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Autore: theGan    24/04/2021    4 recensioni
Karl-Heinz Schneider è innamorato del suo portiere, questo non gli impedisce di essere un totale stronzo (ispirata al Road to 2002 e ai capitoli 118-119 del Rising Sun).
- Rating giallo solo per il linguaggio
Genere: Generale, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOFFITTI BIANCHI

 
Karl Heinz Schneider aveva il suo numero di problemi, molti di questi iniziavano e finivano col fatto che Genzo Wakabayashi fosse eccessivamente gnocco.
La sopracitata consapevolezza era sgusciata fuori dal nulla durante i ruggenti anni dell’adolescenza ed aveva esercitato l’impatto distruttivo di un martello che prende a cazzotti un vaso di cristallo.
Il giorno prima Wakabayashi era quel tizio giapponese un po’ nerd, decisamente troppo fissato con il latino per un aspirante calciatore professionista e che, segretamente, ogni terzo weekend del mese pretendeva di essere un chierico halfling a D&D. Il giorno dopo era questa oh-mio-Dio, bomba di testosterone sogghignante che avrebbe praticamente invitato chiunque ad essere leccata dappertutto. O gustata lentamente con un cucchiaino, come un gelato.
Ora due cose erano diventate perfettamente chiare con il tempo: la prima, Karl era dolorosamente gay e con una cotta pazzesca per il suo portiere/migliore amico in seconda, due Wakabayashi era estremamente, ECCESIVAMENTE, asessuale.
Così più o meno ogni giorno creato dal Signore, Karl si svegliava, si lavava la faccia e ripeteva a se stesso a mo’ di mantra: “smettila di sbavare sul tuo amico, altrimenti ti pianto un cazzotto sul muso razza di cretino o chiedo a Kaltz di farlo. Ok? Ok”. Dopo circa dieci ripetizioni, una doccia fredda pensando al quasi-divorzio dei propri genitori, Karl era pronto a riprendere le sue normali funzioni.
Dopo la sconfitta con il Giappone al torneo giovanile e la novità bomba del nuovo lavoro di suo padre come coach del Bayern Monaco, la vita di Karl non era cambiata così rapidamente come aveva pensato. Sua madre aveva insistito perché prima Karl finisse gli studi ad Amburgo e soltanto dopo si trasferisse a Monaco. In sintesi: Karl era stato consegnato ad un altro anno di inferno con il cappellino.
Quando Karl aveva dato l’addio alla propria vecchia vita con tanto di lacrime molto virili, non si era aspettato di tornare a scuola. La speranza che Kaltz gli avrebbe offerto una qualche forma di sostegno psicologico non era stata disattesa: quando Karl era entrato in classe, Kaltz aveva urlato “il traditore è arrivato, SPARATE” e una quantità non ben precisata di palline di carta si era catapultata sulla faccia di Karl. Questa era una delle ragioni per cui Karl non voleva amici.
E Wakabayashi, quello stronzo, era rimasto in un angolo a ridacchiare come una pianta in vaso particolarmente muscolosa, quando i loro sguardi si erano incrociati il suo sorriso si era addolcito e aveva scrollato le spalle come a dire: “non è stata una mia idea, ma è divertente”. Ma che andasse a fare in culo. O, beh, magari prima un lungo appuntamento e una passeggiata sotto le stelle… cazzo!
Due settimane dopo l’incidente, Kaltz aveva depositato rumorosamente le sue natiche accanto a lui ed era rimasto per trentacinque miracolosi secondi in completo silenzio, prima di distruggere la calma interiore di Karl.
- Lo sai che non ne hai nemmeno una di possibilità, vero?
Era stato un bel pomeriggio fino a quel momento, il sole era alto nel cielo e c’era persino una coppia di pettirossi a fischiettare tra gli alberi. Wakabayashi quel giorno indossava un paio di pantaloni molto aderenti e si era persino levato la maglietta per correre. Quindi, in generale, un’ottima giornata. Karl si stava appunto godendo il panorama quando Kaltz era arrivato a rovinare il tutto, almeno il bastardo non stava sorridendo.
- Karl, sono serio, mollala. Ti spezzerà soltanto il cuore.
Ok, Karl-Heinz Schneider, il futuro più giovane capocannoniere del Bayern Monaco, il principe di ghiaccio, il Kaiser di Germania, non era l’oggetto della pietà di nessuno.
- Mi sto solo godendo la vista.
Kaltz aveva annuito e non aveva insistito, ma da quel giorno i suoi occhietti sottili non lo avevano perso di vista un attimo e ogni volta che dopo una pacca virile la mano di Karl esitava sul tricipite di Wakabayashi sembrava dicessero: “so cosa stai facendo e non hai una possibilità la-la”. L’ultima parte era una fedele imitazione della voce di Kaltz quando cantava in falsetto. Wakabayashi sollevava una scrivania sopra la sua testa perché dava impiccio ed, hey, così va meglio ragazze del club di teatro? E, BAM, la canzone partiva. Wakabayashi si girava con un sorriso scemo stampato in faccia e gesticolava che si desse una mossa perché c’era qualcosa estremamente banale da guardare tipo una gazza sopra un ramo o un cane con una faccia buffa e il cervello di Karl partiva: “la, la, la, nessuna possibilità”.
Una sera stavano guardando un film spazzatura, Kaltz era andato al bagno, l’uomo nello schermo urlava qualcosa sulla fine del mondo e in quel preciso momento la mano di Wakabayashi si era appoggiata sul ginocchio di Karl. Il portiere stava sorridendo e il suo volto esposto alla luce blu dello schermo aveva una qualche strana qualità che non apparteneva a questo mondo.
- Karl, passa i popocorn.
“Bloccato nella friendzone insieme a un idiota. Forever alone. Cha-cha”. Oh, quanto odiava quel cretino.
Karl ne aveva avuto oggettivamente abbastanza e aveva preso l’importante decisione di smettere di rincorrere il fumo, optando per una ritirata strategica stile tartaruga sezy nella sua “sono il Kaiser di Germania, come osi rivolgermi la parola” modalità. Il resto del suo ultimo anno di scuola si era svolto senza ulteriori incidenti e a quel punto Karl era stato libero di tuffarsi di pancia nel mondo del lavoro.
Sì, certo, parlava ancora con i suoi due migliori amici, ma era troppo preso per scrivere e troppo stanco per telefonare. Qualche messaggio e un paio di mesi e poi ognuno aveva la sua vita. Wakabayashi però no, lui continuava a mandare mail con allegate foto di Katlz addormentato su cose strane e domande su come stava, su cosa mangiava, se il suo cane si era abituato alla nuova città, se a Maria piacevano le lezioni di piano. Era buffo vedere il suo-non-più-suo portiere preoccuparsi per lui come una mamma chioccia, nonostante lui stesso fosse impegnato nella non facile transizione al gioco professionistico.
Sempre nell’Amburgo, ovviamente. Forse Wakabayashi lo stava trattando come faceva con i suoi amici giapponesi.
Una volta Karl aveva visitato l’appartamento di Wakabayashi, l’amico aveva un numero sorprendente di articoli su Tsubasa Ozora e uno ancora più alto di fotografie e lettere di ragazzi con cui era stato a scuola una vita prima. Karl aveva persino visto un post-it sul calendario di Wakabayashi che diceva: “chiedere a Morisaki degli esami”.
Forse questo impicciarsi era una cosa che Wakabayashi faceva e basta. Forse era quel suo distorto senso di responsabilità che lo portava a preoccuparsi di personaggi che non erano altro che conoscenti. Lo stesso senso di responsabilità che stava alla base delle molte scelte di vita asinine del portiere, come giocare con le ossa rotte o sedersi sul prato bagnato indossando pantaloni bianchi perché Karl sembrava sentirsi solo.
Forse un senso di responsabilità era l’unica cosa che Wakabayashi aveva mai provato per lui.
Era un pensiero frastornante.
Il suo rapporto con Wakabayashi era sempre stato complicato. Erano amici, rivali? Cos’era Wakabayashi per lui infondo: un ottimo portiere, un compagno di squadra su cui fare affidamento e un muro da superare come avversario. Qualcuno che era stato al suo fianco solo per gli ultimi cinque anni. Il migliore amico di Kaltz. Forse era giusto questo.
Wakabayashi non si preoccupava per Kaltz allo stesso modo, prendersi cura delle persone era un compito che si era autoimposto perché per tutta la sua spocchia, Wakabayashi aveva un cuore grande. La sua amicizia con Karl era come una lunga conversazione su un futuro di cui non avrebbe mai fatto parte.  
Karl era un passante occasionale nella vita di Wakabayashi. Una nota a piè di pagina su un ragazzino tedesco che si era girato dall’altra parte quando il suo amico veniva picchiato dai bulli. Una nota su un idiota biondo che aveva sempre preferito ignorare gli insulti razzisti che venivano bisbigliati alle spalle di Wakabayashi soltanto perché era facile.
In effetti, probabilmente Wakabayashi lo tollerava a stento e per il beneficio di Kaltz. Il triumvirato della giovanile dell’Amburgo era un duo con una fastidiosa appendice.
Wakabayashi gli aveva mandato quattro mail durante l’ultima settima. Oh, quanto era nobile. Quanto era stupido. Karl le aveva lette tutte e non aveva risposto a nessuna. Era stato impegnato, non aveva tempo per conoscenti impiccioni.
La sua attrazione per il portiere era un prurito che Karl non riusciva a grattare. Un fastidio. Tutti passavano una fase arrapata  nella propria adolescenza, Wakabayashi era stato semplicemente lì, un corpo. E, ora che ci pensava bene, le sopracciglia di Wakabayashi non erano forse grandi e stupide? E il suo naso? No, davvero, per niente attraente.
Solo a causa dell’insistenza di Kaltz, Karl aveva seguito l’amico ad assistere ad una partita della giovanile giapponese. Si erano trovati seduti accanto a una ragazza invasata che aveva occhi solo per il capitano del team (una piccola parte del cervello di Karl aveva registrato che quella era la moglie di Ozora e che era stato in effetti presente a quel matrimonio su insistenza di Wakabayashi). Kaltz si era messo ad urlare qualcosa di inintelligibile quando i giocatori avevano fatto la loro comparsa in campo e Wakabayashi li aveva individuati. La sorpresa sul volto del portiere si era sciolta in un sorriso timido e il cuore di Karl era in realtà un nugolo ronzante di farfalle fuori controllo. “Nessuna possibilità-la-la…”
Era stata una bella partita e Wakabayashi era riuscito persino a non farsi male. Karl se ne era andato subito. Aveva un aereo da prendere ed era diventato fastidiosamente chiaro che se fosse rimasto avrebbe fatto qualcosa di stupido, come baciare Wakabayashi in bocca.
- Ehi, quale delle pollastrelle ti piace?
Kaltz aveva chiesto a Wakabayashi un giorno, una vita fa. Stavano guardando i loro compagni di classe giocare nel prato, non era una partita vera e propria e ragazzi e ragazze correvano dietro al pallone ridendo insieme. Wakabayashi aveva sbuffato.
- Nessuna.
- Sul serio?! – Kaltz aveva messo su un ghigno. – Allora… quale dei pollastrelli?
Wakabayashi era scoppiato a ridere del tutto ignaro che accanto a lui il cuore di Karl stava ballando la hula.
- Nessuno.  No… davvero Kaltz. Ragazzi, ragazze… perché lo sbatti? Ho gli amici ed il calcio. – Wakabayashi aveva sorriso. – E una coppia di idioti proprio qui.
Kaltz aveva riso e lo stomaco di Karl era diventato un sacchetto di plastica strizzato, Non sapeva nemmeno se voleva urlare o vomitare. Una quantità indefinibile, era quello che Wakabayashi era per lui. Qualcosa di così vasto da sembrare in grado di riempiere il vuoto che sentiva dentro e qualcosa di così estremamente facile da buttare via.
Così, un giorno, Karl aveva deciso di fare esattamente quello.
La decisione non era stata priva di ripercussioni.
La prima era stata curiosa: quando aveva deriso, umiliato e spinto Wakabayashi in un angolo durante una partita, si era aspettato un’esplosione da parte del portiere, magari un insulto o una promessa di vendetta, non un guscio vuoto lì a subire in un silenzio inquietante.
La seconda era stata inaspettata: invece di Wakabayashi era stato Kaltz a dargli addosso con una furia cieca negli occhi. A quanto parte Karl era un venduto e Kaltz aveva un’opinione molto precisa di dove avrebbe dovuto andare a ficcare le sue parole. La sorpresa di avere Kaltz, tra tutte le persone al mondo, quel Kaltz a piangere e urlare e a tirargli un calcio negli stinchi, era stata troppo grande per rispondere. Fortunatamente Wakabayashi era arrivato a separarli, ma il fatto che la situazione fosse chiaramente sfuggita di mano era stato finalizzato dal fischio dell’arbitro. O forse, dal fatto che Karl avesse poi platealmente approfittato dell’agitazione di Wakabayashi per soffiargli la partita.
Beh, chiaramente Karl aveva pianificato di vincere. E, chiaramente, Karl aveva pianificato di mandare all’ortiche l’autostima di Wakabayashi a parole quando il suo gioco non era servito a fare breccia nella difesa del portiere. Ma non aveva pianificato che ci fossero conseguenze!
Così come non aveva pianificato che Wakabayashi diventasse uno zimbello pubblico, insultato da ogni giornaletto calcistico, e rimanesse inchiodato alla panchina per il resto della stagione. O per Kaltz di smettere di parlargli o per le mail di Wakabayashi di smettere.
E di sicuro non si era aspettato che queste cose lo ferissero.
Per farla breve: aveva scazzato.
Quindi Karl aveva optato per fare quello che aveva sempre fatto in casi come questo: niente ed aspettare che altri fossero una persona migliore di lui. Solo che questa volta non stava succedendo.
Una settima divenne un mese, al secondo la paura era un serpente che avvolgeva le sue spire nell’intestino di Karl. Aveva provato con Wakabayashi alla fine. Tutte le volte in cui Karl e Kaltz avevano avuto da discutere, Wakabayashi era stato la voce della ragione. Ma se Karl aveva pensato di avere un lavoro facile con il portiere, Karl si era sbagliato.
Aveva accostato Wakabayashi quanto quest’ultimo stava facendo jogging. Il portiere lo aveva ignorato, ma ad essere onesti stava ascoltando la musica e Karl sapeva come Wakabayashi poteva diventare quando faceva esercizio al ritmo di Paul McCartney. Quindi Karl, elegantemente seduto al volante della sua nuova macchina sportiva, suonò il clacson e si mise ad aspettare. Ed aspettare e aspettare… le persone stavano iniziando a guardare: un famoso calciatore in una Ferrari rossa stava tallonando un altrettanto famoso calciatore che correva lungo il marciapiede. Alla quarta o alla quinta strombazzata, Wakabayashi si era finalmente girato. Non stava sorridendo. Per qualche ragione Karl non era pronto a un mondo in cui Genzo Wakabayashi guardasse Karl-Heinz Schneider con fastidio.
- Cosa vuoi Schneider?
E in quel momento Karl capì una cosa con estrema chiarezza: non aveva solo scazzato, aveva TOTALMENTE SCAZZATO. La visione di un futuro in cui Wakabayashi non era più suo amico si fece strada dentro di lui e così gli saltò fuori.
- Dovresti solo accettare l’offerta del Bayern!
Gli occhi di Wakabayashi si erano fatti larghi dalla sorpresa e poi sottili dal sospetto. Karl desiderò che il terreno si spalancasse e lo ingoiasse intero: suo padre gli aveva raccontato in confidenza dell’offerta del Bayern Monaco al portiere. Era un’offerta buona e strategica dati gli attuali burrascosi rapporti tra Wakabayashi ed il coach dell’Amburgo e la necessità del Bayern di rinforzare la propria difesa. Sfortunatamente “mister del Bayern Monaco” si traduceva in “papà di Karl” e nella testa di Wakabayashi l’offerta non veniva dalla squadra, ma direttamente da Schneider.
- Sono fedele alla mia attuale squadra, grazie.
“Vai a fare in culo te e la tua pietà del cazzo, Karl” era il messaggio non tanto velato. Karl sentiva che gli si stava venendo fatto un torto: c’era stata un’incomprensione e stava a lui mettere le cose in chiaro.
- È così confortevole quella panchina? Lo sai cosa fa un calciatore vero? Gioca.
E COME DOVREBBE AIUTARE QUESTO?! Tu sei un idiota Karl-Heinz Schneider, almeno su questo tu e Wakabayashi siete d’accordo.
- Sai, quando mi sono ferito le mani durante la scorsa stagione, la dirigenza dell’Amburgo avrebbe potuto vendermi, ma non lo ha fatto. Una vera squadra rimane al tuo fianco quando le cose si fanno difficili, che razza di persona è una che non è disposta a fare lo stesso?
Che razza di persona davvero.
La risposta morì sulle labbra di Schneider mentre nel silenzio osservava Wakabayashi rimettere la musica ed andarsene. Che razza di persona rimane in una macchina troppo costosa a guardare il suo migliore amico lasciarla per sempre. Perché era per sempre, di questo era certo.
Occorsero a Karl sei settimane per digerire il lutto e accumulare la forza necessaria per riprovare. Questa volta con Kaltz, perché Schneider non sarebbe mai più stato in grado di fronteggiare Wakabayashi nella sua vita.
All’ultimo momento aveva deliberato che mostrarsi senza invito sotto casa di qualcuno sapeva un po’ di stalker (e sarebbe stato imbarazzante se la cosa si fosse risolta in un altro flop), così Karl decise semplicemente di telefonare. E telefonare. E telefonare. Al terzo giorno e al centocinquesimo tentativo, Kaltz rispose.
- Non mostrare più qui il tuo brutto muso.
Karl inspirò, contò fino a dieci, ma l’amico non aveva concluso.
- È sempre stato questo il tuo piano? Rovinargli la reputazione e poi atteggiarti a salvatore della patria?!
No, chiaramente non era stato quello il piano. Il piano si era limitato a “vinciamo questa partita e ridimensioniamo l’ego di Wakabayashi visto che ci siamo”. Karl non aveva pensato così avanti nel tempo, Kaltz si era forse dimenticato con chi aveva a che fare?
- Vaffanculo. No, davvero: VAFFANCULO! E pensare che mi facevi pena… ho sempre pensato che Wakabayashi ti avrebbe spezzato il cuore, non il contrario.
Un secondo, due, poi una risata, un suono doloroso.
- L’avevo quasi dimenticato: non puoi rompere qualcosa che non c’è.
Karl aveva riattaccato.
Il soffitto del suo appartamento era perfettamente bianco. Nella sua vecchia casa c’erano poster dappertutto e sua madre se ne lamentava costantemente. Karl viveva da solo, ora: nessuna sorellina rompiscatole, nessuna madre a ricordargli di mangiare sano, ma un nutrizionista e un padre che quando lo guardava vedeva prima un giocatore che un figlio. Il soffitto era bianco e freddo ed era stato davvero così importante nel grande schema della cose vincere quella fottuta partita? Ridimensionare Wakabayashi?
Ehi, quanti amici aveva in effetti? Amici, non colleghi o ammiratori, solo… amici. Persone che ti dicono “tanti auguri” quando è il tuo compleanno e che lo pensano, persone che chiedono come sta il tuo cane, che ti scrivono solo per passare il tempo o che ti mandano la foto di qualcosa di buffo che hanno visto.
Una volta Karl avrebbe sbuffato e risposto: due di troppo. Non si sentiva in vena di scherzare ora.
Un mese cedette il posto ad un altro e poi a un altro ancora. La nazionale tedesca si stava preparando per le Olimpiadi e Karl aveva sorpreso Kaltz a fissarlo in silenzio. Quando Karl aveva provato a dire qualcosa, l’altro aveva scrollato le spalle e se ne era andato.
Wakabayashi aveva avuto un qualche incidente in Giappone mentre giocava e sulla sua pagina facebook posava con una benda sull’occhio e un sorriso idiota. Karl conosceva quel sorriso: Wakabayashi aveva pianto. Kaltz sapeva cosa era successo? Quei due parlavano ancora? Karl quasi ingoiò il suo orgoglio per chiedere, ma poi si fermò.
Settimane e poi improvvisamente avrebbero dovuto giocare contro il Giappone. Il telefono di Karl vibrò. Era un messaggio di Wakabayashi. Karl inspirò, espirò. Questo messaggio, questo singolo messaggio poteva essere il testo più importante che Karl avesse ricevuto nella sua vita. Karl lo aprì, lo lesse. Poi lo rilesse. Poi si alzò, si fece una doccia e LO RILESSE.
“Yo, domani giochiamo. Scommessa: il perdente manda a Kaltz un video di se stesso mentre balla nudo. No mutande: NUDO. Rispondi ora”.
Karl sbatté le palpebre, una, due, tre volte e poi rispose: “ci sto”.
Poi giocarono.
La partita era stata brutale fin da subito con due squadre pronte a tutto. Quando Karl aveva spedito Wakabayashi per terra, fallito il goal e aiutato l’altro a rialzarsi, stavano entrambi sorridendo. Nonostante la faccia di Wakabayashi fosse sporca di sangue, Karl aveva desiderato che il tempo si fermasse, ma la vita non va in questo modo e la partita era appena iniziata.
Quando Wakabayashi era finito a terra la seconda volta nessuno stava sorridendo. Non Karl, troppo occupato a guardare inebetito i paramedici correre in campo, non Wakabayashi troppo occupato a dissanguarsi nel prato e non Kaltz che gli urlava dietro di smettere di fare la bella statuina e di tornare a giocare che la partita non era finita, accidenti.
Karl era sempre stato bravo a seguire ordini semplici.
Spedì Misugi gambe all’aria. Spinse, dribblò, scartò e tirò con crescente urgenza. Kaltz cadde a terra. C’era del sangue sul prato. Di nuovo. Ozora era accorso, bianco in faccia e mani che tremavano. Un’ambulanza veniva chiamata per la seconda volta. Che razza di partita di calcio vede due giocatori spargere sangue dappertutto. Mica erano soldati!
- Kaltz…- aveva chiamato e Kaltz si era girato a guardarlo. – Kaltz, il mio sogno da quando giochiamo in squadre diverse, il mio sogno… era di tornare a vincere con te, di nuovo.
Giocare con Kaltz, giocare con Wakabayashi, ritornare a tempi più semplici in cui lo sport era bello e il futuro pieno di possibilità.
Kaltz era stato portato via e Karl aveva scatenato l’inferno. O almeno ci aveva provato.
C’è questa cosa da sapere su Tsubasa Ozora: gioca per vincere. E c’è quest’altra cosa da sapere: se gli tocchi Wakabayashi sei un uomo morto. Il piccolo stronzetto aveva avuto il coraggio di guardarlo dritto negli occhi e dire: “il tuo sogno, io lo farò a pezzi”.
E lo aveva fatto.
Quindi Karl era andato a casa, beh, non proprio. Aveva dato le sue interviste, fatto una doccia, parlato col suo padre-allenatore, con la sua squadra e poi era andato nella sua stanza d’hotel. Il soffitto era molto bianco. Karl guardò il cellulare: c’erano una dozzina di messaggi non letti, ma solo uno era importante.
“Hey, perdente, non ho dimenticato. Kaltz, video, nudo, ora”.
E quello fu il modo in cui Karl-Heinz Schneider scoprì che Wakabayashi era fuori dalla sala operatoria e che nessuna dose di antidolorifico o dolore fisico gli avrebbe mai potuto impedirgli di avere la faccia come il culo. Parlando di culi, con un sospiro Karl si apprestò a fare la cosa più degradante della sua intera vita. Che tu sia maledetto Wakabayashi, sapevi perfettamente cosa stavi chiedendo.
Ma non mandò il video immediatamente, aspettò di essere in fronte alla stanza d’ospedale di Wakabayashi e Kaltz. Arrossì, inviò e aspettò. Circa due secondi dopo i due pezzi di merda si erano messi a ridere. Karl premette la fronte contro la porta. Stavano ridendo. I suoi amici. Suoi.
Entrò e improvvisamente faceva parte dello scherzo: si lamentò, tuonò affinché cancellassero il filmato. Altre risate, poi Kaltz lo stava fissando e diceva:
- Hey Karl, sai che questo idiota vuole giocare con la schiena coperta di punti? Digli qualcosa.
Kaltz lo guardava e sorrideva, così Karl si girò verso Wakabayashi.
- Questa mi sembra proprio una cosa da Wakabayashi.
Una cosa molto, molto stupida. E, cazzo, Karl avrebbe voluto mettersi a piangere. La maglietta di Wakabayashi era appesa e coperta di sangue e rotta dove Karl lo aveva ferito. Karl lo aveva ferito. ANCORA. Ma Wakabayashi stava sorridendo e anche Kaltz e stavano dando alla loro amicizia una seconda possibilità.
Perciò Karl-Heinz era felice. Davvero. Non c’era mai stato bisogno di chiedere altro.
Quindi quando Wakabayashi in una maniera un po’ complicata che in qualche modo includeva Tsubasa, lo informò di aver deciso di accettare l’offerta del Bayern Monaco e che a Karl non sarebbe stato più permesso di prenderlo a calci o spedirlo all’ospedale, Karl fu solo in grado di starsene zitto come un baccalà. Aveva una canzone in testa, ma le parole si erano sfocate ed erano irriconoscibili, il motivetto era cambiato. Forse non era cambiato in quello che Karl aveva voluto, ma in quello di cui aveva sempre avuto bisogno.
E, cazzo, Karl era perfettamente consapevole che Genzo Wakabayashi non gli avrebbe mai permesso di leccare ogni centimetro del suo corpo o acconsentito alle sue fantasie più zozze. Ma era interessato a lui. A Karl. Come amico… o forse per Wakabayashi Karl-Heinz Schneider era quella quantità indefinibile. E… una vita senza Wakabayashi: no, non ne valeva la pena.
O una vita senza Kaltz. Anche quella faceva piuttosto schifo.
Karl tornò alla sua stanza d’albergo, il giorno dopo aveva un aereo da prendere. Ora che faceva più attenzione il soffitto non era bianco, ma un color crema sbiadito. Il suo telefono vibrò: un messaggio di Kaltz.
“Tu spezzagli il cuore di nuovo e io ti spezzo le ossa”.
Amen, fratello.

 











Final notes:
Questa fiction è stata originalmente pubblicata su Ao3 in inglese dalla sottoscritta, poi ho deciso di tradurla anche in italiano.
Sono estremamente felice che il trio amburghese sia di nuovo unito anche se onestamente non mi ero aspettata il video di Karl nudo nel manga. Giusto due cose: sono personalmente convinta che Karl-Heinz Schneider sia un totale idiota, è invece un headcanon molto personale che Wakabayashi sia asessuale (non aromantico e con una predizione per gli uomini). Perché? Perché sono asessuale biromantica e, accidenti, Wakabayashi è il mio personaggio preferito da quando avevo sei anni. Ah e Kaltz è fantastico.
Ho realizzato anche un piccolo animatic con moviemaker (che frase da vecchietta) con Karl e Kaltz che litigano, se siete interessati questo è il link
 https://www.youtube.com/watch?v=3aNrx7fT_YM&lc=Ugy2WIiqSoRK3zp5Ai94AaABAg

  
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