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Autore: A_Typing_Heart    24/04/2021    1 recensioni
Raim è il lavapiatti di un grande ristorante di Las Vegas e prende il suo lavoro come un banale mezzo di sostentamento per fare una vita tranquilla fuori dai guai che lo hanno segnato. La sua vita procede nella routine finché una sera un nuovo chef bussa alle porte del ristorante per chiedere un lavoro, dando una svolta inaspettata ad entrambe le loro esistenze.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Incrociai lo sguardo di Leclaire quando, a serata finita, uscì dal ristorante dal retro. Mi sorprese molto; lui si credeva troppo prezioso per entrare o uscire dall’ingresso di servizio, ma capii all’istante che l’aveva fatto apposta per potermi vedere. Abbassai la bottiglietta dell’acqua dalla quale stavo bevendo e attesi, ma lui mi passò accanto guardandomi come fossi un brutto insetto sulla finestra e se ne andò senza un commento né un cenno di saluto.

«A gonfie vele» commentai quando fu scomparso alla vista.

Scrollai le spalle; non mi importava granché di stargli simpatico. Lanciai un’occhiata alla porta di nuovo chiusa, di nuovo perso a lambiccarmi il cervello su che cosa stesse dicendo di tanto lungo lo chef Durand a Sahan nel suo ufficio. L’attesa durava da tanto che continuavo a chiedermi se non dovessi andargli in soccorso. Non riuscivo a togliermi dalla testa la ferocia con cui Durand gli aveva strattonato il braccio, perché non avevo mai visto lo chef diventare fisicamente aggressivo.

Sospirai rumorosamente in preda al nervosismo e mi alzai dai gradini abbandonando la bottiglia per fare qualche passo su e giù. Mi sentivo un idiota, e realizzai solo in quel momento che non ero sicuro che Sahan sapesse che lo aspettavo: ci eravamo scambiati un’occhiata mentre lui saliva nell’ufficio dello chef e gli avevo fatto un cenno incoraggiante, ma senza una parola non poteva sapere che l’avrei aspettato per sapere cos’era successo.

Sospirai ancora una volta passandomi le mani sulla faccia, scoraggiato e nervoso. Mi misi a pensare se non fosse meglio andare a casa e scoprire il giorno dopo se Sahan era ancora al lavoro, ma la paura di non trovarcelo avrebbe potuto anche tenermi sveglio tutta la notte. Perché la mia era una paura, ormai.

Quando la porta si aprì vidi Sahan uscirne – si era liberato dell’uniforme e indossava pantaloni e giacca di pelle nera su una camicia di un brillante turchese – ma il suo sorriso scomparve subito e scese i gradini di fretta.

«Ma che stai facendo, Raim?!»

«Oh… beh, sto…»

«Perché cavolo stai facendo pipì qui?! Il bagno è a dieci metri!»

Non sono il tipo di persona che fa i suoi comodi in giro come un cane e l’unico motivo per cui non ero rientrato era che il bagno era già stato pulito e richiuso come era consuetudine. La chiave veniva appesa insieme a quelle dei lucchetti della cantina dei vini e delle celle frigorifere nel “solito posto”. Sapevo qual era, ma per stanchezza e pigrizia mi ero lasciato traviare.

«Non volevo sporcare» belai come risposta.

«Santo cielo, Raim, non puoi fare queste cose davanti all’ingresso della cucina di un ristorante!» mi rimproverò lui, aspro quanto la mia vecchia nonna. «Ci pensi se ti vedesse qualcuno fare pipì proprio vicino a dove i fornitori scaricano la merce? Promettimi che non lo farai mai più!»

«Non l’ho mai fatto prima, lo giuro.»

«Voglio sperarlo! Su, pulisciti» mi fece lui passandomi una salvietta da un pacchettino che teneva in tasca. «Tieni… ecco, prendine un’altra.»

«Okay… okay, bastano, non devo farmi la doccia.»

«Oh, dopo questo ti butterei di peso in un catino di acqua saponata e ti laverei come un grosso cane, credimi» ribatté mentre riponeva il suo pacchetto nella giacca. «L’igiene è tremendamente importante per un cuoco. Io sono un po’ maniacale, anche.»

Non mi stupii, non dopo avergli visto prendere le salviette umidificate dalla giacca. Subito dopo mi prese la mano e ci spremette un goccio di liquido azzurrino che odorava di alcol da una boccetta; anche quella uscì da una tasca della sua giacca.

«Su, strofinale. È antibatterico.»

«Per la miseria, Sahan» feci mentre facevo come mi chiedeva. «Che cosa fai quando devi andare a letto con qualcuno?»

Sahan strizzò i suoi occhi castano-verdi e mi si avvicinò con aria feroce; solo l’angolo della sua bocca che si sollevò suo malgrado mi fece intuire che non fosse davvero arrabbiato.

«Lo sterilizzo col vapore.»

Detto ciò sorrise e si igienizzò lui stesso le mani, alzando gli occhi verso il cielo. Era in arrivo uno dei rari piovaschi di Las Vegas, portato dal vento umido del golfo. Io però avevo in mente una stranezza che mi fece aggrottare le sopracciglia: aveva appena detto “lo”, e non “la”, come mi sarei aspettato che dicesse parlando di persone con cui poteva avere una relazione.

Ebbi allora il primo dubbio riguardo a Sahan, ma poi vidi le luci spegnersi dentro il locale e capii che Durand era sceso per chiudere prima di andarsene a casa. Ciò mi fece tornare alle questioni importanti. Mi fiondai fuori dal cortiletto con fretta eccessiva e portai Sahan con me arrivando a spingerlo materialmente tenendolo per le braccia; mi fermai solo quando arrivammo alla piccola insegna neon che segnava l’ingresso posteriore del Kiwi Theater, un piccolo locale di tendenza frequentato da molti comici e cabarettisti.

«Che ti ha detto lo chef, allora?»

Sahan si mise a ridere.

«Mi stai sequestrando solo per chiedermi questo?»

Mi resi conto di averlo trascinato per un bel pezzo di strada, senza nemmeno sapere da che parte avesse parcheggiato. Naturalmente mi sentii di nuovo un idiota, ma decisi di far finta di niente.

«Dai, che ti ha detto?»

«Mi ha bacchettato» mi rispose lui senza smettere di sorridere. «Per aver buttato la salsa… continua a sostenere che Leclaire abbia solo sbagliato le erbe, ma so che era andata a male. Comunque, visto che ho risolto il dramma e i clienti non hanno protestato, sono ancora dei vostri. Mi ha promosso da voyeur a commis di cucina, non è grandioso?»

«Davvero?»

Sahan mi rispose annuendo vigorosamente e sorridendo più che mai. Sentii un enorme peso lasciarmi libero e lì capii per davvero quanto ci tenevo che restasse. Sospirai con così tanto sollievo che lo feci ridere.

«Ci tenevi tanto, Raim?»

«Beh, sì… sì. Tu mi piaci, Sahan» risposi senza imbarazzo; faccio un vanto di essere una persona diretta. «Sei coraggioso, determinato, e sei gentile con gli altri. Sei educato, e… a me piace essere tranquillo e sereno, e credo che tu sia una persona tranquilla… beh, con la testa un po’ calda, ma non sei cattivo. Pensavo che se fossi rimasto saremmo riusciti a diventare amici.»

«Ma che vai dicendo, tu? Siamo già amici, noi, e ti avrei portato con me in un altro ristorante se mi avessero mandato via!»

Sahan rise e scosse la testa come se non potesse credere a quello che avevo appena detto. Non sapevo se fosse ironico, quindi dopo un momento di attesa decisi di chiarirlo.

«Ma dici sul serio?»

«Sul serio! Sono serissimo, capito? Quella gente che non ti rispetta non si merita uno sguattero! Quando finirò il mio apprendistato qui se lo vuoi puoi venire con me. Non per essere arrogante, ma lo chef Durand ha ragione: potrei andare un po’ ovunque tra Stati Uniti, Francia e Inghilterra e mi assumerebbe chiunque, e ho dei buoni agganci anche in Italia e Spagna. Se mi presentassi raccomandandoti ti assumerebbero se non sono già a pieno regime.»

«Sei davvero uno così importante?»

Un tuono lontano ci fece alzare la testa verso il cielo, interrompendo la nostra conversazione. Sahan fu il primo a riabbassare lo sguardo.

«Conosci un posticino un po’ tranquillo dove bere qualcosa insieme?»

«Vuoi bere qualcosa con me?»

«Beh, se non sei troppo stanco» si affrettò ad aggiungere lui. «Per me è stato un servizio decisamente calmo, ma tu stai sgobbando da tutto il giorno, capisco se…»

«No, va bene» lo interruppi con un sorriso. «È stato un servizio particolare per me, ma non sono stanco. C’è un bar vicino a casa mia, è frequentato da gente del posto, niente turisti… è pulito, tranquillo, costa poco e si sta comodi. Sali che andiamo.»

Una piccola, maliziosa parte di me sperò che Sahan non desse un senso particolare al fatto che il bar fosse vicino a casa mia – mi ero già fissato su quel dubbio – e gli indicai la mia macchina di seconda o terza mano parcheggiata dietro l’angolo. Per quanto Sahan mi piacesse, non mi piaceva in quel senso.

Non ancora.

*

Se mi ero preoccupato che Sahan trovasse il mio locale preferito troppo poco elegante mi dovetti ricredere: non era snob nei confronti dei luoghi come non lo era con le persone e osservò la saletta dalle luci basse, le lanterne di vetro viola che illuminavano dall’alto le bottiglie, i tavolini rotondi e le panche imbottite lungo la parete con vivace interesse; non mi sembrò diverso da come studiava la mise en place in cucina.

«È carino qui, Raim… ci vieni spesso?»

«Da anni… beh, da quando lavoro lì è il mio bar fisso, perché è di strada quando torno, ma non vengo tutti i giorni. Costa poco, ma non così poco.»

«Già, immagino che come sguattero ti paghino una miseria, se devo giudicare in base a quanto rispetto hanno per il tuo lavoro.»

L’arrivo del proprietario e barista del Posticino, Marco, mi risparmiò l’imbarazzo di una risposta onesta a bruciapelo.

«Ehi Raim! Sei in compagnia, vedo» osservò, e allungò la mano a Sahan. «Benvenuto al Posticino, io sono Marco Dallara.»

«Oh, quindi è proprio italiano questo locale!» replicò Sahan, e gli strinse la mano con vigore. «Sahan Micheaux. Sono un collega di Raim.»

«Un tuo collega!» ripeté Marco, scioccato e divertito in egual misura. «Ma guarda un po’, guarda un po’!»

Non mi sorprendeva la sua reazione: avevo passato mesi a lamentarmi di quanto fossero dei maleducati schiavisti i miei superiori al Liaison quando ero stato assunto, e il mio costante silenzio non faceva che riconfermare opinioni già ampiamente espresse e mai riviste al loro riguardo. L’ultima cosa che si sarebbe aspettato era proprio che gli portassi uno dei miei colleghi.

«Che hai in menu oggi, Marco? Muoio di fame» gli feci, nel tentativo di impedirgli di parlare troppo.

«Oh, la mia signora ha preparato i maccheroni ai quattro formaggi, ripassati nel forno, una delizia!»

«Io li prendo» risposi immediatamente; erano il mio piatto preferito del Posticino.

«Abbiamo anche i ravioli dell’angelo, morbidi e delicati» aggiunse, rivolto a Sahan. «Oppure abbiamo una squisita bistecca servita con il pesto della casa, si scioglie in bocca come la neve al sole!»

Sahan esitò appena un secondo quando Marco finì la sua presentazione.

«Voglio assaggiare tutto.»

«Oh… ottima scelta!»

«Okay, Marco, portaci uno di maccheroni, un raviolo e una bistecca da dividere» gli feci, e addocchiai il tavolo vuoto all’angolo che preferivo. «È libero il solito posto?»

«Certamente, accomodatevi e sono da voi in un lampo… da bere che vi porto?»

Sahan si fermò vicino alla cassa, vivacemente interessato a un grosso dispenser di vetro pieno di liquido rosso e frutta: un pezzo forte, per quanto non italiano, di Marco.

«Oh! Sangria? Io prendo questa!»

«Benissimo! Per te, Raim? Il solito?»

«Due di queste per stasera, grazie.»

In realtà ero solito bere birra scura, ma lo facevo un po’ dopo aver finito di mangiare e di norma restavo lì per un bel pezzo. Quella sera non sapevo quando Sahan sarebbe stato stanco e preferii adeguarmi a lui. In ogni caso, la sangria di Marco era fantastica.

Sedemmo sulla panca del mio tavolo abituale, dal quale era possibile vedere il banco, l’ingresso e la porta dei servizi, e una volta serviti di sangria Sahan smise di studiare il locale per guardare soltanto me.

«Abbiamo tempo o hai qualcuno che si chiede dove sei finito, se fai tardi?»

Abbandonai la cannuccia ancora prima del primo sorso.

«Mi stai già chiedendo se sono sposato?»

«Più o meno» fece lui, scrollando le spalle. «Ma più che altro… mi domandavo perché ti ostinassi a restare in quel posto. Ho immaginato fossi in una situazione in cui ti serviva assolutamente un lavoro.»

«Beh, ci hai visto giusto. Mi serve un lavoro, quindi se te ne vai e mi licenziano lasciami detto dove sei finito, che vengo a bussare» gli feci con il massimo della serietà. «Ma mi stavi dicendo prima…»

Feci una pausa per vedere se avrebbe cercato di sviare il discorso. Lui continuava a guardarmi mentre rosicchiava una fetta di mela ripescata dal suo bicchiere, senza la minima ansia.

«Ho sentito la tua conversazione con Durand, ieri sera… sei davvero un pezzo così grosso da essere preso a lavorare da chiunque?»

«Porto un nome pesante, per così dire… Arnaud Micheaux è mio padre.»

Ma per quanto mi disse quel nome avrebbe anche potuto dirmi che era imparentato con un concorrente di The Bachelor: non avevo idea di che cosa avesse dato a Micheaux senior tanta fama. Sahan anziché offendersi scoppiò a ridere e fece un gran sospiro.

«Oh, Raim, tu non puoi capire quanto io sia felice di vedere l’ignoranza sulla tua faccia!»

«Mi dispiace… io non…»

«Ma scherzi? Io sono davvero felice! Essere un Micheaux è un peso, alle volte!»

Ero contento di non averlo offeso, ma non stavo seguendo il suo discorso dal basso della mia ignoranza.

«Ehm, bene, ma… potresti dirmi chi è tuo padre?»

«Preferirei di no, ma immagino che la conversazione diventerebbe frustrante… beh, Arnaud Micheaux è uno dei più eccellenti chef di Francia, anzi, d’Europa… sai, premi gastronomici, coccarde, riconoscimenti stampati in pergamena… viene intervistato in tv, pubblica libri, ha una scuola a suo nome a Parigi, un ristorante sulla Senna, e tre figli che fanno gli chef come lui.»

Emisi un fischio; la sola cosa che riuscii a commentare. Era più chiaro da dove avesse tirato fuori quell’incredibile piatto dal nulla in una manciata di secondi.

«Ma mio padre… è un tradizionalista. Ha viaggiato in quattro continenti per imparare, ma poi ha accantonato tutto… non gli interessa l’innovazione, lui vuole solo esaltare l’età classica della gastronomia francese. Il suo ristorante è la Mecca della cucina francese tradizionale e vuole che resti così, in perpetuo. Che i suoi figli portino avanti il suo credo e che il suo lavoro continui immutato per generazioni.»

«Mhh… e mi sembra che la cosa non ti piaccia, Sahan.»

Avevo scoperchiato il vaso di Pandora pur senza rendermene conto.

«È ovvio che non mi piace! Quella francese è una cucina eccellente e ricca, ma… è una goccia nel mare, e mio padre questo non lo capisce! Ci sono centinaia di paesi con una cucina autoctona, con prodotti locali e metodi antichissimi di prepararli, o al contrario nuovissimi, d’avanguardia!»

Si era acceso. Gli occhi gli brillavano, mi sembrava di potergli vedere il fuoco che aveva dentro direttamente da lì.

«Li ha visti, ne ha sentito parlare, e li ha ignorati. E pretende che anche io lo faccia! Questa è una colossale assurdità, e io non ho la minima intenzione di far finta di non accorgermi di quanto enorme e vario sia il mondo in cui sono nato. Questa non è la Francia dell’anno mille, in cui era quasi impossibile trovare un ingrediente o una spezia esotica! Siamo un mondo unico, più vicini di quanto sia mai stato possibile pensare, e io voglio vedere e provare tutto quello che posso e farlo mio

Alla fine di quello sfogo quasi ansimava, e mi venne spontaneo ridere.

«Va bene, va bene, tigre, calmati o mi scotterai…»

«Ah… scusami, non volevo prendermela con te, ma… mio padre nemmeno mi lascia finire di parlare quando cerco di spiegarglielo… e credo che il solo modo in cui potrò dirglielo è con la mia cucina» mi spiegò, più calmo. «Se io apprendo tutto quello che posso e lo uso per portare ancora più in alto la cucina a cui tiene… posso fargli capire che arroccarsi è sbagliato. Come tutte le arti, anche la cucina evolve insieme all’uomo. Io credo che sia giusto così.»

Mi presi un po’ di tempo per osservarlo, mentre sorridevo. Era così entusiasta, così appassionato… e se davvero mi ero messo nei guai con Leclaire, non avrei mai potuto farlo per una ragione migliore che aiutare quel ragazzo.

«Quanto fuoco, Sahan… non sai come ti invidio. Avrei voluto che anche i miei guai con mio padre avessero trovato uno sfogo così costruttivo. Quando sei in cucina e si parla di cibo sembri veramente felice.»

Sahan mi fece un sorriso più timido che mai e rimestò con la cannuccia nel bicchiere.

«Beh… io sono felice in cucina. Non ringrazierò mai abbastanza mio padre per avermi trasmesso il suo amore per la gastronomia e tutte le sue conoscenze… io non lo odio, Raim, mi credi? Io non odio mio padre. Odio solo che si sia reso un uomo limitato in un mondo di possibilità illimitate.»

«Lo vedo che non lo odi… ci tieni, si vede.»

«Io voglio bene a mio padre…»

«Lo vedo, Sahan… non ho motivo di credere il contrario.»

«Io voglio bene a mio padre» ripeté lui, e vidi i suoi occhi diventare lucidi. «E lui mi ha mandato via. Mi ha detto di non tornare a casa e al Micheaux finché non avessi cambiato idea…»

In quel momento non mi sentii troppo a disagio per la sua improvvisa emotività, e lo ammetto, in buona parte fu perché lo credevo più giovane di quanto non fosse e mi sentivo molto calato nel ruolo di fratello maggiore con lui. Gli posai la mano sulla spalla e la strinsi per fargli coraggio.

«Ehi, ehi… non piangere, Sahan, dai. Padri e figli litigano, è naturale come il ciclo delle stagioni!»

«P-perdonami… perdonami, non…» si interruppe per asciugarsi gli occhi con l’angolo del tovagliolino ed emise un sospiro tremante. «Non pensavo di reagire così… m-ma non ho più parlato con lui, non ho… potuto dirgli niente…»

«Sono sicuro che gli manchi molto» affermai senza la minima prova. «E secondo me… sai, anche mio padre era un tipo severo e orgoglioso… io penso che ti abbia buttato fuori non perché è arrabbiato, ma per liberarti dal suo ristorante… ora sei libero di andare da chiunque, e imparare tutto quello che vuoi, no?»

Mi guardò come un cucciolo bagnato avrebbe guardato il primo passante dopo ore di solitudine e freddo.

«Lo so che i padri così feriscono» insistetti, e almeno stavolta sapevo di che parlavo. «Ma non pensi che potrebbe averlo fatto per farti viaggiare senza… beh, perdere la faccia con gli altri tuoi fratelli?»

Sahan tacque e bevve dalla cannuccia, rimuginando. Io sperai di averlo convinto, di sicuro mi piaceva molto di più quando rideva.

«Non so… è molto orgoglioso, questo sì…»

«Certo, e un po’ fa bene a esserlo se è così bravo come mi dici.»

«Io sono il più piccolo» osservò, mescolando la sangria. «I miei fratelli alla fine si sono piegati a lui… a loro basta far parte di una realtà stellata. Sono contenti di essere parte della gloria di papà.»

«Può darsi che ti abbia trattato più duramente del dovuto per tenere almeno loro insieme a lui» ponderai passandomi le dita sulla barba sulla mandibola. «Se tiene tanto alla tradizione, forse aveva paura che tutti i figli cambiassero stile e interessi, se li avesse lasciati fare. Non è molto bello, ma almeno spiega il suo comportamento… tua madre che cosa ne pensa?»

Scosse la testa.

«Mamma non c’è più da tanto tempo… è morta che io ero bambino.»

«Ah… mi spiace.»

«Non c’è bisogno… anche se mi manca, è passato tanto tempo e ci siamo abituati.»

Annuii rigido, tentando di scovare un argomento meno deprimente per ravvivare l’atmosfera, ma poi Sahan scosse la testa in modo buffo e mise su uno splendido sorriso.

«Perdonami, sto parlando soltanto di me! Raccontami qualcosa di te!» fece in tono vivace, e batté più volte la mano sul tavolo, come un rullo di tamburi. «Che studi hai fatto? Che lavoro facevi prima? Che sogno hai nel cassetto?»

Mi prese di sorpresa, ma accettai con gioia il cambiamento di umore.

«Studi… nessuno in particolare, non sono stato al college, ma mi sono diplomato… anche se con voti così così» ammisi candidamente, scrollando le spalle. «Lo sguattero in pratica è il mio primo vero lavoro e… il mio sogno, mh? Io voglio stare tranquillo. È questo il mio sogno.»

Sahan mi guardò perplesso, aggrottò le sopracciglia scure e si infilò in bocca un chicco d’uva lentamente mentre rifletteva; così lentamente che finii per chiedermi se non stesse cercando di mandarmi un messaggio subliminale.

Con il senno di oggi, mi chiedo da dove mi arrivasse tanta stima di me da pensare di piacere fisicamente a un ragazzo curato e attraente – e giovane, come credevo che fosse – come Sahan.

«Con “stare tranquillo” che cosa vuoi dire, esattamente? Guadagnare abbastanza da non preoccuparti?»

«Beh, mi sembri maturo abbastanza da potertelo dire.»

«Dire cosa?» saltò su lui, con un sorrisetto birbante.

«Sono stato un taccheggiatore, ho spacciato erba e ho anche comprato e rivenduto roba rubata… e sì, sapevo benissimo che era rubata. Sono stato in carcere cinque anni, e una volta uscito dovevo starmene buono e lavorare per almeno un anno.»

«Per la miseria!» fece lui, e si guardò intorno come se temesse che ci ascoltassero; infatti si chinò per avvicinarsi molto a me e sussurrare. «E Durand ti ha assunto sapendolo?!»

«Non proprio… non gliel’ho detto, e poi sono andato al Liaison e non nel primo fast food proprio perché… beh, il resort è di proprietà di un tale, e io andavo a scuola con suo nipote. Eravamo molto amici e mi ha detto di presentarmi per qualsiasi posto disponibile dentro il Monoc.»

Sahan annuiva mentre mi ascoltava.

«È stato molto generoso da parte sua! Beh, ora capisco perché sei rimasto anche se gli chef ti trattano male… faresti fatica a trovare un altro posto, non sei qualificato abbastanza per puntare sulle capacità…»

«Ohi, bada a come parli, moccioso» gli feci, alzando l’indice con fare minaccioso. «Sono così bravo a eliminare il verde dalle padelle che farei diventare di rame anche un prato!»

Sahan scoppiò a ridere così forte che Marco ci diede un’occhiata dal fondo del bancone e non riuscii a trattenermi, finii per ridere anch’io, e più lui continuava più ridevo anch’io. Aveva una risata terribilmente contagiosa e riuscimmo a calmarci soltanto quando arrivarono le nostre ordinazioni: una terrina ovale di ricchi maccheroni coperti di formaggi dalla superficie abbrustolita, una cocotte di terracotta con i soffici ravioli a mezzaluna secondo la ricetta di Martha Dallara adagiati in una squisita salsa bianca, e una piastra calda sulla quale sfrigolava ancora una succulenta bistecca al sangue tagliata a striscioline. Sahan batté le mani per l’entusiasmo, tale e quale a un bambino.

«Oh, sembra fantastico! Che cosa… oh, no, no, non dirmelo, voglio provare a indovinare!»

Pensai che fosse parecchio ardito da parte sua credere che io fossi capace di dirgli quali erano gli ingredienti: pur avendo mangiato un centinaio di volte i portentosi maccheroni di Martha non avevo mai chiesto – né tantomeno indovinato – quali fossero i formaggi usati.

Presi un boccone di pasta e me lo godetti come lo spettacolo di Sahan che tagliava il raviolo, lo osservava, lo annusava e infine lo assaggiava a occhi chiusi.

«Delizioso» commentò subito dopo. «Assolutamente delizioso… vediamo… porro soffritto con il burro, ricotta, crescenza… parmigiano e finferli nel ripieno… noce moscata, besciamella, erba cipollina… ah, questa non è pasta, è poesia

La metà degli ingredienti che aveva citato non avevo idea di che sapore avessero, alcuni nemmeno sapevo che cosa fossero. Non avrebbe dovuto sorprendermi dopo aver saputo quanto i Micheaux fossero cuochi famosi, ma restai davvero di sasso.

«Hai sentito davvero tutta questa roba? Da un boccone solo?»

«Ne ho presi due» mi corresse lui, come se questo sistemasse la questione.

«È una cosa che insegnano agli chef?»

«Uhm… sì e no… è una questione di esperienza» spiegò lui con grande modestia. «Ovviamente quando fai il cuoco cucini tantissimo, tutti i giorni, e con un ristorante che cambia spesso menu o facendo la scuola provi tanti ingredienti… impari a riconoscerli dal colore, dall’odore, o dal sapore.»

«Assaggia anche questi, prova a indovinare!»

Preso dalla foga di quella prova non badai affatto a che cosa avrebbero potuto pensare gli altri clienti nel vedermi imboccare un altro uomo e gli avvicinai una forchettata del mio piatto preferito. Lui non protestò, e a ripensarci in un momento successivo mi resi conto che mi aveva visto benissimo mangiare con la stessa forchetta. Avrei avuto modo quella sera di chiedermi perché non lo avesse disturbato, arrivando alle solite conclusioni idiote.

Sul momento lo guardai mangiare ancora una volta a occhi chiusi e masticare lentamente.

«Mhh… capisco perché l’hai scelto così di getto, senza esitare… sono sublimi.»

«Che dici, li hai riconosciuti i formaggi?»

«Vediamo… sento l’affumicato della scamorza italiana, il gusto ricco dell’emmenthal, la mozzarella, il parmigiano e… uhm…»

«Beh, ce l’hai fatta! Sono quattro, no?»

«Il parmigiano è sopra, ma credo ci sia dell’altro… ma non lo distinguo… non è un formaggio erborinato, eppure…»

Nella sua perplessità e ostinazione Sahan finì col mangiare da solo metà della mia porzione, e mi “vendicai” prendendomi metà dei suoi ravioli dell’angelo. Non riuscì a trovare una risposta sul quarto formaggio pur elencando con certezza svariati altri ingredienti usati per la preparazione. Su mio invito snocciolò anche le erbe usate per aromatizzate la bistecca, che si scioglieva veramente in bocca come la neve, e fece sinceri complimenti sul gusto dei piatti.

«È tutto veramente ottimo… ma non sono poi tanto sorpreso, Raim» fece quando davanti a noi erano rimasti solo piatti vuoti e frutta in fondo al bicchiere. «Tu hai un buon senso del gusto per non essere mai stato in una cucina… ti sei accorto che la salsa era acida, come me. Hai sentito le spezie indiane, le hai associate a quello che conoscevi. Ti manca una conoscenza enciclopedica degli ingredienti, ma hai un palato che chef con cui ho avuto modo di lavorare ti invidierebbero.»

Il mio solo commento fu il rumore della cannuccia che pescava a vuoto.

«Per questo non sono sorpreso. Vieni qui perché hai assaggiato questi piatti e sai, pur non capendo di cosa o come sono fatti, che hanno giusta sapidità, gusto, ed equilibrio. Sembrano piatti pesanti e grassi quelle due paste al forno, ma sono ben fatte e quindi non è affatto difficile mangiarne anche due porzioni.»

Non avevo la minima idea di come averlo portato nel mio locale preferito avesse finito per attribuirmi dei meriti come chef, o almeno il palato di uno di loro. Tuttavia mi sentii onorato, almeno un po’.

«Beh… immagino che Marco e la sua signora ne saranno contenti.»

Sahan iniziò a parlare di un ristorantino di Amsterdam in cui era stato l’anno prima, ma ammetto di non averlo affatto ascoltato: sotto il tavolo aprii il portafogli chiedendomi con un certo imbarazzo se sulla carta avessi abbastanza liquidità per saldare il conto, perché avevo meno di cinque dollari in contanti. Ero stato avventato a ordinare per far contento il mio ospite senza fare due conti, e l’idea che saldasse lui mi era caustica come un insulto personale.

Ricordo di aver annuito a caso chiudendo il portafoglio e Sahan si alzò in piedi di scatto con un cipiglio di falco.
“Che cosa diavolo ho detto?”, mi domandai atterrito.

«Vado a chiedere!»

Non avevo la minima idea di che cosa volesse chiedere e a chi, quindi mi affrettai ad andargli dietro e lo vidi affacciarsi alla cucina prima che riuscissi a bloccarlo.

«Scusatemi, siete indaffarati?» domandò a Martha e alle sue due aiutanti, le sue nipoti. «Oh, siete tutte donne qui dentro, che meraviglia!»

«Chi è questo squinternato?» domandò Martha a una delle nipoti, che scosse la testa.

Mi feci avanti e agguantai Sahan per le braccia.

«Scusaci, Martha, ce ne andiamo subito!»

«No, aspe– hai detto che potevo venire!»

«Che succede?» saltò su Marco, accorso in cucina a quel trambusto.

Ci fu mezzo minuto di caos in cui circa tutti parlammo per fare domande o per rispondere e nessuno capì un accidenti, e io colsi il silenzio del momento in cui ripresero fiato per spiegare quanto più possibile in una piccola finestra.

«Il mio amico è uno chef» sparai fuori d’un fiato, indicandolo con un cenno della mano. «Cercava di indovinare i formaggi dei maccheroni, e voleva chiedere conferme.»

«Quindi non sta reclamando?» fece Marco.

«Non è venuto a spiare?» fece Martha nello stesso momento.

«No… e no… la tua cucina è sempre fenomenale, Martha, e Sahan…»

«Credo di aver sentito parmigiano, scamorza affumicata, emmenthal e mozzarella, ma c’è qualcos’altro, vero?» intervenne Sahan, scandagliando il banco della cucina. «Posso sapere cosa? Sono tremendamente curioso!»

Martha aggrottò le spesse sopracciglia scure e storse la bocca dal rossetto vistoso come sempre – quella sera in un tono molto acceso di magenta – prima di guardare me.

«È un tuo amico?»

Annuii.

«Sì, siamo amici. Lavora al Liaison anche lui, ma è uno chef esperto…»

Martha sospirò e poi sorrise, arrivando una gran pacca sulla schiena di Sahan; così forte da farlo barcollare in avanti.

«Potevi anche dirlo subito, no? Vieni qua, su. Ecco il segreto dei quattro formaggi del Posticino!»

Martha prese un bello spicchio di formaggio dal frigorifero più vicino e rimosse la pellicola trasparente che lo avvolgeva, poi lo avvicinò a Sahan. Lui lo studiò attentamente e l’annusò con interesse.

«Questo è Asiago stagionato, un formaggio ottimo, che ci mandano i nostri parenti italiani» fece la cuoca, e tagliò un pezzo di formaggio per Sahan e un altro che porse a me. «Qui negli Stati Uniti è difficile da trovare e le famiglie italo-americane usano solo parmigiano, panna, mozzarella ed emmenthal, qualcuno usa il gorgonzola, ma quello spesso non piace ai bambini! Questo, invece, è il segreto della casa!»

Sahan assaggiò il formaggio e lo feci anche io: mi stupii di “ricordarne” il gusto, anche se era mescolato a tanti altri sapori. Per la prima volta avevo una dimostrazione che Sahan non si era del tutto sbagliato su di me, ma avrei dovuto averne altre prima di convincermene.

«Oh… è squisito, madame…»

«Certo che lo è! Non è mica roba industriale questa!»

«Questa è la profondità di gusto che sentivo e non sapevo riconoscere» commentò Sahan con un sospiro rapito. «Non credevo che una ricetta con così tanto formaggio riuscisse ad avere quella freschezza… ho ancora molto da imparare sulla cucina italiana, non c’è dubbio…»

«La scorza di limone è il segreto per renderla meno pesante al palato» gli disse una delle nipoti, con un sorriso timido. «Abbiamo sempre fatto così, a casa.»

«Scorza di limone? E la grattugiate a fine preparazione, o…?»

«Sahan» lo chiamai con una certa insistenza. «Sono nel pieno del turno, lasciale lavorare, dai.»

«Oh… sì, certo…»

Guardò Martha intensamente, fece per andare alla porta ma poi si voltò ancora.

«Sarebbe un problema se una volta venissi qui a vedere come preparate le vostre specialità? Credo che potrei imparare molto dal vostro stile rustico, è tutto un approccio differente al sapore.»

La prima reazione che ebbi fu di chiedergli se fosse impazzito, ma prima che riuscissi ad aprir bocca Martha scoppiò a ridere allegramente. Gli negò quella possibilità ma gli promise di scrivergli la ricetta passo passo per consegnargliela la prossima volta che fosse venuto a mangiare da loro. Sahan non era affatto scoraggiato e accettò con grande entusiasmo, smaglianti sorrisi e complimenti a pioggia.

Marco mi scortò al bar – mentre Sahan approfittava di qualche altro secondo di gentilezza dello staff per fare domande sul prezzo dei formaggi – e mi diede qualche pacca sulla schiena con fare incoraggiante.

«Martha gongolerà un mese» mi fece, e tornò a sistemare i bicchieri usciti dalla lavastoviglie. «Adora i complimenti dei clienti! Chiamerà tutte le sue amiche per far sapere in giro che un cuoco di un resort di lusso le ha chiesto le ricette!»

L’allegria con cui Marco e Martha reagirono all’incursione che avevo scioccamente approvato mi calmò e mi sedetti al banco a bere un altro bicchiere di sangria.

«Siete davvero amici, tu e quel tipo?»

Incrociai gli occhi di Marco e dopo un attimo annuii. Non era difficile ammettere che da quando ero finito in galera nessuno si era mai preoccupato di me e che io stesso non avevo preso particolarmente a cuore nulla e nessuno dopo quella dura esperienza. Sapevo che Sahan era diventato un amico di cui mi fidavo, una persona che gradivo e al quale auguravo ogni fortuna per il suo viaggio… dopo appena un giorno.

Marco ricevette una comanda dall’unica cameriera presente quella sera e presi due boccali di vetro dal frigorifero li piazzò sotto il beccuccio dell’impianto della spina.

«Se è così, sono felice per te, Raim. Ethel ne sarà sollevata, è sempre così preoccupata perché tu sei sempre da solo.»

Bevvi un sorso senza commentare. Ethel era mia nonna, e l’unica parente che mi fosse rimasta; la sola persona che mi avesse scritto quando ero in prigione e che per le feste del Ringraziamento che avevo passato dietro le sbarre si era opposta alla sua salute precaria per venire a farmi visita. Non siamo stati molto legati quando ero piccolo, ma dopo la morte di mia madre e poi di mio padre fece del suo meglio per recuperare quel poco che di buono c’era rimasto nel suo unico nipote.

All’epoca in cui conobbi Sahan si occupava ancora di me affittandomi l’appartamento superiore della sua casa mentre lei viveva in quello ricavato al pianoterra, in modo che se la cavasse senza aiuti non dovendo affrontare quotidianamente le scale. Senza il suo irrisorio affitto “contributo spese” non sarei mai riuscito a mantenermi con quel lavoro di sguattero senza dividere l’affitto con dei coinquilini.

«Eccomi, Raim!»

Sahan mi raggiunse mentre rimuginavo sulla nonna e sulle lamentele che veniva a fare a Marco – in quanto vecchio amico di mia madre – e si mise sullo sgabello accanto al mio. Il suo sorriso era raggiante, al confronto la sua felicità per la riuscita del suo piatto al ristorante era un funerale. Riuscì a farmi tornare il sorriso.

«Scusami se ti ho lasciato qui da solo! Non ti stavi annoiando troppo, spero.»

«Non ti preoccupare, Sahan… sei soddisfatto della tua uscita?»

«Oh sì, lo sono! In realtà è stata una splendida giornata» fece lui con aria sorpresa. «Di solito un nuovo posto di lavoro è una cosa stressante… servono giorni per ambientarsi anche nei posti più amichevoli, c’è molto da imparare e… beh, di norma il primo giorno è sempre traumatico… ma stavolta è stato davvero magnifico!»

«Magnifico? Al tuo posto sarei ammattito.»

«Un cuoco non può uscire di testa per una cosa del genere!» protestò battendosi la mano sul petto. «Può succedere di rovinare una salsa, o far cadere un vassoio o che si rovesci una pentola! Non si può ammattire per così poco, bisogna reagire prontamente~»

«Sì, sì, etica del cuoco» tagliai corto con una risata spontanea. «Beh… per quello che vale, Sahan, io invidio molto il tuo coraggio e la tua capacità di gestire lo stress. Su, prendi un altro bicchiere, che non abbiamo nemmeno brindato alla tua grande soirée!»

«Ahh, Raim! Hai parlato francese~»

«Non eccitarti troppo, conosco solo questo. Chef Malone ama dirlo ogni volta che c’è un evento al resort e gli ospiti mangiano da noi.»

Sahan rise e alzò il bicchiere che Marco gli passò per il nostro brindisi. Purtroppo per il mio conto aperto furono ben otto i bicchieri di sangria che ci finirono sopra oltre alla cena, ma non ricordavo più l’ultima volta che a fine giornata mi ero divertito tanto ed ero così rilassato.

Uscendo dal Posticino sentimmo immediatamente l’aria umida e fredda che ancora non aveva portato il temporale promesso, ma era ormai vicino. Alzammo entrambi lo sguardo sulle nuvole che si ammassavano, venate di fulmini. Era una lunga scarpinata verso il ristorante e dopo tutto quel vino non era saggio né farlo camminare tanto né guidare fino a casa, quindi mi girai per suggerirgli di fermare un taxi.

Avevo appena pronunciato la prima sillaba che lo vidi incespicare e per non cadere si aggrappò alla mia spalla. Rise appena e sospirò rumorosamente.

«Non potrei immaginare una serata più bella di questa per concludere una giornata memorabile~»

Sorrisi accomodante pensando che avrei dovuto trovare un modo per chiudere la serata prima che succedesse qualcosa – mi imbarazza ancora pensare a quanto fossi pieno di me, per essere convinto che Sahan facesse quel genere di pensieri! – ma non dovetti farlo: lui si raddrizzò lasciandomi la spalla e attirò l’attenzione di un tassista sbracciandosi dal marciapiede.

«Non vuoi che ti accompagni io alla macchina…?»

«Oh, non mi sento affatto in grado di guidare» replicò lui, col sorriso di un ragazzino. «Sono troppo contento e ho bevuto un po’ troppo vino per mettermi al volante! No, no… meglio farmi portare a casa, e domani riprenderò la macchina!»

«Allora potrei passarti a prendere, per risparmiarti il taxi… almeno domattina» feci, mentre gli aprivo la portiera. «È colpa mia se non puoi venire con la tua macchina, in fondo.»

«Sei gentile, Raim… ma io abito nella direzione opposta a casa tua!»

Sahan salì a bordo e allacciò diligentemente la cintura.

«Grazie di questa bellissima serata… dobbiamo tornarci ancora. La prossima volta offro io, però» affermò con una certa asprezza, come a dirmi di non osare contraddirlo. «Buonanotte, Raim. Fai attenzione fino a casa, guida come una vecchia signora che non arriva a schiacciare i pedali!»

Scoppiai a ridere immaginando mia nonna, che arrivava appena al metro e cinquanta, e risposi al cenno di saluto che Sahan mi fece con la mano. Il taxi partì e io lo seguii con gli occhi finché non girò l’angolo, poi ficcai le mani nelle tasche dei pantaloni e mi avviai a piedi verso casa: non era così vicino, ma anche io mi sentivo di aver bevuto un po’ più del consigliabile e finire in bocca a una pattuglia non era una bella prospettiva per uno che come me era uscito di prigione da poco.

La passeggiata passò velocemente non tanto per il mio passo ma perché per tutta la strada ripensai all’accaduto di quel pomeriggio. Ripensai a Sahan che mi scambiava per il cuoco addetto al pesce, al modo in cui difendeva il mio lavoro con Leclaire, a come mi aveva aiutato con i tegami senza esitazione, e a come si era fidato di me per aiutarlo a preparare un piatto che valeva il suo nuovo posto di lavoro.

Concordavo con lui: era davvero una giornata memorabile.

   
 
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