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Autore: Shadow writer    30/04/2021    3 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La cena

 

Le cene eleganti erano terribilmente noiose. Mila credeva che con l’età sarebbe riuscita a trovarle più piacevoli, ma più cresceva e più abbandonava quella convinzione. Erano una noia mortale, indipendentemente dall’età, soprattutto quelle ospitate nel giardino di casa sua. Un grande padiglione veniva allestito nel parco sul retro della casa e l’interno veniva illuminato a giorno da centinaia di lampadine. 

Trattenne a stento l’impulso di sbadigliare davanti a tutti, mentre i membri del catering si affaccendavano intorno a loro, silenziosi ed efficienti. Dopo aver mangiato la portata principale e conversato con persone di cui non ricordava né il volto né il nome, decise che aveva bisogno di una pausa. Si assicurò che nessuno la stesse guardando e si diresse verso la casa, vuota e silenziosa al contrario del giardino.  

Salì le scale ascoltando l'unico rumore delle sue scarpe contro i gradini e si diresse verso la sua camera. Aveva lasciato sul comodino quel romanzo che aveva comprato due giorni prima e non vedeva l’ora di poter tornare a leggerlo.

La casa era avvolta dalla penombra, quadrati di luce erano disegnati sulle pareti scure attraverso le finestre. Spinse la porta della camera e solo quando l’ebbe richiusa alle sue spalle, notò una figura davanti alla porta finestra.

Sentì il suo urlo risuonare per le stanze deserte ancora prima di realizzare di aver aperto bocca.. 

Schiacciò violentemente l'interruttore e, davanti a lei, la lampadina illuminò Nate. Il ragazzo indietreggiò, cercando di ripararsi dal chiarore improvviso. Emanava un pungente odore di alcol, ma la cosa non la sorprese. Si sentì avvampare in volto, pronta a gridare contro di lui, dato che, oltre ad essersi ancora intrufolato in camera sua, le aveva fatto prendere un infarto.

«Mila, tutto bene?»

Non era stato Nate a parlare. Era stato suo padre, alle sue spalle. Era entrato dalla porta e in quel momento stava spostando lo sguardo da lei verso l'intruso.

«Cosa sta succedendo?» domandò, con un'inflessione severa e preoccupata nella voce.

Nessuno parlò, Nate barcollò indietro, instabile.

«Chi è questa persona che si è introdotta in camera tua?» suo padre gridò come Mila lo aveva visto fare con i suoi dipendenti o con il cuoco quando dimenticava di togliere il prezzemolo. 

«I-Io non lo so» farfugliò Mila, frastornata dalla sua voce troppo alta.

Vide un guizzo sul volto di Nate. Era diventato di ghiaccio.

«Chi cazzo sei?» sbottò suo padre, livido in volto.

«Pensavo che a sua figlia avrebbe fatto piacere vedermi» rispose Nate con decisione, pur biascicando leggermente le parole.

L'uomo lo puntò con l’indice. «Tu mia figlia non la tocchi neanche con un dito!»

Il volto dell'altro si aprì in un ghigno e Mila sentì che le sue parole avrebbero solo portato guai. «Sua figlia si è fatta toccare con più che un dito da me»

Suo padre si lanciò in avanti e schiaffeggiò Nate con una tale forza che Mila sentì il dolore come se avesse colpito lei.

Il ragazzo non reagì. Spostò il capo e lo guardò fisso negli occhi.

«Lei, sua moglie, la vostra vita, mi fanno schifo» gli disse, ogni parola intrisa di veleno «E avete reso vostra figlia un prodotto del vostro piccolo mondo marcio»

Mila sentì il secondo schiaffo ancora prima che arrivasse. Nate ridacchiò, forse troppo ubriaco per provare dolore. Le gambe paralizzate della ragazza ripresero vita e la lanciarono tra Nate e suo padre, facendola spingere il primo fuori dalla porta finestra.

«Non dirmi che non mi vuoi più vedere» sibilò lui, con l'alito che sapeva di alcol, «perché mi ruberesti le parole di bocca».

Scavalcò il davanzale e si calò dall'albero prima che lei potesse fermarlo, così non le rimase altro  da fare se non guardarlo andare via con gli occhi pieni di lacrime.

«Dobbiamo parlare signorina». 

Suo padre l’attendeva nella camera, con le braccia incrociate al petto e un'espressione inflessibile.

«Io… te l'ho detto» mormorò lei. «Non l'ho mai visto prima»

Lui corrugò la fronte, ma l'idea che la sua preziosa, perfetta figlia potesse conoscere un individuo come Nate gli apparve così ripugnante da accettare la sua pessima bugia.

«Stai bene?» domandò, più gentilmente.

Lei, ricacciando indietro le lacrime. Si diede della stupida.

«Torniamo alla cena, ti va?»

La ragazza annuì ancora e si lasciò scortare da lui verso il giardino.

 

 

 

L’appartamento che i signori Barnes avevano affittato si trovava nell’attico di un vecchio palazzo del centro che era stato rimodernato di recente. La sala da pranzo godeva di un’ampia vetrata che si affacciava su una terrazza vasta e da qui si scorgeva l’intera città. Dal momento che la cena non era ancora iniziata, alcuni se ne stavano all’aperto a fumare, oppure chiacchieravano all’interno con un bicchiere di vino bianco tra le mani e assaggiando le tartine che un paio di camerieri distribuivano al loro passaggio. I padroni di casa erano circondati da un cospicuo gruppetto che continuamente si disperdeva e infoltiva senza mai scomparire del tutto. 

Amelia Barnes era una donna alta, con i capelli acconciati in onde scure che le cadevano sulle spalle. L’abito aderente che indossava lasciava intuire la sua smagliante forma fisica nonostante avesse superato la cinquantina. Anche suo marito, Philip, non era privo di fascino e coinvolgeva il campanello di persone intorno a lui con la sua abilità oratoria.

Nate se ne stava in un angolo in disparte, passandosi il bicchiere di analcolico da una mano all’altra.

Al suo fianco, Alison, resa elegante dall’abito color pesca che si era cucita, pareva ancora più a disagio di lui.

Quando James gli aveva detto di non presentarsi da solo, Nate aveva pensato fosse da pazzi portare la ragazza con cui usciva dai genitori della sua ex. Poi aveva ripensato alle parole di Mike: Mila era andata avanti con la sua vita e così doveva fare anche lui. E Alison era quella che poteva aiutarlo.

Si voltò verso la ragazza e le rivolse uno sguardo riconoscente. «Se tu non fossi qui con me, me ne sarei già andato».

La ragazza sorrise e scosse il capo, facendo ondeggiare la coda di capelli biondi. «Non dire sciocchezze. Pensa al tuo futuro».

In quel momento, Mila e James entrarono nella sala da una stanza adiacente. Lei e Nate si scambiarono un’occhiata, prima che la ragazza si voltasse a salutare qualche ospite. Si erano salutati appena arrivati e poi si erano ignorati. Come per un tacito patto avevano capito che fingersi estranei avrebbe agevolato la serata a entrambi.

La signora Barnes presa la parola picchiettando con l’anello sul suo calice e invitò tutti a sedersi a tavola. I posti erano già stabiliti e Nate si trovò accanto a Mila, mentre Alison di fronte a lui era affiancata da James. Al capotavola tra Mila e James stava il padrone di casa.

Le prime portate vennero servite e ogni discorso riguardante lavoro o affari fu bandito da tavola.

«Il sabato sera non è stato creato per questo» commentò la signora Barnes, suscitando un mormorio  compiaciuto tra suoi ospiti.

Nate mangiava quasi trattenendo il fiato. Mila era così vicina a lui che gli risultava impossibile non sfiorarla di tanto in tanto. Concentrò lo sguardo su Alison, di fronte a lui. Con i capelli raccolti e quel trucco delicato sul volto, non pareva neanche la ragazza che lavorava dietro al balcone del Venus, ma si mimetizzava perfettamente nell’ambiente.

Philip Barnes si mise a raccontare di una qualche avventura negli Emirati Arabi e la sua retorica esuberante attirò la situazione dei convitati. 

Nate si estraniò dalla conversazione, perdendosi dei suoi pensieri. La prima volta che aveva visto Philip Barnes era stato per sistemare una delle sue moto. Conosceva Mila già da tempo, ma aveva dovuto fingere il contrario quando l’aveva incontrata in casa sua. I loro incontri notturni e clandestini non erano del tipo che suo padre avrebbe approvato.

«Che cazzo di situazione» mormorò a bassa voce, quando non riuscì più a trattenersi.

«Ringrazia che non ti abbia riconosciuto» sussurrò Mila, fingendosi intenta a tagliare la bistecca. 

«Ti immagini?» continuò lui. «Philip Barnes che perde le staffe durante una cena tra amici e mi riempie di botte».

«Non è divertente»

«Un po’ lo è».

Mila si voltò impercettibilmente verso di lui e non riuscì a trattenere un sorriso, che presto si trasformò in una risata soffocata. Anche Nate ridacchiò, poi alzò gli occhi per assicurarsi che tutti stessero ancora seguendo il discorso magniloquente del padrone di casa. Incrociò lo sguardo indagatore di Alison, che rimase fisso di lui quanto bastava perché il sorriso si spegnesse sul volto del ragazzo.

«Nathaniel» Philip aveva rivolto la sua attenzione verso l’ospite sconosciuto e improvvisamente gli occhi di tutti furono su di lui.

«Mila ha detto che ti conosceva al liceo, ma non ha raccontato nient’altro. Ti dispiacerebbe colmare il vuoto?» il tono dell’uomo era pacato e amichevole, ma i suoi occhi avevano un che di inquisitorio.

«No, signore, ma l’avverto che non c’è molto da sapere» rispose lui.

«Puoi cominciare dal dirmi chi sono i tuoi genitori» lo esortò l’uomo.

Nate deglutì e fece un cenno di assenso. «Certo. Mio padre… era un poliziotto. È stato ucciso durante il servizio». Fece una piccola pausa, temendo di aver parlato troppo. 

Philip Barnes, invece, lo stava guardando con interesse. «La criminalità in questo paese sta raggiungendo livelli preoccupanti.»

«No, signore. A dire la verità, furono dei colleghi corrotti che aveva minacciato di denunciare».

Nate strinse i pugni sotto al tavolo per frenare l’improvviso tremore. Non parlava di suo padre da tanto, tanto tempo. E ogni volta che lo faceva, gli ritornavano alla memoria i brutti ricordi di quel periodo. Il dolore, la rabbia, il senso di smarrimento e di ingiustizia.

Prese un respiro profondo e sentì qualcosa sfiorargli una mano. Quasi sobbalzò, prima di rendersi conto che si trattava di Mila. La ragazza guardava davanti a sé, ignorandolo, ma la sua mano costrinse il pugno a sciogliersi e intrecciò le dita alle sue. Nate rispose stringendola a sua volta e riprese a parlare. Nessuno sembrava essersi accorto di nulla.

«Mia madre lavorava come segretaria in una scuola pubblica. Quando le hanno diagnosticato il cancro ha continuato a lavorare, ma presto gli effetti della chemio sono diventati troppo pesanti ed è rimasta a casa. Non ha più trovato un altro lavoro fisso da allora».

I convitati si scambiarono uno sguardo misto di compassione e pietà che fece ribollire il sangue a Nate. Odiava essere compatito, odiava essere considerato una vittima e odiava il fatto che quello fosse lo scopo della cena. Generare abbastanza pietà da spingere i signori Barnes ad appoggiare la sua causa.

«Scusatemi» disse alzandosi in piedi e muovendosi in direzione del bagno.

Quando lo ebbe raggiunto, si chiuse la porta scorrevole alle spalle e si guardò allo specchio, cercando di riacquistare l’autocontrollo perduto. 

Le guance erano chiazzate di rosso e gli occhi erano velati da una rabbia pericolosa. Sciacquò il viso con dell’acqua e poi lo tamponò con una salvietta soffice. Quando tornò a guardare il suo riflesso, pareva più rilassato. Prese un respiro profondo e si decise a tornare a tavola.

 

Il resto della cena proseguì tranquillo. Nate rispose educatamente a tutte le domande che gli vennero poste e lo stesso fece Alison, con grazia e disinvoltura. Quando venne l’ora di andarsene, salutarono tutti e decisero di scendere ad aspettare il taxi in strada. James si offrì di accompagnarli.

«Credo che la cena sia andata bene» gli disse l’uomo mentre attraversavano l’atrio del palazzo. Raggiunsero il marciapiede ben illuminato

«Ti terrò aggiornato non appena i signori Barnes mi faranno sapere qualcosa».

Nate lo ringraziò e, con l’arrivo del taxi, lo dovette salutare. Aprì la portiera per Alison e diede all’autista il proprio indirizzo di casa. Mentre il palazzo dove alloggiavano i Barnes si allontanava fuori dal finestrino, Nate si voltò a guardare la ragazza al suo fianco. Alison teneva le mani abbandonate in grembo e il capo appoggiato al poggiatesta.

«Ti è piaciuta la cena?» le domandò.

La ragazza si voltò verso di lui. Alcune ciocche sottili erano sfuggite dalla sua acconciatura e le circondavano il viso chiaro. 

«Non ricordo l’ultima volta che ho mangiato così bene» gli rispose.

Nate sorrise. Fece per tornare a guardare la strada fuori dal taxi, ma Alison continuò: «Quando ho conosciuto Jay, mi ha detto che sei esperto a complicarti la vita da solo».

Lui ridacchiò. «Ah sì?»

Lei annuì. «E che ti sei innamorato di una ragazza che non avresti mai potuto avere».

Il sorriso si spense sul volto di Nate. Gli occhi scuri di Alison lo stavano scandagliando come se potessero guardarlo dentro.

Attese che la ragazza proseguisse la conservazione con il fiato sospeso.

«Era lei?» 

La domanda di Alison rimase sospesa qualche secondo nel silenzio dell’abitacolo, prima che lei aggiungesse: «Era Mila?»

Nate sospirò e si passò una mano tra i capelli. «Cosa te lo fa pensare?»

Alison roteò gli occhi, sbuffando. «Il fatto che hai chiamato la tua gatta come lei?»

Lui si maledì mentalmente. «Touché»

«Sei ancora innamorato di lei?»

«È una domanda difficile».

Alison lo fulminò con gli occhi. «No, Nate, non lo è. È sufficiente rispondere “sì” o “no”».

Lui si appoggiò sul sedile, improvvisamente privo di forze. La cena era stata abbastanza pesante, senza quella conversazione riguardo i suoi sentimenti in auto. Immaginò che comunque lo dovesse ad Alison, che era stata al suo fianco per tutto quel tempo.

«Mila e io… ci siamo separati in cattivi termini» rispose. «Credo che tutto questo forse ci aiuterà a chiudere le cose una volta per tutte. Nel modo giusto».

Si voltò a guardarla. Alison lo stava ancora fissando, ma i tratti del suo viso si erano addolciti.

La ragazza alzò una mano e gli accarezzò la guancia. Nate socchiuse gli occhi e la lasciò fare.

«Grazie» le sussurrò.

 

 

 

   
 
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