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Autore: Sheep01    24/04/2021    3 recensioni
[IT]
«Una tempesta si è portata via un'intera cittadina del Maine».
«Scusa?» Il Maine, il luogo dove Richie era cresciuto. Dove era tornato ventisette anni dopo e di cui non ricordava un accidenti di niente.
«Derry. Non è la città dove sei nato, Richie?»
«Sì, ma questo che c'entra... ?» la vista sembrò spannarsi all'improvviso e dallo schermo del telefono riuscì a scorgere le immagini di un'intera cittadina sommersa da ettolitri d'acqua, le strade sommerse da un putrido fiume color catrame che trascinava via tutto ciò che riusciva a raggiungere.
Gli si scatenò dentro qualcosa di incomprensibile, come se quelle stesse acque stessero facendo piazza pulita di tutto ciò che teneva in piedi Richie in quell'esatto momento.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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THE STORM

 

 

1

 

La ragazza che si occupava del make up si stava accanendo contro una ruga d'espressione che difficilmente sarebbe riuscita a cancellare con un colpo di fondotinta.

«Ci vorrebbe lo stucco, per quello, mia cara...»

Richie le sorrise attraverso lo specchio, quel sorriso un po' sghembo, triste e cinico allo stesso tempo, che ormai da decenni, lo aveva reso famoso.

«Oh, io non intendevo, voglio dire... era solo per...»

«Hai fatto un ottimo lavoro, non puoi fare miracoli. Non intendo fingere di sembrare un ventenne appesantito...»

La ragazza ritirò la mano e gli rivolse uno sorriso di scuse, più preoccupato di non averlo irritato che non aver terminato il lavoro.

Richie si sganciò la mantellina come a decretare la fine di quella collaborazione al trucco. La ragazza capì l'antifona e con un mezzo inchino, piuttosto comico a dire il vero, si allontanò dalla postazione, abbandonando Richie alla contemplazione in solitaria della sua immagina riflessa nello specchio.

Non si era mai considerato un bell'uomo. Una ragazzino magro, con gli occhiali a fondo di bottiglia, dinoccolato che era semplicemente cresciuto nella sua pelle (chi lo aveva apostrofato a quel modo?) Magari affascinante, per qualcuno, con una faccia buffa che poteva sembrare amichevole, il più delle volte. Ma con l'avanzare degli anni aveva imparato ad accettare ogni sfumatura del suo aspetto, del suo invecchiare, persino. Dalle rughe d'espressione, alla spruzzata di capelli grigi, sulle tempie, nei ciuffi di barba, quando dimenticava di radersi. Non odiava quello che vedeva, no. Qualcuno, una volta, (era la stessa persona di prima?) gli aveva detto che invecchiare era cosa buona. Che invecchiare significava aver vissuto, dopotutto. Che era un sopravvissuto.

Spesso Richie si era ritrovato a chiedersi il significato di quella parola. Sopravvissuto.

Sopravvissuto a un'adolescenza complicata? Al mondo dello spettacolo, origine di costanti gioie e dolori? Sopravvissuto all'alcool, alle droghe, facilmente abbordabili in quell'ambiente? Sopravvissuto alla sua crisi di mezza età, sopravvissuto al proprio coming-out pubblico, sopravvissuto a...

C'era sempre qualcosa che gli sfuggiva, in quell'elenco. Qualcosa che si nascondeva dietro l'angolo, che giocava con lui a nascondino.

Era certo che avesse a che fare con la sua infanzia, che avesse a che fare con quell'inspiegabile buco temporale in cui i suoi ricordi erano stati risucchiati via, uno dopo l'altro.

Di terapia ne aveva fatta. Si era sottoposto, persino, in tempi non sospetti, a una seduta di ipnosi regressiva. Che non aveva fatto altro che procurargli incubi terribili a fine trattamento. Si era visto costretto a interrompere le sedute e a darsi all'alcool. Di nuovo.

Poi era successo qualcosa. Un altro vuoto di memoria, ancora più consistente del precedente. Un vuoto di memoria che romanticamente amava definire come quello successo (consapevolmente o meno) ad Agatha Christie, in quelle due folli settimane in cui era scomparsa dai radar. Non ricordava di essere tornato nel Maine una folle estate di quasi tre anni prima, ne tantomeno di aver bloccato un tour per i teatri degli Stati Uniti che era costato ai suoi sponsor un sacco di soldi. Non ricordava perché fosse partito, non ricordava come avesse fatto a tornare, quello che ricordava era una sensazione di assoluto orrore, ma anche di sollievo e la ferma convinzione di essere... sopravvissuto.

Altre terapie, un ricovero in ospedale per accertamenti e ne era uscito. In qualche modo. L'assoluta certezza che quella fosse la sua ultima chance. Per risolvere qualsiasi cosa fosse rimasta in sospeso, della sua vita precedente.

Si era rimesso in pista, dettato le regole per la svolta del suo stile di vita e di carriera e dopo tre lunghi anni a convivere con la sensazione incerta di dover ricordare qualcosa nei momenti più strampalati della giornata, aveva accettato il fatto che forse, non ne sarebbe mai arrivato a capo.

Richie Tozier aveva avuto dei consistenti vuoti di memoria e aveva smesso definitivamente di bere. Convinto che quell'alcool che tanto gli era stato di conforto nei giorni peggiori della sua vita (a volte però anche in quelli migliori) era causa ed effetto di quella situazione. Che avrebbe potuto diventare imbarazzante se qualcuno fosse venuto, dal nulla, a chiedere di pagare il conto per quei giorni nel Maine che aveva dimenticato.

Ma nessuno si era fatto vivo. Nessuno si era presentato alla sua porta o gli aveva telefonato, per quello che valeva.

E la cosa, era stata accantonata. A grandi linee.

Erano sempre più rare le volte in cui i sogni lo tormentavano con raccapriccianti grida di bambini, senza volto e... palloncini. Una massa di palloncini rossi che lo accerchiavano minacciosi e nel momento meno opportuno prendevano a scoppiare con gran fracasso... destandolo dall'incubo.

Non ne capiva il senso. Non lo capiva nemmeno la sua terapista, Ellen, cara Ellen. Che fosse stato solo un po' meno attratto dagli uomini forse si sarebbe innamorato di lei, conseguenza o meno di quella fase della terapia in cui un po' ce l'hai quella morbida cotta per il tuo salvatore psicologico. Aveva scelto una donna, consapevole di non poter finire come Nick Nolte, innamorato della sua terapista Barbra Streisand nel Principe delle Maree, un po' perché Nick Nolte gli faceva paura (si erano incrociati una volta a un evento di gala e questi gli aveva lanciato un'occhiataccia che gli aveva raggelato il sangue), un po' perché citare la Streisand, fra tutte le icone gay, forse era un cliché troppo banale anche per lui.

E così sì, aveva bannato i palloncini rossi da qualsivoglia festa in cui si ritrovasse coinvolto e deciso che il suo trauma da bambino era stato forse quello di aver ingoiato per sbaglio un palloncino rosso, in classico stile Richie Tozier.
Non aveva mai chiesto conferma ai suoi anziani genitori, però. Una negazione in tal senso avrebbe riacceso il dubbio. E non era esattamente ciò di cui aveva bisogno.

Perciò, insomma... guardandosi allo specchio c'era sempre qualcosa che non riusciva a riconoscere nella sua espressione. Quella tristezza e consapevolezza di fondo che non ricordava da dove derivasse. O perché.

Un vuoto. Un vuoto che si era rassegnato a non poter colmare mai. Una specie di pegno da pagare per la sua vita disordinata.

«Richie... cinque minuti e sei in scena», la voce del suo agente.

Caro, vecchio Steve. Vecchio perché erano invecchiati insieme dopotutto e ancora, straordinariamente, lo sopportava.

Si alzò in piedi dandosi un'ultima sbirciata allo specchio, si sistemò il ciuffo come se poi fosse possibile domare quei capelli senza senso e si affrettò a uscire dalla stanza per raggiungere il dietro le quinte dello show.

Un intervento di pochi minuti, niente di particolarmente eccitante, ma la pubblicità del nuovo tour andava fatta e sottrarsi a quelle interviste tutte uguali e affatto divertenti era un obbligo a cui non poteva opporsi (sopratutto dopo le ben poco velate minacce del suo agente).

«Sei dopo lo scrittore.»

«Quale scrittore?» si interessò Richie, che non aveva nemmeno per sbaglio dato una sbirciata alla scaletta del talk show.

«Quello che sta parlando adesso con Jimmy», glielo indicò con la testa, sullo schermo dei terminali che c'erano nelle retrovie.

Richie si grattò appena la testa, ma lo schermo sembrava più disturbato che altro, e il viso dell'uomo, dai capelli rossicci, non riusciva a decifrarlo granché.

«Ah, credo sia arrivato il momento di cambiare occhiali.»

«Che succede?»

«Niente... probabilmente diventerò cieco, prima o poi...»

«Dovresti proprio pensare di fare quell'operazione per la miopia, Richard». Steve stava controllando alcuni messaggi sul suo cellulare, digitando furiosamente con qualcuno.

«E perdere uno dei miei tratti distintivi? Scordatelo», replicò ben lungi dall'ammettere che un'operazione agli occhi gli metteva addosso una paura fottuta.

Steve scrollò le spalle, seguitando a digitare furiosamente.

«Due minuti», una voce dalla regia.

Richie prese a saltellare sul posto.

«Vacci piano, campione, se ti si rompe il femore dobbiamo dire addio alla prima tappa del tour».

Richie gli lanciò uno sguardo incredulo, prima di sbuffare una risata: «Che stronzo...»

«Un minuto», di nuovo qualcuno dalla regia.

«Ricordami di non parlare male di te, là fuori.»

«E a chi diavolo vuoi che interessi se parli male di me?»

Poi Richie notò che Steve aveva assunto l'aria di chi ha appena visto un fantasma, lo vide corrucciarsi all'improvviso, alzare lo sguardo su di lui e poi di nuovo al cellulare, porgendoglielo affinché vedesse.

«Che c'è?» gli chiese, strizzando la vista, «Mi sembra di averti appena detto non ci vedo a un palmo dal naso.»

«Una tempesta si è portata via un'intera cittadina del Maine».

«Scusa?»

Il Maine, il luogo dove Richie era cresciuto. Dove era tornato ventisette anni dopo e di cui non ricordava un accidenti di niente.

«Derry. Non è la città dove sei nato, Richie?»

«Sì, ma questo che c'entra... ?» la vista sembrò spannarsi all'improvviso e dallo schermo del telefono riuscì a scorgere le immagini di un'intera cittadina sommersa da ettolitri d'acqua, le strade sommerse da un putrido fiume color catrame che trascinava via tutto ciò che riusciva a raggiungere.

Gli si scatenò dentro qualcosa di incomprensibile, come se quelle stesse acque stessero facendo piazza pulita di tutto ciò che teneva in piedi Richie in quell'esatto momento.

«Merda...» sibilò in modo del tutto inappropriato, prima di svenire.

 

*

 

L'effetto, al risveglio, fu simile a quello del dopo sbronza. Lo stomaco era per lo più in subbuglio e la bocca sapeva di qualcosa di acido. Si chiese se non avesse vomitato... o schiumato o qualsiasi altra cosa altrettanto disgustosa, mentre era incosciente.

«Dio grazie, si è ripreso. Si è ripreso, state lontani per l'amor del cielo!»

Attorno a lui non c'erano che ombre in movimento, ma prima di pensare di essere diventato completamente cieco si rese conto che Steve (sì, era decisamente Steve), gli stava porgendo i suoi occhiali.

«C-che cazzo è successo?» domandò, senza rendersi conto che, almeno a livello inconscio la risposta ce l'aveva eccome.

«Non lo so, un calo di zuccheri? Da quant'è che non mangi?»

Richie si rimise seduto e attorno a lui il capannello di gente sembrò diradarsi per davvero.

«Ho lisciato l'intervista, non è così?»

«Fanculo all'intervista... hanno trattenuto lo scrittore, la riprogrammiamo.»

Richie sgranò gli occhi perché mai nella vita aveva sentito Steve mandare al diavolo il lavoro.

«Sono messo davvero così male?»

«Non lo so, lo sei?» nello sguardo dell'uomo il sospetto. Era da almeno tre anni che non lo guardava a quel modo.

«Sono sobrio, te lo giuro», si sentì in dovere di rispondere.

Steve lo aiutò a rimettersi in piedi.

«Andiamo in infermeria...»

«Non ce n'è bisogno, dai...»

«Ce n'è bisogno eccome. Sei il mio contratto migliore, non posso certo pensare di perderlo per mancanza di scrupolo.»
Richie scosse la testa, arreso.

 

*

 

La prima cosa che aveva fatto, una volta rientrato in albergo (la suite in cui l'avevano sistemato per la notte, per la sua temporanea permanenza a New York), era stato accendere la tv.

La notizia di Derry era su tutti i telegiornali. Le immagini che si susseguivano erano sempre più o meno le stesse: riprese da una telecamera in volo o da qualche coraggioso avventuriero che aveva deciso di filmare la tragedia con il suo telefonino, dal balcone di casa.

Derry. Se la ricordava poi davvero Derry? Eppure ci era stato di recente, secondo il bollettino degli spostamenti gps del suo cellulare. Stando ai movimenti della sua carta di credito, stando a... un sacco di cose che aveva affidato alle competenze di un detective privato che era stato assunto per ricostruire i suoi spostamenti di quei pochi giorni. I riscontri erano stati vaghi e poco fruttuosi, come se un'entità superiore si stesse divertendo a cancellare, con un colpo di spugna, tutto ciò che era accaduto durante quella folle settimana di oblio. Il detective lo aveva pagato comunque. Anche solo per essersi preso il disturbo di andare ad indagare in quel buco di culo di città.

Sì, perché se c'era una cosa di cui Richie era certo era di odiare fin nelle viscere Derry. Di averla sempre odiata. Di esserne fuggito con grande sollievo... entrambe le volte (?).

E allora perché, invece di gioire per quell'insolita notizia, invece di trovare grande ironia nella sorte che il sacro fuoco della vendetta si fosse abbattuto su quel posto orribile, sentiva il vuoto che risiedeva dentro di lui espandersi come una voragine?

Trasalì quando sentì suonare l'iPhone che aveva messo sotto carica, sul comodino, accanto al letto.

Si rilassò quando sullo schermo lesse il nome: mamma.

«Ehi...» rispose, senza distogliere gli occhi dallo schermo.

«Richie... stai guardando la tv?»

«Immagino tu mi abbia chiamato per sapere come sto: tutto bene, mammina.»

«Non scherzare. Allora lo hai saputo? Dai notiziari...»

«Difficile ignorarlo. La fottutissima Derry è su tutti i telegiornali, a reti unificate.»

«Pazzesco. È davvero pazzesco...»

«A me sembra solo la punizione divina di qualcuno che si è accorto che quel posto era la cloaca del Maine.»

«Non dire così. Io e tuo padre ci siamo cresciuti lì. E persino tu... tutta quella povera gente, poi.»

«Non ci sono state vittime, mamma.»

«E questo che vuol dire? Non oso immaginare che cosa possa significare perdere una casa, in quella maniera.»

«Se sono assicurati potranno cogliere la palla al balzo per emigrare in Florida.»

«Richie...»

Maggie aveva sempre quella capacità di farlo sentire in colpa, anche per qualcosa per cui non sentiva alcuna necessità, di sentirsi in colpa.

«Che vuoi che ti dica, ma'? Che mi dispiace? Non ho buoni ricordi di quel posto e francamente sono anni che nemmeno ci penso a Derry, ringrazio tutte le divinità esistenti in cielo in terra per il giorno in cui avete deciso di trasferirvi in California.»

Non riusciva a capire il rancore che era emerso tutto d'un tratto al solo sentir nominare quella città. Non aveva intenzione di cedere su quel punto.

«Io la storia me la ricordo in modo diverso, Richard.»

Aggrottò la fronte, fissando lo schermo, ormai assuefatto da quelle immagini tutte uguali.

«Che vuoi dire?»

«Hai pianto per giorni, dopo il nostro trasferimento. Non riuscivi ad accettare il fatto di dover abbandonare tutti i tuoi amici.»

Di nuovo quella stilettata allo stomaco, quello stesso formicolio che lo aveva reso debole agli studi televisivi.

«Non avevo amici, a Derry...» disse in un sussurro senza credere lui stesso a quelle parole, nel momento stesso in cui gli uscivano di bocca.

«Ne avevi. Se non li ricordi tu, figurati io, ma ne avevi. Eri sempre fuori, assieme a quel tuo gruppetto, a combinare marachelle...»

«Marachelle. Nessuno più usa quella parola, dovresti aggiornarti.»

«Quanto sei sciocco, Richard...»

«Ti voglio bene anche io, mamma.»

Confuso da quelle parole abbassò appena la cornetta, fissando per l'ennesima volta l'acqua che sollevava macchine, cestini della spazzatura e sterpaglie.

Non ne aveva di amici a Derry. Se ne sarebbe ricordato, giusto? Ricordava delle conoscenze superficiali alle elementari, alle medie. Ricordava qualche nome poco importante, dei compagni di classe, le botte prese più che altro, dai bulli della scuola perché indossava gli occhiali, perché parlava a voce troppo alta, perché indossava eccentriche camice colorate, perché qualcuno aveva insinuato a che a Tozier piacessero i ragazzi.

Non aveva amici a Derry. Nemmeno uno che potesse rimpiangere. E allora perché le parole di Maggie gli facevano così male?

Si tastò il viso, trovandolo umido di lacrime.

«Cristo santo...» bofonchiò, trovando incredibile aver perso del tutto il controllo sul suo lato emotivo.

«Richard, ci sei ancora?»

Rialzò rapidamente la cornetta: «Sì, scusa mamma, ho il telefono scarico. Ci sentiamo domani, vuoi?»

«Oh, sì, certo. Non mi hai nemmeno detto come è andata la tua... era un'intervista, vero?»

«Ah sì, l'abbiamo riprogrammata, ti farò sapere quando. Salutami papà. A presto.»

Lanciò da qualche parte il cellulare, per recuperare il telecomando.

«Al diavolo Derry», sibilò, girando canale.

Al posto di Derry le immagini dell'intervista di Jimmy a quello scrittore che gli aveva rubato la scena, quel pomeriggio.

«Ci mancava solo lui...»

Capelli rossi, sorriso affascinante, un volto che non avrebbe dovuto suggerirgli un bel niente. Chi ci fa mai caso ai volti degli scrittori? E allora perché era improvvisamente così familiare?

«Che cosa fa paura a uno scrittore horror?» stava chiedendo Jimmy all'uomo che gli sedeva accanto sulla poltrona color cammello.

«Tante cose, a dire il vero. Le tasse, tanto per cominciare...» risate in scena.

Richie si trovò a scuotere la testa, per snebbiarsi la mente, per riportare tutto a una dimensione più terrena.

«Signore e Signori Bill Denbrough!» annunciò Jimmy, a decretare la conclusione dell'intervento, sotto uno scroscio di applausi in scena e musica squillante da stacchetto finale.

Richie sgranò gli occhi, consapevole del fatto che il vuoto nel suo stomaco stava di nuovo reclamando la sua attenzione. Non riuscì a trattenere un conato di vomito e corse in bagno appena in tempo per scaricare giù per il water tutto ciò che aveva consumato per cena.

«Cazzo. Cazzo...» sibilò, cercando alla cieca lo scarico dell'acqua, prima di accasciarsi accanto al water, esausto.

Bill... Denbrough. Gli riecheggiò nella memoria.

Non aveva mai avuto amici... a Derry.

Eppure.

Bill Tartaglia.

«Bill, te lo prometto...» enunciò con voce che riconobbe a malapena.

Si affrettò a tornare sul water a scaricare di nuovo il suo malessere.

 

*

 

«Non me ne frega un cazzo se è impegnato, ho bisogno di rintracciare quel cazzo di scrittore!»

Richie stava cercando di consumare la sua colazione, prima che il caffè caldo perdesse le sue qualità e non fosse più in grado di frenare quel suo feroce mal di testa, causa di una notte insonne.

Steve lo osservava contrito, dall'altro lato del tavolo, dopo una lunga diatriba.

«Vedrò quello che posso fare, ma non ti assicuro un bel niente. Certo che sapere perché, mi aiuterebbe a imbastire una scusa plausibile con il suo agente, per questa tua... assurda insistenza.»

«Sei sempre stato bravo a trovare scuse, digli che sono un suo grande fan e... che cazzo ne so? Sono dispiaciuto di non aver avuto la mia opportunità ieri perché ero impegnato a svenire come una dama del settecento.»

Steve aveva molta pazienza, su questo non c'era proprio niente da obiettare, ma era chiaro, da come stava serrando le labbra, quanto fosse ormai vicino al limite.

«Ed è questo il motivo?»

Richie si rese conto che aveva quantomeno bisogno di una rassicurazione.

«Sì. In parte. Non lo so», si piegò in avanti, posando i gomiti sul tavolo, «senti: ho bisogno di parlare con Bill Denbrough. È importante, davvero, non te lo chiederei se non lo fosse. Ho come... l'impressione che abbia a che fare con tutta quella assurda storia dei miei giorni di oblio di ritorno dal Maine, quell'estate di tre anni fa.»

Steve abbandonò quello sguardo scettico, tornando mortalmente serio. Forse uno dei pochi, nella sua stretta cerchia di amicizie ad essere messo al corrente di quel fatto insolito. Non lo aveva nemmeno raccontato ai suoi genitori, quel che era successo tre anni prima, che diavolo!

«Conosci Bill Denbrough?» gli chiese cautamente.

«Non... lo so, ma può essere? Mi sono tornate in mente delle cose assurde la scorsa notte. Forse ha a che fare con quello che è successo a Derry.»

«La cittadina che è stata spazzata via dall'alluvione?»

«Precisamente. Ho... ho scoperto che anche questo Denbrough è di Derry. C'è scritto nella sua stupida biografia su Wikipedia.»

«Stai scherzando?»

«No, ma puoi controllare da te, se non ti fidi.»

Lo vide occhieggiare il telefono ma non gli diede nemmeno l'opportunità di guardarlo davvero, al contrario afferrò il proprio, andando a cercare le pagine recenti nelle sue ricerche su Google.

«Ecco, guarda tu stesso», gli passò il cellulare per mostrargli quella stessa pagina: sotto una fotografia poco recente dell'uomo, c'era scritto l'anno di nascita e il luogo. 1976, Derry, Maine.

«Ha persino la tua età.»

«Esatto...»

«Potresti esserci cresciuto assieme.»
«Esatto...»

«Ma non... te lo ricordi.»
«Eeeeeesatto. Qui dice che ha vissuto tutta la sua infanzia a Derry, e mi sembra così incredibile non ricordarlo affatto. Derry era un buco di pochi abitanti, le scuole medie e le elementari erano tutte riunite in un unico blocco!»

«In effetti avrebbe senso. Il fatto che non te lo ricordi un po' meno...»
«Un po' meno del fatto che ho costanti vuoti di memoria? Lo sai che i medici hanno ipotizzato fosse colpa dell'alcool, magari ora che sono sobrio da tre anni, la mia memoria sta magicamente tornando.»

«Dubito che funzioni in questo modo, Richie.»

Lo sapeva perfettamente anche lui, ma quale altra spiegazione avrebbe potuto dargli? Non era certo di voler indagare più di così, perché ogni volta che scovava un indizio qualcosa gli si smuoveva dentro e con quello arrivava un'inspiegabile fremito di paura e di incolmabile tristezza. Come se dietro l'angolo, se dietro quell'amnesia ci fosse qualcosa che forse era meglio non ricordasse affatto, un vuoto che lo preservava dalla paura... e dal dolore.

Eppure lui con il dolore ci aveva convissuto a lungo. Con le perdite, con la solitudine, cosa c'era di diverso in quella specifica sensazione allora?

«Trovami Bill Denbrough, ti prego...» insistette un'ultima volta.

Steve recuperò il suo cellulare e cominciò a fare le sue chiamate.

 

*
 

In quella stupida sala d'attesa c'era un enorme poster di una tartaruga gigante. Il beccuccio delle labbra, leggermente aperte, a mo' di sorriso, pronto a deriderlo per la sua audacia.

Adesso che si trovava negli uffici della casa editrice di quel Denbrough (non avevano voluto passargli il suo contatto diretto, chissà come avevano trovato più sicuro un incontro alla luce del sole, nemmeno si trattasse di un ex carcerato a cui avessero imposto un ordine restrittivo), non era più così sicuro fosse stata una buona idea.

Non si era preparato un vero discorso, lui che era così abile nelle parole e a intessere monologhi alquanto assurdi per diletto, era letteralmente a corto di parole. E se quel Bill non avesse avuto niente da dirgli a sua volta? Se si fosse ritrovati faccia a faccia frenati da silenzi imbarazzanti e occhiate indagatrici? Ehi, Bill, so che anche tu sei di Derry, non vorrei che sembrasse strano ma mi chiedevo se da ragazzino tu ti ricordassi di me. No? Allora niente, come non detto e buon lavoro su... qualsiasi cosa di disgustoso tu stia scrivendo in questo momento.

Un ottimo primo impatto, niente da dire.

«Signor Tozier... il signor Denbrough ora può riceverla.»

Richie si mise in piedi, le mani sudate come un ragazzino di fronte all'ufficio del preside.

Non si chiese nemmeno che diavolo di strategia avessero adottato per fingere che Bill avesse un ufficio in una casa editrice dove nemmeno lavorava, ma sicuramente, c'era lo zampino del suo editore. Tutti gli agenti sono uguali, dopotutto, probabilmente anche Steve avrebbe fatto lo stesso... a ruoli invertiti.

Seguì la segretaria attraverso un breve corridoio e dietro le pareti a vetro di un ufficio che sembrava più una sala riunioni, vide una testa rossa.

«Bill...» annunciò la ragazza, aprendo la porta per Richie, un gesto di galanteria per il quale non era sicuro di dover ringraziare.

Non aveva ancora messo un piede nella stanza che vide Bill rimettersi in piedi.

«Richie...» sibilò questi puntandogli addosso uno sguardo che era un misto di sconcerto e sorpresa. Per un istante Richie ebbe paura di quello sguardo: Bill sembrava volerselo mangiare. Si chiese in che diamine di rapporti fossero stati e se avessero per caso qualche conto in sospeso, che aveva rimosso dalla memoria.

«Richie, Richie, Richie!», esclamò di nuovo, prima di ritrovarsi stretto in un abbraccio che era più una morsa che con la premeditazione aveva davvero poco a che vedere.

«Il... piacere è tutto mio?» si ritrovò a dire, un po' imbarazzato da quella svolta ma improvvisamente rincuorato che tutti gli scenari apocalittici che si era immaginato non si fossero avverati.

Dunque Bill lo conosceva. Buona questa. E sembrava conoscerlo anche piuttosto bene.

Gli diede una botta sulla schiena, per buona creanza e si scostò solo quando il piccoletto gli si scrollò di dosso per trattenerlo per le braccia con uno sguardo acceso, carico si aspettativa.

«È tutto così assurdo, così... assurdo.»

«Non dirlo a me, amico...»

«È per via di quello che è successo a Derry che sei qui, vero?»

«Per...»

«Insomma... prima di apprendere della catastrofe nemmeno ricordavo di esserci tornato a Derry, tre anni fa!»

Richie si trovò a sgranare gli occhi e prenderlo a sua volta per le braccia, in un'immagine a specchio dell'uomo.

«Ti ricordi che cosa è successo tre anni fa?»

Bill annuì freneticamente per poi osservarlo con sospetto: «Perché, tu... no?»

«Io non...»

Lo vide serrare le labbra e riservargli uno sguardo di dolente consapevolezza.

«Che c'è? Cos'è quello sguardo Big Bill?»

Big Bill... da dove diavolo gli era uscito fuori?

«Abbiamo molto di cui parlare, tu ed io.» disse solo. E chissà come, senza chiedere altro, gli credette.

 

*

 

A Richie non ci era voluto molto per ricordare tutto. Tutto quanto. Anche i grotteschi dettagli delle ultime ore spese a Derry.

Era dovuto correre in bagno per scaricare tutto ciò che aveva ingerito a colazione e forse anche della cena precedente. Gli ci erano voluti diversi minuti per riprendersi. Per soffocare una crisi di pianto inaspettata ed uscire con l'aria di chi è appena sopravvissuto a una brutta malattia.

E forse era davvero così: Pennywise era stata la sua malattia. Una malattia durata ventisette anni. Una malattia che si era abbattuta su tutti loro di nuovo, una volta che avevano lasciato Derry, per sempre.

Aveva dimenticato di averlo affrontato e sconfitto, per la seconda volta. Aveva dimenticato di aver ucciso un uomo, aveva dimenticato di aver perso Stan. E di aver perso... Eddie.

Come aveva potuto dimenticare Eddie? Ancora una volta? Come aveva fatto a dimenticare tutti, certo, ma Eddie, sopra tutti quanti?

L'idea di averlo ricordato e perso per sempre, gli sembrò inconcepibile, crudele, ingiusta.

Gli sembrò di dover rivivere quel lutto per la seconda volta. Una perdita prolungata nel tempo. Dopo tre anni avrebbe dovuto restargli il ricordo agrodolce, doloroso ma lenito dagli anni. Ora invece era solo una ferita che si era riaperta, bruscamente, come fosse successo solo poche ore prima. Ora capiva quel vuoto incolmabile che per tre anni gli aveva dato gli incubi (o erano forse trent'anni che se lo portava appresso ormai?). Adesso comprendeva il perché delle sue insicurezze, delle sue paure, della sua incolmabile tristezza. Chi mai avrebbe potuto vivere felice quando i più dolci ricordi d'infanzia gli erano strati strappati via? Per preservarlo da un dolore che forse lo avrebbe solo fatto crescere, invece di relegarlo in uno stato di eterna, perduta fanciullezza? Che lo aveva lasciato vivere una vita mutilata?

IT aveva dato loro fama e ricchezza, certo, ma li aveva privati della cosa più importante: l'amicizia, l'amore. E se li era ripresi, di nuovo, poco dopo averglieli restituiti, poco dopo aver dato loro la gioia di essersi ritrovati. Si era portato via un ultimo pegno, quello più crudele. Aveva negato loro anche la possibilità di piangere i loro amici più cari.

Stava ancora cercando di darsi una parvenza di ordine, quando Bill era tornata a cercarlo, trovandolo ancora sulla porta del bagno di quegli uffici.

«Va tutto bene, Richie?»

L'uomo si indicò fingendo un sorriso sghembo, più grottesco che incoraggiante.

«Mai stato meglio, non vedi?»

«Mi dispiace, non volevo che succedesse in questo modo.»

«In che altro modo sarebbe potuto succedere? Tu che hai fatto, quando hai ripreso a ricordare: stappato champagne?»

Bill serrò le labbra, dandogli una confortante pacca sulla spalla.

«Vieni, ti ho fatto portare dell'acqua»

Richie lo seguì di nuovo in quell'ufficio, il passo un po' barcollante di chi è ancora stordito.

Quando afferrò il bicchiere d'acqua si rese conto che la sua mano stava tremando e dovette posarlo per evitare un mezzo disastro.

«Ero convinto che non sarebbe successo di nuovo», si ritrovò a dire, cercando gli occhi di Bill con lo sguardo, «dimenticare, intendo. O avrei cercato un modo per tenermi in contatto con voi...»

«Dubito sarebbe dipeso dalla nostra volontà, Richie... credo che qualsiasi entità superiore ci abbia messo lo zampino, questa volta, si sia assicurata di rimuovere dalla memoria di chiunque, quanto successo durante la nostra breve permanenza a Derry.»

Richie lo guardò stranito.

«Di chiunque, dici?»

«Sì, di chiunque. Come lo spieghi, altrimenti, che tu l'abbia passata liscia per aver ucciso Bowers?»

Richie si ricordò di Bowers in quello stesso istante e dovette reggersi la fronte con la mano. Poi tutto cominciò ad avere un senso. «E che i nostri nomi non siano mai comparsi sui registri dell'hotel in cui abbiamo alloggiato, che nessuno e dico... nessuno ricordi che abbiamo cenato alla Perla dell'Oriente. Una performance come quella di Mike che cerca di distruggere un tavolo dubito si possa dimenticare tanto facilmente.»

Richie aggrottò la fronte: «E tu come... ?»

«Ho fatto le mie ricerche. Ho passato mesi a cercare di capire come potessi aver dimenticato di essere stato a Derry e perché. Poi mi sono arreso al fatto che forse ero troppo stressato e mi sono preso una pausa dalla scrittura. Di certo ha giovato al mio matrimonio»
Richie represse una risata isterica, perché ci rivide una fotocopia dei suoi stessi comportamenti in quegli ultimi mesi.

«Immagino che sia successo anche a tutti gli altri... Mike, Ben... Beverly.»

Guardò Bill annuire incerto. Avrebbero quantomeno cercato di contattarli, altrimenti.

«Probabilmente la storia di Derry ha smosso qualcosa anche a loro, ma magari non riescono a spiegarsi il perché.»

Richie annuì e stavolta bevette da quel dannato bicchiere. Il suo stomaco brontolò vivacemente, ma sembrò reggere.

«Dobbiamo cercare di contattarli.»

«Non credo sarà poi così difficile.»

«Dovremmo cercare la moglie di Eddie...» si ritrovò a dire, inseguendo un filo logico che aveva perfettamente senso nella sua elucubrazione.

Bill a questa uscita non sembrò seguirlo.

«Una donna che non ha notizie del marito da più di tre anni... Bill. Come... credi che possa sentirsi? Probabilmente avrà fatto anche lei le sue ricerche senza trovar alcun tipo di riscontro. A Derry, da nessun'altra parte. Eddie è semplicemente sparito dalla faccia della Terra indisturbato, dimenticato, anche dai suoi migliori amici.»

Bill dovette comprendere improvvisamente la portata di quelle sue parole, perché vide i suoi occhi divenire lucidi.

«Ma ora noi ricordiamo. Noi sappiamo. Forse... forse dovremmo parlare con lei.»

«Credi che sia davvero il caso di risvegliare ricordi simili? E se qualcuno decidesse di indagare, e se risvegliando ricordi uno dopo l'altro ne uscissero altri... più scomodi su quei giorni a Derry?»

Richie gli lanciò uno sguardo perplesso.

«Stiamo parlando della stessa Derry che ora non esiste più? La stessa Derry che è stata ingoiata dalle sue stesse fogne?»

Bill si passò una mano sulla fronte, nel suo sguardo, la consapevolezza sulla probabilità di quelle sue parole.

«Hai ragione... forse... forse glielo dobbiamo. A Eddie, più che a chiunque altro. Un commiato come non gli è stato mai concesso.»

Richie si rese conto che era proprio quello che stava cercando di far capire a Bill. Un commiato. L'aver perso Eddie, e averlo dimenticato nemmeno una settimana dopo. Un'ingiustizia peggiore del fatto di averlo lasciato marcire nelle profondità di Derry.

Si sentì male al pensiero. Un verme, dopo tre lunghi anni, ad averlo lasciato là sotto, assieme alle particelle di quel mostro che erano evaporate nell'atmosfera, dopo averlo ucciso definitivamente, aver permesso agli altri di non lasciarlo nemmeno provare a trascinarlo fuori da lì. I suoi incubi, ora trovavano un senso.

«Dobbiamo trovare la signora Kaspbrak, Bill...» si portò le mani alla testa, come fosse diventata troppo pesante da reggere. Gli sembrò improvvisamente la cosa più importante da fare. Un'espiazione di colpe o meno.

Come li avrebbe accolti la donna non avrebbe saputo dirlo, ma qualsiasi sarebbe stata la sua reazione, almeno avrebbe saputo di aver fatto la cosa giusta.

«D'accordo: la troveremo. Anche se non ho idea di cosa potremo dirle dopo tre anni, senza sembrare... sospetti...»

Richie alzò la testa nello stesso momento in cui una donna dall'aria professionale, faceva capolino dalla porta della stanza in cui lui e Bill si erano appartati.

«Bill, forse dovresti guardare i notiziari», il volto della donna era serio e gli rivolse a malapena un cenno di saluto. Bill riservò a Richie uno sguardo confuso prima di recuperare il telecomando del grosso schermo in sala e accendere su un canale a caso.

Derry era di nuovo in primo piano e una reporter stava trasmettendo direttamente dalle porte della città. Attorno a lei un numero non identificato di polizia, mezzi di soccorso e ambulanze.

«Dimmi che non ci sono state vittime...» esalò Bill, rassegnato ma più che altro curioso del perché la donna (che più avanti Richie avrebbe conosciuto come la sua agente) avesse insistito affinché si affrettassero a carpire ulteriori notizie sul disastro.

«... il ritrovamento di almeno una trentina di corpi, e una quantità ancora incalcolabile di ossa umane che le autorità hanno identificato come vittime di anni di gran lunga precedenti all'alluvione che, nei giorni scorsi, ha letteralmente spazzato via gran parte della cittadina di Derry, nel Maine. L'FBI ha riportato alla luce i casi di un gran numero di inspiegabili sparizioni che fin dagli anni ottanta hanno resto queste province...»

«Cristo Santo...» sibilò Richie, fissando lo schermo con aria catatonica. Possibile che l'alluvione avesse riportato a galla tutte le vittime di IT? La macabra collezione di ragazzini che aveva massacrato sin dall'alba dei tempi, per sfamarsi?

Possibile che fra quei corpi, riportati a galla dall'ultima definitiva alluvione, ci fosse anche quello di Eddie?

Il pensiero, ancora una volta, ebbe un effetto devastante.

«Scusatemi!», singhiozzò prima di rimettersi in piedi e scaraventarsi in bagno per scaricare, di nuovo, tutto il suo malessere.

 

*

 

I giorni successivi passarono come un sogno (o sarebbe stato meglio dire incubo) ad occhi aperti.

Bill e Richie avevano dovuto barcamenarsi fra alcuni imminenti impegni di lavoro e, nei ritagli di tempo, non avevano fatto altro che cercare informazioni per rintracciare Ben, Beverly e Mike. Per capire come ritrovare una certa vedova Kaspbrak e seguire gli aggiornamenti sulla trageda di Derry su tutti i notiziari e giornali locali.

Alcune delle vittime erano state tragicamente identificate. Ragazzini dati per dispersi per anni, decenni, avevano finalmente trovato la pace. Altri, dai resti troppo antichi per poter sperare di avere ancora familiari in vita in grado di piangerli, erano stati semplicemente classificati come vittime X e sistemati, probabilmente in un archivio dell'FBI.

Sebbene Richie e Bill non avessero fatto altro che prendere nota di qualsiasi nome o aggiornamento a riguardo, il nome di Edward Kaspbrak non era ancora mai stato fatto.

Richie si trovò in un egoistico limbo in cui, da una parte, sperava che non lo avrebbero trovato mai. Non era sicuro di come avrebbe reagito il suo fisico, la sua psiche all'idea del cadavere putrefatto di Eddie nelle mani di un coroner che cercava disperatamente di identificarne il dna dalla struttura dei suoi denti o chissà che altro. Sperò altresì che, nel caso in cui, invece fosse stato risputato fuori da quella cloaca che erano le fogne di Derry, dopotutto non fosse conciato così male da essere archiviato come un qualsiasi senza nome, in un oscuro archivio federale. Sarebbe stato peggio che saperlo ancora sepolto sotto chilometri di tunnel sotterranei.

«Abbiamo finito i Kaspbrak negli elenchi telefonici di New York e questa Miranda Kaspbrak non c'è da nessuno parte.» Bill sembrava più disperato di lui.

«Myra. Bill, sono più che certo che la moglie di Eddie facesse Myra, di nome, non Miranda.» si erano ritrovati in uno dei tanti caffè di New York, per un brunch mascherato da incontro di lavoro, che non era altro che un modo per potersi dare aggiornamenti in diretta, senza dover ricorrere alla fredda tecnologia. Entrambi tragicamente convinti che passare troppo tempo separati avrebbe prodotto, ancora una volta, quel meccanismo di difesa che li avrebbe portati a dimenticare. E non era una cosa che potevano permettersi, non arrivati a quel punto.

«Mi avevi detto Miranda.»

«Non ti ho mai detto Miranda. Dimmi che non hai cercato solo Miranda.»

«Non... oh, al diavolo Richie! Non c'era nessuna Miranda o simile fra le persone che ho contattato. Nè sugli elenchi, né sui social. E comunque... potrebbe aver cambiato cognome. Potrebbe essersi risposata o aver ripreso il suo cognome da nubile. O peggio, essersi trasferita in un'altra città, in un altro stato. Non capisco perché stiamo spendendo tante energie per una donna che nemmeno conosciamo, se non riusciamo nemmeno a trovare i nostri amici, sparsi per gli Stati Uniti.»

Richie gli allungò un foglietto, guardandolo con aria esplicita.

«Che diavolo è?»

«L'indirizzo di Ben Hanscom. Nebraska.»

Bill recuperò il foglietto studiandolo instupidito.

«E questo da dove salta fuori?»

«Il mio agente. Gli ho detto che Ben era un architetto piuttosto famoso. Steve è un segugio a rintracciare gente famosa.»

«Ma perché diamine no lo hai detto subito?»

«Eri troppo preso ad aggiornarmi su una certa Miranda.»

Bill fece un gesto esasperato.

«Lo hai chiamato?»

«Non ancora. A dire il vero aspettavo te, per fare qualsiasi altro passo.»

«Nervoso?»

«All'idea che non si ricordi di noi? Da morire. Ma ti assicuro che non vedo l'ora di riabbracciarlo.»

Chiamarono Ben quello stesso pomeriggio, solo per scoprire che non era solo. Non furono affatto sorpresi di saperlo con Beverly. Vivevano insieme da tre anni. Ben l'aveva aiutata a superare un drammatico divorzio e aiutata a uscire da una vita che non riconosceva più come sua. Furono ancora meno sorpresi di sapere che avevano recuperato i ricordi con le loro stesse identiche dinamiche e di quanto avessero cercato di contattarli nei giorni precedenti.

Appresero, non senza sollievo, che Mike Hanlon non aveva mai più fatto ritorno a Derry. E per quanto sconfortante fosse l'idea di rintracciare un uomo partito per un tour senza meta per il mondo, saperlo lontano dalla tragedia era un pensiero piuttosto felice.

«Cercate la moglie di Eddie?» aveva chiesto Ben, dall'altro capo della cornetta, con tutta l'innocenza di chi cade dalle nuvole, «ho qui un suo vecchio biglietto da visita, con numero di telefono e indirizzo di casa. Non so perché l'ho conservato nel portafoglio, così a lungo, senza immaginare di chi fosse. Immagino pensavo fosse importante, sono bravo a conservare le cose che sembrano... importanti», Richie rammentò il foglio dell'annuario che Ben aveva conservato per anni nel suo portafoglio, pensando a Beverly, «Eddie me lo diede prima di... bè, sì, insomma. Per il futuro. Se mai fossimo sopravvissuti a...» la voce gli si era fatta liquida e Richie dovette immergere il naso nella sua bollente tazza di caffè nero, «insomma, è possibile che la moglie viva ancora lì o che qualcuno sappia come rintracciarla, nel caso.»

E così avevano ottenuto, nel giro di pochi minuti, ciò che avevano cercato, invano, per giorni.

Due amici perduti e una vedova.

«Quando hai intenzione di andare dalla signora Kaspbrak?» gli chiese Bill.

«Non è distante da qui.»

Come si dice: via il dente...

 

*

 

Richie ebbe improvvisamente un'immagine da cartolina della vita di Eddie Kaspbrak. Un appartamento a Brooklyn in una zona piuttosto verdeggiante. Fuori dal caos cittadino di Manhattan a un prezzo sicuramente più abbordabile di un monolocale in centro.

Si rammaricò del fatto di non aver scavato troppo a fondo nella vita di Eddie in quei pochi tragici giorni in cui si erano ritrovati. Informazioni essenziali, e poco utili per riuscire a tratteggiare un quadro completo della loro vita di adulti.

Quello che vedeva, in piedi di fronte a quel palazzo, in quel quartiere residenziale di Brooklyn faceva parte di uno stereotipo, forse ingiusto ma piuttosto nitido: un lavoro sicuro, remunerativo, che permetteva una vita piuttosto agiata, una moglie pigra, nessun figlio, un matrimonio tranquillo, che scorreva assieme a una vita monotona nella periferia di New York. Un posto in cui non avrebbe fato fatica a veder Eddie invecchiare. Una vita che forse persino quell'incubo di sua madre sarebbe riuscita, col tempo, ad approvare.

Si chiese però che persona fosse davvero Eddie, nella vita di tutti i giorni, come organizzava la sua giornata, quali fossero i suoi timori, le sue passioni, le sue aspettative. Cosa fosse rimasto del ragazzino ipocondrico ma pieno di fuoco che ripescava dai suoi ricordi di ragazzino? Cosa c'era di lui, in quella vita apparentemente convenzionale?

Domande che non avrebbero trovato mai una risposta. Le uniche risposte che aveva avuto, durante quell'unica sera in cui si erano ritrovati tutti a parlare della loro infanzia perduta, di IT, erano le paure che avevano accumunato tutti loro in quei ventisette anni di oblio. Il sapere di non essere mai riusciti a dare un nome a quel vuoto che aveva attanagliato tutti quanti per quasi un trentennio. Ai loro incubi, alle loro ipocondrie, nonostante le vite colme di successi professionali.

La verità è che non aveva chiesto molto a Eddie, né a nessuno degli altri perché in fondo era convinto che avrebbero avuto tutto il temo del mondo per recuperare. Un modo come un altro per esorcizzare IT e la paura fottuta che lo avrebbe accompagnato fino alla fine di quell'incubo. Aveva recuperato in corner gli altri, prima che uscissero per sempre da Derry. Ma Eddie e Stan sarebbero rimasti, per sempre in bilico fra l'immagine che aveva di loro da ragazzini e quella che, almeno per Eddie, era riuscito a intravedere da adulto, idealizzandolo.

«Vuoi che suoni io?» Bill alle sue spalle, quasi lo fece trasalire.

«No. No, credo di essere ancora in grado di ricordare come si faccia a suonare a un campanello, Big Bill».

Il cognome era ancora sul campanello. Un buon segno, dopotutto. Evidentemente la donna non aveva voluto trasferirsi, non si era risposata e dunque, forse, ancora attendeva notizie da quel marito scomparso, ormai più di tre anni prima.

Non rispose subito al campanello, ma una sagoma si stagliò dopo pochi istanti dietro il vetro della porta di casa.

Ne emerse una donna corpulenta, i capelli dal taglio moderno, l'aria vagamente preoccupata. Indossava una giacca leggera e portava con sé una borsa: un segno piuttosto evidente del fatto che forse stava proprio uscendo di casa. Non fosse stato per il fatto che la donna rappresentava più lo stereotipo della tipica cittadina newyorchese, che non quella della trasandata vedova di provincia, Richie ebbe un déjà vu: dovette constatare di persona quanto quella donna somigliasse in modo impressionante alla madre di Eddie: la compianta Sonia Kaspbrak. Non tanto per la somiglianza fisica (nonostante la stazza che forse avrebbe potuto persino combaciare in modo preoccupante), ma per la postura, lo sguardo, l'atteggiamento sospetto e preoccupato al tempo stesso.

«Sì?» disse solo, squadrando Richie e Bill con aria indagatrice ma piuttosto consapevole.

«Signora... Kaspbrak?» balbettò Richie. Non si era aspettato di trovarcisi di fronte in modo tanto diretto, e ancora una volta, come per il primo incontro con Bill dopo tre anni, si trovò straordinariamente a corto di parole. E dire che si era persino preparato un discorso piuttosto complesso per giustificare la sua presenza lì, sfruttando abilmente le notizie dei giorni precedenti su Derry.

«Vi conosco, per caso?» disse lei, invece di confermare la domanda, stringendo fra le mani la borsetta, all'apparenza piuttosto costosa: Richie cercò la fede al dito, senza trovarne traccia.

«Bè io non...» scambiò uno sguardo con Bill, «non credo? Non penso ci siamo mai visti prima di oggi.»

«Sì... sì che vi conosco. I vostri visi mi sono... familiari. Non sei per caso un attore? O qualcosa di simile?»

Richie si indicò senza sapere che dire: a volte scordava persino di essere in qualche modo famoso. A New York, più che a Los Angeles, riusciva a passare piuttosto inosservato, ma questo perché i cittadini della grande mela sembrano essere assuefatti alla fama altrui.

«Mi chiamo Richie. Richie Tozier... e...»

«Ma certo! Tozier! Era in televisione a promuovere qualcosa, la scorsa settimana o mi sbaglio?» ora sembrava più eccitata che altro, ma ben lontana dal comprendere cosa potesse volere da lei un personaggio pubblico.

«Sì, probabile ma non è...»
«Anche lei! Lei sì, è quell'autore, quello del libro che pubblicizzano un po' ovunque... come si chiama, ora mi sfugge davvero il nome.»

«Bill Denbrough...»
«Denbrough! Ecco, sì! Proprio Denbrough!» gli occhi ora le brillavano, come avesse appena vinto un premio. La vide guardarsi attorno, come si aspettasse che da un momento all'altro uscisse fuori una troupe televisiva che le annunciava di essere protagonista di qualche scherzo o programma tv a sorpresa.

«Cosa posso fare per voi, Signori?» domandò a un passo dal farsela addosso per l'emozione probabilmente. Se ne stava lì, rigida e sorridente con le gote rosse come avesse appena fatto chilometri di corsa in salita.

E Richie aveva improvvisamente dimenticato qualsiasi discorso si fosse preparato per l'occasione.

«Siamo qui per via...» cercò di nuovo Bill con lo sguardo che se anche tentò di aggiungere qualcosa al discorso si sorprese di vederlo solo muovere le labbra ma senza produrre alcun suono: brutta bestia l'emozione. «Per via di suo marito...» gli uscì, senza starci a girare troppo attorno.

«Siamo qui per Eddie.»

Il sorriso della donna si spense lentamente. Il colore svanì dal suo viso così come era comparso. Ma proprio quando Richie era certo di doversi preparare a sedare una crisi di pianto, la smorfia sul viso della donna si tramutò in qualcosa colma di indignazione: più che sorpresa e dolore, di rabbia e sdegno.

«Eddie non abita più qui», disse, come se il solo fatto di essersi presentati alla sua porta di casa con una simile pretesa fosse una questione troppo complessa da gestire. Richie si ritrovò a pensare che dopotutto, come poteva giudicare come qualcuno affronta il dolore? Il lutto.

«Sì, signora, questo lo sappiamo, volevamo solo...»
«Solo cosa? Cosa?» la voce di Myra si alzò almeno di un'ottava, «avete un messaggio da parte sua? Bene ditegli che qualsiasi cosa abbia intenzione di comunicarmi può tranquillamente rivolgersi al mio avvocato!»

Richie aprì le labbra per ribattere ma quelle parole furono sufficienti per cancellare qualsiasi pensiero razionale. Non ebbe nemmeno cuore di chiedere aiuto a Bill, perché era certo che si trovasse nella sua identica situazione.

«No, signora, forse non ci siamo capiti, noi...»

«Ci siamo capiti perfettamente, invece!» la vide scendere i gradini, un passo alla volta, venendo loro incontro. Richie si trovò ad arretrare per paura, vedendola deambulare a quella maniera, che gli caracollasse addosso, con effetti devastanti.

«Dite a Eddie di finirla di ricorrere a questi subdoli trucchetti! Non ho intenzione di scendere a patti con lui, nemmeno dovesse inviarmi il Papa in persona a far da paciere! Pretendo tutto quello che ho chiesto, non muoverò MAI un passo fuori da questa casa e non dirò una sola parola a voi o chiunque altro, se non facendo passare per iscritto ogni cavillo dal mio avvocato!»

Richie dovette ingoiare un buon quantitativo di aria, dopo essersi reso conto di aver smesso di respirare. Forse c'era stato un fraintendimento. Forse era un caso si perfetta omonimia. Gli elementi si erano sovrapposti in modo inquietante, ma realistico?
«Lei è sicura di essere la moglie di Edward Kaspbrak? Figlio di Sonia Kaspbrak? Nato nel Maine?» gli uscì non seppe nemmeno come, senza balbettare.

«A che razza di gioco state giocando, volete dirmelo?» adesso la donna sembrava davvero furente. «A nessun gioco ma noi credevamo... insomma, che suo marito... tre anni fa fosse...»

Myra sgranò gli occhi, se possibile ancora di più. Il suo viso sembrava quello di un pesce palla in procinto di esplosione.

«Tre anni fa? Ma certo come ho fatto a non pensarci? A non unire i puntini!» sbottò, se possibile ancora più furente, «tre anni fa è cominciato tutto! Quando è tornato da quel suo folle viaggio nel Maine, quella sua scappatella di cui non ha voluto parlarmi. C'entrate voi? Certo che c'entrate voi! Dovete essere voi quelle canaglie che lo hanno convinto a scappare di casa senza motivo. Quando è tornato non era più la stessa persona! Ha balbettato di alcuni suoi amici d'infanzia, di un incidente, di non ricordare, ha inventato scuse che non stavano né in cielo né in terra e poi è uscito dalla mia vita! Dopo cinque anni di matrimonio! Cinque anni di matrimonio e nessun preavviso, nessuna spiegazione!»

Richie adesso sì che non sapeva più cosa dire, come giustificare quell'improvviso, sbalorditivo cambio di scenario. Eddie era vivo? Eddie era tornato? Tre anni prima? Ma se lo aveva visto morire? Tutti lo avevano visto morire. Avevano visto crollare la casa a Neibolt e seppellirlo! Poteva la loro memoria collettiva aver fatto uno scherzo tanto crudele? Ma ricordava di averlo pianto, assieme a tutti gli altri e di aver lasciato Derry, per l'ultima volta, con la morte nel cuore a sapere Eddie sepolto per sempre nella città che tutti loro odiavano più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Ma quella donna stava balbettando parole senza senso, incomprensibili alla più semplice logica. Lo aveva visto morire, sentiva ancora il sapore rugginoso del suo sangue sulle labbra, la disperazione. Poteva essere stato tutto fasullo? Tutto falso?

Per un istante il suo intero mondo fu permeato da un lungo fischio d'assestamento. I colori, tutt'intorno, avevano preso a vorticare in maniera fin troppo vivace. Gli ci volle qualche istante per riprendere coscienza di se stesso.

«No, un momento, un momento, ci sta dicendo che Eddie è tornato a casa, tre anni fa? D-da Derry? Dal Maine?» cercò di intervenire, di interrompere quella follia.

«Mi sta dando della bugiarda? Della pazza?» Richie avrebbe voluto dirle di sì, sebbene pazzo ci si sentisse lui, per primo. «Certo che è tornato a casa! Senza uno straccio di valigia, con una gigantesca cicatrice sulla faccia e l'aria di chi ha passato l'inferno sceso in Terra, ma non ha voluto darmi spiegazioni. Siete sorpresi che lo abbia fatto? Che sia tornato da me? Che diavolo gli avete detto? Cosa gli avete fatto?»

«Niente! Niente, solo stiamo cercando di capire!»

«Capire? Capire?!» ripeteva quella parola come fosse un mantra, come se anche per lei quell'incontro fosse la cosa più surreale della sua eccitantissima vita medio borghese, «quello che capisco è che dovete allontanarvi da qui o chiamo la polizia!»

«La Polizia? E per quale motivo? Ci dica almeno dove possiamo trovare Eddie. Abbiamo bisogno di parlare con lui.»

«Dovrete passare sul mio cadavere prima che vi fornisca una simile informazione! Trovatevelo da soli, Eddie! Io non voglio avere più niente a che fare con questa storia! Ho già sofferto abbastanza!»

Richie si rese conto troppo tardi che il labbro tremulo della donna era solo l'inizio di una violentissima esplosione di pianto. Le tremava tutto, all'improvviso. E per un istante non seppe se scappare a gambe levate o andare a consolarla e cercare di capire che diavolo fosse appena successo.

Grazie al cielo Myra non diede loro il tempo di fare nulla, retrocesse verso la sua abitazione, borsetta, tacchi e tutto il resto e tornò in casa, sbattendo la porta tanto violentemente che per un attimo Richie credette che il vetro sarebbe andato in frantumi.

Ancora rimbombavano nella testa le sue ultime parole e la vibrazione violenta della porta, quando Bill posò una mano sulla spalla di Richie: «Bè, mi sembra sia andata alla grande.»

Stava cercando di sdrammatizzare, ovviamente, ma Richie non se la bevve. Non in un momento simile, non nel contesto in cui erano improvvisamente precipitati, non quando ogni convinzione appena acquisita veniva nuovamente disintegrata da una ben più scioccante realtà. Si premette una mano sullo stomaco e si volse appena in tempo per non centrare in pieno proprio Bill, finendo per vomitare di nuovo in una delle ordinate aiuole del vicinato.

Stava cominciando a diventare una gran brutta abitudine.

 

Continua...

 

Note:

Era da un po' che mi girava per la testa l'idea di come sarebbe proseguita la vita dei Perdenti se avessero dimenticato di nuovo, così come è successo alla fine del romanzo. E se i ricordi recuperati non fossero esattamente come li rammentavano? Perciò è nata questa storiella. Che penso sarà molto breve, ma le cose a breve termine sono le uniche a cui riesco a dedicarmi in questo momento.

Alla prossima.

  
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