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Autore: Kimando714    05/05/2021    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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Prima di lasciarvi al nuovo capitolo volevamo segnalarvi che nel nostro profilo Wattpad (di cui vi abbiamo lasciato il link diretto nella nostra pagina autrici qui su EFP) abbiamo pubblicato da poco una nuova One Shot, a tema Formula 1. Se siete fan o incuriositi, passate a darci un'occhiata!;)


 
CAPITOLO 73 - COME UNDONE



 
“Per quanto severo che sia un padre nel giudicare suo figlio, non sarà mai tanto severo come un figlio che giudica il padre” - Enrique Jardiel Poncela


 
L’odore di patatine fritte e di zucchero filato gli riempiva le narici, facendogli tornare fame nonostante avesse appena finito di mangiare una frittella fritta e ricoperta di zucchero.
C’era tanta gente intorno al tavolo dove erano seduti, tantissime famiglie con bambini probabilmente della sua età e anche più piccoli, tutti desiderosi di andare a fare un giro su una delle tante giostre che come sempre erano radunate in quel piazzale di Torre San Donato quando era periodo di fiera. C’era una famiglia con un altro bambino anche al loro stesso tavolo – avevano chiesto se potevano sedersi lì per cenare, visto che non erano rimasti più tavoli liberi in quella zona, vicino alle bancarelle.
Alessio aspettava solo che l’altro bambino, di cui nemmeno conosceva il nome, si muovesse a finire la sua cena. Avrebbero potuto giocare insieme, dopo, stringere una di quelle amicizie temporanee che durano giusto la sera della fiera – temporanea ma che avrebbe portato tanto divertimento ad entrambi. Oppure poteva sperare che sua madre finisse di allattare Irene, la sua sorellina di appena due anni che stava concentrando su di sé tutte le attenzioni di Eva; voleva convincere sua madre ad accompagnarlo fino alla pesca delle papere. Magari sarebbe riuscito a raccoglierne abbastanza per poter vincere un bel peluche nuovo.
Oppure poteva chiedere a suo padre di accompagnarlo, quando avrebbe finito di parlare con gli altri due genitori seduti al loro tavolo. Sembravano persi in una conversazione apparentemente infinita, e Alessio non poteva fare a meno di chiedersi cosa avessero così tanto d’interessante da dirsi tre adulti dall’aria noiosa.
Lanciò un’occhiata al piatto dell’altro bambino: stava mangiucchiando un hot dog, a piccoli morsi, e non era arrivato nemmeno a metà. Alessio calcolò che avrebbe potuto fare in tempo ad andare alla pesca, e poi tornare lì e convincerlo a giocare insieme. Doveva solo chiedere a suo padre se poteva accompagnarlo.
-Papà- lo richiamò, affiancandoglisi, gli occhi azzurri speranzosi.
Suo padre non si girò subito. Alessio dovette riprovarci un altro paio di volte prima di convincerlo a voltarsi verso di lui, e non appena si ritrovò gli occhi neri di Riccardo addosso, sentì ogni convinzione andarsene.
-Che c’è?- gli chiese lui.
Alessio attese qualche secondo prima di parlare:
-Mi accompagni alle giostre?- domandò, cercando di risultare convincete – Mi sto annoiando-.
Suo padre non si scompose minimamente:
-Non ora. Magari più tardi-.
Alessio non ebbe neanche la forza di protestare. Sapeva già che non c’era modo di convincere suo padre se gli aveva già detto di no una volta. E poi era già tornato alla conversazione di prima: non lo avrebbe ascoltato. Lanciò un’occhiata disperata verso sua madre, ma se ne stava ancora con Irene in braccio, totalmente ignara dello scambio di battute appena avvenuto tra Alessio e Riccardo.
Non sapeva quanto tempo fosse passato quando, finalmente, l’altro bambino aveva finito la sua cena. Ci era voluto molto poco per convincerlo a seguirlo, a pochi metri dal loro tavolo. Fu una mezz’ora di gioco spensierata, a tratti felice, almeno fino a quando il suo nuovo amico non venne richiamato dai suoi genitori, già in piedi e probabilmente pronti per allontanarsi – se per tornare a casa o per fare qualche altro giro tra le giostre e le bancarelle, Alessio non ne aveva idea.
Alessio lo salutò e lo guardò allontanarsi con il sorriso spento. Era di nuovo solo, ma forse ora anche i suoi genitori sarebbero stati più disponibili ad andare verso le giostre.
Iniziò ad incamminarsi verso il tavolo ancor prima che sua madre o suo padre lo richiamassero, fiducioso sul fatto che ora, forse, gli avrebbero dato più ascolto. Scivolò sull’asfalto, troppo distratto mentre già pensava a tutti i premi che avrebbe potuto vincere se fossero andati alla pesca delle papere; picchiò a terra con un ginocchio, sbucciandoselo inesorabilmente. Sentì gli occhi pizzicare, il dolore e il bruciore che gli facevano venir voglia di piangere.
Si rialzò a fatica, con il viso già rigato di lacrime, ma sforzandosi di non singhiozzare – aveva sette anni, ormai, e suo padre continuava a ripetergli che era troppo grande per piangere per delle cose del genere.
Quando arrivò ad affiancare la panca dal lato dove suo padre era seduto, stava tirando su con il naso. Fu probabilmente quello a richiamare l’attenzione di suo padre su di sé. Lo vide girarsi nella sua direzione, guardarlo da capo a piedi fino a quando non si accorse della sbucciatura sanguinolenta all’altezza del ginocchio sinistro.
-Che hai fatto?- gli chiese, chinandosi meglio per studiare la ferita.
-Sono caduto- farfugliò Alessio, ormai rinunciando a non piangere. Faceva male, troppo male, ed aveva bisogno di sfogarsi in una qualche maniera.
-Lo vedo- Riccardo glielo disse senza troppa durezza nella voce, ma nemmeno con calore – Avresti dovuto fare più attenzione. Sei sempre così sbadato-.
Prese un tovagliolo pulito per premerlo sulla ferita, senza aggiungere niente. Neanche Alessio disse nulla. Continuò a piangere più silenziosamente possibile, dando ragione a suo padre: era colpa sua se era caduto e si era fatto male. Non poteva lamentarsi se ora gli doleva il ginocchio.


 
Alessio aprì gli occhi di scatto.
Sbatté le palpebre un paio di volte, spostando le pupille per guardarsi intorno, prima di rendersi conto di dov’era. Attorno a lui si apriva la sua stanza dell’appartamento a Venezia, quello che divideva con Pietro, l’appartamento dove aveva vissuto negli ultimi undici mesi.
Non era a casa con sua madre e sua sorella, né tantomeno alla fiera di settembre di Torre San Donato, né in compagnia di nessuno. Era solo, steso nel suo letto, un velo di sudore sulla fronte e le lenzuola aggrovigliate tra i piedi e le gambe.
Lasciò che la realtà lo abbracciasse di nuovo. Era una mattina piovosa, da come poteva giudicare dal cielo grigio che si intravedeva dalla sua finestra, ed era anche la mattina prima di un altro esame della sessione estiva – motivo per il quale si era svegliato lì a Venezia, e non nella sua vecchia stanza nel paesello dove aveva vissuto tutta la vita.
Per quanto potesse essere fisicamente solo, non riusciva a scacciare la sensazione degli occhi scuri di suo padre su di sé. Era stato solo un sogno – il sogno di un ricordo, il ricordo di una sera qualsiasi di quattordici anni prima-, ma era come se suo padre fosse ancora lì. Come se la sua presenza fosse reale.
Era la prima volta che lo sognava.
Alessio si passò una mano sul viso, facendo ricadere indietro la testa sul cuscino con un sospiro avvilito. Non sentiva alcuna energia nel corpo, solo la sensazione di umiliazione e vuoto presente all’altezza del petto. Gli ci sarebbe servito ancora molto per trovare la forza di alzarsi da quel letto.
E intanto avrebbe continuato a sentirsi addosso ancora quegli occhi, vividi come non mai anche se esistenti solo nella sua mente, occhi che lo schiacciavano a terra ogni volta.
 
*
 
-Dovremmo fare un brindisi alla fine della maturità, ora che finalmente sappiamo che nessuna di noi due è stata bocciata- Giulia aveva scambiato un sorriso d’intesa con Caterina, che si era limitata a ridere e annuire con convinzione.
Alessio si passò una mano tra i capelli, rendendoli ancora più spettinati di quel che già erano; doveva decidersi ad andare ad accorciarli, visto che, lunghi com’erano, probabilmente tra poco sarebbe riuscito a tenerli legati con un elastico in una coda comunque cortissima.
Stava sudando, letteralmente morendo di caldo, e a poco servivano i sorsi di spritz fresco che ogni tanto prendeva dal suo bicchiere poggiato sul tavolo. Sperava sempre di trovare conforto nella sua freschezza frizzante, cercando di concentrarsi sulle parole che Giulia – seduta proprio di fronte a lui, tra Filippo e Caterina – aveva appena finito di pronunciare.
A quell’ora del pomeriggio, in quel sabato limpido e caldo, Padova era letteralmente un brulicare di gente che si disperdeva in ogni direzione: tra turisti, persone che si erano spostate nel centro della città per fare compere o semplicemente per una passeggiata, lui, Giulia, Caterina, Nicola, Filippo, e Pietro avevano fatto fatica a trovare un bar con almeno un tavolino vuoto dove potersi sedere.
Trovarsi tutti insieme lì a Padova, la metà via perfetta tra Torre San Donato e Venezia da raggiungere in treno, era stata un’idea dell’ultimo minuto, e da quel che ne sapeva Alessio doveva essere stata Giulia stessa a proporla attraverso Filippo.
-Forse non lo hai ancora notato, ma siete in mezzo ad un gruppo di universitari disperati che ancora anelano alla fine della sessione- replicò Pietro,  il dito puntato verso Giulia e Caterina, e il sopracciglio alzato con disappunto – E no, non è affatto detto che nessuno di noi non rimarrà bocciato in un qualche dannato, stupido, inutile esame. Ergo sarebbe alquanto insensibile un brindisi del genere-.
Alessio rise appena sotto i baffi. Era sinceramente contento di vedere sia Giulia che Caterina più rilassate ora che avevano concluso la maturità, e che potevano finalmente godersi le giornate afose e soleggiate di luglio in relax e totale distensione, preoccupandosi solamente di recuperare tutte le energie mentali e fisiche che la maturità aveva sottratto loro per settimane. Solamente avrebbe voluto anche lui, esattamente come aveva fatto notare Pietro, poterlo fare, senza pensieri, senza libri da studiare, e senza l’ansia tipica della sessione.
Non si pentiva però di essersi preso quel pomeriggio per respirare un po’. Sembrava potesse andare tutto per il meglio, lì tutti insieme, in un pomeriggio estivo così spensierato come non capitava ormai da tempo.
-Non portare sfiga con gli esami, fammi questo favore- Nicola borbottò quelle parole guardando torvo Pietro, sguardo che non sortì alcun effetto sull’altro:
-Disse colui che aveva la media del trenta-.
Prima che Nicola potesse ribattere, ci pensò Caterina ad intromettersi:
-Vi prego, almeno per oggi non azzuffatevi verbalmente come al solito- sbuffò, fintamente esasperata.
Alessio rise di nuovo. Gli sembrava di essere tornato all’estate precedente, quando finalmente le cose si erano rimesse a posto e il loro gruppo aveva ritrovato la serenità e l’unità che era mancata per tanto tempo. Era una situazione parallela, anche se non poteva negare a se stesso che c’erano ancora delle piccole crepe sotto quella superficie di tranquillità: non riusciva a non notare gli sguardi persi nel vuoto a cui si lasciava andare Pietro quando la maschera cadeva e smetteva di fingere che andasse tutto bene, e non riusciva neanche a non percepire una sottile linea di tensione che aleggiava ancora tra Caterina e Nicola, anche se non sembrava essere necessariamente negativa.
-Comunque- Giulia aveva appena ripreso la parola, e Alessio si distrasse dai suoi pensieri per concentrarsi sulla sua voce – Qualcuno qui deve ancora presentarci la sua nuova fidanzata, o sbaglio?-.
Anche se non la stava direttamente guardando, non ci voleva un genio per capire a chi stesse alludendo.
Alessio si riprese improvvisamente, lasciandosi alle spalle lo stato di torpore in cui era quasi caduto a causa del caldo che mal sopportava, e della stanchezza che si trascinava dietro da giorni. Non appena alzò lo sguardo incrociò gli occhi verdi di Giulia, puntati innocentemente su di lui, così in contrapposizione con il sorriso malizioso che gli stava rivolgendo.
-Mi sembra che le notizie viaggino un po’ troppo liberamente in questo gruppo- si ritrovò a rispondere, fintamente indifferente – E comunque potrebbe essere solo una voce di corridoio-.
Un po’ si sentì in colpa nei confronti di Alice nel parlare così di entrambi, ma non riuscì a non lasciar trapelare una certa irritazione per il continuo modo in cui gli altri si stavano inevitabilmente facendo gli affari suoi. Evitò lo sguardo di Pietro, immaginando potesse essere stato lui a far girare quella notizia, sentendosi vagamente ferito anche solo da quella possibilità.
-Non fare il misterioso, ormai lo sanno anche i muri che hai abbandonato il tuo storico stato da single- Giulia non demorse affatto, facendo sbuffare Filippo:
-E stavolta io non ho detto nulla- precisò, alzando le mani – Anche perché non ne sapevo nulla-.
-Ma quindi è vero o no?- si intromise Caterina, confusa e con la fronte corrugata.
Alessio sospirò a fondo, ormai convinto non ci fosse altra via d’uscita:
-È vero- ammise, senza troppo entusiasmo.
Si levarono diverse esclamazioni dal tavolo, ed Alessio non poté fare altro che rimanere in silenzio ad arrossire ancora di più, sentendosi terribilmente in imbarazzo.
-Beh, finalmente!- Giulia fu di nuovo la prima a parlare – Ora non ti resta solo che presentarcela-.
Si era del tutto aspettato un discorso del genere, ed era già rimasto sorpreso che fosse venuto fuori solo dopo così tanto tempo da quando aveva preso ad uscire e frequentare Alice. D’altro canto era solo questione di tempo prima che gli altri cominciassero a fargli domande.
-Giulia, è la sua ragazza- provò a quietarla Filippo, con il solo risultato di ricevere un’occhiata fulminante dalla diretta interessata – Decideranno loro quando farlo-.  
-Ma siamo i suoi migliori amici, ovvio che ce la deve far conoscere-.
A quelle parole di Giulia, Caterina scoppiò a ridere immediatamente:
-Per capire se è abbastanza di tuo gradimento?- la provocò divertita, tra le risate – Sia mai che non sia abbastanza degna per il tuo Raggio di sole-.
Alessio soppesò per qualche attimo l’idea di sbattere la testa contro il cemento della pavimentazione della piazza.
-Prima o poi ve la presenterò- si sforzò a dire, respirando a fondo – In queste settimane aveva diversi esami all’università, e poi la sera lavora. E comunque prima di farvela conoscere come minimo dovrò prepararla psicologicamente, o potrebbe anche non reggere l’esperienza-.
“E dovrò prepararmici anche io”.
Ignorò deliberatamente lo sguardo truce che Giulia gli rivolse in risposta; era invece riuscito a provocare diverse risate a Caterina, Filippo e Nicola, ma tenendo lo sguardo altrove per gran parte del tempo non si era nemmeno accorto subito del viso evidentemente rabbuiato di Pietro, rimasto in silenzio per tutta la conversazione. La stessa espressione che gli si era come stampata in viso da mesi, ormai.
Alessio cercò di non farsi altre domande – le solite che si faceva da troppo tempo. Si ritrovò invece a pensare che ormai aveva poco senso continuare a tenere separati Alice e gli altri: le richieste di presentazione stavano arrivando da entrambi i fronti – Alice perché probabilmente si sarebbe sentita più sicura nel momento in cui avesse deciso di farle conoscere i suoi amici più stretti, loro perché ormai erano incuriositi da lei-, e il tempo di cedere si stava facendo vicino.
Prima o poi avrebbe davvero fatto incontrare Alice ai suoi amici, quando si sarebbe presentato il momento più adatto. Forse nemmeno lui si rendeva conto di quel che aveva iniziato a vivere in quegli ultimi mesi, distratto dal trambusto che si era scatenato nel loro gruppo: a volte si ritrovava a pensare ad Alice, e quasi non credeva possibile il fatto che stessero uscendo insieme, frequentandosi con una naturalezza tale da lasciarlo stranito ogni volta di più.
Aveva una ragazza con cui si trovava bene, un primo anno all’università che l’aveva entusiasmato come non avrebbe mai creduto, degli amici che, tra tutte le difficoltà che avevano avuto, erano ancora presenti intorno a lui. Forse doveva cominciare davvero a sorridere alla vita quanto la vita gli stava sorridendo.
“Manca sempre qualcosa, però”.
Prese un altro sorso di spritz, nel misero tentativo di rinfrescarsi almeno le labbra. La voce di Filippo, che aveva preso parola approfittando del silenzio piccato di Giulia per cambiare argomento, gli arrivava ovattata, lontana. Sentiva troppo caldo, e la testa cominciava a girargli fastidiosamente come durante un calo di pressione.
Alessio fece vagare il occhi per Piazza dei Signori, cercando di non prestare troppa attenzione a quel suo malessere momentaneo. C’era davvero una marea di gente che stava camminando in quel momento in quella zona di Padova, in quella piazza grande e delimitata da palazzi antichi.
Anche al bar dove si trovavano loro, sotto gli ombrelloni esterni che ombreggiavano ben poco, non rimaneva quasi più alcun tavolino libero. Alessio spostò lo sguardo davanti a sé giusto in tempo per vederne l’ultimo libero essere occupato, e sentirsi mancare il fiato nell’attimo stesso in cui riconobbe chi si era appena seduto su quelle sedie.
Scostò gli occhi come se fosse appena rimasto accecato, il respiro che si faceva affannato e il cuore che sembrava pronto ad esplodergli da un momento all’altro.
“Non è possibile”.
Si chiese, in un attimo pieno di panico, se stava ancora sognando. Se tutto ciò che gli era intorno fosse solo frutto della sua mente; forse stava ancora dormendo, come era successo qualche giorno prima, e quello era solo uno scherzo del suo inconscio – qualcosa che non stava avvenendo davvero.
Eppure le risate e le voci dei suoi amici sembravano troppo reali. E quello non era un ricordo, non era qualcosa di già accaduto: stava avvenendo in quel momento, nella realtà.
Forse stava solo cercando di convincersi che fosse solo l’ennesimo sogno perché non credeva a ciò che aveva visto, o forse perché non voleva.
Alzò piano il capo, cauto ed attento a non lasciar emergere l’inquietudine che l’aveva assalito.
Ci aveva davvero sperato, di essersi sbagliato, di aver visto male, di averlo scambiato per qualcun altro, di essersi immaginato tutto per uno stupido scherzo del destino. L’ironia della sorte, però, sembrava avercela proprio con lui, perché non era affatto una sua illusione o un miraggio.
D’altro canto sarebbero anche potuti passare altri due anni, anche dei decenni: dubitava fortemente che il viso di suo padre l’avrebbe mai dimenticato. Appariva nitido come quando l’aveva sognato pochi giorni prima, più vecchio rispetto alla sua immagine nel sogno, ma inequivocabilmente lui.
Alessio sospirò a fondo, cercando di mantenere una parvenza di calma esteriore. Il mondo attorno a lui sembrava essersi improvvisamente svuotato, e le chiacchiere dei suoi amici gli giungevano come se fosse sempre più lontano da loro, la mente e i pensieri catalizzati da quell’unica figura che aveva appena scorto.
Riccardo non sembrava esser cambiato per niente in quei due anni che non l’aveva visto: i capelli erano ancora perfettamente neri, il solito ghigno appena accennato  che lasciava trasparire freddezza e indifferenza, a tratti indecifrabile, che in quel momento rivolgeva alla donna che gli stava seduta di fronte. Non aveva idea di chi fosse lei, voltata di tre quarti e impossibilitato ad osservarne bene il volto; a giudicare così, da un primo sguardo, non le avrebbe dato più di venticinque anni. La vide avvicinare il volto a quello di Riccardo, per scambiare un bacio fugace, e Alessio non poté fare a meno di sentire le unghie conficcarsi nei palmi delle mani strette a pugno sotto il tavolo, lontane dagli occhi dei suoi amici.
“Non ha perso tempo”.
Detestò la sensazione di tradimento che provò all’altezza del petto. Non riuscì però ad ignorare la rabbia che cominciava a farsi sempre più strada in lui, ogni secondo che passava con gli occhi puntati su di loro.
Sentiva le vecchie ferite sul punto di riaprirsi, lasciandolo ancora una volta sanguinante e inerte di fronte alla realtà: continuava a tenere gli occhi fissi su Riccardo, e il senso di disgusto sempre più crescente non faceva altro che tenerlo incollato alla sedia, impedendogli di alzarsi e andare da lui – e andare da lui a che pro? Per dirgli cosa?.
Si sentiva completamente imbambolato, soggiogato dagli occhi neri di suo padre che sembravano non averlo nemmeno scorto.
 
So unimpressed but so in awe
Such a saint but such a whore
So self aware, so full of shit
So indecisive, so adamant
 
E poi fu un attimo, così fugace che Alessio non se ne rese nemmeno conto: Riccardo doveva essersi sentito fin troppo osservato, fin troppo preso in esame per non girare lo sguardo quel tanto che bastava per incrociare il suo viso tirato e teso.
Alessio si morse il labbro inferiore, distogliendo gli occhi in ritardo, ben consapevole che non sarebbe bastato quello per non farsi scoprire; tenne il viso in direzione del resto della piazza, ma sentiva perfettamente le iridi scure scrutarlo come poco prima aveva fatto lui stesso verso suo padre. Sperava e attendeva con ansia che quegli interminabili secondi finissero, che suo padre decidesse al posto suo di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Si chiese se avrebbe deciso di avvicinarsi. Avrebbe provato a creare un minimo contatto?
L’unica certezza che ebbe Alessio fu che non agì in quei pochi minuti. Con la coda dell’occhio lo scorse rimanere fermo, a tratti indifferente.
Alessio cercò di prendere qualche respiro profondo, in un tentativo quasi del tutto inutile di calmarsi. Solo dopo aver tentato si decise a  rialzare il capo e osservare nuovamente il viso di Riccardo, freddo e inquieto. Non si era mosso, né gli aveva rivolto un saluto: l’aveva visto, e si era limitato a prender nota della sua presenza, distaccato e gelido, capace di gettare Alessio nello sconforto più puro ancora una volta.
Rimase immobile anche lui, come svuotato di qualsiasi cosa.
Avvertì la confusione farsi strada in lui. Avrebbe fatto meglio ad andarsene? Ma che avrebbe potuto dire agli altri, senza dover spiegare che aveva appena rivisto suo padre totalmente per caso e che desiderava solamente scappare?
Forse doveva solo aspettare. Forse sarebbe stato Riccardo a decidersi di fare qualcosa – gli si sarebbe avvicinato perlomeno per salutarlo?-, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe mai successo. Era pur sempre la stessa persona che prima di andarsene gli aveva reso la vita a casa un inferno, la stessa persona che se ne era andata in un giorno qualsiasi senza dire nulla né a lui né a sua sorella.
Lo stesso uomo che aveva lasciato alle spalle sua moglie e i suoi figli senza mai farsi vivo in più di due anni.
Forse sarebbe stato meglio così. Che mai avrebbero potuto dirsi, dopo tutto quel tempo? Eppure la sola idea di vederlo andarsene, senza avergli rivolto nemmeno una parola faceva sentire Alessio lacerato.
Sapeva che in realtà c’erano molte cose lasciate ancora in sospeso tra loro. E sapeva anche che, in fondo, la sua assenza era stata così dura da sopportare proprio perché non aveva mai avuto modo di risolvere quelle stesse cose. Avrebbe voluto dirgli tante di quelle parole che non riusciva a trovare un filo logico con cui legare i pensieri, e sapeva che, così facendo, sarebbe finito per dire solo il minimo di quel che si teneva dentro da anni.
Alzò di nuovo gli occhi nella direzione di suo padre: Riccardo sembrava del tutto intenzionato a ignorarlo, stando ben attendo a non girare il volto nuovamente dove sapeva avrebbe trovato Alessio. Sembrava totalmente preso dalla conversazione con la donna che lo accompagnava, anche se il pallore del viso e la fronte corrucciata tradivano un timore che, ad un occhio attento, traspariva ogni secondo di più.
Alessio respirò a fondo, ancora una volta, incapace di prendere una decisione: si sentiva così maledettamente in soggezione, così arrabbiato con se stesso e con Riccardo da non riuscire a ragionare lucidamente. Gli sembrava di essere ripiombato improvvisamente nell’estate di due anni prima, con la sola differenza che, stavolta, suo padre gli era proprio davanti agli occhi.
-Stai bene?-.
Quasi sobbalzò quando avvertì la voce di Pietro dannatamente vicina a lui. Lo aveva colto del tutto impreparato. Tornò a voltarsi, scorgendo l’altro sportosi dalla sua sedia di fianco alla sua, il volto confuso che lasciava capire che doveva aver intuito qualcosa.
Alessio scrollò le spalle:
-Perché non dovrei stare bene?- domandò, rendendosi conto di essere stato troppo brusco. Era di sicuro il modo più veloce per confermare ciò che Pietro doveva avergli letto in faccia.
-Sembri un po’ agitato- replicò lui, mentre Alessio riportava velocemente lo sguardo su Riccardo: con la coda dell’occhio l’aveva visto muoversi, accennare ad alzarsi, accompagnato anche dalla ragazza.
Alessio si morse il labbro, il cuore che batteva sempre più velocemente: doveva essere evidente, ormai, come fosse effettivamente inquieto, ma in quel momento non gli importava di rispondere a Pietro per spiegargli la situazione. Non voleva fare altro che aspettare la prossima mossa di Riccardo, ormai in piedi.
Era solo una sensazione, ma era sicuro che non si fosse alzato per andare da lui. Sembrava piuttosto intenzionato ad andarsene, prima ancor di aver ordinato – forse aveva rifilato qualche patetica scusa per convincere la ragazza a seguirlo in qualche altro bar.
Sembrava che l’unica occasione per parlargli gli stesse scivolando lentamente dalle mani, scorrendo lontano dalle sue dita, tornando ad essere il nulla che era stato per due anni. Riccardo se ne stava andando, e con lui anche la possibilità di fermarlo, di impedirgli di nuovo di andarsene e sparire come se niente fosse mai accaduto.
Erano gli ultimi secondi per non pentirsi di non aver fatto nulla, per provare a non rimanersene in silenzio ancora una volta.
Nel momento stesso in cui Riccardo e la donna accennavano ad allontanarsi dal tavolo che avevano occupato fino a quel momento, Alessio buttò giù quel che rimaneva del suo spritz, prima di alzarsi sotto gli occhi attoniti dei suoi amici.
Non aveva idea di cosa avrebbe detto, né di come Riccardo avrebbe reagito, ma non gliene importava. Sapeva solo che i passi per arrivare ad un metro dalla sua schiena erano stati troppo pochi per poter formulare un pensiero lucido e delle parole decenti per costringerlo a voltarsi.
 
I’m contemplating thinking about thinking
It’s overrated just get another drink and
Watch me come undone
 
In quei due anni aveva pensato spesso a come sarebbe stata la prima volta in cui avrebbe rivisto Riccardo, anche se si era sempre convinto che un tale evento non sarebbe mai accaduto. Si era immaginato arrabbiato, ferito e completamente disorientato – come effettivamente stava accadendo-, ma nelle sue conversazioni immaginarie con suo padre riusciva sempre a trovare le parole giuste al momento giusto, a dirgli tutto ciò che aveva pensato in tutto quel tempo, ad urlargli tutto il suo rancore e il senso d’ingiustizia che l’avevano investito troppo a lungo. Riusciva, seppur in modo sottile, a farlo sentire allo stesso modo, a ferirlo e a farlo sentire in colpa per ciò che aveva fatto.
-Non pensavo saresti arrivato al punto di fare addirittura finta di non vedermi!-.
Quella era una delle frasi che aveva sempre pensato che gli avrebbe gridato. E lo aveva appena fatto, ma nell’esatto istante in cui Riccardo si era voltato verso di lui, portando finalmente gli occhi neri ad incrociare quelli azzurri di Alessio, si ritrovò con la mente completamente svuotata e la gola secca. Non era come nella sua immaginazione: non c’era audacia in lui, nessuna sfacciataggine sufficiente che gli permettesse di continuare a parlare.
Poteva almeno consolarsi che la sua voce non era risultante tremante come aveva temuto.
Riccardo si era definitivamente fermato, anche se per alcuni secondi Alessio ebbe come l’impressione che volesse ignorarlo ancora una volta, lasciandolo lì come un pazzo che urlava al primo che passava. Invece rimase lì, immobile e fermo: non sembrava sorpreso, né in attesa di qualcosa. Scrutava Alessio con lo stesso sguardo freddo e scuro di prima, il ghigno canzonatorio che sembrava essere sparito.
-Ma che succede?- la giovane donna a fianco di Riccardo si rivolse direttamente a lui, spostando lo sguardo stranito su Alessio solo per qualche secondo. Ora che la poteva guardare in faccia, Alessio si sentì un groppo in gola, nel notare che la ragazza doveva avere davvero a malapena qualche anno più di lui.
-Ma chi è questo?- la sentì mormorare ancora, quando Riccardo non le rispose alla prima domanda.
Alessio cercò di ignorarla, anche se sentirsi nominare in quel modo non stava facendo altro che aumentare la sua agitazione e la rabbia. Riuscì a trattenersi dall’urlarle di tacere solo nella speranza di sentir finalmente suo padre dire qualcosa, dargli anche il più piccolo gesto d’attenzione.
-Non succede niente- Riccardo non si era nemmeno voltato verso di lei nel pronunciare quelle parole lentamente, con calma calibrata. Si girò solo per un attimo fugace, dicendole qualcosa all’orecchio – Alessio non poté ascoltare, anche se dubitava altamente le stesse dicendo che suo figlio era appena sbucato fuori a rovinare il loro pomeriggio-, spingendola, qualsiasi cosa le avesse appena sussurrato, a fare qualche passo indietro, allontanandosi da loro, le braccia incrociate al petto e lo stesso sguardo disorientato di prima.
Riccardo invece fece un passo avanti, riducendo la distanza da Alessio, ancora impassibile:
-Il tempo passa, ma sembra che tu non cresca mai. Sei istintivo e incosciente come lo sei sempre stato, figlio mio-.
Alessio non seppe interpretare il neonato sorriso che accompagnò le parole di Riccardo: poteva riconoscervi derisione e scherno, orgoglio e fierezza. Eppure lo sguardo tradiva allo stesso tempo una punta di dolcezza, quasi come se si sentisse in colpa per averlo trattato come uno sconosciuto qualsiasi. Alessio si dette dello stupido mentalmente per quell’impressione che gli occhi di Riccardo gli stavano trasmettendo: doveva essere solo una sensazione ingannevole, un’illusione dolceamara.
La donna continuava a fissarli da più distante, stranita e spaesata, messa in disparte. Riccardo non sembrava averle dato alcuna spiegazione, e Alessio dubitava fortemente gliene avrebbe data una più tardi. Non sembrava nemmeno più interessato alla sua presenza, in quell’istante, mentre lasciava dardeggiare gli occhi d’ebano su di lui.
Alessio sentì la gola farsi sempre più secca, con il cuore che ancora non accennava a rallentare il battito. Immaginava che gli occhi dei suoi amici fossero tutti puntati su di lui e Riccardo. Se li sentiva addosso, ma non aveva idea se avessero capito cosa stava succedendo.
-Che ci fai qui? A Padova?-.
Alessio si pentì immediatamente di quella domanda: gli parve stupida, senza senso, e di certo non aveva davvero molta importanza il motivo per cui Riccardo si trovava in città.
-Ci vivo- replicò Riccardo, la voce profonda e a tratti altezzosa. Continuava a rivolgergli quell’espressione indecifrabile, restio perfino a sbilanciarsi troppo nelle parole.
Per un attimo Alessio quasi faticò a credere a quel che aveva sentito: ci viveva? Quindi era rimasto lì per tutti quei due anni in cui non aveva fatto avere alcuna sua notizia?
Non seppe reagire alla notizia che suo padre fosse stato sempre molto più vicino di quanto non aveva mai saputo.
Sapeva che non gli avrebbe detto molto altro. Quell’atteggiamento cominciava a dargli sui nervi: ci era sempre stato abituato a quelle mezze parole e significati sottintesi che suo padre lasciava trasparire nelle sue frasi. In quel momento, però, non avrebbe voluto altro che sentirgli dire, per una buona volta, la verità che stava dietro tutto quel che era successo.
Alessio si ritrovò a sbuffare, esasperato e confuso:
-Non è che potessi saperlo, visto che non hai più fatto sapere niente di te dopo che … - la voce gli morì in gola, e si vergognò ancor di più nell’aver ceduto così facilmente davanti a Riccardo.
Si passò la lingua sulle labbra, percependole secche e dandogli una fastidiosa sensazione. Il suo nervosismo gli stava dando problemi su qualsiasi fronte.
-Sono due anni che cerco di capire mille cose, e … - Alessio strinse i pugni, odiandosi per il fatto di non riuscire a non bloccarsi – E ora fai finta addirittura che io non esista, e a malapena mi parli-.
“E quando mai mi ha parlato?” si ritrovò a pensare.
Aveva forse sperato che potesse essere cambiato qualcosa in quel lasso di tempo? Ma era evidente che non era successo: se non fosse stato per la sua iniziativa, Riccardo si sarebbe allontanato senza nemmeno rivolgergli un cenno di saluto.
Si sentì patetico, come un bambino capriccioso che non riusciva a convincere il proprio padre a dargli ciò che voleva. Un po’ come era sempre stato.
Il sogghigno di Riccardo si era pian piano affievolito, ma la durezza degli occhi non aveva lasciato spazio ad alcuna esitazione.
-Ho risposto all’unica domanda che mi hai fatto, se non sbaglio-.
-Quindi sei sempre stato qui?- Alessio alzò inevitabilmente la voce, trattenendosi a stento dall’urlare – Per due anni sei stato qui e non hai mai detto nulla?-.
Per la prima volta in quella conversazione Riccardo sembrò abbandonare per un attimo la freddezza che lo aveva contraddistinto fino a quel momento: aprì e richiuse le mani a pugno, in un gesto nervoso, e serrò maggiormente le labbra. Sembrava in difficoltà, e Alessio non poté fare a meno di sperare di esser riuscito a scalfire, almeno in parte, quella sua riluttanza a parlare sinceramente.
-Ero qui, in effetti- Riccardo rivolse lo sguardo altrove per alcuni attimi, rilasciando un sospiro prolungato, prima di tornare con il viso ad Alessio:
-Non comportarti come se ti fossi mancato-.
Alessio rimase in silenzio, raggelato da quelle che sembravano parole che Riccardo doveva trovare realmente sincere: non vi era più alcun ghigno a disegnarli le labbra sottili, nessuna parvenza di beffa negli occhi.
-Come fai a dirlo senza neanche battere ciglio?-.
-Non c’è bisogno che te lo spieghi- la voce di Riccardo era stata più fioca, poco più di un sussurro che Alessio aveva percepito a malapena.
In quel momento, ai suoi occhi, Riccardo sembrava perfino più fragile di lui, abbattuto, consapevole degli innumerevoli errori che si era lasciato alle spalle. Alessio avrebbe preferito mille volte avvicinarglisi, accennare ad un abbraccio, piuttosto che continuare ad urlargli come aveva appena fatto; si costrinse a rimanere immobile, fermo dove si trovava, combattendo quel bisogno di un gesto d’affetto – lo stesso affetto che gli era sempre mancato- da parte di Riccardo che gli faceva crescere il groppo in gola ogni secondo di più.
Riccardo rimase in silenzio, lo sguardo stavolta distante dagli occhi di Alessio, che continuava a osservarlo in attesa.
Alessio ne ripercorse i tratti del viso: erano stati così simili ai suoi, anni prima, e li conosceva intimamente a memoria, tanto che avrebbe potuto ricalcare il viso di suo padre a occhi chiusi, senza alcuna indecisione. Riconosceva anche le rughe intorno agli occhi e sulla fronte, che donavano un senso di invecchiamento fin troppo precoce per un quarantenne come lui; la bellezza che doveva essere appartenuta a Riccardo in gioventù era già sfiorita, e Alessio non credeva che sarebbe mai riuscito a definirlo ancora come un bell’uomo. Non era bello, non aveva nemmeno più un’aria giovanile, ma emanava comunque quel fascino che, a quanto pareva, riusciva ancora ad attrarre donne ben più giovani ed avvenenti.
Lo guardava stretto nella camicia che portava, che nascondeva un corpo ormai non più ben allenato come una volta. I capelli però erano ancora di quel nero che non presentava alcuna striatura grigia, il nero che richiamava anche il colore profondo delle iridi.
Per un attimo fu di nuovo tentato di avvicinarsi. Con uno sforzo riusciva perfino a ricordare il profumo di Riccardo, quell’odore maschile e intenso che inevitabilmente ricollegava a lui e a tutti gli abbracci che tra loro non c’erano mai stati.
 
So rock and roll, so corporate suit
So damn ugly, so damn cute
So well-trained, so animal
So need your love, so fuck you all
 
-Come sta tua sorella?- Riccardo spezzò il silenzio per primo, e Alessio per poco non sobbalzò, ormai abituatosi a quello stallo che sembrava infinito.
-Sta bene-.
-Immagino si possa dire lo stesso per te-.
Alessio sbuffò inevitabilmente:
-Ti interessa davvero saperlo?- gli chiese, con amarezza nella voce – Tu, invece, te la stai passando davvero bene-.
Non nascose il sarcasmo nella propria voce, facendo un cenno con il capo verso la donna; lei se ne accorse,  limitandosi però a guardarlo infastidita e rimanendo in silenzio.
-Complimenti, non hai perso tempo a rifarti una vita- aggiunse Alessio – O magari a rovinargliela a qualcun altro-.
-È quel che si fa quando si chiude una pagina della propria vita: si ricomincia- Riccardo scosse il capo, un sorriso altrettanto amaro a increspargli le labbra – Quello che hai fatto anche tu. Vai all’università, vivi a Venezia … Non puoi certo lamentarti-.
Alessio si ritrovò a sgranare gli occhi, d’un tratto confuso e disorientato: non parlava con suo padre da anni, e di certo non poteva essere venuto a conoscenza dei fatti più recenti casualmente.
-Come fai a saperlo?- gli chiese in un filo di voce, talmente piano che temette non sarebbe stato in grado di farsi udire.
Si domandò con chi avesse potuto parlare ultimamente, ma non gli venne in mente nessuno che potesse convincerlo: sua sorella non gli era mai sembrata molto intenzionata a riallacciare così tempestivamente i rapporti, e sua madre sembrava essere della sua stessa idea. Ma allora com’era possibile? Continuò a tenere aggrottata la fronte, sempre più disorientato.
-Ho parlato con tua madre, un mese fa- la risposta di Riccardo non si fece attendere, ed Alessio dovette sforzarsi per non sommergerlo di mille domande in proposito a ciò che aveva appena sentito.
-Cosa?- Alessio si rese conto di non essere riuscito a mascherare la sua sorpresa – Per dirle cosa?-.
“Com’è possibile?”.
Era sicuro che sua madre non gli avesse detto nulla del genere, non nelle ultime settimane. E poi non riusciva a credere che Riccardo potesse aver davvero fatto una cosa del genere: per quale assurdo motivo doveva essere ricomparso nella vita di sua madre così improvvisamente? Mille idee gli ronzavano in testa, ma nessuna gli sembrava immaginabile; sentiva una sensazione negativa farsi strada in lui, come se conoscere finalmente la soluzione a quel dilemma non avrebbe fatto altro che mandarlo in crisi ancor di più.
-Le carte del divorzio- Riccardo alzò le spalle, come se la risposta fosse una cosa totalmente ovvia – Sarebbe alquanto illogico portare avanti un matrimonio che era già morto secoli fa, vincolando entrambi ad una vita che ormai ci va stretta-.
Alessio si ammutolì improvvisamente, sentendosi come se fosse appena andato a impattare contro un muro, dopo una corsa a folle velocità.
Gli sembrava tutto così ovvio, ora, una questione così materiale che lo faceva sentire avvolto nello squallore più puro. La naturalezza con la quale Riccardo gli aveva dato la notizia cozzava inevitabilmente con il silenzio che gli aveva riservato sua madre per tutto quell’ultimo periodo.
Riccardo doveva aver colto il cambio d’espressione del suo volto: si era fatto più serio, forse chiedendosi cosa di sbagliato avesse appena detto.
-Non ti ha detto niente, immagino-.
-No- Alessio scosse appena il capo, la voce che si era fatta appena udibile, e la voglia di mandare al diavolo tutti quanti sempre più insopprimibile. Sua madre glielo aveva tenuto nascosto ed aveva intenzione di non dirgli niente ancora per molto? O magari era solo questione di pochi giorni prima che fosse lei a dargli la notizia? Non ne aveva idea, ma ormai non aveva più alcuna importanza.
Tenne lo sguardo abbassato, vacuo, ma non gli servì guardare Riccardo in volto per intuire l’amarezza e il rimprovero che dovevano averlo colto:
-Forse avrebbe fatto bene a dirtelo, piuttosto che rischiare di fartelo scoprire così -.
Alessio sbuffò sonoramente, passandosi una mano sul volto teso. Sentì la pelle del palmo prudere nel passare sopra la barba ispida, e allo stesso modo sentiva il nervoso e la rabbia ritornare a farlo tremare.
-Non credo pensasse che potessi mai parlare con te ancora- sbottò con una certa veemenza.
Riccardo se ne restò immobile come una statua di marmo, il volto freddo che non riusciva a trasmettere alcun sentimento sincero ad Alessio:
-Forse no-.
-Tu di certo non ti saresti mai fatto vivo- Alessio con durezza, cercando di non far apparire troppo evidente il nervoso crescente, e la voglia di piangere tutte le lacrime d’odio che in quel momento scalpitavano per uscire dagli angoli degli occhi – Non me l’avresti mai detto, come non mi dirai molte altre cose che mi dovresti-.
-Per esempio?-.
La domanda di Riccardo lo spiazzò totalmente, lasciandolo interdetto e taciturno a guardarlo con occhi sgranati; non riusciva a capire se così facendo lo stesse prendendo in giro o fosse davvero serio.
Alessio rimase fermo ad osservare ancora una volta il viso di suo padre, rugoso e una volta così simile al suo – poteva aver ereditato i capelli biondi e gli occhi azzurri di Eva, ma i tratti del suo viso ricalcavano quasi perfettamente quelli di suo padre-; ancora una volta non vi scorgeva alcuna emozione, a parte lo sguardo grave negli occhi scuri. Forse non era davvero interessato alla risposta, pensò Alessio, forse era solo una provocazione, un modo per farlo esplodere più velocemente e toglierselo dai piedi più in fretta.
Quella situazione così in bilico non lo rassicurava, né lo spingeva davvero a dirgli tutto ciò che pensava: avrebbe voluto urlargli volentieri in faccia tutto il suo sdegno, tutta la rabbia accumulata in due anni, ma sentiva come un blocco che gli impediva di fare qualsiasi cosa.
Si domandò per un breve momento come avrebbe potuto reagire Riccardo di fronte ad una sua possibile reazione rabbiosa: si sarebbe forse sentito in colpa, almeno in parte? Forse gli si sarebbe avvicinato? Alessio non ci avrebbe scommesso. Sentiva suo padre così distante da sé come non lo era mai stato. Gli sembrava quasi di star a parlare con uno sconosciuto, da cui non sapeva cosa aspettarsi. 
Non aveva più nulla da perdere, in quel loro scambio impari.
 
I’m not scared of dying, I just don’t want to
If I stop lying I’d just disappoint you
I come undone
 
-Perché te ne sei andato?-.
Alessio allargò le braccia, lottando contro sé stesso per non crollare subito.
-Te ne sei andato via senza dire niente. E sei letteralmente sparito-.
Sentiva il groppo in gola farsi sempre più pressante, la voce che avrebbe voluto urlare e che invece era stata vicina all’incrinarsi irrimediabilmente:
-Passo ogni giorno a domandarmi che ti ho fatto per meritarmi tutto questo, ma in due cazzo di anni non ho mai trovato una risposta-.
Riccardo abbassò lo sguardo per più di qualche attimo, e Alessio interpretò quel gesto come una piccola rivincita per tutto il dolore che aveva sopportato in quegli ultimi anni. Una rivincita inutile quanto sfuggente, labile ed evanescente; l’attimo dopo si ritrovò a lottare di nuovo con lo stesso malessere di prima, nell’attesa di una qualche risposta dall’altro, più vulnerabile che mai.
La ragazza che accompagnava Riccardo se ne stava ancora in silenzio, forse iniziando a capire i contorni reali di quel che stava accadendo: non guardava più con astio Alessio, bensì con amara sorpresa. Doveva essere totalmente all’oscuro del passato di Riccardo, e a quel pensiero ad Alessio venne voglia di girarsi ed andarsene via definitivamente, scappare via da quel presente che lo opprimeva come non mai.
Immaginava anche come i suoi stessi amici avessero ormai intuito tutto: non aveva osato voltarsi verso di loro nemmeno una volta negli ultimi minuti, ma riusciva ad immaginarsi senza alcuna fatica gli sguardi angosciati e pieni d’apprensione di ognuno di loro.
Riccardo rialzò lo sguardo solo alcuni minuti, e ad Alessio parve di scorgere un’ombra di sofferenza su quel viso invecchiato fin troppo prematuramente. Per un attimo si sentì in colpa, nel vederlo così, e l’attimo dopo essersene reso conto si dette dello stupido: non riusciva a controllare nemmeno i suoi sentimenti, verso quel padre che non c’era mai stato per lui.
-Quando forse ti sposerai e avrai dei figli, quando avrai una famiglia che ti porterà via tutte le energie e non sarai in grado di dedicarti ad altro, nemmeno a te stesso, e quando un giorno ti accorgerai che la vita che hai non è quella che volevi allora forse lo capirai- la voce di Riccardo apparve meno dura di prima, come se nascondesse dentro di sé una malinconia che prima di quel momento Alessio non aveva mai colto.
Non bastò per non percepire distintamente gli occhi pizzicare. In quel momento gli sembrò di essere tornato bambino, quando combinava qualche disastro e suo padre lo guardava con gli stessi occhi scuri e severi con cui lo stava scrutando anche nel presente. Si sentiva esattamente come allora: indifeso e colpevole, fingendosi più grande di quel che era, ma con la sola voglia di buttar fuori tutte le lacrime che aveva in corpo.
In quel momento non riusciva a ricordare per quale assurdo motivo avesse deciso di fermare Riccardo; avrebbe voluto tornare indietro a dieci minuti prima, stavolta rimanendosene seduto al tavolo con i suoi amici, senza badare a lui. Avrebbe preferito rimanere nel dubbio, piuttosto che sentirsi dilaniato in quella maniera.
-Te la cavi così?- mormorò, spezzato – Sparisci per due anni ed è tutto quello che hai da dire?-.
Riccardo non sembrava minimamente intenzionato a rispondergli, e Alessio prese un sospiro profondo, sperando di riuscire a controllarsi ancora qualche attimo, prima di crollare definitivamente:
-Se avendo una famiglia dovrò finire per essere come te, preferisco mille volte rimanere da solo, piuttosto che far passare un tale inferno alle persone che dovrei amare di più-.
Gli occhi gli bruciavano, e Alessio si sentì patetico nel pensare di farsi vedere così maledettamente debole proprio davanti a suo padre.
-Non mi aspetto che tu capisca. Non che servirebbe a qualcosa-.
Riccardo aveva stretto i pugni, lo sguardo più grave e la voce più bassa. Non sembrava arrabbiato, ma per l’ennesima volta Alessio faticava ancora a decifrare i sentimenti che dovevano dominarlo in quel momento.
Riusciva ad intuire solamente che, di lì a pochi secondi, sarebbe finito tutto, un’altra volta.
-Ma se sei convinto di essere così diverso da me, allora puoi stare tranquillo- gli disse ancora, con una nota sinistra – Va avanti con la tua vita, Alessio, e non pensare alla mia. Vedrai che starai meglio-.
Riccardo non aveva scostato gli occhi da lui nemmeno un secondo, nel pronunciare quelle parole. Alessio si sforzò di interrompere quel contatto solamente nel momento in cui accennò il primo passo lontano da lui, dopo aver fatto un cenno veloce alla ragazza, verso il centro della piazza.
-Aspetta!- in un momento di sgomento Alessio non riuscì a trattenersi dall’accennare a qualche passo in avanti. Vedeva la figura di Riccardo allontanarsi sempre di più, e immaginava che, anche nel caso l’avesse sentito urlare, di certo non si sarebbe fermato.
-Non andartene così!-.
Riccardo si era ormai mischiato tra la gente che affollava la piazza, e la vista appannata dalle lacrime rendeva ancora più arduo ad Alessio il compito di scorgerlo ancora.
“E poi cos’altro rimane da dire?”.
Quel senso di vuoto gli era sempre stato famigliare. Lo provava anche in quel momento, più della rabbia, dell’odio, dell’abbandono.
-Papà-.
Fece ancora un passo, seppur consapevole che Riccardo se ne era già andato dopo avergli sputato addosso quelle ultime parole. Non sarebbe tornato indietro, né si sarebbe fermato ad attenderlo. Probabilmente non si sarebbe nemmeno fatto vivo per chissà ancora quanto tempo – tutto esattamente come la prima volta che se ne era andato.
Provò ancora a fare qualche passo, ma si bloccò non appena sentì il tocco delle mani di qualcuno sulle spalle. Anche se non poteva vederlo in viso, riconobbe all’istante il tocco di Pietro.
Aveva solamente la certezza che Pietro fosse lì - a trattenerlo e a fargli da sostegno- e che avesse capito già tutto quel che gli stava passando per la testa in quel momento.
-Non vale la pena di seguirlo- la voce di Pietro fu poco più di un sussurro contro la nuca di Alessio, un bisbiglio appena udibile a cui non seppe nemmeno replicare.
Si sentiva solamente tremare, sotto la presa più forte delle mani di Pietro sulle sue spalle, e le lacrime calde che gli rigavano di nuovo le gote.
Si sentiva solo spezzato.
Sembrava quasi che Riccardo avesse portato con sé anche quel suo fragile equilibrio che in quei due anni aveva faticato a trovare e a mantenere intatto.
Il senso di abbandono stava tornando ad attanagliarlo, come se non se ne fosse mai davvero andato.
 

“Le ferite restano, e non riesco a non badarci.
Il modo migliore per dimostrare il bene ad una persona è restare”
 
They’re selling razor blades and mirrors in the street
I pray that when I’m coming down you’ll be asleep
If I ever hurt you, your revenge will be so sweet
Because I’m scum, and I’m your son
I come undone
I come undone*




 
*il copyright della canzone (Robbie Williams - "Come undone") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ed eccoci con il primo capitolo post maturità. Giulia e Caterina finalmente possono godersi il resto dell'estate, anche se gli altri quattro non possono dire lo stesso, visto che sono ancora nel pieno della sessione estiva ... E sembra infatti che un po' di tensione ci sia, soprattutto in Alessio. Forse per lo stress, forse per qualche scherzo del suo inconscio, finisce persino per sognare ricordi dell'infanzia legati al padre che lo lasciano parecchio inquieto.
I sogni sembrano tramutarsi in realtà quando, dopo anni (e dopo mille capitoli in cui era solo stato nominato) compare finalmente Riccardo Bagliore. Ve lo aspettavate? E quali impressioni avete avuto su di lui?
Abbiamo dunque scoperto che Eva, la madre di Alessio, ha parlato con lui non molto tempo prima raccontandogli del figlio. Se questo poteva essere un dettaglio facilmente intuibile, non si può dire lo stesso per Alessio, anzi.... Questa notizia è stata piuttosto il tassello "perfetto" che ha reso un dialogo già particolarmente teso e delicato ancor più complicato.
Il confronto padre-figlio finisce nel peggiore dei modi, soprattutto per Alessio: il padre, senza farsi troppi problemi, si allontana lasciandolo privo di tutte le spiegazioni di cui avrebbe bisogno. L'unica certezza, almeno per il momento, sembra essere Pietro: è stato il primo a capire che qualcosa non andava nell'amico ed ora è il primo a supportarlo e a offrirgli il suo appoggio. Ma che effetti avrà questo dialogo su Alessio sul breve e lungo periodo?
Per scoprire questo e tanto altro tornate il 19 maggio con un nuovo capitolo!
 Kiara & Greyjoy
 Ps. Non essendo della zona e non essendo, di conseguenza, pratiche della città di Padova, abbiamo deciso di affidarci a il buon vecchio Google Maps per individuare la piazza prescelta di questa scena e dare, in questo modo, un taglio più realistico alla scena, sperando di non essere sembrate troppo frettolose e poco precise!

 
 
   
 
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