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Autore: Chocolate_senpai    01/05/2021    1 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18

 

- One ... two ... three ... 

- Not only you and me ... 

Emily alzò gli occhi dal pc - Che?-

Ming Ming sventolò in aria la mano, facendo sbrilluccicare le unghie smaltate di fresco. Fece il suo ingresso nell’antro tecnologico per consegnare un foglio a Ivan, tenendo la fotocopia con la forza di due dita, attentissima a non toccare il fucsia brillante di OPI.

- Kai ha detto che ti serviva questo –

Lui afferrò la scheda, continuando a guardare il pc di Emily. Diede un’occhiata veloce al foglio, su cui svettavano i nomi di tutti i partecipanti all’elegante party di due sere prima, sperando che qualcosa attirasse la sua attenzione.

Ma niente da fare.

Kai si era lavorato il nonnino per sapere se, in qualche modo, era reperibile una lista degli invitati al gala. In fondo, a Hito sarebbe bastato sventolare i suoi capitali sotto al naso degli organizzatori per avere l’informazione. Nulla di troppo difficile, e Kai si meravigliò di quanto in fretta il nonno aveva ceduto. E dire che si era preparato a sottostare a qualunque tipo di ricatto. Beh, non proprio qualunque.

Invece Hiwatari senior aveva inviato, senza troppi brontolii, una lunga lista della creme de la creme della spocchiosa alta finanza, senza che il nipote dovesse fare chissà che patto col diavolo. Ma, tra i nomi, non c’era assolutamente quello di Vorkov. E nemmeno di qualcun’altro che conoscessero, a parte Torres ovviamente.

Il vuoto totale.

Ivan gettò il foglio sul tavolo, tra i pezzi smontati di Aalborg. Se Boris lo avesse visto in quelle condizioni avrebbe dato di matto, ma a rimontarlo ci avrebbero pensato dopo. Cercavano ancora qualcosa nel bey, non sapendo cosa. Emily non se la poteva prendere. Tornò, a capo chino, a contare tutti i componenti dell’affilato beyblade.

- No ... – scosse il capo – qui non c’è un bel niente –

Il volto a cuore di Ming fece capolino sopra le sua spalle.

- Cosa ci dovrebbe essere?-

- Non lo so ... un componente in più, una vite, un anello di rotazione, un cavolo di qualcosa che ci dica che cosa c’entra Falborg con i missili nascosti chissà dove!-

Ming Ming fece pat pat sulla chioma gagia. Quella faccenda stava mandando Emily fuori di testa.

Ivan si unì al coro del malcontento.

- Non abbiamo nomi ... non abbiamo questi codici ... non abbiamo più una pista da seguire. E Vorkov sa che siamo in America. Grandioso – biascicò. Sciolse i capelli, stretti nel nodo dell’elastico dal giorno prima, pettinandoli con le dita.

Ming Ming diede una rapida occhiata alla spettinata chioma di un viola profondo - Ti presto il mio balsamo? Fa miracoli-

Emily alzò la mano – Io lo accetto volentieri –

Ivan non badò al commento. Tornò a controllare il materiale che avevano a disposizione, facendo la spola tra la lista dei ricconi e le file di lettere e numeri sui file che avevano trovato da Torres.

- Che stracazzo vorranno dire?-

Taylor Momsen interruppe il silenzio intriso di dubbi, pesanti come pietre, con la cadenza di Hit me like a man. La piccoletta dai boccoli celesti recuperò dalla tasca dei jeans aderenti il telefono rosa confetto.

- Sì?-

- ¡Hola chica! ?Como estas?-

Le si illuminarono gli occhi.

- Julia!-

Emily drizzò le orecchie - Come Julia? Da dove chiama?-

- Come stai tesoro? Emy vuole sapere dove sei!-

La spagnola e la idol erano molto diverse. Così diverse da assomigliarsi. Avevano grinta e dolcezza, ritmo e femminilità. Se una era una caramella frizzante color carta da zucchero, l’altra era cioccolato fondente ripieno di liquore. Due dolcezze uniche nel loro genere, non adatte a tutti i palati. E non tutti i palati erano adatti a loro. Se Hilary, Mao e Emily avessero dovuto descrivere una donna, molto probabilmente avrebbero parlato di Julia e Ming Ming.

E queste loro differenti somiglianze, le due ragazze le avevano percepite subito.

- Tu piuttosto! Ho visto Garland en una rivista, c’era la foto di una festa –

- Garland in una festa? Ti sarai sbagliata, quell’eremita non sopporta ... aspetta un secondo!- Ming balzò su una sedia, pedinata da Emy e dalla sua curiosità – Per festa non intenderai quella all’Empire State Building!-

­Dall’altra parte dell’apparecchio risuonò una risata cristallina.

- Es un chico muy guapo. Però non mi sembrava molto divertito –

- Cavolo ... è stata tre giorni fa! Ha già fatto il giro del mondo!-

- ¿Qué giro del mundo? L’ho visto in un magazine in aeroporto –

- Dove? Sei ancora con il circo?-

- Mh, non proprio. Diciamo che ho un impegno di famiglia-

- Giri il mondo con Raul?-

- Raul esta en Espana, sono sola –

Ming sembrava sul punto di spazientirsi, ma in modo ... divertente. La bella spagnola le stava dando le informazioni una briciola dopo l’altra, mantenendo alta la suspense come tanto le piaceva fare. Adorava vedere le persone pendere dalle sue labbra.

- E dove sta andando la nostra Julia tutta sola?-

- En la manzana –

Ming ebbe un fremito. Era un modo ironico di chiamare New York, la mela, perchè Julia diceva che poteva essere grande quanto voleva, ma aveva girato città più grandi di lei. E allora era rimasta solo una mela qualsiasi.

- Sei a New York?-

Emily tese le orecchie, avvicinando il volto al cellulare – Sei seria?-

- Che ci fai in America? La Spagna è finalmente diventata troppo piccola per te?-

- Divertente ... no, sono qui per un funerale. Una noia terrificante, ma ... –

- Ops, condoglianze –

- Gracias mi amor –

- Questo vuol dire che non riusciremo a vederci? Proprio ora che siamo così vicine?-

Dal telefono si fece silenzio. Ming poteva intuire benissimo, anche senza vederlo, il mezzo sorriso sulle labbra perennemente tinte di rosso della spagnola.

- Vederci ora? Non mi dirai que tu también estás aquí, magari con Garland?-

- Sei un’indovina –

Dal cellulare partirono una serie di risatine, che rimbalzarono sulle labbra di Ming Ming e di Emily. Ivan, rimasto in un angolo della stanza a sperare che non lo tirassero nel mezzo della discussione, alzò gli occhi al cielo. Vivere in costante contatto con una mandria di ragazze stava cominciando a segnare la sua, già precaria, salute mentale.

- Y que ci fai aqui?-

- Facciamo così ... – Ming si scambiò un’occhiata complice con Emily, giusto per avere la tacita approvazione di quello che stava per fare. L’americana sospirò, ma finì per annuire. D’altra parte, nessuno sapeva del coinvolgimento suo e di Ming Ming in tutta la faccenda di Vorkov. Certo, sarebbe stato meglio per tutti stare al riparo al laboratorio. Ma sarebbe anche stato bello scambiare due chiacchiere con qualcuno che non avesse una perenne faccia da funerale. E Ming ne aveva tanto, tanto bisogno.

- Noi ci vediamo oggi pomeriggio in un bel posticino ... il tempo di deciderlo, ti dò un orario e parliamo di tutto di persona. Che ne dici?-

- Estas bien. Sarò libera dopo le due –

 

 

- Vorkov? Di nuovo?-

- Shh- Ming Ming portò un dito alle labbra. Abbassò appena gli occhiali; sulle lenti fucsia si infranse il riflesso del sole di dicembre, stagliato su un cielo più limpido che mai. Julia portò una mano alla bocca.

- Cielo, disculpa ... Che è successo stavolta?-

- Guarda, se te lo racconto non mi credi –

- Stupiscimi allora –

Ming bevve a piccoli sorsi il matcha latte bollente, godendosi il primo Starbucks di quell’inverno. Non un posticino molto elegante, e forse troppo trafficato, anche se era primo pomeriggio. Ma era il bar più vicino possibile, e al laboratorio si era già subita una serie di ramanzine per quella sua idea di voler uscire. Prima Ivan aveva squadrato lei e Emily come fossero due bambine incoscienti. Ma almeno aveva avuto la decenza di non commentare. Invece Garland non era stato zitto e, con lo sguardo più paterno e severo possibile, aveva attaccato una filippica su quanto fosse importante restare uniti, e al sicuro. Sottolineando, fra l’altro, che se ci fossero stati problemi nessuna delle ragazze si sarebbe saputa difendere.

Poi era stato il turno di Michael, che, senza mezzi termini, aveva preso da parte Emily giusto per farle rendere conto che al laboratorio c’era del lavoro da fare. E aveva spinto un po’ troppo sul lato non voglio che ti succeda qualcosa della faccenda. Il senso del dovere e la razionalità dell’americana avevano fatto il resto, facendola cedere alle insistenze. Ma con Ming Ming non aveva funzionato. Con la cantilena di Garland di sottofondo, e gli sguardi gelosi delle altre ragazze addosso, si era infilata cappotto e tacchi. Emy aveva ceduto, e Mao e Hilary erano più a rischio di lei. Ma nulla le avrebbe impedito di prendere una buona ventata di aria spagnola quel pomeriggio.

Ming si ravvivò i boccoli, sporgendosi di più verso Julia con fare cospiratorio.

- è una storia lunga, e anche un po’ triste, sai ... ma mi sembra di vivere in un giallo! È ... estremamente emozionante-

- Mmmh, sono ancora più curiosa! Espera ... – si tolse i guanti neri orlati di pizzo, un tocco vintage che stava divinamente sul cappotto lungo – Mi libero di tutta ‘sta roba ... Uff! È orribile partecipare ai funerali –

- Ma sei venuta fin qui solo per questo? Cioè, sono sicura che fosse importante ... però ti sei fatta un bel volo, fin dalla Spagna –

Julia chiuse i guanti nella pochette bordeaux – Il punto è che questo è un parente muy rico ... anche se un po’ lontano. Mira, la famiglia di nostra madre è numerosa, e questo cugino io non me lo ricordavo proprio –

- Mi stai dicendo che ti sei preparata a fare la vita da ricca ereditiera?-

Julia rise, nascondendo le labbra dietro le mani color caramello – No, macchè! Magari fosse andato tutto a noi. Sai però, meglio così. Lui non era un hombre onesto. Poi i Torres mi sono sempre stati antipatici. Meno ci ho a che fare, meglio sto –

Ming stava per ribattere, pronta a prendere un altro sorso di macha tra le labbra lucide di lip gloss; ma il bicchiere restò sospeso a mezz’aria. Nella sua testa riavvolse l’ultima battuta di Julia, riascoltando il nastro una seconda volta, sicura di essersi persa una parte importante.

- Julia ... come hai detto che si chiamano? –

- Chi?-

- I famigliari di tua madre ... quelli di cui stiamo parlando –

 - Ah, Torres. Una famiglia ... non raccomandabile. Y lo se que non si parla male dei morti, però Vince era il più inquietante di ... –

La mano di Ming Ming fermò il flusso di parole – Aspettaaspetta! È Vince Torres il parente morto?- domandò, con molta poca delicatezza e il cuore che aveva accelerato impercettibilmente.

Julia annuì. Sulla fronte, alta e perfettamente liscia, si disegnò una piccola ruga.

- Ming ... ?estas bien?-

 

Venti minuti dopo erano entrambe al laboratorio. Sulle labbra della bambolina di porcellana svettava un sorriso vittorioso. Lo sfoggiava verso chi le aveva addossato uno sguardo scettico quando era uscita di casa, e soprattutto verso Garland. Non solo non si era messa in pericolo: aveva persino trovato un tassello per il puzzle di latte che stavano strenuamente cercando di ricostruire.

O almeno, così sperava. Non era sicura che Julia ne sapesse più di loro su Vince.

Rei era stato adorabile, come al solito. Si era rimboccato le maniche, dando fondo alle scorte della dispensa che non fossero parte del catering, e, con il provvidenziale aiuto di Mao, aveva sfornato dei dolcetti di riso spettacolari. La cinesina versò un tè molto aromatico davanti a Julia, che ne aspirò il profumo intenso. Prese in mano la tazza bollente, facendola scivolare sul tavolo fra le dita. Appena era arrivata nel laboratorio sperduto, aveva percepito la pesantezza. Tra i saluti, gli abbracci, i complimenti e le condoglianze, il nome di Torres le era uscito dalle labbra.

Gli occhi di Yuriy si erano impercettibilmente spalancati. Lei aveva sorriso. Vedere quel blocco di ghiaccio addirittura stupirsi per qualcosa non aveva prezzo.

- Quindi ... è un gioco a tre tra Vorkov, il padre di questa Rosemary, e ... Vince?-

- Non ci sai dire nulla di lui? Di quello che faceva ... dei suoi contatti ... –

- Lo siento ... sò solo quello che mi diceva mia madre –

Yuriy la incalzò, seduto a braccia incrociate dall’altra parte del tavolo – Continua –

Lei spostò una ciocca ramata dal volto, liberando i grandi occhi verdi sui ragazzi. Li studiò per alcuni secondi. C’era un misto di emozioni vibranti in quella stanza: adrenalina, ansia, rabbia, paura, eccitazione, insicurezza, orgoglio, determinazione. E amore. Lo fiutava, come un persiano con la più raffinata erba gatta. Era amore dai più svariati colori, di occhi e nazionalità diversi. Lo vedeva dietro l’azzurro cielo di Michael, costantemente fisso sulla giovane dottoressa americana. Poi tra le profonde, dolci nocciole di Hilary, che a scatti si coloravano di blu, grigio e ametista.

E anche dove non si sarebbe aspettata, nascosto tra l’erba verde di un prato gelido.

- Vince – Cominciò la spagnola – Era un uomo ... viscido. L’ho incontrato una sola volta en mi vida, e mi è bastata. Ti guardava come se fossi un oggetto, e la lingua era quella di una vipera – Disse, senza nascondere nemmeno una briciola del disprezzo provato per quell’uomo – Di lui sò che si è arricchito facendo affari. Affari loschi –

Una breve risata le scoppiò sulla punta della lingua.

- Quando lo incontrai, avevo cinque, forse sei anni. Me lo ricordo perchè io e Raul ci eravamo nascosti dietro la gonna di nostra madre ... – un breve sorso di tè finì tra le sue labbra – Mi diceva che non era una brava persona, e che non dovevo avvicinarmi a lui. Sobre todo yo-

- Perché?- La voce giovane e ingenua di Max diede sfogo alla sua curiosità, frapponendosi fra gli anelli della catena di parole. Julia alzò le spalle.

- No lo se. Ma ebbi l’impressione che qualunque mujer quell’uomo vedesse ... la mangiasse con quel suo orrendo sguardo languido –

- Aspetta – Max la interruppe di nuovo – La mamma ci ha parlato di ... prostituzione. Almeno,  questo è quello che si diceva di lui –

- Puede ser-

Julia incontrò per un secondo gli occhi di Hilary. Affondò nel cioccolato di quelle dolcissime iridi, che sembravano più dispiaciute di lei per quel che si stava dicendo su quell’uomo. Era pur sempre un parente della spagnola. Ma a Julia non importava; dentro quel ramo della famiglia scorreva fiele, piuttosto che clorofilla.

- Non guardarmi con quegli occhi, mi amor- allungò una mano verso Hilary, intrecciando con fermezza le dita tra le sue – Non andavamo fieri di quell’uomo. Alla fine è stato meglio così –

Yuriy alzò un sopracciglio.

- è stato meglio che lo abbiano ucciso?-

Julia lo guardò, stupita.

- Como ... ucciso? Ci hanno detto che è morto per un malore improvviso –

Il rosso si alzò, era stanco di starsene seduto a fare i convenevoli. Prese la tazza di tè, buttandolo giù in un unico sorso.

- Se una pallottola in fronte può essere un malore improvviso, allora sì: è decisamente morto all’improvviso-

La mano di Julia ebbe un fremito. Ma lei non si scompose. Poi, sotto i suoi occhi, Kai fece scivolare un foglio ricolmo di cifre e lettere. Lo guardò confusa, come una bambina di cinque anni davanti a un’equazione di secondo grado. Kai attese qualche istante, giusto per vedere se qualcosa le si illuminasse in testa.

- Cos’è questo?-

- Era in casa di Torres –

- Ha a che fare con il suo assassino? E con le armi di cui avete parlato?-

Kai annuì – Può darsi. Non ti dice proprio nulla?-

La ragazza prese in mano il foglio. Lo guardò meglio, leggendo a bassa voce quelle sigle insignificanti più volte. Poi scosse il capo.

­- Nada. Lo siento 

- Sei una roccia July, non ti sconvolge nulla! – Hilary si rigirò la tazza verde pastello tra le mani – Io ... beh, non dico di esserci rimasta male per ... la fine che ha fatto quel Torres. Però, addirittura ucciso ... cavolo –

La spagnola alzò le spalle – è che ... non mi interessa. Sono venuta solo per il testamento, sinceramente non mi ricordavo neanche come era fatto Vince – Alzò la tazza a mezz’aria, ma non bevve. Posò gli occhi su Yuriy, in piedi a braccia incrociate con una potente aura di superiorità sfoggiata con la solita noncuranza – Non mi piaceva quell’uomo, y también alla mia famiglia. Era ... meschino. Cattivo. E l’ho capito anche se ero appena una nina

Yuriy non sembrò impressionato.

- Lavorava per Vorkov. Non poteva che essere uno stronzo, e non conosco pezzi di merda che siano buoni-

Lei scosse il capo – Non è questo il punto. Vorkov aveva ... uno schema. Quell’uomo no. Sorrideva a tutti, aveva adottato dei bambini a distanza ... sò che aveva avviato anche un’associazione di beneficenza. Y después, ti pugnalava alle spalle. Così. Solo per ... divertimento –

- Spero che tu non abbia imparato solo ora che al mondo è pieno di brutte persone, Fernandez –

- No, el problema es que ci sono tante brave persone che fanno brutte cose. Vince era una di quelle –

 

 

- ci sono tante brave persone ... che fanno brutte cose 

Hilary richiuse lo sportello del minifrigo. Versò il contenuto del cartone di latte in una delle tazze accumulate nel lavello, che nessuno da quel pomeriggio si era disturbato di sistemare.

Avevano salutato Julia un po’ a malincuore. Guardarla salire sul taxi aveva steso su Ming e sulle altre ragazze un velo di malinconia. Era stato come un fulmine a ciel sereno. Ma Hilary era sicura che l’avrebbero rivista. Non tanto perché si fidasse dell’istinto; no, lei non era così, e Mao glielo rimproverava da una vita. Piuttosto, perché gli occhi verdi della spagnola erano stati così sinceri da aver disarmato tutti. E tutta quella sincerità aveva fatto calare sul laboratorio un pesante sipario: Torres c’entrava eccome nei disegni di Vorkov. E forse Julia era il loro unico modo di scoprire il perché. Tirarla in mezzo avrebbe significato una sola cosa: metterla in pericolo. Ma a quel punto Hilary non avrebbe saputo dire se i russi si sarebbero fatti degli scrupoli.

Il bip ritmato del microonde annunciò che il latte era finalmente caldo, pronto per un denso e corposo cucchiaio di miele. Quello che le ci voleva per riuscire ad addormentarsi quella sera. Hilary sorrise; era il sistema infallibile della nonna.

Le labbra persero subito la loro dolce curvatura. Tra loro c’era chi, dall’infanzia, non si portava dietro ricordi di latte e miele, pomeriggi passati a giocare a nascondino tra le tende di casa e chiazze di cioccolato sul grembiule della mamma. I russi continuavano a ripetere che non volevano pesi sulla coscienza, ma quella brutta storia attirava a se sempre più personaggi, risucchiati come in un buco nero.

Il latte le addolcì la gola, scaldandola un po’.

- Ancora sveglia?-

La tazza le saltò tra le mani, ma fortunatamente non scivolò.

- Kai – sospirò, asciugando con la manica del pigiama le gocce bianche che minacciavano di scivolare a terra.

- Mi hai spaventata –

Il ragazzo afferrò il latte dal frigo. Hilary fece per allungargli una tazza, ma lui si attaccò direttamente al cartone, con poca delicatezza, ingurgitandone tutto il contenuto.

- Mmmh ... non so quanto faccia bene bere del latte congelato –

Kai si passò il dorso della mano sulle labbra, ignorando completamente il commento.   

- Vattene a letto. Ti conviene dormire, fra poco sarà l’unica cosa che potrà evitare di farci impazzire - 

- Però anche tu sei sveglio –

- Io non riesco più a dormire da diverso tempo –

- Perchè?-

Non era la curiosità di una bambina ingenua. Hilary sapeva bene cosa pesava nei cassetti dei ricordi di Kai, come sapeva che nemmeno lei sarebbe riuscita a chiudere occhio con quei macigni a zavorrarle l’anima. Ma le sarebbe piaciuto, almeno per una volta, capire cosa passava nella testa di quel ragazzo che si allontanava da lei ogni volta che gli si avvicinava un centimetro di più.

Il cartone finì accartocciato nella pattumiera con un lancio ben assestato.

- Non ha importanza –

- Parlare dei problemi aiuta sempre a risolverli –

- Non questi. Sono al di là dell’essere risolvibili. Sono ... incrostati, diciamo così –

- Allora servirebbe fare un po’ di pulizia –

- Hilary –

La sua voce pronunciò quel nome, e lei sentì le farfalle allo stomaco salirle in gola. Le orecchie le ronzarono, come se uno sciame di api stesse per palesarsi nel bel mezzo della cucina. La ragazza si impose un certo contegno: non poteva sentire le gambe tremare ad ogni sillaba che la voce, meravigliosamente virile, di quell’uomo pronunciava.

Ma era più forte di lei.

Kai non sembrava rendersi conto assolutamente di nulla. Oppure, più probabilmente, era pienamente consapevole del suo potere di seduzione, e fingeva di non vedere gli occhi bassi di lei che vagavano sul pavimento e le sue guance avvampare. Le sue rotelle erano occupate a risolvere problemi più grossi di una cotta adolescenziale degenerata in un’utopica storia d’amore.

- Ti ringrazio per aver deciso di restare ad aiutarci, e mi dispiace che ora anche sulla tua testa pesi una specie di sentenza di morte, anche se tu non c’entri nulla in questa storia –

- Non importa, io ... –

- Ma – La interruppe lui – non avere la pretesa di capirci. Nè me, nè tantomeno Yuriy o gli altri. Non ci riusciresti, e non lo dico per cattiveria – La penetrò con quegli occhi che avrebbero brillato anche al buio, tanto somigliavano a due pietre preziose – Vi abbiamo spiegato tutto quello che è successo, e vi siamo grati per averci ascoltato. Perlomeno io. Ma questo è quanto. Non giocare a fare la crocerossina, ti faresti soltanto del male –

- Kai, io ... – Hilary cominciò a parlare, e solo dopo si accorse che non avrebbe saputo cosa dire. Rimase con la bocca mezza aperta, con una serie di sillabe sulla punta della lingua, due parole che le si erano insinuate nel cuore la prima volta che si era scontrata con la parlantina scorbutica di quel ragazzo.

Ti amo

Glielo avrebbe voluto dire. E la parte più ingenua di lei sperava davvero che quella parole lo avrebbero sciolto come un gelato al sole. Ma quella parte era sempre più piccola, lei non era più una bambina. E non c’era posto per il sole in quel dicembre freddo e inquietante che preannunciava tempesta.

- ... Vorrei solo aiutarvi. Come tutti. Scusami se sono invadente. Cercherò di rendermi utile al meglio che posso, è che ... vorrei che questa storia finisca presto –

Lei terminò con disinvoltura un discorso che nella sua testa filava, scartando il copione originale.

Ma lui se ne accorse. Glielo lesse negli occhi che c’era una frase molto netta nascosta tra le parole di convenienza. E la cosa lo infastidì da morire.

Kai scrollò le spalle.

- Come ti pare –

Hilary restò di sasso.

- Come?-

Lui nemmeno la guardò.

- Fai quello che ti pare- Scandì - Non posso chiederti molto di più, visto che non riesci neanche a essere onesta con te stessa –

Lei questa volta dovette appoggiare la tazza nel lavello per non farla cadere.

- Cosa stai dicendo Kai? Io ... sono onesta, vorrei solo esservi di aiuto! Che altro dovrei dire?-

- Invece non lo sei. Ed è meglio che cominci a chiedertelo per davvero se questo è quello che vuoi, perchè non potrai più pentirti delle tue scelte quando sarai a un passo dal precipitare nel burrone dove tutto questo casino potrebbe portarci –

Le si annodò un improvviso groppo in gola, complice con un moto di rabbia nell’impedirle di prendere fiato. Si sentì nuda, scoperta di fronte a quel ragazzo e alle sue parole di una verità pungente come una vespa, e l’orgoglio corse in suo soccorso per coprirla.

- Io so quello che voglio. Non sono una stupida Kai, credevo che lo sapessi –

- Certo che lo so. Forse sei tu a non rendertene conto –

Il ragazzo fermò la sua uscita di scena, tornando sul palcoscenico. Le fu accanto in un paio di passi, e lei si sentì molto più piccola di quanto non fosse mai stata accanto alle spalle larghe di lui, ai muscoli delle braccia gonfi dagli allenamenti, allo sguardo sostenuto che si rifletteva nei suoi occhi nocciola pieni di ricordi amorevoli e di risate con gli amici.

- Sei una donna adulta Hilary, e non devi vergognarti di esserlo, perché i bambini non sopravvivono in quello che stiamo per fare. Persino Daichi riesce a essere genuino e coerente, e ti assicuro che è una dote che lo salverà da un sacco di brutte situazioni –

Hilary cercò di proiettare, nella sua testa, una frase di senso compiuto che potesse rispecchiare, se non proprio una sicurezza che in quel momento non le apparteneva, almeno un senso di quiete interiore. Che potesse far trasparire a Kai che sì, stava andando tutto bene, e che non si sarebbe fatta prendere da strane manie da mammina; che aveva capito la gravità della situazione.

Lui precedette tutte le sue elucubrazioni mentali.

- Cosa vuoi-

Fu un ordine, un vento gelido che spazzò via ogni castello di carte costruito su instabili sinapsi.

- Cosa ..?-

- Cos’è che vuoi?- Insisté lui, avanzando di un passo come se la stesse braccando, togliendole ogni via di fuga verso un sonno che, comunque, a quel punto, non sarebbe stato tranquillo – E non ripetere che ci vuoi aiutare, perché non è quello che intendo –

Con un altro passo le fu quasi addosso. Hilary sentì premere il bordo del lavello dietro la schiena.

- Sarò uno di poche parole, ma non sono un muro come Ivanov e i suoi. Io le domande me le faccio, e voglio anche delle risposte. Tutti abbiamo dei motivi, più o meno buoni, per essere qui. Anche Takao, Max, Mao, persino Daichi. Magari sono motivi del cazzo, ma ci sono- Le passò gli occhi sul volto quasi stesse cercando di scannerizzarle l’anima; ma la testa di lei era un foglio bianco. I neuroni le si erano completamente carbonizzati.

- Tu invece no. Non hai un motivo. Sei sempre dietro a tutti, a guardare quello che succede con lo sguardo dispiaciuto di un’amichetta apprensiva, come se il massimo che potessi fare fosse mettere un cerotto sui graffi e abbracciarci per far passare il male. Beh, a noi non serve un’infermiera. E se non sai cosa sei venuta a fare, ti conviene fare retromarcia e tornare a casa finché sei in tempo, perchè se sei qui non è solo per merito degli amichetti di Vorkov. C’eri anche tu nel coro di idioti che mi ha chiamato per dirmi che non vedevate l’ora di partecipare a questa festa. E voglio sapere perché –

- Ti ... voglio proteggere –

La risposta arrivò molto rapida. Kai ne fu quasi sorpreso.

Hilary fu più sorpresa di lui.

Quei due neuroni rimasti si erano uniti insieme, ed erano, finalmente, quasi riusciti a farle dire la frase magica che le ronzava in testa da una vita. Ma, sul più bello, quello stupido imbarazzo li aveva interrotti, e il copione era di nuovo cambiato.

Kai restò in silenzio, e Hilary sentì distintamente il suono di quel vuoto di parole rimbombarle in testa. Sperò che la luce della cucina si fulminasse in quel momento; avrebbe approfittato del buio per fuggire tra le coperte e riemergere solo cinque, sei anni dopo, il tempo giusto per dimenticare tutto e fingere che non fosse successo niente.

Ma la luce restò lì dov’era, così come Kai. E lei si sentì in dovere almeno di tentare di finire in bellezza quel casino in cui si era messa.

- Vorrei ... – cominciò, mettendosi a gesticolare - ... che tu non ... che non ti mettessi in pericolo. Più in pericolo di così. Io non posso ... non posso pensare ... di perderti –

Girò la testa di lato, per evitare di incrociare gli occhi di Kai nel momento in cui avesse deciso di guardare finalmente un punto che fosse più in alto del pavimento.

- Mio dio. È tutto sbagliato – Si coprì la bocca con una mano, giusto per soffocare il tremolio della voce che minacciava di spezzarle il fiato – Io ... io non so perché te l’ho detto-

- Però lo hai fatto-

Finalmente Kai si allontanò; ma non era soddisfatto.

- Mi hai deluso –

Hilary non aveva più la forza psicologica per chiedere spiegazioni. Si domandò se Kai lo stesse facendo apposta a devastarla in quel modo, o se fosse tutto un incubo curabile con un bel pizzicotto sul braccio. Magari si sarebbe svegliata, sarebbe andata a parlare con lui e si sarebbe scontrata con i suoi soliti modi di fare, cauti, distanti, orgogliosi e un po’ egocentrici.

Ma quando pinzò, di nascosto, la pelle del braccio fasciata dalla lana morbida del pigiama, sentì solo un vago, fastidioso dolore. E non accadde nulla.

Accidenti

- Io ... io ... –

- Tu cosa? Cos’è che vuoi?-

Anche da più distante Hilary continuò a percepirsi intimidita. Kai la fronteggiò con la sua altezza, con i suoi occhi; con il suo fuoco.

- Dimmelo. Non farlo dire agli altri. Voglio che tu me lo dica –

Lei tornò con gli occhi sulle piastrelle verde menta del pavimento, indagandole più a fondo di prima. Prese a balbettare qualcosa, torturandosi le dita fra loro, lasciando che le unghie tracciassero dei solchi. Ma alla fine non disse nulla.

Un angolo della bocca di Kai montò su un indispettito piedistallo. Poi, finalmente, dopo quegli interminabili minuti di terzo grado, lui girò i tacchi e se ne andò.

Hilary si lasciò scivolare a terra solo quando fu sicura che Kai fosse abbastanza lontano per non tornare sui suoi passi.

 

Takao tirò lo sciacquone con cautela; non voleva svegliare nessuno, ma non poteva nemmeno lasciare nel wc il risultato dei suoi movimenti intestinali.

Qualcuno gli aveva insegnato che un modo elegante per definire il bisogno di evacuare era di dire di dover vedere i cavalli. Beh, quella notte il suo maneggio era stato particolarmente felice di uscire a fare una passeggiata.

Uscì dal bagno barcollando. Di rado si svegliava nel cuore della notte, e quando succedeva la mattina dopo pensava sempre di esserselo sognato. Per questo ci mise un po’ a percepire che il pianto proveniente dalla sala comune non se lo stava immaginando.

Avanzò con cautela, attraversando la stanza deserta fino alla piccola cucina.Se si fosse trovato davanti un nemico, il sonno gli avrebbe messo a disposizione due reazioni in caso di pericolo: urlare a squarciagola, e buttarsi a peso morto addosso a chiunque gli fosse capitato a tiro. Non ebbe bisogno di nessuna delle due armi segrete.

Vide una figura familiare raggomitolata ai piedi del lavello. Non appena i suoi neuroni ricollegarono quella persona a Hilary, gli si spense in testa un campanello d'allarme, ma subito se ne accese un altro.

- Hei, hei – le si avvicinò, cingendole le spalle con un braccio – Cosa succede?-

Lei si portò subito le mani agli occhi, cercando di asciugarli con scarsi risultati – Niente, scusa, non volevo ... non volevo svegliarti –

- Che c’è? Va tutto bene Hil, vieni qui – Le si fece più vicino, lasciando che la lunga chioma color cioccolato di lei andasse a rifugiarsi nell’incavo del suo collo.

- Non lo so cosa c’è, non lo so, non lo so ... –

- Ora passa tutto ... –

- Continuo a trovarmelo davanti, e ... lui non mi guarda nemmeno, io non so cosa farci, non so cosa dire, vorrei solo... mi dispiace Takao, io lo amo, lo amo, lo amo-

Scoppiò in un pianto a dirotto, senza imbarazzo, senza vergogna. Un genuino e semplice sfogo, un groppo in gola che esplose in quel momento, accanto all’amico di una vita, davanti alla palese consapevolezza di quello che Kai le aveva detto.

Lei non era onesta. Non gli avrebbe mai confessato cosa provava, perchè sapeva che non c’era futuro per i suoi sentimenti. E Kai non voleva avere nulla a che fare con chi non aveva nemmeno le palle di ammettere a se stesso la verità.

Il cerchio si chiudeva.

E così tutto fu disperazione nel più bello e più gradevole dei castelli possibili.



  
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