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Autore: _Lisbeth_    26/04/2021    2 recensioni
Dal prologo:
"- E anche questa giornata di lavoro è giunta al termine. - la frase della dottoressa Warren fece annuire la giovane tirocinante, che raccolse tutte le sue cose dal divanetto e le sistemò nella borsa.
- A che ora dovrei venire, domani?
- Domani... - Danielle Warren si alzò dalla propria sedia e diede uno sguardo al calendario appeso alla parete, mettendosi in punta di piedi per poter vedere meglio. – Domani non abbiamo pazienti. Però ho una buona notizia da darti: da venerdì potrai tenere tu stessa le sedute."
"Jake prese un sorso dal bicchiere. – Perché sono qui?
- Perché sono il tuo numero di emergenza e ieri sera eri praticamente in coma etilico."
"- Jake. – la ragazza puntò gli occhi in quelli del fratello. – Ti rendi conto che è qualcosa che potrebbe aiutarti?
- No! – si alzò dalla panchina su cui era seduto e sbarrò gli occhi. – Come dovrebbe farmi stare meglio parlare con una persona che non ho mai visto dei cazzi miei? E’ come prostituire i propri neuroni."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jacob Kiszka, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Per la prima volta dopo anni, a Jake venne voglia di prendere qualcuno per mano. E quel qualcuno era Tracy, sotto quella camicia bianca dalle maniche larghe e la lunga gonna color blu scuro. Quei colori le stavano bene, non l’aveva mai vista con dei vestiti leggeri e svolazzanti, nonostante si fosse innamorato di lei in giacca e cravatta.
Si ricordava che, durante le sedute, Tracy era tipica a indossare delle cravatte, abbinate a una camicia quasi sempre bianca, delle giacche spesso a tinta unita fredda e i pantaloni dello stesso colore.
In quel momento sembrava quasi un’altra persona: restava la stessa Tracy dall’aspetto leggermente stressato e dai gesti timidi e gentili, ma forse era il contesto informale a renderla un po’ più leggera.
Quella serata di Luglio non lo aiutava: il profumo di dolciumi di quel bar, le canzoni appena ascoltate durante il concerto che venivano riprodotte anche all’interno.
Si sentiva un bambino innamorato di una sua compagna di classe. E aveva ventisette anni.
- Un vero peccato, per il cannolo.
La voce di Tracy lo risvegliò da quel flusso di pensieri. Jake scrollò le spalle, accennando un sorriso. – Non fa niente, quei biscotti erano buonissimi.
- Tu lo sai che pago io, giusto?
Jake strabuzzò gli occhi, una mano già sul portafoglio. – Non esiste! Ti ho invitata io e ti ho anche fatto scaricare il telefono, è il minimo che debba pagare io.
- Da italiana che ti ha fatto mangiare dei cantucci in una pasticceria italiana...
- Sì, e che significa? – rise il ragazzo. – Allora la prossima volta andiamo a mangiare in una tavola calda straripante di carne e pago io?
Vide Tracy cambiare espressione. La ragazza assottigliò lo sguardo e sorrise. - Questo mi fa supporre che ci vedremo di nuovo?
Il cuore di Jake si esibì in una capriola nel suo petto. Non se n’era nemmeno reso conto, ma quello era effettivamente un invito ad un secondo appuntamento. – Be’… Può darsi. Non so, tu…
- Okay, bene. – vide Tracy alzarsi, borsa in spalla e portafoglio in mano e la osservò avviarsi verso la cassa.
- No, ehi! – le corse dietro, allungando un braccio e senza accorgersene le afferrò il polso libero. La ragazza si voltò immediatamente e il suo sguardo si posò dapprima sul suo, per poi cadere sul proprio polso. Dopo un attimo di smarrimento gli sorrise, e a Jake parve di essere da solo, con lei, in un bar completamente vuoto. Il tempo si era praticamente fermato, come in un film, gli bastava solo un gesto del braccio per tirarla a sé e baciarla.
Si chiese cosa provasse Tracy in quel momento: se il suo cuore stesse battendo forte come il suo, se non vedesse l’ora di sentire le proprie labbra a contatto con le sue. E si chiese che faccia avesse lui stesso in quel momento.
Sentì la ragazza ridere, trascinarlo con sé mentre riprendeva la sua strada per la cassa mentre il tempo ripartiva. – Non puoi fermarmi.
 
 
 
- Mamma! – Karen sentì la voce di suo figlio (indistinguibile, uguale a quella del gemello) piagnucolare, mentre metteva Sam e Ronnie in macchina allacciando la cintura dei due piccoli. Sospirò, esausta. Eppure li aveva lasciati entrare con la nonna nel negozio di giocattoli per scegliere qualcosa di nuovo con cui svagarsi nel pomeriggio!
I due gemelli non avevano mai preso voti molto alti a scuola, e dopo le ripetizioni che prendevano dalla loro babysitter Karen cercava di premiarli con una paghetta, man mano che i voti aumentavano.
Tralasciando l’aspetto fisico, Josh e Jake erano diversi in tutto, anche il modo di spendere i loro soldi era evidentemente opposto: Josh tendeva a spendere tutto subito, non appena riceveva la propria paghetta correva a comprare qualcosa, mentre Jake era solito a risparmiare tutto fino all’ultimo centesimo. Un giorno, con quei soldi, avrebbe comprato una bellissima chitarra.
Quando si voltò li vide uscire dal negozio, due espressioni completamente differenti in viso.
Josh piangeva, le lacrime scendevano copiose sulle sue guance e la punta del suo naso era tinta di rosso, mentre Jake aveva un’espressione entusiasta e faceva girare il suo nuovo Nerf tra le mani.
La nonna era dietro di loro con le braccia lungo i fianchi, rassegnata.
- Oh, Josh, perché piangi? – si avvicinò al bambino, asciugandogli le lacrime lentamente. Josh iniziò a piangere ancora più di prima. – Sono Jake!
Jake? Eppure ne era sicura, li aveva visti uscire con quei vestiti, altrimenti non li avrebbe riconosciuti, ancora così simili e indistinguibili.
- Jake, come… Ma tu non avevi la giacca verde, prima?
- No, Josh me l’ha rubata e ha preso tutte le mie paghette per comprare quella schifezza!
- Joshua!
- Guarda che bello, mamma! Pew, pew! – Josh rivolse il gioco sul pavimento, facendolo poi cadere per sbaglio.
Karen sospirò, con Kelly che guardava la scena dallo specchietto con un sopracciglio inarcato. Non sapeva più come fare con i due instancabili gemelli. Poi si fece venire un’idea. Si chinò davanti a Jake e lo guardò sorridendo, continuando ad asciugargli le lacrime. – Sai come facciamo? Adesso tuo fratello gioca con quella stupidaggine e non avrà più un quartino per due mesi, e io ti prendo una bella chitarra nuova, eh?
Vide le facce dei gemelli cambiare immediatamente. Jake strabuzzò gli occhi e la bocca, con le iridi scure che brillavano e Josh si ammutolì, smettendo di giocare con quella specie di… Arma di distruzione di massa per bambini. Il suo sorriso si appiattì e i suoi occhi si fecero lucidi. – Ma mamma…
- Non mi interessa, Joshua. Anzi, sai cosa? – fece finta di pensarci su. – Continuerò a darti la paghetta solo se vieni qui e chiedi scusa a tuo fratello.
Josh mise il broncio, sospirando pesantemente. – Scusami, mio fratello.
- Ecco, ora ti sequestro anche il giocattolo nuovo.
- No, no, scusa! – Josh si avvicinò a Jake, lasciò cadere il suo Nerf e avvolse le braccia intorno alle spalle del gemello, baciandolo anche sulla guancia. – Scusa, Jake.
Karen sorrise, intenerita da quella scena.
Jake fece una smorfia, spingendo via il fratello. - Che schifo.
 
 
- Non ti perdonerò mai.
- Ah no? – Tracy continuò a tenere quell’espressione soddisfatta in viso.
- No.
La ragazza sorrise, per poi tirare fuori il cellulare dalla tasca e sospirare. – Dio, e ora come faccio a chiamare Maggie?
Jake tirò fuori il proprio telefono, porgendoglielo dopo averlo sbloccato. – Tieni, usa il mio.
La ragazza si voltò verso di lui e prese il cellulare tra le mani, prestandoci molta attenzione. – Grazie, Jake, davvero.
- E di che, mi hai pagato la cena.
Mentre Tracy componeva il numero continuò a sorridere e Jake percepì il tempo fermarsi per la seconda volta. Si riprese solo quando la sentì parlare.
- Maggie, venite a prendermi? Dove siete?
La vide mordicchiarsi le unghie e poi cambiare espressione. – A casa di chi?! - la ragazza alzò gli occhi al cielo e sospirò. – Oh Cristo, non ho le chiavi! Potevi darmele! – Tracy si passò una mano sul viso. – Sì, e secondo te in casa come ci entro? – sembrò rassegnarsi definitivamente. – Sì, okay. Vorrà dire che dormirò per strada, Margareth. – a Jake parve di udire un sonoro “non è colpa mia!” dall’altra parte del telefono. – Vaffanculo. Ciao.
Tracy si voltò e respirò profondamente, restituendogli il telefono.
- Fammi indovinare: non hai le chiavi?
- E nemmeno la macchina, a quanto pare. – era la prima volta che la vedeva innervosita e la trovava buffa. I ricci le si erano rizzati sulla testa, un po’ per l’umidità, un po’ per i nervi.
E Jake non trovò nessun’altra opzione se non quella che gli balenò in mente in quel momento. – Io ho una casa. E una macchina. Puoi dormire da me e farti venire a prendere domani mattina. Giuro che non sono un serial killer e non ti strangolerò nel sonno.
- Quest’accuratezza nei dettagli mi spaventa. - La ragazza abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. – Non ho voglia di arrecare disturbo. Ho visto che eri con i tuoi fratelli.
- Oh, loro non abitano con me. Ora ho un appartamento, un po’ stretto ma pur sempre un appartamento.
- Sei sicuro?
- Certo. – più che sicuro. – Dormirò sul divano.
- E no eh.
- Mi hai pagato i cantucci!
- Ma è casa tua!
- E tu me li hai offerti perché eravamo in una pasticceria italiana.
Tracy sospirò, scuotendo la testa. – Non sei cambiato per niente, Kiszka.
 

 
La casa di Jake era… Uno studio di registrazione, in poche parole.
Un pianoforte bianco al centro del salone e diversi strumenti a corde di ogni tipo, due chitarre acustiche, una Gibson SG fiammeggiante (quella di cui, probabilmente, le aveva parlato anni prima), un sitar, un ukulele e un mandolino. Era sicura ci fosse anche un banjo da qualche parte. Nonostante la grande quantità di strumenti musicali sparsi qua e là e le grandezze ridotte delle stanze, l’appartamento non era per niente disordinato. Un grande tappeto dai motivi orientali era al centro della stanza, i muri erano chiari e decorati con arazzi di lana e fotografie scattate ai concerti a cui aveva assistito negli anni.
Lo sguardo di Tracy si soffermò, in particolare, su una foto diversa dalle altre: in quella foto c’era Jake, seduto su quello che sembrava essere il tavolo di una cucina, con una gamba che penzolava fuori da esso e l’altra sistemata sotto al ginocchio opposto. Aveva lo sguardo basso, posato sulla chitarra acustica – praticamente più grande di lui – che teneva sulla gamba destra. Sulla testa aveva un basco, la foto sembrava essere stata scattata pochi anni prima. Quella foto, quegli strumenti, le suggerirono immediatamente che il ragazzo avesse ripreso a suonare.
- Ti faccio vedere la camera da letto. E’ molto piccola, ma ti assicuro che è confortevole. – Jake le mostrò la strada, e in pochi metri raggiunse la stanza in questione. Anche lì vide l’ennesima chitarra e, come si aspettava, il banjo. Era, effettivamente, piccolina. C’era una piccola scrivania sulla destra, con sopra delle piantine grasse e non, portapenne e un quaderno aperto e scarabocchiato con quelle che sembravano essere delle tablature scritte a mano. Accanto al letto a una piazza c’era un comodino, su cui Jake aveva posato una tazzina di caffè, un libro e una cornice di legno che circondava una fotografia. I soggetti erano quattro giovani adulti, e riconobbe immediatamente Jake e Veronica. I ragazzi sorridevano, Jake a bocca aperta e Veronica, dietro di lui, sembrava stesse per morire dalle risate. In basso a destra un ragazzo dai capelli lunghi, molto simile a Jake, portava degli occhiali da sole e faceva pendere una sigaretta dalla bocca mostrando alla fotocamera un sorriso sornione, mentre accanto a Jake, con un braccio sulla sua spalla, ce n’era un altro dai capelli ricci con la lingua che sporgeva dalle labbra arricciate e gli occhi spalancati. Aveva gli stessi lineamenti di Jake, gli stessi occhi e le stesse labbra. Si assomigliavano tutti, ma l’ultimo era esattamente identico al chitarrista, escludendo i capelli ricci.
Quella foto la fece sorridere.
- L’interruttore della luce è lì, vicino alla finestra e lì sotto c’è una presa, se vuoi attaccare il caricabatteria. – Il ragazzo indicò un punto del muro vicino alla scrivania. – Se sei stanca puoi anche dormire già da ora, ma fammi prima prendere il pigiama.
- Oh, be’… Non ho molto sonno, a dire il vero.
Vide Jake annuire, per poi sorriderle. – Potrei offrirti da bere.
- Sono a posto così. – Tracy scrollò le spalle. Poi si voltò, indicando la chitarra appoggiata in un angolo della stanza. – Piuttosto, sono curiosa di vedere cosa sei capace di fare con quella.
Jake incrociò le braccia al petto, dirigendosi verso la porta. – Allora vieni, andiamo dalla mia preferita.
 
 
Tracy prese un tiro dalla sigaretta e strinse le labbra subito dopo aver soffiato via il fumo. – Davvero?
Vide Piper scrollare le spalle e sospirare, grattandosi la nuca. – Sì. Strano, lo so, ma non sto scherzando.
La giovane psicologa si dedicò un attimo per pensare. Non si era mai chiesta se potesse piacerle Piper, soprattutto perché non era riuscita a togliersi Jake dalla testa nemmeno dopo tutti quei mesi. Non le dava fastidio, però. Erano due adulte, l’avrebbero affrontata senza problemi e lei sarebbe stata subito sincera.
Guardò la ragazza e spense la sigaretta sul marciapiede, tenendo in mano il mozzicone quando non vide cestini nei paraggi. – Sono lusingata, ma…
- Non ti piaccio.
- Tu mi piaci tanto, Piper. Intendo dire che ti ammiro, da te ho imparato molto e mi fai sempre ridere, nonostante a volte tu sia un po’… Esuberante. – lasciò cadere le spalle e sospirò dal naso. – Ma non mi piaci in quel modo.
Piper si passò una mano sugli occhi e annuì. – Sì, lo sapevo. Voglio dire, avevo già capito, ecco. – volse poi lo sguardo verso di lei e si sforzò di sorriderle, nonostante sembrasse, com’era ovvio che fosse, ferita. – Tra noi non cambia niente, vero? Posso continuare a insultarti?
- Preferirei di no, in realtà. – scherzò Tracy. Poi si alzò dal gradino su cui era seduta e le si avvicinò, abbracciandole la testa e strofinandoci sopra un pugno chiuso. – Per me continuerai ad essere la tipa strana che mi ha baciata davanti all’ex di entrambe.
- E’ un complimento?
- Per te non dovrebbe essere un problema se fosse un insulto, no?
Piper riuscì a sorridere un po’ di più, abbracciandola dal basso a sua volta.
 
 
Tracy non sapeva nemmeno cosa osservare. Guardava quella bellissima chitarra rossa, spostava lo sguardo sulle dita rapide e sottili di Jake per poi portarlo sul suo viso concentrato. Non aveva mai avuto alcun dubbio sul fatto che Jake fosse un ragazzo dalle risorse infinite, ma qualcosa in quel momento le fece capire che era ancora più speciale di come si era immaginata.
Vederlo solo durante le sedute non era assolutamente la stessa cosa, perché in quel momento Jake era completamente se stesso, era perso nel suo mondo e stava condividendo con lei il suo amore per esso.
Lei quella canzone non l’aveva mai sentita, le sembrava strano perché avevano dei gusti musicali così simili, ma ciò non stava a significare che non stesse catturando tutta la sua attenzione. Quel talento non lo aveva mai visto in nessun altro.
Era una canzone dai toni tristi, costruita su un’intensa chiave minore e quasi senza parole. Sentiva Jake fischiettare ogni tanto sopra la propria chitarra.
Nonostante non ci fossero altri strumenti ad accompagnarlo, sembrava quasi già completa.
- Gold mines, melting men in the sunshine. – lo sentì sussurrare mentre suonava e sorrise. Non aveva mai sentito la sua voce cantare e quella prima volta la colpì non poco. Il registro alto che stava usando quasi non assomigliava alla voce bassa e roca con cui parlava. – Spoiled wine, tastes so sweet we have gone blind.
Non osò interromperlo nemmeno per un secondo, nonostante avesse tante domande da fargli. Era così immerso in quella canzone che sembrava quasi non essere più lì con lei, ma in quel posto così confortevole che chiamava musica. Rimase in silenzio, senza cantare, per tutti i restanti minuti e durante quello che in un concerto sarebbe stato un assolo Tracy si sentì invadere da una malinconia sconosciuta. Certo, tantissime volte aveva provato sensazioni simili ascoltando un brano, ma sentì quasi quella chitarra piangere. E in quel pianto percepì tutta la forza e il dolore delle lacrime del ragazzo che stava suonando. Continuò ad osservarlo fino a vederlo staccare le dita dalla chitarra. Le vide posarsi sulla manopola per la regolazione del volume sull’amplificatore, girandola verso sinistra. Il silenzio che si creò dopo non mise a disagio nessuno dei due. Restarono zitti per minuti interi, fino al lungo sospiro di Jake. – So che non è perfetta, ma…
- E’ bellissima.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei, distendendo le labbra in un morbido sorriso. – Sì?
- Non l’avevo mai sentita, io… Non riesco nemmeno ad attribuirla a un artista che conosco.
- L’ho scritta io.
Tracy quasi non ci credette: quello era un pezzo complicato, lungo ma ben costruito. A sua volta era una musicista, quindi riuscì a capire quanto dietro quel brano non ci fosse solo un colpo di fortuna nato dall’esperimento di un ragazzino alle prime armi con una chitarra, ma del talento e delle idee che avevano una forma.
- Come l’avete chiamata?
- Be’… - Jake scrollò le spalle, posando la chitarra sul supporto appoggiato alla parete. – Abbiamo iniziato a suonarla anni fa, con Josh. Non era esattamente identica a ora, le parole erano diverse e non le avevamo nemmeno scritte noi. Era una specie di cover, anche se solo dal punto di vista del testo, poi io ho aggiunto qualche modifica all’assolo. L’avevamo chiamata “Black flag exposition”.
- Qual era, quella canzone?
- Si chiama “Lay down” ed è di Melanie Safka. Non so se…
- Oh, sì! Sì, la conosco. “So raise your candles high”.
A Jake brillarono gli occhi e sorrise, indicandola. – Esatto, proprio quella. In Black flag la parte cantata era ancora più breve di ora.
- E ora? Il nome è cambiato?
- Sì. Ora è “The weight of dreams”.
Tracy restò a guardarlo per un attimo e lo vide spostare a sua volta lo sguardo nel suo. Sentì il cuore battere forte. Erano molto vicini, seduti l’uno difronte all’altra sullo stesso piccolo divano. Vide Jake chiudere gli occhi e respirare a fondo. – Non è cambiato nulla.
La ragazza lo guardò confusa. – Cosa?
Vide Jake sporgersi in avanti e non fece nemmeno in tempo a chiedersi cosa stesse facendo, ritrovandosi le sue labbra sulle proprie. Con un sussulto risucchiò l’aria che stava respirando ad occhi spalancati, mentre sentiva le dita di Jake posarsi sul suo cuoio capelluto.
Si sentì invadere il corpo dall’elettricità e dall’adrenalina e non esitò un secondo. Serrò gli occhi e spinse il ragazzo fino a distenderlo con la schiena sul divano, si posizionò sopra di lui posando le mani sulle sue spalle mentre approfondiva il bacio. Quella foga non apparteneva probabilmente a nessuno dei due, ed era nata dopo tutti quegli anni in cui erano stati distanti. Sentì Jake ridere sotto di lei, probabilmente sorpreso dalla sua reazione e lo guardò, preoccupata di aver fatto qualcosa di sbagliato. – Tutto bene? Ti senti a disagio?
Sentì la mano destra di Jake posarsi sulla sua nuca, riportandola su di sé.

 
 
   
 
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