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Autore: shatiaslove    05/05/2021    0 recensioni
«Ti odio, Michael Clifford» sono le uniche parole che riesco a dire prima che una luce fin troppo luminosa, bianca da far schifo, ci avvolga. Dura solo un istante, ma cambia qualcosa. Non so dire che cosa fino a che non riapro gli occhi, terrorizzata, e «Oh, no» è l’unica frase che riesco a formulare.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XXVI.
It’s all over

 
 
 
Venerdì 25 Febbraio 2017,
Milano, Lombardia,
Italia
 
Non è mai facile capire le persone, perché sono tutti involucri di pelle in costante evoluzione, in un salita che porta al nulla; perché la vita, effettivamente, cos’è? A cosa porta? Abbiamo questi attimi di felicità, riceviamo questo dono, ma a che scopo? Ma perché?
Il perché non lo so e poco m’importa saperlo, fino a che posso ammirare spettacoli come le aurore boreali e australi, le stelle, la luna e la strana luminescenza dei pianeti quando visibili dalla terra. Fino a che posso ridere in una notte bianca a San Pietroburgo, fino a che posso ballare in una viuzza di Barcellona, fino a che posso gustare un gelato artigianale in Sicilia.
Cosa m’importa, se non conosco lo scopo della mia vita, quando posso comunque apprezzarne le piccole cose?
Ma comunque, non è così facile. Apprezzare la vita, intendo. Non è mica una passeggiata. Ci vorrebbe un sorriso ogni giorno, un abbraccio, un bacio, un messaggio simpatico, un libro, una canzone. Ci vorrebbero tante cose, in realtà. Ma uno ci prova sempre.
Riporto la mia mente alla stradina nascosta di Milano in cui ci troviamo e osservo il viso sconvolto di mio fratello, la barbetta castana in contrasto con la pelle chiara, gli occhi verdastri – un po’ più scuri dei miei, perché lui ne prende dalla mamma – così tanto aperti che appaiono come due fari nella notte. Lo osservo un po’, prima di schiarirmi leggermente la gola, per far segno a Michael di riprendere in mano la situazione. Tanto abbiamo pensato ad ogni reazione possibile e abbiamo deciso cosa fare in base ad ognuna di esse.
«Francesco…» dice lo stesso Michael, avvicinandosi a mio fratello.
«Potete lasciarci per un attimo da soli?» mormora invece lui. Io, Michael e Calum annuiamo e ci distanziamo un po’ dai due.
«Perché abbiamo dovuto farglielo sapere?» borbotta Calum.
«Perché è il padre e, nonostante il corpo sia di Sofia e la scelta sia sua, è giusto che lui lo sappia» rispondo, incrociando le braccia al petto e appoggiandomi sul muro di un palazzo.
«Capisco tu sia nel mio corpo, ma quella è la mia felpa, quindi potresti gentilmente evitare di sporcarmela?» mi chiede Michael, prendendomi per un braccio e facendomi spostare dal muro.
«Sei un rompicoglioni, te lo hanno mai detto?» sbuffo annoiata e poi controllo l’orario. Dobbiamo pranzare, dopodiché dobbiamo andare in libreria per la presentazione del mio nuovo libro. Ma so già che sarà un disastro completo, perché non potrò stare al fianco di Michael, e Sofia non sarà in grado di restare concentrata, troppo presa dal suo ben più grande problema. Ma nessuno dei due ha ascoltato i miei lamenti sul voler posticipare la presentazione, e quindi niente, si deve fare per forza.
«Più volte» mi risponde lui, facendomi la linguaccia, per poi zittirsi e tornare serio quando nota la mia migliore amica venire verso di noi. Mio fratello, invece, ci saluta con la mano, per poi rientrare in casa sua, come se nulla fosse successo.
«Cosa vi siete detti?» le chiedo appena ci raggiunge, senza neanche farla respirare o tranquillizzare. Prima le cose importanti.
«Mi ha detto che si tratta di una mia scelta e, qualsiasi andrò a prendere, lui sarà d’accordo» Sofia si stringe nelle spalle e accenna un sorriso nella mia direzione.
«So a cosa stai pensando e non è affatto vero» borbotto, alzando gli occhi al cielo contemporaneamente a lei.
«Di che state parlando?» chiede Michael confuso, giocherellando con la treccia che Sofia ha fatto ai suoi – miei – capelli stamattina.
«Lei e suo fratello si comportano sempre allo stesso modo, ma entrambi odiano ammetterlo, perché lui non vuole essere paragonato ad una scrittrice da quattro soldi e lei non vuole essere paragonata ad un avvocato delle cause perse…»
Un brontolio interrompe il discorso di Sofia e tutti prendiamo a guardarci confusi, cercando di capire lo stomaco di chi abbia brontolato.
«Scusate, colpa mia» mormora Calum, mettendo su un tenero broncio, massaggiandosi la pancia da  sopra la felpa.
«Andiamo al nostro solito ristorante?» mi chiede Sofia, porgendomi un sorriso felice, forse più tranquillo adesso che può riprendere in mano la sua vita. Sarà un percorso lungo e doloroso, ma sono certa che ce la farà.
«Sì, ho bisogno di cotoletta al pollo vegetariana» la imploro, incrociando le mani a mo’ di preghiera.
«Offri tu, ovviamente, visto che stai per pubblicare un libro che ti frutterà un buon guadagno» dice Michael, facendomi l’occhiolino.
«Sempre se alla presentazione di oggi pomeriggio non rovinerai tutto» gli do una pacca sulla spalla e accenno un sorrisetto ironico.
«Non sei una che riesce a pensare in positivo, eh
«L’ultima volta che ho pensato in positivo sono partita per l’Australia con una psicopatica e sono finita ad una festa orribile cui culmine è avvenuto quando mi sono scambiata il corpo con un coglione.»
«Michael, lascia perdere» gli fa sapere Sofia, scuotendo la testa rassegnata di fronte al mio pessimismo cosmico. Certo, se il cosmo evitasse di farmi brutti scherzi, io eviterei di credere che una scritta al neon che dice “inserire sfiga qui” mi perseguiti.
«Dov’è questo maledetto ristorante?» si lagna Calum, guardandosi attorno con occhi imploranti, segno che sta davvero morendo di fame. E pensare che stamattina ha fatto colazione con tre cornetti alla Nutella e un cappuccino. E poi ha fatto merenda con una brioche ricolma di gelato alla panna e al cioccolato e uno yogurt alla frutta (perché la frutta fa bene, dice lui, e lo fa sembrare più sano, dice sempre lui).
«Dietro l’angolo» gli faccio cenno di prendere la traversa a destra e finiamo proprio di fronte al mio ristorante preferito, il solito, quello in cui i camerieri hanno più volte visto la faccia mia e di Sofia rispetto a quella dei loro genitori.
«Mi chiedevo, ma voi due cucinate mai?» ci domanda Michael pensieroso, entrando nel ristorante e guardandosi intorno, insicuro su cosa fare.
«Ovvio» risponde Sofia, facendomi inarcare le sopracciglia. «Okay, non siamo molto portate per la cucina, ma io so fare la pasta al sugo» urla contenta, facendo girare nella nostra direzione qualche cliente che sta gustando tranquillamente il proprio pranzo e facendoci notare dal cameriere, che ci indica subito un tavolo disponibile, per poi farci un occhiolino a mo’ di saluto.
«Io so fare la pizza» dico contenta, sedendomi accanto a Calum, mentre Sofia e Michael si siedono di fronte a noi.
«Altro?» chiedono confusi i due ragazzi.
«Il latte» mormora Sofia.
«Panino con diversi condimenti» mormoro io.
«Insomma, non sapete cucinare» dice chiaro e tondo Michael, offendendoci.
«Spero per te che tu sappia cucinare come Marco Pierre White, o puoi anche uscire da quella porta e non farti rivedere mai più» indico a Michael l’uscita e lui sbuffa sonoramente.
«Volete ordinare?» ci chiede il cameriere, interrompendo la nostra discussione.
Io e Sofia annuiamo, sapendo già cosa andremo a prendere, mentre Calum e Michael decidono di farsi consigliare da noi, e ovviamente finiamo per ordinare due piatti di spaghetti alla carbonara per Sofia e Calum e due piatti di pollo vegetariano e insalata di contorno per me e Michael.
«Calum, ricordati che gli spaghetti si mangiano con la forchetta che poi devi infilare in bocca. Il naso non devi usarlo, va bene?» carezzo la spalla del ragazzo al mio fianco, che mi lancia di rimando un’occhiataccia abbastanza cattiva. «Dici che dovremmo chiedere se hanno dei bavaglini?» domando a Sofia, storcendo la bocca pensierosa.
«Sto per darti un calcio nelle palle» sibila Calum, facendomi rizzare i peli sulle braccia. Non so che sensazione si provi a ricevere un calcio sui gioielli di famiglia, ma preferirei non scoprirla mai nella vita, perché so, a prescindere, che si tratta di una sensazione estremamente dolorosa.
«Non osare!» Michael punta un dito contro il suo amico dagli occhi a mandorla e dal naso grande quanto la Cina. Sono certa che sia così grande per poter proteggere la sua terra natia da attacchi esterni.
«Non è strano che siamo tutti qua riuniti…»
«Amen» mormoro sottovoce, interrompendo Sofia.
«Prima che l’inutilità fatta a persona mi interrompesse, stavo dicendo che è strano ritrovarci qui, a questo tavolo, quando due settimane fa Ginny mi faceva sapere la struggente notizia che aveva regalato delle bellissime e costosissime scarpe col tacco che le avevo comprato.»
«Non trovo il nesso tra le due cose» incrocio le braccia al petto e accenno un sorriso educato al cameriere che finalmente ci sta servendo i piatti, ricordandomi il perché ami così profondamente questo ristorante. Il cibo arriva presto ed è l’orgasmo su terra. E non costa tanto. Ditemi voi come si fa a non amare un posto del genere.
«Non devi trovare il nesso tra le due cose, volevo solamente ricordare quel tuo atto indegno» mi fa sapere la mia migliore amica dai lunghi capelli biondi che avrei tanto voglia di rasarle mentre dorme.
«Buon appetito» borbotta Michael, quando è ormai a metà cotoletta. Suppongo avesse troppa fame per dirlo prima. Mi sa che faremo il bis, e anche il ter, e il quater.
Ricambiamo tutti e riprendiamo a mangiare, in silenzio, come d’abitudine.
Appena siamo abbastanza sazi da sembrare una mongolfiera vivente, paghiamo – cioè, pago – e usciamo dal ristorante, sfiniti, per poi buttarci sul marciapiede, senza voglia di vivere.
«È una sensazione che non so spiegare. Sto bene perché ho mangiato tantissimo e sto male perché ho mangiato tantissimo» borbotta Sofia, poggiando la testa sulla spalla di Calum.
«Quel dolce al cioccolato ne è valsa la pena, comunque, anche se sento il bisogno di vomitarlo» biascico le parole, troppo stanca e piena per parlare come si deve e poi punto lo sguardo su Michael, silenzioso. «Che succede?»
Sussulta e ricambia il mio sguardo, sospirando leggermente. «Pensavo» risponde.
«A cosa?»
«Mi chiedevo se, alla fine di tutto, tu avessi perdonato tutti i miei sbagli» ammette, cercando di non farsi sentire da Sofia e Calum, intenti a parlottare della differenza tra l’uso della pancetta e del guanciale nella carbonara.
Rimango in silenzio per un po’, stupita dalle sue parole. Non è che ci abbia pensato molto, ultimamente. Queste due settimane sono state delle montagne russe, con picchi di gioia e picchi di tristezza, con litigi e riappacificazioni. E non so, in realtà.
Ho perdonato Michael? Non lo so neanche io.
Ma mi basta incrociare lo sguardo di Michael per trovare la risposta che sto cercando, mi basta incrociare quegli occhi verdastri che sono i miei, ma che nascondono la sua anima, per sapere le parole che andrò a pronunciare da un momento all’altro.
«Sì» rispondo con voce flebile. «Ti ho perdonato, Michael Clifford.»
Una luce fin troppo luminosa, bianca da far schifo, ci avvolge e quando riapro gli occhi, mi ritrovo davanti la famosa fontanella (che si trova fuori dal ristorante in cui abbiamo pranzato), Michael – proprio Michael, nel suo corpo – di fronte, con Calum al suo fianco.
Sofia, che si trova al mio, di fianco, lancia un urletto sorpreso. «Cos’è successo?» domanda quindi, spaventata.
«L’ho perdonato» mormoro solamente, lasciandomi andare ad un sorriso felice e ad un pianto liberatorio.
È tutto finito, è tutto finito.



 
carrd
   
 
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