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Autore: Ayumi Zombie    28/08/2009    3 recensioni
Mi chiamo Aeris Gainsborough.
Ho gli occhi verdi, che mi sono sempre piaciuti, e i capelli castani, che ho sempre raccolto in una treccia, con un fiocco rosa in cima.
Ho diciassette anni, ora, e vivo con i miei genitori in un normale appartamento di un condominio, in cui mi sono trasferita da un paio d’anni. Quello di cui sto per parlarvi è un fatto avvenuto un po’ di tempo fa, qui in questa città.
Si tratta del mio primo, e più sfortunato, amore.
Genere: Romantico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ecco un’idea pazzerella che mi è venuta un po’ di tempo fa…
I personaggi principali sono due – forse tre! , e gli altri sono completamente marginali. Servono solo allo scopo. Il fine giustifica i mezzi! Muhahaha!
Qui la canzone.

Io non credo più all’amore

E' una storia che, vive ancora dentro me,
brucia dentro il cuore mio,
un' amore strano, pieno di ambiguità,
frutto di un' acerba età.

Mi chiamo Aeris Gainsborough.
Ho gli occhi verdi, che mi sono sempre piaciuti, e i capelli castani, che ho sempre raccolto in una treccia, con un fiocco rosa in cima.
Ho diciassette anni, ora, e vivo con i miei genitori in un normale appartamento di un condominio, in cui mi sono trasferita da un paio d’anni.
Quello di cui sto per parlarvi è un fatto avvenuto un po’ di tempo fa, qui in questa città.
Si tratta del mio primo, e più sfortunato, amore.

Io lo incontrai, era circa un anno fa,
in quel pub laggiù in città,
vidi gli occhi suoi, e d' incanto mi fermai,
a parlare insieme a lui...

- Dai, Aeris! Non fare la fifona e muoviti!
Guardai Yuffie, mordendomi un labbro.
- E non fare così, che sbavi il lucidalabbra!
D’istinto, portai le dita a sfiorarmi le labbra, gettando uno sguardo allo specchio. No, fortunatamente era ancora ben spalmato. Come avrei fatto, altrimenti, a rimetterlo di nuovo perfettamente? Era stata una tortura, mettere quel maledetto lip gloss senza sbavare troppo o senza risparmiare lucidume.
Sarà stata una delle mie prime uscite con le amiche, soprattutto quelle più grandi. Francamente, ne avrei fatto a meno. Però, grazie alla sua simpatia, Yuffie, la mia migliore amica, era riuscita a conquistare il cuore di ognuna.
- Squall e Rinoa ci aspettanooo! Ti sbrighi o no?
Avevo promesso che sarei andata con loro, anzi, specifico che Yuffie mi aveva fatto promettere di andare con loro. Ma avevo comunque dato la mia parola, no?
Levai un paio di pieghette dal vestito rosa che avevo scelto, non troppo appariscente ma nemmeno troppo banale, e la seguii.
Un bacio rapido a mamma e papà, le chiavi nella borsa e via!, fuggii giù per le scale, cercando di stare dietro a quel piccolo razzo.

- Alla buon’ora! – sorrise Squall.
- Scusateci.. è colpa mia… – mormorai, imbarazzata.
Senza alzare la testa, mi rifugiai nel sedile posteriore dell’enorme macchina, ovviamente dei genitori del ragazzo di Rinoa. Era metallizzata, dalla linea veloce e moderna e, soprattutto, enorme. Sembrava un furgoncino, più che una semplice auto per ricconi, e ovviamente veniva utilizzata sempre quella, per gli spostamenti della “compa”. In cui, fra l’altro, stavo entrando a mio malgrado.
Eppure erano i più popolari, i più giusti, i più in della scuola. Perché, allora, tra loro mi sentivo a disagio? Addirittura, loro cercavano di farmi sentire accettata in molti modi, ad esempio invitandomi a uscite.
Ma io mi sentivo fuori posto comunque.
- Ciao.
Una voce calda e accogliente, femminile, di fianco a me. Mi voltai di scatto, colta di sorpresa.
Una ragazza alta, che mi sembrava bellissima anche nella penombra della macchina, con un petto formoso e una maglietta bianca che copriva, così per modo di dire.
Eppure non mi sembrava una di quelle che si atteggiano, non mi pareva una “di quelle”, come si dice in gergo.
Voglio diventare come te, pensai, senza nemmeno sapere chi fosse quella ragazza.
- Sei tu la cricetina sperduta di cui si parla tanto? – mi schernì gentilmente, porgendomi la mano. – Io sono Tifa Lockheart. Sono del quinto, piacere.
Era… era quella Tifa Lockheart? Quella che una povera ragazza di terza non può fare altro che sognare di essere al suo posto? Quella bellissima? Quella che era ancora prima dei maschi in tutte le discipline sportive?
E io, semplicemente, la avevo di fianco. E mi aveva salutata.
- I… io so… sono Aer… Aeris… – sorrisi tremolante, stringendo debolmente la mano. La sua presa, invece, era forte e salda. Si avevano due possibilità, stringendole la mano: a. sentirsi a casa, al sicuro e decidere di non mollarla più, correndo insieme felici verso il tramonto e godendo appieno del profumo della giovinezza; b. avere il sacrosanto terrore che stringa un po’ di più e ti scaraventi fuori dal finestrino, dopo aver ridotto le tue ossicine della mano in cenere e facendo ciao ciao con la mano di ferro. Ed io avevo la seconda impressione, purtroppo.
Sulle sue labbra perfette, bene in risalto nonostante non indossasse un filo di lucidalabbra (non un filo di trucco, mi pareva di vedere) era eternamente presente un sorrisetto di superiorità. In effetti aveva ogni ragione di sorridermi in quel modo. Lei era superiore.
Soprattutto di taglia di reggiseno.

C’era il caos, lì dentro.
Non era una discoteca, il Seventh Heaven, ma i fumo, le luci, il buio, le voci, la gente…
Ad un tavolo enorme era seduta tutta la compagnia, tranne Tifa, che lavorava lì e otteneva un po’ di sconto per tutti, e quando mi sentii afferrare saldamente per un braccio, per un pelo non mi presi un infarto.
Invece no, era lei.
Yuffie era svanita nel nulla, si era rifugiata da qualche parte con qualcuno. Dio, quanto avevo paura che sarebbe diventata una di quelle…
Come al solito, ero troppo presa dai miei castelli in aria per accorgermi di essere su uno sgabellino da bar. Un po’ scossa alzai la testa, e mi accorsi che la ragazza più popolare della scuola era di fronte a me, a lucidare un bicchiere, oltre il bancone.
- Stavano per investirti, quella mandria di bisonti…
Qualcuno si sedette di fianco a me.
- Una hHeineken maxi con ghiaccio.
Mi voltai.
E scoprii che il principe azzurro esiste davvero.
Un ragazzo biondo, dalla pettinatura spinosa, appuntita e chiarissima. Occhi blu elettrico, che sembravano brillare nelle luci intermittenti del locale. Carnagione chiara, candida, incredibile.
Un botto secco interruppe la mia contemplazione, lei aveva appoggiato l’ordinazione del principe sul tavolo da bar, ed ora era accanto a me che sciacquava uno shaker. Mi sfuggì un piccolo gemito per la sorpresa, e lui voltò gli occhi verso di me. Si, proprio verso di me.
Quei magneti elettrici mi stavano fissando!
- Giù dalle nuvole, cricetina! – ridacchiò Tifa, dandomi una leggera gomitata.Il principe azzurro stava guardando nella mia direzione, e Tifa Lockheart si stava comportando come un’amica! Doveva essere il più bel giorno della mia vita.
Lui bevve un lungo sorso dalla sua birra, senza staccare gli occhi da me. Ma stava guardando me? Dio, si che stava guardando me!
- Cloud. – mormorò a bassa voce, ma lo sentii perfettamente. – Cloud Strife.

Poi lo frequentai, e pian piano lo chiamai,
quindi me ne innamorai,
fu la prima volta, e mi accorsi che così,
stavo bene più che mai.

– … e così ti ha dato il numero?
Annuii. Era la terza volta che glielo raccontavo, ma Yuffie stentava ancora a crederci.
- E ha vent’anni.
- Ventuno –, specificai. Ogni specificazione riguardo Cloud Strife, fosse anche la marca e il colore dei suoi calzini, era priorità assoluta.
- Ma di cosa avete messaggiato? – domandò, curiosa. Mescolò un po’ il suo Strowberry Sundae, mischiando i rimasugli di panna a quelle di gelato alla fragola, cercando di creare la miscela perfetta. A volte ci riusciva, a volte no.
- Niente, ci siamo un po’ presentati… Poi gli ho dato il numero di Tifa e qualcuno della compa, ho detto in che scuola andiamo… le solite cose, insomma… – mi strinsi nelle spalle, intingendo il cucchiaino nella crema di nocciola. Poi lo portai alla bocca con calma.
- Ma a te piace davvero Cloud. Usciresti con lui, se te lo chiedesse. - non era una domanda.
A questo punto, la mia lingua si accorse che il gelato era decisamente troppo freddo. Per questo la mia bocca diede for fait e cercò di uccidermi, provando con discreto successo a strozzarmi.
Yuffie ridacchiò, alzandosi, ed esclamando che lo avrebbe preso come un sì.
Io rimasi rossa, imbarazzata, tossicchiante e con un conto di due coppe gelato da tavolo da pagare.

Capii di essermi davvero innamorata di Cloud quando mi sorpresi a scrivere il nome tra dei cuoricini colorati. Ma il rosso dell’amore e il blu intenso dei suoi occhi erano i due colori che preferivo. Anche se non azzeccavo mai le tonalità giuste.
Ad ogni suo messaggio letteralmente sobbalzavo, ogni sua lettera digitata sullo schermino, che fossero solo un “ok” o “con chi esci stase?”, erano comunque meglio delle poesie d’amore di tutti i poeti più bravi sulla terra messi insieme.

Uscii persino un più volte con lui.
No, beh, non esageriamo, non uscii proprio “con lui”. Uscii con la compa e con lui.
Però lui parlava sempre con me. Di ogni argomento, anche se sembrava freddo, era sempre sincero e coerente. Eppure era distaccato, con me.
Yuffie mi disse con un sorrise che, forse, era perché era timido. Forse era perché non capiva bene i suoi sentimenti, lui stesso.
E così, ci ritrovavamo a chiacchierare, al bancone del Seventh Heaven, con Tifa che mi dava una mano, intervenendo in caso S.O.S. da panico di chiacchiere con la creatura più perfetta sulla faccia della Terra. Le frecciatine, le battutine e le rispostine a effetto lo zittivano, quasi, ma poi scuoteva la testa sorridendo leggermente (gli unici istanti in cui lo vedevo sorridere, e che per me erano come istanti indimenticabili che cercavo di imprimere nella mia mente) e riprendeva a chiacchierare con me. E tra una chiacchiera e l’altra, ero sempre più innamorata di lui.

Era il mio amore, l' unico pensiero mio,
tutta la mia vita in lui,
non immaginavo, che le cose belle,
sono destinate a finire...

Poi arrivò quel giorno.
Mi aveva dato appuntamento al Seventh Heaven, ma eravamo solo io e lui, quella volta. non c’era nemmeno Tifa, visto che lei era di turno solo alla sera.
- Ehi.
Come al solito mi spaventò, cogliendomi alle spalle. Ero seduta al solito posto, sul secondo sgabellino, accanto al bancone.
- Andiamo a sederci ai tavoli? – con un cenno indicò la parte adibita a quello scopo, più in là nel locale.
Scegliemmo un tavolino quadrato, per due, l’uno di fronte all’altra.
- Sai… forse è meglio ordinare. – propose gentilmente, ma senza sorridere.
Mentre leggevo il menù, mentalmente, e mi imponevo di non avvertire il silenzio, che sembrava così imbarazzante, formatosi tra noi, mi misi a pensare al possibile motivo di quella strana proposta. Però, se non altro, quell’appuntamento così, un pomeriggio qualunque, seduti ad un tavolino di un bar, mi faceva apparire il tutto molto romantico.
Persino la musichetta di Cascada, Bad Boy, in sottofondo mi pareva incredibilmente adatta. Cloud non era, in fondo, uno di quei ragazzi tenebrosi e misteriosi? Non era forse il mio Bad Boy?
- Io prendo la solita Heineken. – disse, in tono neutro, appoggiando il menù che aveva soppesato qualche istante, senza nemmeno aprirlo.
- Io… credo… – mormorai, scorrendo i nomi delle coppe dei gelati.
- Pago io, tranquilla. – aggiunse, sempre senza espressione. Ma ormai non ci facevo più caso… era timido, no?
- No! Non… non è quello il problema… – mi giustificai, imbarazzata. – Ecco… ecco, credo prenderò una Coppa Crema di nocciole…
Lui fece di sì con la testa, e parlò a una giovane cameriera, bionda e dagli occhi azzurri, vestita in rosa attillato, fonte di distrazione per un ragazzo cicciotto poco lontano da noi, che cercava invano di mangiare due cucchiaiate di gelato al miele di seguito senza guardarla.
Fino a quando non arrivarono le ordinazioni, parlammo di cose senza senso, del più e del meno. Come andava a scuola, cosa succedeva a casa, se sì o se no, e via andare.
- Sai… – cominciò, al terzo o quarto lungo sorso del suo bicchiere. Io ero quasi alla fine della mia coppa. – Non credevo che avrei conosciuto una persona così.
Io sbattei gli occhi più volte, senza comprendere e lasciando scivolare il cucchiaino nel bicchiere.
- Intendo, – cominciò a spiegarsi meglio – quando ti ho parlato quella volta, ti ricordi? – oh, certo che me lo ricordo! E’ stato il giorno più bello della mia vita!, pensai. – ecco…
Si morse un labbro, sembrava non sapesse che parole usare. – non credevo che dietro di te si nascondesse una ragazza così.
Questo mi pietrificò. Mi stava… facendo un complimento?
- Una ragazza così bella, così solare e… e bella… si, so di averlo già detto, – Dio! Quanto è carino quando è impacciato!, mi scappò in mente, guardandolo. – …ma è l’unico aggettivo che mi viene in mente per descrivere questa persona… Dicono che la perfezione non esiste, ma forse non hanno mai visto il colore dei suoi occhi… – mormorò infine.
Si, guardandomi negli occhi.
Beh, mi aveva sempre guardato negli occhi (e mi aveva sempre messo non poco in imbarazzo, a causa del suo sguardo glaciale e tenebroso), ma ora sembrava essersi sciolto qualcosa…
- Grazie di tutto, Aeris. – sorrise, quasi. ma forse lo fece, con solo un accenno. – Grazie, perché credo di essermi innamorato… per merito tuo.
Si alzò, si diresse alla casa e pagò, lasciandomi lì come un’ebete.
Abbassai lo sguardo.
Il ghiaccio del suo grande bicchiere si era praticamente sciolto del tutto.

Era venerdì, alle sette o giù di li,
quando in centro lo incontrai,
mano nella mano, io lo vidi e c'era lei,
un' altra donna insieme a lui.

Dovevo comprargli qualcosa.
Quel pomeriggio, qualche ora dopo l’appuntamento, decisi di andare a comprargli qualcosa.
Anzi, avevo già in mente cosa: un ciondolo a forma di lupo, attaccato ad un legaccio nero, che avevo visto con Yuffie al centro commerciale.
Ovviamente a lei non avevo detto che l’avevo subito associato a Cloud. Non poteva più sentirne parlare. In effetti, facevo una allusione a lui ogni circa quindici secondi netti, quindi la capivo.
Avanzai verso la gioielleria, a passo svelto, ed infilando una mano nella borsetta bianca per controllare se avevo con me il portafoglio. Sì, presente all’appello.
Mi fermai davanti al negozio lussuoso, subito visibile tra i mille altri a causa delle sue vetrine luccicanti e della sua insegna luminosa, con i caratteri eleganti e belli. Mi aveva sempre affascinato, fin da piccola. Mi incantavo davanti alle vetrine, attirata dalla luce, dall’argento e dall’oro che, logicamente, non potevamo permetterci. La mamma mi tirava per il braccio, verso il supermercato, ma io obbedivo sempre a malavoglia.
Lì di fronte aprii il borsellino rosa pallido. Dentro troneggiavano tutti i miei risparmi, un sacco di guil ricavati da parenti, compleanni, feste e promozioni, che avevo sempre tenuto da parte per un’occasione speciale.
Beh, era arrivata!

Entrai nel negozio, dirigendomi a passi stentati verso il banco.
- Posso esserle utile, signorina? – un uomo, magro e pallido, con i capelli rossi legati in una coda sottile, mi accolse.
Io annuii leggermente, sorpresa da quella persona. Non avrei mai immaginato di trovarlo al bancone di una gioielleria, al massimo in qualche casinò, con quello smoking slacciato e i tatuaggini rossi sotto i giovanissimi occhi azzurro chiaro.
- Mh, mi faccia pensare… – finse di riflettere, squadrandomi da capo a piedi. Mi sentii leggermente imbarazzata, ma cercai di non darlo a vedere. – Un regalo per il tuo ragazzo?
Io sobbalzai. Il… mio ragazzo? Non l’avevo mai messa su questo piano, nonostante fossi stata tentata molte volte. Ma ora che quello strano personaggio me lo poneva di fronte, pensai che…
- Si. Per il mio ragazzo.
- Hai già scelto qualcosa? – si avviò verso la vetrina, ed io lo seguii.
- Si, – mormorai, – il ciondolo d’argento, a forma di lupo…
Lui non ribatté, né aggiunse nulla, e tirò fuori un mazzetto di chiavi. Prese il regalo, lo portò alla cassa (che era antica e sembrava d’argento, oro e ottone, come quelle che si vedono nei vecchi film) e lo impacchettò in poche precise mosse.
- Sono duecento Guil, – sorrise.
Tirai fuori il denaro senza pensarci due volte, pagai ed uscii.
- Have a nice day! – esclamò, scommetto con lo stesso sorriso di prima sulle labbra chiare.
Aveva un buon accento, ma si sentiva comunque che era giapponese.

Sorrisi, pensando a Cloud. Cercai di immaginare che reazione avrebbe avuto. Magari sarei riuscita a vedere qualche emozione, su quel viso chiaro, oltre alla leggera spruzzatina di efelidi sul naso.
Mi sembrava di vederlo dappertutto: sui manichini, nelle vetrine, nel riflesso di un vetro…
No, aspettate un secondo. Quello era Cloud.
Mano nella mano con Tifa.
Con Tifa.
Mano nella mano con Tifa.

Si stavano sorridendo, l’un l’altra, si stavano sorridendo, l’un l’altra, stringendo le mani e stando vicini e teneri come due innamorati.
Perché loro erano due innamorati.
E d’improvviso mi fu tutto più chiaro.

Lacrime nel cuor, è profondo il mio dolor,
non m' importa più di niente,
io non so perché, ma da quando lo lasciai,
io non credo più all' amore...

Un botto secco interruppe la mia contemplazione, lei aveva appoggiato l’ordinazione del principe sul tavolo da bar, ed ora era accanto a me che sciacquava uno shaker. Mi sfuggì un piccolo gemito per la sorpresa, e lui voltò gli occhi verso di me. Si, proprio verso di me.

Non era verso di me. Era verso chi era di fianco a me.

- Niente, ci siamo un po’ presentati… Poi gli ho dato il numero di Tifa e qualcuno della compa, ho detto in che scuola andiamo… le solite cose, insomma… – mi strinsi nelle spalle, intingendo il cucchiaino nella crema di nocciola. Poi lo portai alla bocca con calma.

Ha chiesto il mio numero per avere quello di Tifa.

Ad ogni suo messaggio letteralmente sobbalzavo, ogni sua lettera digitata sullo schermino, che fossero solo un “ok” o “con chi esci stase?”, erano meglio delle poesie d’amore di tutti i poeti sulla terra messi insieme.

Non voleva sapere con chi uscivo per informarsi di me. Voleva saperlo per gli spostamenti di Tifa.

Però lui parlava sempre con me. Di ogni argomento, anche se sembrava freddo, era sempre sincero e coerente. Eppure era distaccato, con me.
Yuffie mi disse con un sorrise che, forse, era perché era timido. Forse era perché non capiva bene i suoi sentimenti, lui stesso.

No, era più semplice: era perché non mi amava affatto.


E così, ci ritrovavamo a chiacchierare, al bancone del Seventh Heaven, con Tifa che mi dava una mano, intervenendo in caso S.O.S. da panico di chiacchiere con la creatura più perfetta sulla faccia della Terra. Le frecciatine, le battutine e le rispostine a effetto lo zittivano, quasi, ma poi scuoteva la testa sorridendo leggermente (gli unici istanti in cui lo vedevo sorridere, e che per me erano come istanti indimenticabili che cercavo di imprimere nella mia mente) e riprendeva a chiacchierare con me.

Non erano battutine per risollevarmi. Era un flirt. E lui sorrideva a Tifa. Solo a Tifa.

E quel giorno parlava di Tifa.

" non credevo che dietro di te si nascondesse una ragazza così. "

Con “dietro di me” intendeva il senso fisico del termine. Dietro di me, quella sera, c’era Tifa.

Beh, mi aveva sempre guardato negli occhi (e mi aveva sempre messo non poco in imbarazzo, a causa del suo sguardo glaciale e tenebroso), ma ora sembrava essersi sciolto qualcosa…

Guardava negli occhi me pensando a Tifa. Si era sciolto pensando a Tifa.

" Grazie di tutto, Aeris. – sorrise quasi. – Grazie, perché credo di essermi innamorato… per merito tuo."

Si era innamorato, sì. Ma di Tifa.

Mi scivolò a terra il pacchetto, ma non mi importò.
Mi sedetti su una panca, proprio dietro di me, il volto tra le mani.

Dolce signorina, non farti più del male,
l' amore non è bello, quando ti fa soffrire,
su apriti alla vita, respira l' emozioni,
chi non ama, non merita attenzioni.
Cancella quel passato, che è pieno di tristezza,
la vita sempre vita, non tollera amarezza,
per questo sempre importa, e sempre poi si dice,
se chiudi quella porta, un portone si aprirà...

- Ehi, perchè piangi? – un’ombra si sedette di fianco a me.
- Io non credo più all’amore…
- Ma dai, non fare la tragica! Come Ti chiami?
- Aeris…
- Piacere, – disse, tendendomi un fazzoletto di cara e appoggiandomi una mano sulla spalla. – io sono Zack. Zack Fair.

E' una storia che, vive ancora dentro me,
brucia dentro il cuore mio,
un' amore strano, pieno di ambiguità,
frutto di un' acerba età...

 

 

 

No, non sono poi così stronza.
D’accordo che detesto leggermente Aeris, ma non posso lasciarla lì così.
Voglio sapere che cosa mi è venuto… un commentuccio!

   
 
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