamo agli affari. Quando abbiamo parlato in olo-presenza, dicevi d’essere interessata all’acquisto di armi».
   «Sì, dopo la perdita della Gemma e il raid alla villa, il mio Clan deve rinnovare l’arsenale» confermò l’Orioniana. «Parlo di armi da guerra vere e proprie, per astronavi: ho qui un elenco» disse, posando un d-pad sul tavolo.
   C’Rerr allungò una mano a prenderlo e dette una rapida scorsa alla lista. «Siluri quantici e al tricobalto, mine subspaziali, cariche nucleoniche... frell, è roba forte!» commentò, soffiando alla maniera dei felini. «Devi gestire lo spaccio o combattere una guerra?».
   «Suvvia, non ti sto chiedendo nulla che tu non possa procurarmi» lo blandì Zafira, intrecciando le dita e posandovi sopra il mento. «Mi risulta che la Catena Cremisi sia ben fornita d’armi. Avete razziato parecchi depositi della Flotta, a inizio guerra».
   «Sono armi che ci servono per la nostra lotta di liberazione» disse C’Rerr, sebbene non avesse l’aria di un partigiano. «Tu che mi offri in cambio?».
   «La specialità del mio Clan: Rosso altamente raffinato» disse Zafira. Al suo cenno, Elmer trasse di tasca una boccettina colma di liquido scarlatto e la posò sul tavolo.
   Il malavitoso si chinò in avanti a osservarla. Il ketracel rosso, comunemente detto Rosso, era la droga più diffusa nell’Unione. Dava euforia e aggressività, permettendo di sopportare le fatiche e i dolori più tremendi, oltre che di stare a lungo senza dormire. Ma come tutti gli stupefacenti creava assuefazione; e le crisi d’astinenza si traducevano in scoppi di violenza incontenibile. «Cosa ti fa credere che m’interessi?» chiese prudentemente il Caitiano.
   «Ah ah, suvvia, non c’è bisogno di bluffare!» rise Zafira, giocherellando con un lembo dello strascico. «So benissimo che voi della Catena drogate i vostri miliziani, per renderli più ardimentosi. È una delle cose che vi hanno inimicato la Flotta Stellare».
   «Sembri bene informata sulle nostre faccende» ammise C’Rerr, raccogliendo la boccetta per esaminarla.
   «Fino a poco tempo fa ero nella Flotta, quindi sì, conosco molte cose» confermò l’Orioniana. «Questo Rosso può essere somministrato sia per endovena, sia come un collutorio attraverso le mucose degli occhi. Nel secondo caso ovviamente l’effetto è minore. Si conserva per un tempo indefinito a qualunque temperatura sotto i 150º C. Ed è puro al 100%, garantito dal mio Clan. Posso fornirvene diecimila dosi in cambio delle armi che ho chiesto».
   «Sembra... accettabile, come offerta» disse il Caitiano. «Tempi della consegna?».
   «Una settimana, se c’incontriamo ai margini di questo sistema stellare» rispose prontamente Zafira. «Nel frattempo potete analizzare il campione, per verificarne la qualità».
   «Ottimo» disse C’Rerr, continuando a fissarla bramoso mentre giocherellava con la boccetta. «Mi chiedo però se potresti aggiungere un piccolo extra di un’altra merce... sono pronto a rinunciare a qualche centinaio di dosi per averla...».
   «Che genere di merce?» chiese l’Orioniana, irrigidendosi un poco.
   «Qualche schiava di Orione. Possibilmente... che ti somigli!» ghignò il farabutto, mostrando i denti da felino.
   Per qualche secondo nessuno parlò, sebbene non vi fosse certo silenzio, dato che si trovavano nella discoteca. Ma il tavolo dei malavitosi era come isolato dal resto: solo loro erano immobili e concentrati sugli affari, mentre gli altri avventori pensavano a ballare, ridere e ubriacarsi.
   «Il mio Clan è meno dedito di altri alla tratta delle schiave» disse infine Zafira. «Tuttavia penso di poterti procurare un paio di ragazze carine ed esperte. Diciamo che per ciascuna di loro sottrarrò... quattrocento dosi?».
   «Duecento» contrattò C’Rerr.
   «Trecentocinquanta» ribatté Zafira.
   «Duecentocinquanta».
   «Trecento».
   «E trecento sia!» esclamò il Caitiano. «Ma bada che le ragazze siano brave» raccomandò.
   «Contaci, micione» disse l’Orioniana, con un sorriso artefatto dietro a cui poteva celarsi di tutto. «Vedrai che ti piacerà fare affari con me».
   «Oh oh, ci conto!» gongolò il malavitoso. «Certo che sei partita in grande. Voi Orioniani siete incorreggibili, non conoscete le mezze misure. La prossima volta che mi proporrai, una sponsorizzazione? Vorresti che la Catena Cremisi divenisse la Catena Smeraldo?!» ridacchiò, riferendosi al colorito dell’ospite.
   «Non cerco visibilità; mi basta sapere che abbiamo un accordo» rispose diplomaticamente Zafira.
   «Allora brindiamo!» propose il Caitiano. Fece per prendere il suo cocktail, ma notò che lo aveva già finito. Invece di ordinarne un altro, decise di brindare alla maniera della sua gente. Al suo cenno, uno scagnozzo gli avvicinò una gabbietta piena di uccellini, aprendone lo sportello.
   Leccandosi le labbra, C’Rerr ficcò la manona nella gabbia e ci rovistò un poco, finché riuscì ad acchiappare uno dei volatili. Sembrava un canarino, a giudicare dal piumaggio giallo. Appena l’ebbe estratto, il suo tirapiedi richiuse la gabbietta, per impedire agli altri di volar via.
   «Ai buoni affari!» disse solennemente il Caitiano, sollevando la preda stretta nel pugno. Il povero pennuto era strizzato così brutalmente che pigolava di dolore. Solo il suo capino usciva dalle dita grasse del felino, girandosi qua e là come per chiedere aiuto.
   «Agli affari» gli fece eco Zafira, sollevando il suo bicchiere, ancora mezzo pieno.
   C’Rerr fece tintinnare il becco dell’uccellino contro il calice e poi lo ingurgitò in un sol boccone. Si udì un ultimo pigolio disperato, dopo di che il Caitiano si pulì le labbra dalle piume gialle che vi erano rimaste appiccicate. Un piccolo burp soddisfatto salì dal suo ventre grasso.
 
   Seduto al suo posto solitario, Vrel alzava il capo di tanto in tanto, osservando Zafreen che trattava con quel manigoldo. Non osava però guardarli più di un attimo, per timore che il Caitiano se ne accorgesse e mandasse i suoi scagnozzi a mettergli le mani addosso.
   D’un tratto un balenio d’uniformi bianche attirò il suo sguardo. Il mezzo Xindi abbassò la testa sul tavolo, per non farsi riconoscere, e guardò i nuovi arrivati di sottecchi. Erano Pacificatori, non c’era dubbio. Ufficialmente Ardana era ancora neutrale, ma in pratica si comportava come se fosse già stato riannesso dall’Unione, ad esempio implementando le nuove leggi anti-Umane. Quindi non era strano che i Pacificatori passassero di lì. Gli Ardaniani li trattavano con i guanti di velluto, in previsione del giorno – ormai prossimo – in cui la riannessione sarebbe stata formalizzata.
   I Pacificatori, tre in tutto, andarono al bancone. Avevano i phaser agganciati in cintura, come da regolamento, ma non sembravano lì per lavoro. Due erano semplici guardiamarina, mentre il terzo aveva i gradi di Comandante. «Tre birre andoriane!» ordinò quest’ultimo, e fu prontamente servito. Il nervosismo che in un primo momento era serpeggiato tra gli avventori s’attenuò: quei tre erano in licenza, non ce l’avevano con nessuno.
   «Salute alla Forza di Pace!» disse il Tarlac, levando il bicchiere al loro indirizzo. Altri sostenitori si unirono al brindisi.
   «Grazie, grazie» sorrise il graduato. «Sono il Comandante Raymond e vi ringrazio di cuore per il vostro appoggio. Sapete, non è lontano il giorno in cui Ardana tornerà nella grande famiglia dell’Unione. Allora sì che potremo festeggiare!» promise. Lui e i colleghi brindarono, prima di vuotare i bicchieri.
   Dagli avventori salirono versi d’approvazione. I pochi che non erano entusiasti della prospettiva si defilarono silenziosamente. Vrel tuttavia rimase al suo posto. Voleva ascoltare la conversazione, posto che la musica spaccatimpani glielo permettesse.
   «Fate un altro giro, offre la casa!» disse la barista, tornando a riempire i bicchieri. «Sapete, ho tanto desiderato incontrare dei veri Pacificatori! Siete così coraggiosi, così... nobili!» disse, fissando rapita il Comandante.
   «Facciamo solo il nostro lavoro, signorina» disse il Pacificatore, gonfiando il petto d’orgoglio. Vrel lo osservò attentamente, sempre di sottecchi. Il suo cognome, il suo volto... era un Umano. E militava nell’organizzazione che, più di tutte, perseguitava gli Umani. Simili paradossi non erano rari, di quei tempi. Bastava certificare che si era alieni almeno per un quarto ed ecco, anziché stare nel fango si poteva saltare sul carrozzone dei vincitori.
   «Avete partecipato a battaglie importanti?» chiese il Tarlac.
   «I miei colleghi qui hanno appena preso servizio, ma io in effetti ne ho, di storie da raccontare» si vantò Raymond, lieto di avere un uditorio. «Il mio primo scontro importante fu a Memory Alpha, dove insegnammo ai ribelli che significa mettersi contro la democrazia».
   Vrel si morse la lingua e serrò i pugni. Memory Alpha era stato un macello: i Pacificatori avevano teso un agguato alla flotta ribelle – grazie al tradimento di sua sorella Lyra – e l’avevano distrutta. Solo la Keter si era salvata a stento, grazie all’aiuto dei corsari. Era andata meglio nello scontro a terra, dove i ribelli avevano sbaragliato Raymond e la sua squadra. Pur potendo ucciderli, si erano limitati a stordirli. Ma il Pacificatore aveva tralasciato questo dettaglio poco lusinghiero.
   «... ero a Bajor, naturalmente» stava dicendo l’Umano. «Che grande battaglia fu quella! Perdemmo molte navi, ma alla fine liberammo il pianeta. I ribelli fuggirono come ratti, portandosi dietro tutto quel che erano riusciti a rubare. In seguito passai al Fronte Orientale, divenendo Primo Ufficiale della Rukh. Le cose furono in stallo per un po’, ma dopo la Battaglia di Nuovo Romulus abbiamo ripreso l’iniziativa. Poche settimane fa sono stato a Boreth».
   «Wow, e com’è andata?» chiese la barista, sempre più affascinata.
   «Beh, i Klingon sono ostinati, ma alla fine li abbiamo sbaragliati con la nostra superiore strategia» si vantò Raymond. «Per ultimo cadde il monastero. Offrimmo ai monaci la possibilità d’arrendersi, ma sai come sono fatti i Klingon... meglio la morte del disonore!» disse, scimmiottandoli. Un coro di risate accompagnò la sua pantomima.
   «Quando ci siamo teletrasportati – io ero tra i primi – erano tutti morti» concluse il Comandante.
«Avevano compiuto l’hegh’bat, il suicidio rituale».
   «Tutti quanti?» chiese l’Ellora, impressionata.
   «Fino all’ultimo» confermò il Pacificatore. «A quel punto abbiamo deciso di non presidiare il monastero, che non è strategicamente rilevante. Sapete che abbiamo fatto, invece? Lo abbiamo raso al suolo con un bombardamento orbitale. Bum! Quelle vecchie torri sono venute subito giù!» disse, accompagnandosi con un gesto enfatico. «Così abbiamo anche seppellito degnamente i monaci!» aggiunse con un risolino divertito.
   «Non temete la reazione dei Klingon?» chiese il Tarlac, un poco turbato. «In fondo quello era il loro santuario più sacro...».
   «E quindi? Non possiamo tollerare le vecchie superstizioni» ribatté Raymond, facendo spallucce. «Se i Klingon si arrabbiano, tanto meglio! La collera li indurrà a gettarsi allo sbaraglio, facendo ancora più errori, e di questo ci avvantaggeremo noi. Sapete, la presa di Kronos non è lontana, e allora...». A questo punto il Pacificatore si bloccò. Non gli era lecito discutere dei piani di guerra con i civili, tantomeno con dei perfetti sconosciuti.
   «Urrà per i nostri eroi!» esclamò l’Ellora, imitata dagli altri.
   Nel suo cantuccio, Vrel chinò il capo, muovendo appena le labbra in una muta preghiera per i Klingon che si erano tolti la vita. Anche se non condivideva la loro fede nello Sto-vo-kor, il paradiso dei guerrieri, pensò che era sempre meglio dell’implacabile ideologia dei Pacificatori, che compivano un massacro dopo l’altro con il sorriso sulle labbra, illudendosi di creare il paradiso in terra.
   «E tu chi sei?» chiese Raymond. La sua voce si era fatta molto più vicina, assumendo un tono inquisitorio.
   Vrel alzò il capo, trovandosi a fissare il Comandante. Questi si era avvicinato al suo tavolino e ora lo osservava dall’alto in basso, con aria sospettosa. «Io, uhm... sono un ex pilota che è rimasto a terra per via del conflitto» biascicò il mezzo Xindi, cercando di suonare completamente ubriaco. Si chiese se il Pacificatore lo aveva riconosciuto, malgrado il suo aspetto derelitto e gli abiti civili.
   «Ma davvero?» fece Raymond, increspando le labbra sottili. «Molti che non lo meritano sono nelle tue condizioni. E molti altri, che meritano ben di peggio, non sono stati ancora puniti. Vedremo qual è il tuo caso» avvertì, portando la mano al phaser.
 
   Riavutasi dal disgusto per il peculiare “brindisi” del Caitiano, Zafira terminò di sorbire il suo mai-tai e posò il bicchiere, pulendosi educatamente le labbra. Nel frattempo uno degli scagnozzi di C’Rerr si chinò su di lui, mostrandogli un d-pad e mormorandogli qualcosa all’orecchio. Il malavitoso gli strappò di mano il dispositivo e lesse con attenzione. Le sue pupille feline si contrassero, le orecchie si sollevarono e un mugolio irritato gli salì dalla gola.
   «Qualcosa non va, carissimo?» chiese l’Orioniana, con una stretta allo stomaco.
   «Temo che il nostro affare dovrà subire una piccola modifica» confermò il Caitiano. Al suo cenno, quattro scagnozzi circondarono Zafira ed Elmer. Avevano le mani in tasca, pronti a estrarre i piccoli phaser di tipo 1.
   «Indietro, voi!» ammonì l’Halanano. «La mia padrona Zafira...».
   «... è un’abile truffatrice, certo! Ma non controlla affatto il Clan di Goutric» lo gelò C’Rerr. Poi si rivolse all’interessata: «Credevi che non avrei fatto qualche ricerca sul tuo conto, bellezza? La Catena Cremisi ha occhi e orecchie ovunque. Così ho saputo che negli ultimi mesi una sedicente Zafira Goutric ha preso accordi con svariate bande, sempre comprando armi in cambio di ketracel rosso. Ma ogni volta gli hai tirato un bidone, rifilandogli soluzione fisiologica senza proprietà narcotiche. E te la sei filata con le armi».
   Per un attimo l’Orioniana rimase di sasso, ma subito dopo riprese l’atteggiamento disinvolto. «Queste accuse sono assurde. Devi essere incappato nella disinformazione di qualche banda rivale che vuole ostacolarmi» sostenne.
   «Nessun errore, bambolina. C’era la possibilità che quella Zafira fosse un’avventuriera che si spacciava per te, ma il Sindacato stesso mi ha appena informato che i beni rimanenti del tuo Clan sono stati divisi tra le altre famiglie!» ringhiò il Caitiano, alzandosi e sbattendo il d-pad sul tavolo.
   L’Orioniana lo prese e lo lesse rapidamente. Sotto l’emblema giallo-verde del Sindacato c’era un messaggio dei capi-clan, che indicavano come il Clan di Goutric fosse sostanzialmente defunto, essendo i suoi membri morti o in prigione. E poiché l’unica erede – cioè lei – non si era fatta avanti a reclamarne la guida, le sue sostanze erano state spartite tra gli altri, secondo le regole del Sindacato. «Oh, beh... non c’era molto che mi stesse a cuore, nella vecchia villa» si disse, anche se un po’ le dispiaceva: era pur sempre il luogo in cui era cresciuta.
   «Ora, posso solo immaginare cosa ti abbia spinta a imbastire questa messinscena» disse C’Rerr, in tono basso e ringhioso. «Forse ti sei pentita di aver rinunciato all’eredità, e stai cercando di procurarti risorse con cui rientrare nel Sindacato. Ma la tua ossessione per gli armamenti mi suggerisce un’altra spiegazione. Tu, povera sciocca, sei ancora fedele alla Flotta Stellare! Ed è lì che finiscono le armi che ti procuri!» esclamò, additandola. I suoi artigli retrattili erano pericolosamente estroflessi.
   Per lunghi secondi l’Orioniana non reagì, limitandosi a fissarlo freddamente. Infine parlò, con voce irriconoscibile. Sparito il tono mieloso di Zafira, ora le sue parole erano pezzi di ghiaccio. «Se c’è ancora un barlume di speranza, viene dalla Flotta; non certo da voi tagliagole!» sibilò Zafreen.
   «Oh oh, ho fatto centro!» gongolò il Caitiano. Le si avvicinò e si chinò su di lei, bisbigliandole all’orecchio, mentre le passava minacciosamente l’artiglio sulla guancia. «Voi federali siete così malmessi che avete bisogno di questi sotterfugi per rifornirvi. Patetici! Presto busserete alla nostra porta, implorandoci di arruolarvi. Ma noi ci ricordiamo del trattamento ricevuto. Siete stati voi a condurre i Pacificatori al nostro principale rifugio...».
   «Non sapevamo che lo fosse!» si giustificò l’Orioniana.
   «... quindi è giusto che ora siamo noi a consegnarvi ai Pacificatori» concluse il malavitoso, con un sorrisetto perfido. «Ce ne sono giusto tre, lì al bancone. La mia faccia non la conoscono, ma farò in modo di recapitargli te».
   «Vuoi darmi via così? Guadagneresti di più lasciando che la Keter mi riscattasse» obiettò Zafreen.
   «I soldi non sono tutto, nella vita» ghignò il Caitiano. Dopo di che si risedette pesantemente e si rivolse ai suoi tirapiedi. «Avvertite i Pacificatori che c’è una super-ricercata pronta per loro. Gliela faremo trovare legata in uno dei livelli inferiori, senza bisogno d’esporci». Ciò detto aprì un’altra gabbietta, estraendone un uccello canterino simile a un fringuello. Si mangiò anche quello, stavolta masticandolo con gusto.
   «E riguardo a lui?» chiese il caporione, accennando a Elmer, che se n’era rimasto zitto e immobile per tutta la conversazione.
   «Toh, m’ero quasi scordato di te!» fece il Caitiano, con la bocca ancora piena. «Tu chi saresti? Un’altra carogna della Keter?».
   «Diciamo così» rispose l’Halanano, fulminandolo con lo sguardo. In lui non c’era più traccia del servitore viscido di poco prima. Adesso teneva la schiena ben dritta e parlava in tono minaccioso. «Ti consiglio di lasciarci andare, o le cose si metteranno male per te» avvertì.
   «Oh, sto tremando di paura!» fece C’Rerr, ingollato l’ultimo boccone. «Su, portateli via!» ordinò, battendo le mani. «Ho già perso fin troppo tempo con loro».
   Poiché i prigionieri non si muovevano, i tirapiedi gli misero le mani addosso per trascinarli via. Nell’attimo in cui uno di loro cercò di afferrare Elmer, questi si divincolò, facendogli lo sgambetto. Il malvivente incespicò, sul punto di cadere, ma si riebbe e reagì colpendolo con un manrovescio. L’Halanano piombò sul tavolo, facendo cadere i bicchieri, che andarono in frantumi. Questo attirò l’attenzione dei clienti nelle immediate vicinanze, cosa che C’Rerr avrebbe voluto evitare.
   Fu allora che tutti si avvidero di un particolare sconcertante. Una delle lunghe orecchie bifide dell’Halanano si era staccata ed era caduta a terra, rivelandosi nient’altro che un trucco prostetico. Ora il padiglione auricolare di Elmer era liscio e ovale, come quello di un...
   «Umano!» strillò una cameriera che si era avvicinata per raccogliere i cocci.
   «Umano!» le fecero eco gli avventori, allontanandosi da lui come se fosse un appestato.
   E «Umano!» fu il grido che si allargò sempre più, fino a sovrastare la musica. A quel punto l’incriminato si rialzò dal tavolo, massaggiandosi la mascella dolorante. Si guardò attorno con un sorrisetto compiaciuto, godendo dell’isteria generale. «Sì, e me ne vanto!» disse strappandosi l’altro orecchio finto, per provocare ancor più gli astanti. Dopo di che si rivolse a Zafreen: «Incredibile che si può fare con un po’ di make-up, nevvero? Ci si può imboscare ai party Human-free!».
   «E adesso?» chiese l’Orioniana, incerta sulla prossima mossa.
   «Adesso si balla» rispose Juri Smirnov, uno dei pochi Umani fieri di esserlo.
 
   Il Comandante Raymond stava per costringere Vrel ad alzarsi, quando il clamore crescente attirò la sua attenzione. Dimenticando il sospettato che gli era accanto, il Pacificatore spinse avanti lo sguardo, finché vide Juri e Zafreen. Non gli ci volle molto per riconoscere due dei maggiori ricercati dell’Unione.
   «Ma guarda... serviti su un piatto d’argento!» gongolò, estraendo il phaser.
   Fu in quell’attimo che Vrel scattò. Il mezzo Xindi, tutt’altro che brillo, afferrò una bottiglia di whisky e gliela spaccò in testa. Nello stesso attimo, con l’altra mano, gli strappò il phaser. Il Comandante cadde a terra tramortito, mentre il timoniere della Keter sparava ai due guardiamarina, stordendoli prima che capissero cosa stava accadendo. Vedendo balenare i raggi phaser, gli avventori gridarono e indietreggiarono spaventati. Ormai tutti, nella discoteca, si erano accorti che qualcosa non andava. Le ballerine smisero di ancheggiare sulle pedane levitanti e anche la musica cessò, lasciando un silenzio teso.
   «Ohi, ohi... ma che diavolo...» gemette Raymond, cercando di rialzarsi.
   «A cuccia» gli disse Vrel, e lo stordì del tutto con un tremendo pugno. Avrebbe potuto usare il phaser, ma preferì quel modo per metterlo KO. Dopo di che corse in aiuto dei colleghi. Era un bene che lo avessero piazzato lì, pronto a intervenire se qualcosa fosse andato storto. Vedendolo correre con un phaser in pugno, la gente gli fece ancora più il vuoto attorno.
   «Beh, cos’è questo mortorio? Sdrammatizziamo!» esclamò il mezzo Xindi. «Voi lassù, mettete qualcosa d’allegro!» ordinò, puntando l’arma contro i DJ che si trovavano su una balconata interna al salone. Questi si scambiarono un’occhiata e obbedirono. In un attimo la discoteca fu nuovamente scossa da una musica a tutto volume, dal ritmo incalzante. Alcune delle cubiste e degli avventori ripresero a ballare, come se nulla fosse.
   Nel frattempo C’Rerr era saltato indietro, rovesciando la sedia e incespicando nelle gabbiette che l’attorniavano. Nel vedere che i suoi tirapiedi mettevano mano ai phaser, li trattenne: «Fermi! Non attirate l’attenzione, ci sono troppi testimoni».
   «E allora come...».
   «Rompetegli le ossa alla vecchia maniera» ordinò il malvivente. Dopo di che si mise fuori portata, per godersi la scena.
   Scoppiò il finimondo. Grida e botte da orbi dilagarono nella discoteca, senza che la musica e le danze s’interrompessero. Tutti quelli che avevano voglia di menare le mani si gettarono nella mischia, da una parte e dall’altra. Dopo tre anni di guerra c’era molta rabbia repressa da sfogare, e quello sembrava un buon modo. Bicchieri e bottiglie presero a volare intorno al bancone, seguiti addirittura dalle sedie, mentre la barista e le cameriere vi si nascondevano dietro, strillando isteriche.
   Vrel irruppe accanto agli amici proprio nel momento in cui scoppiava la rissa e prese subito a picchiare duro. I loro avversari diretti erano gli scagnozzi di C’Rerr. Il caporione s’infilò un tirapugni d’acciaio e cercò di colpire nuovamente Juri, ma questi si scansò con sorprendente agilità. Levò dalla manica un sottile strumento metallico, simile a una matita argentea, e gli sparò a bruciapelo. Era un fulminatore elettrico: l’avversario cadde a terra, contorcendosi brevemente prima di giacere tramortito.
   Nello stesso momento altri due delinquenti si avventarono su Zafreen. L’Orioniana era addestrata all’autodifesa, come tutto il personale di Flotta, ma non era certo vestita nel modo adatto a lottare. Tuttavia non si perse d’animo. Calciò via le scarpe, strappò lo strascico perché non l’intralciasse e si rotolò sul tavolo, sfuggendo alle loro grinfie per atterrare sull’altro lato. Qui afferrò le gabbiette degli uccelli, una per mano, e le usò come armi improvvisate, sbattendole in faccia agli avversari per tenerli a distanza. Dopo i primi colpi andati a segno, gli sportellini si ruppero. I volatili, agitati dagli sballottamenti, uscirono in un turbinio d’ali, strillando come polli spennati e unendosi alla caciara generale.
   Non era ancora finita. Vrel agguantò il Tarlac, che si era schierato con i malviventi, e lo scaraventò sul bancone, dandogli un tale impulso da farlo scivolare per tutta la sua lunghezza, spazzando via bottiglie e bicchieri. Giunto in fondo, il malcapitato finì dritto contro una delle grandi bolle che erano tenute sospese a scopo estetico. La massa d’acqua si frantumò in decine di bollicine più piccole, che ne colpirono altre, scindendole a loro volta in un effetto a cascata. Adesso i globi fluttuavano sopra gli avventori intenti a ballare o a malmenarsi, rifrangendo le luci stroboscopiche in modi sempre nuovi e inattesi, così che molti ne erano abbagliati nei momenti meno opportuni. Tra la rissa furibonda, le ballerine invasate, i luminosi globi fluttuanti e i pennuti che strillavano come se fossero sulla graticola, la discoteca si era trasformata in una bolgia.
   «Ah ah, più forte, ragazzi!» rise Vrel, aizzando tutti quelli che si erano schierati dalla sua. Quando l’uppercut di un malvivente lo spedì su un tavolo, afferrò la bottiglia che vi si trovava e la vuotò d’un sorso, per ritemprarsi. Poi la ruppe in testa all’avversario, liberandosene, e tornò in piedi con un salto, ridendo ancora più forte. Fra i presenti era certamente quello che se la godeva di più.
   Poco lontano, Juri si affidava più alla strategia. Il suo fulminatore elettrico era seminascosto dalla mano ed emetteva una scarica brevissima; l’Umano inoltre colpiva i nemici a bruciapelo, così che molti non capivano nemmeno che era armato. Dopo ogni attacco sgusciava via, celandosi tra le ombre lungo le pareti, e cercava un nuovo avversario da colpire subdolamente alle spalle.
   Zafreen infine, stanca di usare le gabbiette come armi improprie, le gettò in faccia ai nemici e fuggì verso la zona delle danze. Raggiunto un palo di pole-dance, lo afferrò e vi girò attorno, dandosi lo slancio. Così assestò un doppio calcio allo stomaco al suo inseguitore, mandandolo al tappeto.
   «Tieni!» le disse Vrel, lanciandole il phaser.
   L’Orioniana lo afferrò al volo e stordì l’avversario che si stava già rialzando. «Era da tanto che non andavamo a ballare» ansimò, non appena il compagno le fu vicino.
   «Bel posto, eh? Mi piace anche la musica» convenne il mezzo Xindi, strappandole un sorriso.
   Sebbene qualcuno la trovasse appagante, la mega-rissa non poteva durare a lungo. Alcuni avventori fuggirono dal salone, chiamando aiuto, e altri contattarono direttamente le forze dell’ordine. Riferirono che tutto era iniziato con l’aggressione a tre Pacificatori, che ora giacevano a terra. La risposta non tardò a farsi sentire. E non fu la polizia locale a intervenire, ma il corpo dei Pacificatori, a indicare che ormai controllavano Stratos, e con essa Ardana.
   Una ventina d’agenti in tenuta anti-sommossa irruppe nella discoteca, accompagnati da altrettanti droni accalappiatori, del tipo usato per sedare i tumulti. Per un attimo esitarono davanti a quel bailamme, ma poi si gettarono nella mischia, stordendo tutti quelli che non si sdraiavano a terra.
   «Tempo di andare!» disse Vrel. Afferrò Zafreen per il polso, per non perderla nella calca. Immaginando che tutte le uscite fossero ormai presidiate, i due corsero verso il finestrone.
   «Dov’è Juri?» si preoccupò l’Orioniana, che da un pezzo lo aveva perso di vista.
   «Eccolo!» fece il mezzo Xindi.
   L’Umano li aveva preceduti e li aspettava accanto alla finestra. «Su, prendiamo un po’ d’aria!» li esortò.
   Zafreen si tolse uno dei grossi orecchini e lo appoggiò al vetro, facendolo aderire. Girò un componente, attivando il generatore ultrasonico nascosto all’interno. Ci fu un fischio acutissimo e l’enorme vetrata divenne bianca di crepe; l’attimo dopo andò in pezzi. I tre federali si protessero gli occhi con le mani e saltarono fuori, scivolando lungo la parete inclinata che sapevano esserci all’esterno. I Pacificatori li videro, ma erano ancora lontani e non poterono raggiungerli prima che si buttassero. Riuscirono solo a sparare qualche colpo, che andò a vuoto per via della distanza e del trambusto. Tuttavia avvertirono i loro colleghi che circondavano l’edificio.
   Ora che la vetrata era in frantumi, l’aria fredda entrò nel salone, contribuendo a calmare gli animi. I pochi che ancora non l’avevano fatto si sdraiarono al suolo e la musica tacque definitivamente, mentre i Pacificatori prendevano il controllo della situazione. I droni svolazzarono sopra gli astanti, intimando loro di restare immobili mentre li sondavano.
   Visto come si mettevano le cose, C’Rerr decise che era il momento di defilarsi. Sgattaiolò verso un’uscita di servizio che portava ai livelli inferiori, da cui contava di sottrarsi all’accerchiamento dei Pacificatori. Gli mancavano pochi metri quando un drone accalappiatore lo adocchiò e gli venne contro, squillando una sirena. «Allarme, ricercato di classe B-1!» gracchiò l’infernale congegno. A quelle parole diversi Pacificatori interruppero la perlustrazione e gli vennero contro con le armi spianate.
   «Frell!». Il Caitiano non capì come avesse fatto il drone a riconoscerlo. Era convinto che i Pacificatori non avessero i suoi dati fisiognomici, ma evidentemente si sbagliava. Rinunciando alla discrezione corse verso la porta, sperando ancora di mettersi in salvo. Ma aveva sottovalutato la rapidità dell’ordigno.
   «Fermo! Sei un nemico della collettività, arrenditi e accetta la giusta punizione!» disse il drone, ricorrendo a uno dei suoi messaggi registrati. L’attimo dopo gli fu addosso e gli abbrancò la schiena. Subito si aprì come un meccano, trasformandosi in una gabbia metallica che lo avvolse completamente. Ogni arto fu immobilizzato; persino le singole dita furono ingabbiate. Ridotto a una grottesca marionetta, di cui i Pacificatori tenevano i fili, il malvivente fu costretto a rialzarsi. Con movimenti rigidi e meccanici venne incontro agli agenti, che lo circondarono.
   «Dunque, chi abbiamo qui?» chiese il caposquadra, guardandolo fisso.
   «C’è un errore, sono un onesto cittadino...» cominciò il Caitiano, ma il drone gli coprì la voce, facendo rapporto.
   «Il soggetto è C’Rerr, capo-cellula della Catena Cremisi, ricercato per l’organizzazione di quarantasette attentati terroristici contro i coloni Voth, nonché per il contrabbando d’armi» riferì il congegno, con voce metallica.
   «Non è vero! È tutto un equivoco! Io non c’entro niente!» si disperò il malvivente. Le sue scuse suonarono patetiche persino a lui.
   «Questo lo stabilirà il processo» disse il caposquadra, senza sbilanciarsi.
   «Io... esigo di avere un avvocato!».
   «Lo avrà. E adesso mettetelo in gabbia».
   C’Rerr marciò verso la navetta dei Pacificatori, sempre a scatti per via dell’esoscheletro che lo muoveva contro la sua volontà. Due agenti armati lo accompagnarono, per accertarsi che non si liberasse. Gli altri restarono per tenere sotto controllo la situazione. Il Caitiano continuava a chiedersi come avessero fatto a riconoscerlo. Anche se non poteva esserne certo, era divorato dal sospetto che c’entrassero i federali.
 
   La Keter occultata indugiava nell’orbita di Ardana, seguendo passo passo l’evolversi della situazione. Tutti gli sforzi erano tesi a recuperare gli agenti a terra.
   «Ho intercettato una trasmissione dei Pacificatori» disse Smig, la sostituta di Zafreen alla postazione sensori e comunicazioni. «Hanno arrestato C’Rerr!».
   «Ben fatto» disse il Capitano Hod, rivolta sia a lei che a Terry, che l’affiancava.
   «Intromettersi nella loro banca dati è stato semplice» disse la proiezione isomorfa. «Il difficile era procurarsi un’olografia, ma a quello ha provveduto Juri». L’Umano aveva una microcamera nascosta nel comunicatore. Quando si era affiancato a Zafreen, durante le trattative, aveva scattato delle olografie di C’Rerr, trasmettendole ai colleghi. A quel punto era stato semplice per Terry completare il profilo del Caitiano, così da farlo arrestare. Ma quello era solo il premio di consolazione, perché l’obiettivo primario della missione era fallito.
   «Ora potete agganciarli?» chiese Hod.
   «Le interferenze sono forti anche fuori dall’edificio» disse Terry, che aveva preso i controlli del teletrasporto. «Cercherò di portarli su uno per volta».
   «Faccia presto; non credo che gli resti molto tempo» raccomandò il Capitano, osservando apprensiva il pianeta arancione.
 
   «Uh, la testa...» si lamentò il Comandante Raymond, riprendendosi dallo stordimento. Si tastò il cuoio capelluto, dove gli era arrivata la bottigliata, e sentì un grosso bernoccolo. Anche la mascella gli doleva, per il pugno di Vrel, e sentiva in bocca il sapore del sangue. «Che è successo?!» boccheggiò, vedendo i colleghi raccolti attorno a lui.
   «È stato stordito da uno dei ricercati» riferì il caposquadra. «Li stiamo cercando, non andranno lontano. Venga, l’accompagno in infermeria».
   «Non se ne parla! Sono ancora al comando!» esclamò Raymond, balzando in piedi. «Guiderò io stesso la squadra di ricerca».
   «Ne è sicuro? Non mi sembra nelle condizioni migliori...» azzardò il sottoposto.
   «Sicurissimo. Nessuno si prende gioco dei Pacificatori!» disse il Comandante. Essendo per tre quarti Umano, aveva il costante bisogno di provare la sua fedeltà all’Unione. «E poi i ricercati sono della Keter. È dall’inizio della guerra che ho un conto aperto con loro» rivelò.
 
   I tre federali scivolarono per parecchi metri lungo la parete inclinata, finché raggiunsero il piano di calpestio. Era una delle tante strade della città volante, incassata tra gli alti palazzi. I passanti che se li videro piombare davanti si scostarono, interdetti.
   «Ehm... era un party privato, e noi non eravamo invitati» disse Vrel, come se questo giustificasse il fatto che erano piombati giù dalla finestra. L’attimo dopo i federali ripresero la fuga, lasciandosi dietro i passanti ancora più sconcertati.
   «Attenzione, allerta per tutti i cittadini!» tuonarono gli altoparlanti pubblici. «Ci sono tre spie della Flotta Stellare in circolazione: Vrel Shil, Zafreen e l’Umano Juri Smirnov». Tutti gli oloschermi pubblicitari mostrarono le loro foto segnaletiche, prese dall’archivio ricercati dei Pacificatori. «Dopo aver attaccato il Club Droxine si sono dati alla fuga, ma non possono aver lasciato la città. Sono armati e pericolosi. Finché non saranno assicurati alla giustizia, tutti i cittadini devono rientrare nelle loro abitazioni. Se siete turisti, tornate subito all’albergo. E se vedete i fuggitivi, avvertite le forze dell’ordine. Ogni informazione utile alla cattura sarà ricompensata, mentre ogni favoreggiamento sarà severamente punito».
   «Sei venuta bene nella tua segnaletica» commentò Vrel, rivolto alla compagna. «Io invece faccio schifo».
   «Che ne dite di toglierci dalla strada, eh?» li pressò Juri. Aveva notato che i passanti li fissavano spaventati e alcuni estraevano i comunicatori.
   I federali svoltarono in uno stretto vicolo tra due palazzoni e da lì cercarono di far perdere le loro tracce. Ma non era facile nascondersi in una città volante, pattugliata da droni anch’essi volanti. Un paio di quegli arnesi sorvolarono il vicolo, individuandoli dall’alto, e piombarono su di loro. «Lassù!» gridò Zafreen, vedendoli scendere in picchiata. Vrel ne disintegrò uno con il phaser e Juri cortocircuitò l’altro col suo fulminatore elettrico, mentre già si apriva per ghermirlo.
   «Droni accalappiatori» disse l’Umano, osservando con disgusto i resti sfrigolanti. «Avranno avvertito i Pacificatori. Dobbiamo muoverci».
   «Shil a Keter, questo è un buon momento per farci risalire!» disse il mezzo Xindi, mentre tutti e tre si allontanavano di corsa.
   «Qui Terry, le interferenze termoioniche ci costringono a prendervi uno per volta» rispose l’Intelligenza Artificiale.
   «Cominciate da Zafreen» raccomandò il timoniere, volendo proteggerla.
   «Vrel, no...» fece l’Orioniana, ma stava già svanendo nel bagliore del teletrasporto.
   I due federali rimanenti proseguirono, sbucando in uno dei viali bordati di statue. La strada si stava svuotando, perché i passanti obbedivano al coprifuoco.
   «Non mi piace, dobbiamo cercare un luogo più riparato...» borbottò Juri, guardandosi nervosamente attorno. Non si avvide però che il pericolo era già alle sue spalle.
   «Giù!» avvertì Vrel, strattonandolo.
   L’Umano si abbassò appena in tempo. Il raggio phaser ronzò pochi centimetri sopra la sua testa, colpendo una delle statue e mandandola in pezzi. I frammenti roventi piovvero addosso a Juri, che si protesse il volto con le braccia. Dunque i Pacificatori sparavano per uccidere.
   Vrel stava già rispondendo al fuoco. C’era un’intera squadra che li inseguiva, e Raymond era il capo.
   «Raymond! Stavolta lo faccio secco!» ringhiò il mezzo Xindi, prendendolo di mira. Ma in quell’attimo anche lui fu trasferito sulla Keter.
   «Ti pareva!» mugugnò Juri, maledicendo la sua solita scalogna. Rimasto solo, l’Umano fuggì a rotta di collo, con i raggi phaser che gli balenavano attorno. Ogni tanto si voltava per rispondere al fuoco. Riuscì a centrare un Pacificatore, che cadde a terra stordito; gli altri tirarono dritto, calpestandolo. Davanti a tutti c’era Raymond, che sparava per uccidere, senza badare al rischio di colpire qualche passante attardatosi per strada.
   Lo storico confidava nel teletrasporto della Keter, ma i secondi passarono senza che i suoi compagni lo traessero in salvo. I Pacificatori, d’altro canto, erano sempre più vicini. Allora l’Umano si premette il comunicatore. «Smirnov a Keter, che diavolo state aspettando?!» protestò.
   «Qui Keter, c’è un problema» rispose Terry. «Stratos ha attivato lo scudo. Non possiamo più agganciarti».
   Juri imprecò in russo. Alzò lo sguardo e vide che in effetti il cielo aveva assunto una luminescenza perlacea, segno che lo scudo a bolla avvolgeva la città. Era in trappola.
   «Juri, ascolta» intervenne Hod, la voce distorta dalle interferenze. «Non ti abbandoniamo. Sto per portare la Keter nell’atmosfera. Attaccheremo la città, se necessario, e abbatteremo lo scudo».
   «No, non fatelo!» gridò l’Umano, sempre correndo a perdifiato. Aveva lasciato la strada, dov’era troppo esposto, e stava attraversando uno dei parchi cittadini, cercando di nascondersi tra gli alberi. «Se una nave federale bombarda una città dell’Unione, perderemo l’ultimo briciolo di consenso. E poi questa non è una città come le altre. Un colpo di troppo e potreste farla precipitare».
   «Non ce ne andremo senza di te!» insisté il Capitano.
   «Non vi ho chiesto questo» precisò Juri. «Se lo scudo avvolge la città, allora io devo uscire».
   «Vuoi rubare una navetta?! Sei molto lontano dall’hangar...» fece Hod, incerta, mentre osservava un prospetto della città volante.
   «Negativo, non posso assaltare l’hangar da solo» disse l’Umano. Accortosi che gli inseguitori non erano più in vista, si azzardò a sostare un attimo per riprendere fiato. Si piegò in avanti, con le mani sulle ginocchia, prendendo grandi boccate d’aria. «Intendo uscire per la via più breve» rivelò, guardando avanti a sé. Al limitare del parco c’era una balconata, e oltre la balconata... il vuoto. Una caduta libera di mille metri. Considerando che con la gravità di Ardana si precipitava a otto metri al secondo, significava una caduta di due minuti e cinque secondi. «Voi trasferitemi appena sarò fuori dalla bolla» raccomandò, scattando di nuovo in avanti.
   «Juri, no!» gridò il Capitano, intuendo le sue intenzioni. Ma non poteva fermarlo.
   L’Umano era quasi alla balaustra, oltre la quale c’era solo il cielo arancione, striato di cirri bianchi. Fu allora che il Comandante Raymond gli si parò davanti, sbucando da una macchia di vegetazione. «Fine della corsa, carogna!» ghignò, puntandogli il phaser in faccia.
   Juri dovette fermarsi, per non essere abbattuto sul posto. In un attimo i Pacificatori al seguito di Raymond lo circondarono; l’Umano fu disarmato e costretto a stendersi a terra. «Che attrezzo bislacco» disse il Comandante, rigirandosi il fulminatore elettrico tra le dita. «Beh, non ti servirà più» concluse, gettandoselo alle spalle, nel vuoto. «Stai per finire in un carcere di massima sicurezza, dove ti spremeranno quel poco di cervello che hai».
   In quella il comunicatore di Juri trillò. «Keter a Smirnov, mi ricevi?!» chiese la voce preoccupata di Hod.
   «Ma senti, l’Angelo della Morte in persona!» ridacchiò Raymond, usando il nomignolo con cui l’Elaysiana era conosciuta tra i Pacificatori. Strappò il comunicatore dalla giacca di Juri e lo attivò.
   «Salve, Capitano Hod. Sono il Comandante Raymond e ho arrestato la sua spia» esordì. «Ve la restituirò solo in cambio di un altro ostaggio: lei. Decida subito!».
   «Sta scherzando col fuoco» ribatté l’Elaysiana. «Ho espugnato obiettivi più difesi di Stratos».
   «Se ci attacca, il primo a morire sarà proprio la sua spia» minacciò Raymond, voltando le spalle al prigioniero mentre discuteva.
   Mentre i due battibeccavano, Juri analizzò la situazione. I Pacificatori attorno a lui non erano molti e dopo averlo bloccato sembravano aver abbassato la guardia. Se si fosse mosso in fretta, avrebbe avuto un secondo o due prima che reagissero. La balaustra era vicina... e anche Raymond lo era. D’un tratto capì cosa doveva fare.
   «DiDiP, colpisci!» ordinò l’Umano. Il Dispositivo per la Difesa Personale incorporato nel comunicatore emise un getto nebulizzato che colpì Raymond al viso, accecandolo temporaneamente. Con un grido di dolore e sorpresa, il Comandante lasciò cadere il congegno e si portò le mani agli occhi arrossati.
   I Pacificatori rialzarono subito le armi, ma Juri aveva approfittato dell’attimo di sconcerto per balzare in piedi. Afferrò Raymond da dietro, usandolo come scudo umano, e indietreggiò fino alla balaustra. Qui il Comandante, ancora accecato, si divincolò furiosamente. Al tempo stesso i Pacificatori si aprirono a ventaglio, cercando di avere il tiro pulito per neutralizzare Juri. Ma l’Umano aveva già deciso il da farsi. Ancora avvinghiato a Raymond, si rovesciò all’indietro, facendogli perdere l’equilibrio. Caddero entrambi oltre il parapetto, nel vuoto che circondava Stratos.
 
   «S’è buttato!» avvertì Terry. Sul quadro comandi squillò un allarme, a indicare che il soggetto si muoveva rapidamente e questo rendeva difficile agganciarlo.
   «Prendilo, prendilo!» la pressò Vrel, che le stava accanto. Lui e Zafreen l’aiutarono a regolare i comandi. Agganciare un soggetto in caduta libera era sempre stato difficile, e lo era ancora, malgrado i progressi del teletrasporto.
   «Ci sono due segni vitali; sono avvinghiati» notò Zafreen.
   «Prendeteli entrambi» ordinò il Capitano, pallida ma controllata. Al suo fianco, Norrin estrasse il phaser, pronto ad accogliere qualunque Pacificatore fosse caduto assieme allo storico.
 
   Mentre precipitava, Juri sentì il vento fischiargli nelle orecchie ed ebbe difficoltà a respirare. La liscia parete color salmone di Stratos passò accanto a lui; la minima sporgenza avrebbe comportato un impatto fatale. Fortunatamente in quel punto non c’erano cornicioni, né strutture aggettanti: solo una parete verticale che finiva nel vuoto. Per un attimo l’Umano attraversò la nuvola di condensa, che lo avvolse come una nebbia. Oltrepassata quella, vide sopra di sé la nube grigia che nascondeva il basamento della città, con i suoi repulsori gravitazionali. In basso, molto più lontano – ma in rapido avvicinamento – c’era la pianura brulla, percorsa da un fiume simile a un lucente nastro arancione.
   Juri non aveva paracadute, né stivali a razzo; nulla che gli impedisse di sfracellarsi al suolo. Poteva contare solo sull’abilità dei suoi colleghi. Almeno non era solo: Raymond stava cadendo con lui. Erano ancora avvinghiati nella lotta. Il Comandante aveva estratto il phaser, sebbene fosse ancora accecato, e il federale lo bloccava da dietro. Raymond cercò di rigirarsi per sparargli, ma nel far questo la sua presa s’indebolì e il phaser gli sfuggì di mano, perdendosi nel vuoto. «Lasciami, maledetto!» ringhiò il Pacificatore.
   «Ah, no! Tu verrai con me, sulla Keter... o all’Inferno!» gli sibilò Juri all’orecchio.
   «Ho detto lasciami, Umano!» gridò Raymond, dimenandosi come un ossesso. Stavano entrambi precipitando verso una probabile morte, ma questo non lo preoccupava quanto il fatto d’essere toccato dalle dita “impure” di un Umano. Mordendo e schiumando come un cane rabbioso riuscì a divincolarsi, dopo di che dette un calcio nello stomaco a Juri, allontanandolo da sé. Erano ormai a metà della caduta ed era chiaro che non sarebbero precipitati nel fiume, troppo a oriente. Ad attenderli c’era solo il duro suolo di sasso.
   «Raymond a Rukh, energia!» gridò il Comandante, invocando la sua nave affinché lo salvasse. Ma le sue dita toccarono solo il tessuto dell’uniforme. In preda al panico, Raymond si accorse che nella colluttazione aveva perso il comunicatore e con esso la speranza di salvarsi. Il suo grido rabbioso si perse nel vento.
   A qualche metro di distanza, Juri precipitava con la schiena verso il basso e le mani intrecciate sul petto. Sapeva che l’impatto era imminente e voleva morire guardando il cielo. Sempre che la Keter non riuscisse a teletrasportarlo... ma le speranze erano ormai al lumicino. Curiosamente non provava terrore, né rabbia, e non aveva nemmeno grossi rimpianti. Una calma surreale si era impossessata di lui. Sapeva che il suo fato dipendeva da altri e che lui poteva solo aspettare. Ormai doveva essere a poche centinaia, se non addirittura poche decine di metri da terra.
   «Fin qui, tutto bene» mormorò l’Umano. Era l’ultima battuta, anche se non c’era nessuno ad ascoltarla. In quella però avvertì la familiare sensazione del teletrasporto. L’aria fredda smise di frustarlo e il cielo arancione svanì alla sua vista.
   A pochi metri da lì, Raymond vide l’avversario dissolversi nel bagliore azzurro. Se fossero stati ancora avvinghiati, comprese, si sarebbe salvato anche lui. Ma siccome lo aveva allontanato, ora era escluso dal raggio. «NOOO!» gridò il Comandante, vedendo il suolo sempre più vicino. Il suo ultimo pensiero, prima di sfracellarsi sui sassi, fu l’augurio che i Pacificatori estirpassero la specie umana dalla Galassia.
 
   Una delle caratteristiche più interessanti del teletrasporto era che durante il trasferimento l’eventuale energia cinetica del soggetto si annullava. Dunque se anche al momento di smaterializzarsi si muoveva a grandissima velocità, l’individuo si ricomponeva immobile. Così fu anche per Juri, che tuttavia stava cadendo in posizione orizzontale, leggermente inclinato con la testa in alto. Riapparso in quella posizione sulla pedana di plancia, l’Umano cadde di schiena per mezzo metro. «Ouch!» si lamentò.
   «Ah ah, ce l’hai fatta! Complimenti, amico!» gli fece festa Vrel. Gli si accucciò di fianco e gli dette un cinque, gesto che lo storico indolenzito ricambiò svogliatamente.
   «Groan... sto diventando troppo vecchio per queste cose» borbottò l’Umano, massaggiandosi la schiena dolorante. Tese la mano a Vrel, che lo aiutò a rialzarsi. La prima persona che cercò con lo sguardo fu il Capitano Hod; tra loro corse un sorriso di sollievo.
   «Ehm, scusate se interrompo, ma abbiamo compagnia!» avvertì Smig, con la sua vocetta stridula. Inquadrò sullo schermo due navi dei Pacificatori in rapido avvicinamento, tra cui la Rukh di Raymond. La Keter era ancora occultata, ma questa non era più una garanzia. «Sanno che ci siamo, e se hanno captato i teletrasporti ci avranno più o meno localizzati» avvertì la Ferengi.
   A confermare le sue parole, i Pacificatori lanciarono dei missili che, pur non colpendo direttamente la Keter, le esplosero tutt’intorno, facendola tremare. «Fanno detonare cariche subspaziali per localizzarci» disse Terry.
   «Non importa, qui abbiamo finito. Ritiriamoci» ordinò Hod, risedendosi in poltrona. Aveva il tono stanco e sfiduciato di chi, ancora una volta, deve fuggire dopo una sconfitta.
   La Keter lasciò in tutta fretta l’orbita di Ardana ed entrò in cavitazione quantica, dirigendosi verso quel poco che restava dello spazio federale.
   «Permesso di lasciare la plancia?» chiese Zafreen, che indossava ancora i resti sbrindellati dell’abito da sera ed era scalza, avendo gettato le scarpe per lottare.
   «Accordato. Se vi occorre, passate dall’infermeria a farvi dare un’occhiata» rispose distrattamente il Capitano.
   L’Orioniana entrò nel turboascensore, seguita da Juri, mentre Vrel restò a scambiare qualche parola con Ennil, la sua sostituta al timone. Dovevano accertarsi che i Pacificatori non li inseguissero.
   «Un altro buco nell’acqua» commentò Zafreen, delusa dalla missione.
   «Non dipende da noi. Almeno abbiamo fatto arrestare quella carogna di C’Rerr e ci siamo sbarazzati di Raymond» la consolò Juri. Per un poco tacquero, mentre l’ascensore scendeva.
   «Mi sa che questa è l’ultima volta che faccio Zafira Goutric» commentò l’Orioniana, quando furono usciti. «Ormai la messinscena è troppo conosciuta, non ci casca più nessuno».
   «Beh, non saprei. La prossima volta potremmo scambiarci i ruoli. Io sarò il boss della malavita e tu la mia schiavetta, che ne dici?» ironizzò l’Umano, che era stufo d’interpretare Elmer.
   «Meglio di no. Ricorda che ho un fidanzato geloso!» ridacchiò Zafreen, pensando a come avrebbe reagito Vrel.
   «Ehi, anch’io ho una compagna che non perdona» le rammentò Juri.
 
   Dopo la necessaria visita in infermeria, per farsi curare le escoriazioni dovute alla rissa, Vrel si ritirò nel suo alloggio. Era uno di quelli più grandi, dato che il timoniere ci conviveva con Zafreen. La coabitazione durava ormai da tre anni e, pur con gli alti e bassi dovuti al carattere vivace dell’Orioniana, potevano dirsi entrambi soddisfatti. Se non avessero potuto contare l’uno sull’altra nei momenti più neri del conflitto, non sarebbero arrivati sani di mente fino a quel punto.
   Ora Vrel sedeva alla scrivania, compilando il rapporto missione. C’era stato un tempo in cui era scrupoloso nel farlo, ma ormai si accontentava di buttar giù poche righe in cui riferiva l’essenziale. Avrebbe completamente smesso di farlo, se solo Norrin e Terry non fossero stati così puntigliosi nel richiederlo. In fondo era un modo per dare l’impressione di essere ancora una milizia regolare, evitando che l’equipaggio si sbandasse. Certo che, se le cose continuavano a precipitare come avevano fatto nell’ultimo anno, anche le ultime vestigia di disciplina si sarebbero dissolte.
   «Che giornata!» sbuffò Zafreen, passandogli dietro. L’Orioniana si stava liberando dell’appariscente abito stratosiano. Anche i gioielli finivano nel replicatore, per essere riconvertiti in energia utile alla nave. In quei tempi di magra, bisognava riciclare tutto.
   «Se non altro ci siamo fatti un giro in discoteca. Era da un pezzo che non ci andavamo» ironizzò il mezzo Xindi. «Quelle musiche di Ardana non sono male, potrei scaricarmi la hit parade di quest’anno».
   «Buona idea. Senti, io mi faccio una doccia sonica. Ti unisci a me?» chiese Zafreen, attraversando l’alloggio con nonchalance dopo essersi sbarazzata dell’ultimo capo d’abbigliamento.
   A quelle parole, Vrel smise di scrivere. Si girò verso la compagna color giada e la osservò da capo a piedi. «Mia cara, nel cassetto più basso del mio comodino c’è un phaser» rivelò. «Il giorno in cui risponderò “no” a un’offerta del genere, sei autorizzata a usarlo su di me».
   L’Orioniana sorrise divertita ed entrò nel bagno, invitando con l’indice il partner a seguirla. E questi non si fece pregare. Il Comandante Norrin avrebbe dovuto pazientare un po’, prima di leggere il suo rapporto missione.
 
   In quel momento anche Juri si era ritirato nel suo alloggio, dopo la visita di controllo in infermeria. L’Umano era ancora dolorante per la colluttazione, oltre a sentirsi stanco morto. Voleva andare a letto presto e farsi una buona dormita, se gli riusciva. Ma stava ancora cenando quando il cicalino lo avvertì di una visita.
   «Avanti» disse Juri, lasciando il tavolo per accogliere l’ospite. Era il Capitano Hod.
   «Come stai?» chiese l’Elaysiana, che in plancia non poteva abbandonarsi ai sentimenti.
   «Bene, per uno che è sopravvissuto a una caduta da mille metri» rispose l’Umano.
   «Mi spiace, non avrei dovuto spedirvi laggiù, con così poca copertura» si scusò Hod. «E per cosa, poi! Una fornitura d’armi che dovrebbe darci la Flotta, se fosse ancora in piedi». Si lasciò cadere sul divano. Aveva l’aria tormentata; fissò il fuoco nel caminetto olografico, senza realmente vederlo. Juri le sedette accanto e restò in silenzio, dandole tempo di sbrogliare i suoi pensieri.
   «Come siamo caduti in basso» mormorò infine il Capitano. «Un tempo questa era una nave della Flotta Stellare e noi eravamo i custodi della pace. Adesso cosa siamo? Ribelli, corsari, terroristi...?» chiese, fissando lo storico con aria smarrita.
   «Agli occhi dell’Unione siamo questo» disse Juri. «Ai nostri, invece, siamo le ultime scintille della Federazione e dei suoi ideali» disse, fissando la fiamma languente nel caminetto.
   «Stiamo morendo per degli ideali in cui non crede più nessuno» mormorò Hod, assalita dalla disperazione. «Poco fa è giunta una chiamata da Kronos. Il Comando di Flotta sta radunando le ultime navi per difendere il pianeta. Dobbiamo andare anche noi. Se perdessimo la capitale, sarebbe davvero finita. La Flotta Stellare si sbanderà del tutto. Allora dove andremo? Che faremo?» si chiese. Aveva gli occhi lucidi, anche se si sforzava di ricacciare indietro le lacrime. Pensò ai suoi parenti che vivevano su Elaysia, un mondo dell’Unione, saldamente occupato dai Pacificatori. Ormai aveva perso la speranza di rivederli.
   «Abbiamo degli alleati, nelle lontane regioni della Galassia, che potrebbero offrirci asilo» ricordò Juri. «Il Dominio, i Krenim...».
   «Già, tutte specie autoritarie che potrebbero ritirare la protezione, se il mutevole vento della politica lo richiedesse!» sbuffò l’Elaysiana. «E comunque significherebbe accettare la sconfitta. Non detronizzeremo Rangda, non libereremo i mondi federali... e non rivedremo mai più le nostre famiglie» disse, soffocando un singhiozzo.
   Sulle prime Juri non rispose. Si limitò ad abbracciare la compagna, carezzandole lentamente i capelli, e osservò con lei il fuoco morente. Si conoscevano ormai da otto anni, ma solo nell’ultimo avevano intrecciato una relazione; e l’Umano non ricordava di averla mai vista così avvilita. «C’è un’altra possibilità» le disse infine. «Ma risiede oltre i confini della Via Lattea, dove solo l’Enterprise osò avventurarsi».
   «Sì...» mormorò Hod, riprendendosi. «Ne parlerò alla riunione del Comando. Ormai non ci rimane altra strada. Se dovessimo andare, sarai ancora con me?».
   «Sempre» annuì Juri. Si baciarono e rimasero abbracciati sul divano, osservando le fiamme nel caminetto, finché la simulazione terminò e rimasero solo le ceneri. 
 
   
 
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