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Autore: A_Typing_Heart    15/05/2021    1 recensioni
Raim è il lavapiatti di un grande ristorante di Las Vegas e prende il suo lavoro come un banale mezzo di sostentamento per fare una vita tranquilla fuori dai guai che lo hanno segnato. La sua vita procede nella routine finché una sera un nuovo chef bussa alle porte del ristorante per chiedere un lavoro, dando una svolta inaspettata ad entrambe le loro esistenze.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nonostante tutta la sua fiducia, mi accorsi durante quel medesimo servizio che Sahan era preoccupato. Chef Durand aveva convocato tutta la sua brigata nell’ufficio per dargli la grande notizia, ma tutti loro erano usciti con dei fogli spillati in mano e approfittai della distrazione di Baader che pesava gli ingredienti per i soufflé per sfilare il plico dal suo angolino e portarlo alla plonge dove gli diedi un’occhiata: era il menu di Durand, e il fatto che fosse già compilato con le ricette complete poco dopo averci prospettato la serata mi convinse che i sospetti di Sahan fossero ben più che mera paranoia. Ci aveva preso di mira, avrebbe cercato di metterci in ridicolo ed era evidente dall’incredibile complessità dei piatti. La sola portata di carne, il petto d’anatra confit, aveva una ricetta in sedici fasi riccamente descritte.

«Ma fa sul serio?» commentai tra me e me mentre sfogliavo le pagine.

«Che stai leggendo, Raim?»

Sussultai al suono della voce di qualcuno alle mie spalle, ma poi riconobbi Sahan e sospirai.

«Ah, sei tu…»

«A chi l’hai rubato quello?»

Gettai un’occhiata a Baader, preso dalle sue preparazioni.

«È di Baader» sussurrai mostrandogli il plico. «È il menu di Durand con le sue ricette…»

Sahan mi prese i fogli dalle mani bruscamente e si mise a leggerli con una velocità impressionante, e man mano che sfogliava era sempre più accigliato. La sua tensione rese nervoso anche me.

«Sahan…?»

«Capisco.»

«Sahan, che cosa…?»

«Rimettilo dove l’hai preso, Raim… non abbiamo fatto niente di male, ma preferisco che Durand pensi che non ci siamo preoccupati affatto della sua proposta.»

«Sì, ma…»

Non mi ascoltò; dopo avermi restituito i fogli tornò alla sua postazione e in tono allegro chiese conferma delle istruzioni a Baader. Approfittai del momento per rimettere il ricettario là dove l’avevo preso e Leclaire mi chiese di portare fuori la pattumiera del pesce, così ne approfittai per prendere aria per un attimo e riflettere.

Gettai la busta e misi il solito coperchio perché non facesse cattivo odore nel cortiletto, dopodiché mi stiracchiai e sospirai profondamente. Iniziavo a elaborare, anche se vagamente, che cosa stava succedendo: Durand aveva lanciato una sfida diretta al figlio di un compagno che aveva già buttato a terra una volta per arrampicarglisi sopra verso la vetta. Aveva intenzione di punire il suo talentuoso figlio perché aveva osato seminare confusione durante il servizio, perché aveva usato quel suo tiro mancino di gioventù per farsi assumere o perché si era permesso di scaricare su di lui e sulla sua mancanza di controllo la responsabilità della salsa andata a male? In realtà non sapevo se la risposta fosse una di queste o tutte queste insieme.

Mentre rientravo pensavo solo che dovevo dare il mio supporto a Sahan e che il suo talento avrebbe fatto il resto, ma quando a fine servizio lo vidi attardarsi a ripulire la cella frigorifera sfuggendo persino a me mi preoccupai, e parecchio. Anche se aveva ripetuto a tutti, me compreso, di non aspettarlo e che avrebbe finito lui le pulizie, non pensai neanche di andarmene: attesi che chef Kleiner se ne andasse e che Durand si chiudesse di sopra con le sue carte - fatture, scontrini della sala e copie delle comande – e mi affacciai sulla cella trovandolo inginocchiato a pulire lo scaffale più basso.

«Si può sapere che hai in mente, Sahan?»

«Niente» replicò lui atono. «Sto pulendo.»

«Questo lo vedo, ma mi domando perché» risposi a tono io. «Non ti starai rassegnando a una vita da sguattero, spero.»

Sahan stritolò la spugna e quella gocciolò acqua e schiuma sul ripiano. Sapevo di essere andato a segno e mi inginocchiai vicino a lui spostando il secchio.

«Che succede, Sahan? È stato il menu di Durand a metterti quest’umore addosso?» feci, e strizzai lo strofinaccio per bene. «È così formidabile?»

«Io… non posso raccogliere la sua sfida, Raim. Mi dispiace.»

«Cosa? E perché?»

«Ho visto quel menu, e so che richiede moltissimo lavoro esperto. Si servirà di tutta la sua brigata per metterlo a punto… e quando ho parlato con gli altri durante la preparazione Isabel mi ha detto in confidenza che Durand ha lasciato intendere che chiunque ci dia una mano in qualsiasi modo sarà coinvolto nel nostro risultato…»

Rimasi in silenzio un attimo mentre ripulivo lo scaffale velocemente.

«Quindi se andiamo a picco ci andranno anche loro, è questo il senso?»

«Sì. Come al primo servizio, mi ha messo alle strette…»

«Ma ci siamo riusciti lo stesso» osservai in tono fiducioso. «Non ci credeva nemmeno lui, ma ce l’abbiamo fatta!»

«Era un solo piatto… preparare quattro portate per una decina o una ventina di ospiti è un lavoro complesso… troppo per un solo cuoco. L’ideale per andare a segno è avere quattro cuochi, uno per impostare ogni portata, con gli altri che aiutano man mano che arriva il momento di servire.»

Sospirai e Sahan fece una brutta smorfia. Lo conoscevo ormai abbastanza da capire che si era accorto di avermi di nuovo “insultato” dandomi dell’inutile.

«Sta’ calmo, Sahan. Tu sei un cuoco esperto e sei un bravo maestro, sei riuscito a rendere utile anche me, quel giorno… insegnami quello che hai bisogno che faccia. Imparerò tutti quei compitini che ti possono alleggerire il peso.»

«Raim… non voglio che tu lavori con me questa volta…»

Mi bloccai mentre sciacquavo lo strofinaccio e lo guardai. Lui mi fissava con uno sguardo cocciuto, a lui poteva sembrare da eroe ma a me pareva da idiota, quindi gli lanciai lo straccio sulla faccia strappandogli un verso a metà tra un topo schiacciato e un’anatra.

«Basta cazzate, Sahan, mi sono stufato di dirti di calmarti» gli dissi in tutt’altro tono. «Che ti piaccia o no, tu avrai almeno me. Sbrigati a scegliere il tuo menu, così mi darai più tempo per imparare quello che devo fare! Non deve essere complicato come quello di Durand per essere buono, no? In tv si vedono chef stellati che fanno piatti con tre o quattro ingredienti!»

Sahan mi guardò con un’espressione che mi fece tenerezza: sembrava un bambino che non sapeva se scoppiare a piangere o arrabbiarsi. Restai impassibile e lui non parlò ancora, asciugandosi la faccia con la manica della giacca.

«Io non ci capisco granché di cucina, ma una cosa l’ho capita in questo settore» continuai, deciso a non uscire da quella cella senza che Sahan sorridesse di nuovo. «La cucina assomiglia al cuoco. Sempre.»

Stavolta fu colpito dalle mie parole e mi guardò a occhi spalancati abbassando lentamente il braccio.

«Co… come?»

«Guarda la cucina del Posticino: sembra pesante ed esagerata, e invece resta sempre piacevole e non ti stanca mai, proprio come Martha e Marco. Tu non lo conosci, ma chef Basile, il nostro vecchio pasticciere, era una persona piacevole anche se stava molto sulle sue. Non era mai nervoso e non sembrava mai di fretta… e i suoi dolci avevano la stessa leggerezza, erano ordinati e belli, come lui era uno che teneva al suo aspetto.»

Parlare di Alessandro Basile mi faceva sorridere, era l’unico in cucina a cui neanche chef Malone riusciva a mettere ansia o fretta. Avevo sempre ammirato la sua serena compostezza e ho sempre pensato che gli derivasse dalla sicurezza che aveva nel suo metodo di lavoro. Insieme a Isabel era di certo l’unica persona che non mi bistrattava.

«Durand… ha scelto una cucina complessa, precisa, difficile. È il suo carattere… non pensare a cosa stupirebbe dei critici. Mostragli qualcosa che sei felice di aver imparato, qualcosa che è stato difficile fare, o quella che ti è sempre riuscita bene… parlagli di te, Sahan, non serve altro per piacergli. Al di là dello chef che sei… beh… sei una bella persona.»

Sahan fece una strana smorfia, artigliò l’orlo della giacca con le mani e vidi che tremava. Mi chiesi se bagnarlo dentro una cella frigorifera non fosse stata una cosa stupida da fare, ma poi vidi che gli occhi gli si riempivano di lacrime. La sua smorfia mentre cercava di trattenerle era oltre il buffo e feci fatica a non ridere.

«R-Raim! Vuoi farmi piangere? Che meschino!»

«Stai già piangendo, Sahan» gli feci notare, con la voce incrinata dalle risate represse.

«Non ridere di me! Bite!»

Si asciugò gli occhi con la manica continuando a ripetere quella parola a mezzavoce – avrei imparato anni dopo che in realtà è una parolaccia in francese, non credevo neanche che ne avessero – e tentai di confortarlo dandogli delle pacche amichevoli sulla schiena; ma mi sarebbe venuto meglio se fossi riuscito a smettere di ridere.

«Dai, dai! Vuoi andare a cena da qualche parte? Andiamo al Posticino? Quando sono giù ogni piatto di Martha mi tira su di morale… ah, magari troviamo proprio il tiramisù!»

Sahan saltò in piedi, ma non sorrideva e mi schiaffò in faccia lo strofinaccio: mi trovai capelli e colletto della maglietta zuppi di acqua saponata prima che riuscissi a togliermela di dosso, allibito e disgustato.

«Bleh… credo di averne bevuta un po’… che schifo!»

«Così siamo pari, bluh!» fece lui facendomi una linguaccia.

«… Mica tanto, io un po’ l’ho strizzato prima di tirartelo…»

Non ero arrabbiato comunque, rimisi spugna e strofinaccio nell’acqua e rimisi a posto le cassette di legno delle verdure che Sahan aveva spostato per pulire il ripiano. Secchio alla mano uscii e chiusi con cura la cella. Il calore della cucina era confortante dopo quella mezza doccia, e lo era anche la rinnovata determinazione nello sguardo del mio amico.

«Vado dritto a casa, oggi… devo pensare a un menu che sia gustoso e parli dello chef, ma che sia anche semplice. Se voglio servirmi di te devo metterti in condizione di seguirmi, non posso passare il tempo a badare quello che fai.»

Fui sorpreso da quel cambio di rotta, ma anche felice e annuii convinto.

«Per domattina ti porterò il menu che ho deciso» mi fece, sorprendendomi anche di più. «Ti scriverò gli ingredienti della ricetta, ma ti mostrerò come si fanno di persona. Vengo a cucinare da te.»

«D-da… no, stai scherzando?!» esplosi, gesticolando come se affogassi. «La mia cucina è totalmente inadeguata! Non c’è spazio, e… non ho neanche la cucina a gas, uso delle piastre elettriche! No, no, non va bene!»

Sahan mi guardò sorpreso.

«Non hai il fornello a gas, davvero? Quindi non sai usare la fiamma…»

Lo vidi diventare pensieroso e improvvisamente mi sentii un vero disastro. Sapevo meno di quanto Sahan desse per scontato e avevo davvero paura di essere più un peso per lui che una risorsa.

«Beh, non è importante» commentò lui, dopo una riflessione che mi parve infinita. «Se sarà necessario supervisionerò io tutte le cotture… ma ti insegnerò a gestire il fuoco per sbrigare la tua parte del lavoro. Sei ancora sicuro di volermi aiutare? Dovrai imparare in fretta un certo numero di ricette e di procedure.»

«Sei un bravo insegnante. Ci metterò tutto l’impegno possibile.»

Sahan annuì e fece un sorriso, anche se non smagliante come mi ero abituato a vederlo.

«In qualche modo ce la caveremo. Meglio se vai a riposarti, perché domani inizio a metterti sotto sul serio.»

«Non preoccuparti… mangerò qualcosa al Posticino e filerò a casa.»

«Saluta da parte mia, allora… buonanotte, Raim.»

«Non stare sveglio tutta la notte, Sahan.»

Non mi rispose e dopo aver recuperato la sua borsa uscì senza cambiarsi: lo faceva quando decideva di indossare un’altra uniforme pulita e perfettamente stirata il giorno seguente. Io mi affrettai a pulire il pavimento, a cambiarmi e ad andarmene prima che Durand finisse i suoi conteggi serali, ma quando andai al Posticino avevo in mente tutto fuorché filare a letto presto.

Marco mi accolse con il solito calore, ma alzai la mano per rifiutare la birra che stava per spillarmi nel boccale freddo.

«Grazie, ma stasera no, Marco» gli feci, deciso a stringare i preamboli. «Scusami, ma devo rubarti qualche minuto. Ho bisogno di parlarti.»

Marco preparò in fretta una brocca di vino per un tavolo che stava dilungando la cena e poi si sporse verso il banco a ascoltarmi quando iniziai a parlargli. Gli raccontai di Sahan dall’inizio, della storia controversa della salsa acida, del litigio con lo Chef Durand e della vecchia storia tra Micheaux Senior e lo stesso chef, e della nuova sfida all’orizzonte. Cercai di dire tutto il necessario e niente di superfluo, perché volevo che Marco capisse perché ci tenevo tanto.

«Potrebbe dipendere da questo… il futuro di Sahan in questa città, e forse nel paese… se fallisse potrebbe dover lavorare molto a lungo per cancellare quella falsa partenza… e io, come sai, ne so qualcosa di quanto è duro ripartire da capo.»

Marco annuì con aria grave. Non aveva quasi spiccicato parola mentre raccontavo.

«Cosa posso fare io per te?»

«Sahan mi insegnerà a fare le preparazioni che servono per il suo menu… ma per impararle devo esercitarmi. Posso venire qui? Casa mia non ha neanche i fornelli. Devo abituarmi a muovermi come uno di loro… per quanto si possa in poco tempo.»

Marco non disse niente e si raddrizzò, sistemandosi il grembiule da bar con il logo del ristorante.

«Stasera Martha ha fatto i cannelloni agli spinaci… pensando che venissi te ne ha messa una porzione da parte. Te la porto» mi fece, prendendomi di sorpresa. «Mentre mangi parlo un attimo con Martha.»

Avrei voluto ringraziarlo, ma in quel momento non mi uscì altra voce. Lo guardai entrare in cucina e dopo qualche minuto uscì una delle nipoti con il mio piatto di cannelloni caldi. Marco non tornò e lei rimase al bar a gestire i clienti ritardatari che arrivarono mentre mi rifocillavo.

Avevo già finito quando Marco uscì dalla cucina con l’aria accigliata e mi chiesi se Martha aveva preso male la mia idea.

«Martha dice che puoi venire a provare quanto vuoi, e che ti aiuta se hai bisogno… a due condizioni.»

Il ringraziamento che stavo per buttare fuori con sollievo mi rimase incastrato in gola come una lisca di pesce.

«Quali?»

«Per prima cosa, vuole che Sahan le dia le ricette dei piatti che vuole presentare alla degustazione.»

Inclinai la testa pensando caoticamente per qualche istante.

«Beh… io direi di sì, ma sta a Sahan deciderlo…»

«E secondo, dice che dopo ti insegna a preparare i tuoi piatti preferiti del nostro menu… non esiste che impara soltanto i suoi, ha detto.»

Aspettandomi chissà che genere di controfferta mi sentii sollevato ed ebbi voglia di ridere, ma mi sentivo davvero troppo libero da quella paura di fallire per provare altro che infinita gratitudine. Per la prima volta apprezzavo veramente che Marco e Martha fossero amici di mia madre e che fossero diventati anche miei, ma solo dopo quella difficile cena avrei realmente capito quanto è confortante sapere di avere qualcuno da chiamare quando si ha bisogno di aiuto.

 

*

 

Il giorno dopo restai scioccato di trovarmi Sahan davanti alla porta di casa di buon mattino, e fu uno dei giorni in cui mi vergognai di più in tutta la vita: dietro le mie spalle casa mia era un caos di scarpe buttate per terra, vestiti lasciati dove capitava, il lavabo della mia tremenda cucina ingombro di piatti ancora da lavare – avete presente cosa si dice del calzolaio con le scarpe bucate, vero? - e io stesso con addosso una maglietta lacera piena di buchi che non avevo mai buttato via e i capelli tutti arruffati.

«Sono andato al ristorante a predisporre le preparazioni e ho chiesto dei permessi per tutti e due» mi disse dopo un frettoloso saluto. «Fino a venerdì prossimo è sufficiente che io vada al mattino a lasciare tutto pronto per Baader e si vada tutti e due per i servizi serali. Useremo il resto del tempo per studiare le ricette del menu… l’ideale, nelle condizioni attuali, è che tu sia in grado in linea di massima di preparare tutto il piatto da solo, nel caso ci fosse qualsiasi intoppo.»

«Che… Sahan… Sahan, come sai dove abito?»

«Ho telefonato a Martha, come immaginavo era già sveglia. L’ho chiesto a lei.»

«Come… perché hai il numero di Martha?»

«Possiamo parlarne dopo? Devo insegnarti due anni di scuola di cucina in una settimana, non abbiamo molto tempo da sprecare in chiacchiere.»

Quell’osservazione mi svegliò più efficacemente del campanello e dimenticai l’imbarazzo del momento quasi del tutto.

«Dammi un minuto per vestirmi.»

«Puoi venire anche nudo, basta che ti sbrighi!»

Restai un momento interdetto, poi mi ritirai lentamente verso il divano – il reale luogo dove mi spogliavo, rivestivo e spesso dormivo – per cercare una maglietta nel caos sul tavolino. Sahan fece un solo passo dentro casa, non so se per rispettare la mia privacy o perché quel porcile lo disgustasse… ma ora che lo conosco meglio sono sicuro che era la seconda ipotesi quella giusta.

«Non credo sarebbe molto igienico» commentai, sperando di distrarlo dalla mia frenetica ricerca.

«Ho sempre lo sterilizzatore a vapore a casa… non è grande abbastanza per te, ma a pezzi ti posso comunque ripulire.»

Ricordo che mentre infilavo una maglietta blu decisi con grande fermezza di ripulire completamente l’appartamento non appena archiviata la cena di venerdì. Sahan non mi stava propriamente criticando né la sua faccia esprimeva disgusto o qualche emozione simile, ma mi sembrava di leggergli dentro e sapevo che pensava che tenessi casa mia in modo orrendo.

O forse era il mio senso di colpa e la mia segreta antipatia verso la mia stessa pigrizia a punzecchiarmi il cervello.

«Sono pronto» dichiarai mentre mi infilavo la seconda scarpa. «Beh, più o meno.»

Sahan mi guardò e trattenne una risata mettendosi la mano sulla bocca.

«Più meno che più, Raim…»

Mi ci volle qualche secondo per capire che il motivo per cui sentivo così strano camminare era perché avevo infilato la scarpa destra di un paio e quella sinistra di un altro. Probabilmente ero del colore di un pomodoro maturo mentre lanciavo via la scarpa blu dal piede e raccattavo quella grigia uguale all’altra, ma almeno quel mio stupido errore lavò via quell’espressione seria e seccata di Sahan lasciandolo sorridente e divertito, e tale rimase fino a casa sua.

 

*

 

Poco più tardi ero seduto sullo sgabello della cucina di Sahan, con il suo menu battuto a macchina – non so scherzando, non era stampato da un computer ma battuto davvero con una macchina da scrivere – e il procedimento per prepararlo nelle pagine seguenti, come aveva fatto Durand. Per fortuna il suo menu aveva solo cinque pagine, ma la lunghezza della ricetta del suo dolce mi fece venire i sudori freddi. Per chi non sa cucinare i dolci sono particolarmente terrificanti, e più righe ha la ricetta più sale il livello di stress.

«Sahan… ehm… sei sicuro di questo menu?»

Sahan aspettava a braccia incrociate, con addosso una giacca da chef con il colletto e una striscia di colore fucsia sulle spalle, non tanto il mio giudizio quanto la mia reazione alla lettura.

«Ci ho pensato un po’ su, e ho seguito il tuo consiglio. Ho scelto un menu che mi rappresenta.»

Riguardai il menu, accigliato. Forse conoscevo troppo poco Sahan, perché non lo immaginavo così… per quanto si potesse davvero giudicare una personalità dai piatti che cucinava.

«Quando dici che ti rappresenta, esattamente…?»

Aspettava soltanto che gli chiedessi di spiegarmelo: all’istante ruppe il silenzio e aprì le braccia come se tenerle incrociate gli impedisse di prendere il respiro.

«Entrée: cous cous vegetariano al sesamo» recitò, come da nome del piatto riportato sul foglio. «Questo piatto è una tradizione della famiglia di mia madre, leggero e fresco, ideale per l’estate e un’ottima proposta vegetariana ricca per i clienti di un ristorante. Lo prepareremo a mano, come faceva lei, e questo lo renderà unico.»

Mi era molto chiaro che era legato alle sue origini mediorientali e al ricordo di sua madre, quindi annuii e guardai la descrizione del secondo piatto, il main course di pesce. Quello che mi lasciava più perplesso di tutte.

«Salmone provenzale con purè di verdure verdi e acqua di lavanda: il salmone era il mio pesce preferito fin da piccolo e in questa ricetta ci sono tutti gli odori e i sapori della città in cui sono stato bambino.»

«Sì, questo è molto bello, Sahan, ma… qui c’è scritto “sfere di acqua di lavanda”.»

Il ghigno che mise su quasi mi spaventò, ma non mi spiegò niente. La cucina era ingombra di ingredienti sparpagliati sui ripiani e in mezzo al resto recuperò un vasetto di pirex graduato pieno di acqua – almeno tale mi sembrava – e una piccola ciotola di acqua color violetto con un contagocce immerso. Non ne vedevo uno da quando mi ero diplomato.

«Che è quella roba?»

«Non ho imparato solo cucina dai miei genitori… sai che in Turchia ci sono un sacco di alchimisti?»

«Un sacco di che?»

«Stai a guardare. Non chiudere gli occhi, eh!»

Rimestò nella ciotolina con il contagocce, tirò su un po’ del liquido viola e ne fece cadere qualche goccia nell’acqua e fu allora che, invece di disperdersi come mi aspettavo, la goccia viola diventò tonda e scese sul fondo. In un attimo una serie di palline si ammucchiarono sul fondo come uova di pesce. Ero esterrefatto e Sahan ne era più che compiaciuto.

«Visto? Visto?»

Ridacchiò divertito e ripescò le sferette, che rimasero perfettamente intatte, poi me ne mise una in mano. Era morbida al tatto, come una sfera di gel da bagno o qualcosa del genere. Ero stupito e meravigliato e ammetto che mi lasciai avvolgere da un entusiasmo esagerato.

«E questa cosa si mangia?»

«Ma certo! Mettila in bocca, dai.»

Non me lo feci ripetere e la misi in bocca. Non sentii niente all’inizio, poi con la lingua la schiacciai contro il palato e l’acqua ne uscì, riempiendomi di gusto e aroma – era difficile capire dove finiva l’odore e iniziava il sapore – di timo e lavanda. Non mi era rimasto nulla da deglutire ma la sensazione rimase tutta lì, e mi galvanizzò, letteralmente.

«Sahan! È… è…»

«Buono?»

«È come una magia!»

Mi resi conto che quel commento era infantile, ma Sahan scoppiò in una risata un po’ più incerta e – mi parve – divenne un po’ più colorito in faccia. Spero non suoni brutto da dire, ma con il suo colore di pelle non era tanto facile notare quando arrossiva.

«Magia, uh…? Lo potremmo chiamare così, sul menu: Magia di pesce e lavanda.»

«Quindi vuoi mettere queste palline nel piatto?» gli domandai, mettendomene un’altra in bocca.

«Sì… non sono ancora del tutto sicuro dell’impiattamento, ma penso di mettere il trancio di pesce in questo modo» rispose mostrandomi la composizione con le mani. «E sopra la pelle mettiamo lo yogurt alle erbe aromatiche, che sarà bianco e verde, con le sfere di lavanda… credo sarà un colpo d’occhio notevole, come colore!»

«Magari è una sciocchezza, ma… al posto del purè verde possiamo usare verdure viola, no?»

«Preferisco di no, per due motivi» fece, con l’aria dispiaciuta. «Primo, le verdure viola richiedono una cottura eccellente e una cura particolare, se si perde un po’ di colore con la cottura il risultato è un violetto-rosa un po’ disgustoso da vedere… e secondo, usare il verde nel piatto farà risaltare di più il viola delle sfere, che cattureranno l’attenzione.»

«Oh, per un contrasto… pensi proprio a un sacco di dettagli, Sahan. Mi sento un po’ idiota.»

Sahan mi sorrise.

«Affatto, sei solo inesperto! Ma hai fatto una proposta e questo mi piace molto. Devi dirmi tutte le idee che ti vengono, perché quando un cuoco decide tutto da solo potrebbe non pensare a una cosa che per un altro è ovvia, proprio perché ragiona su troppe cose. Il tuo lavoro è anche farmi domande, così se sbaglio qualcosa me ne accorgo!»

Non avevo mai pensato a questo aspetto, anche perché al Liaison Durand non chiedeva mai nulla neanche al suo braccio destro, a quanto ne sapevo, e nessuno faceva mai delle domande.

«Tu e Durand siete davvero due tipi opposti di cuoco.»

Sahan non rispose subito. Pensai di avergli dato fastidio, ma poi sorrise.

«Penso di sì. Ma per me è più importante che siamo tipi opposti come persone.»

«Lo siete di certo.»

«Ma la questione ora è dimostrarglielo, dico bene?!»

Mi portai la mano alla fronte in un saluto militare.

«Sì, Comandante!»

«Oui, Chef.»

«Oh… giusto. Oui, Chef» mi corressi, e tornai a leggere concentrato il resto del menu. «Il secondo piatto?»

«Filet mignon, un taglio classico nella cucina francese e anche in casa mia… il filetto al vino rosso è il piatto preferito di mio padre, mentre le punte di asparagi al burro mamma le cucinava sempre per le cene speciali… l’insalata di feta e pere grigliate invece l’ho fatta io quando ho scoperto la feta greca, ho fatto un centinaio di abbinamenti di prova!»

«Mi hai preso in parola quando ti ho detto di metterci del tuo…»

«Sì, perché hai ragione, no? Se scelgo qualcosa che mi rappresenta non importa come va a finire, non rimpiangerò quella scelta!»

Sorrisi con fare incoraggiante, ma io mi sentivo un po’ meno convinto mentre leggevo la ricetta del dolce della quale non capivo quasi niente.

«Spero di essere bravo abbastanza da non farti pentire di aver scelto me, piuttosto.»

Sahan non replicò ma prese a fissarmi come se avesse voglia di prendermi a pugni. Deglutii a fatica e presi un sorso della sua limonata alla lavanda.

«Voglio dire, mi impegnerò per non farti pentire nemmeno di aver avuto soltanto me.»

«Lo spero bene» scandì lui, e picchiettò col dito sulla ricetta del suo dolce. «Questo dolce lo conosco molto bene, ma a meno di non andare di mattina a preparare per la cena non ci staremo mai con il tempo.»

Scorsi le fasi delle varie componenti con una certa ansia.

«E ce la faremo…?»

«Questo dolce ha quattro elementi, più due decorazioni. La più complessa è la base di sesamo caramellato, sono estremamente importanti tecnica e temperatura, quindi per questo servizio mi occuperò io di farla… lo stesso vale per la pallina di limone sotto sale chiusa nel caramello, che metteremo come decorazione. Questi due elementi saranno assegnati a me, perché li conosco bene e per te sarebbe difficile impararle in una settimana anche se ti dovessi spiegare quelle soltanto.»

Mi accorsi di stare sbattendo le palpebre ripetutamente e mi sforzai di sembrare meno impressionabile.

«È davvero così difficile da preparare?»

«Per un neofita sì, assolutamente» confermò, ma mi fece un sorriso incoraggiante. «Ma per darmi il tempo di occuparmi della semola, della preparazione del pesce e della carne, e delle varie altre cose, ti insegnerò a preparare sia la pannacotta al gelsomino che la gelatina alla salvia che va sopra… e naturalmente il biscotto di kamut decorativo. Queste preparazioni le farai per prime, così avremo le decorazioni pronte e le basi raffredderanno mentre pannacotta, gelatina e spuma stanno in abbattitore a compattarsi per bene, e possiamo comporle prima di servire!»

Non ero affatto confidente ma annuii cercando di non farglielo capire.

«Mi insegnerai prima queste?»

«Il programma di questa giornata di lezione è farti vedere, anche se al rallentatore, esattamente quello che faremo il giorno del servizio, nell’esatto ordine di priorità. Naturalmente io preparerò solo un piatto per portata, ma voglio che tu abbia chiaro che cosa farò io mentre tu ti occupi di altre cose. Come squadra voglio che sappiamo che stiamo facendo anche senza guardarci, d’accordo?»

«È una cosa normale in una cucina?» domandai incuriosito.

«In una situazione normale, con un menu di opzioni diverse e ordinazioni imprevedibili, non è assolutamente possibile. Per questo si parla con le altre postazioni per dire quanto manca alla fine della cottura, per dare il tempo per il pesce o altri alimenti che cuociono più veloci… ma questo è menu fisso. Siamo noi a decidere che cosa offrire ai clienti di quella serata e quindi, se studiamo le ricette e i tempi dei nostri rispettivi compiti, sapremo che cosa sta facendo l’altro in ogni momento.»

Scorsi la prima pagina con la lista dei piatti, accigliato. Qualcosa mi sfuggiva.

«Per qualche motivo non possiamo parlarci, Sahan?»

«Ma certo che possiamo parlarci…»

«E allora perché dovremmo pensare a questo? Se dovessimo aver bisogno dell’altro basta girarsi e chiamarlo. No?»

Sahan sospirò. Era un sospiro lungo e lento. Girò intorno all’isola della cucina e sedette sullo sgabello accanto a me senza dire una parola. Non lo forzai e aspettai che parlasse, ma non lo fece prima di aver preso bei sorsi dal mio bicchiere di limonata.

«Forse tu non lo pensi… e forse nemmeno lo capirai… ma io sono fortunato ad averti con me in questa occasione, Raim.»

Perplesso, ricordo di aver girato lo sguardo per la stanza. Non so se mi aspettavo una telecamera per riprendere lo scherzo o un qualsiasi indizio materiale che mi spiegasse il senso della sua uscita, ma non c’era né l’una né l’altro.

«Scusami?»

«Tu sei calmo… sei sereno. Se avessi chiesto a qualsiasi altro sguattero sarebbe sopraffatto dalla responsabilità e dalle sue lacune, e se l’avessi chiesto a uno chef avrei probabilmente sbattuto contro qualcuno che voleva metterci del suo per troppo orgoglio o avrebbe avuto paura di bruciarsi con i critici per sfiducia in sé.»

Mi sorrise in un modo così genuino e così solare che, posso dire, smisi di vedere e pensare qualsiasi altra cosa.

«Tu non sei spaventato… né arrogante, né indifferente. Io diventerò più agitato e più esigente man mano che ci avviciniamo alla cena, e tu… Raim, tu devi mantenermi calmo. Devi regolare la mia velocità» mi disse, strizzandomi appena l’avambraccio. «Voglio che impari i nostri tempi perché se accelero devi dirmi di respirare e fare le cose come vanno fatte… con il loro tempo e tutta la cura. So di essere un impulsivo, ma ho te a controllarmi, vero?»

Che era un impulsivo non lo si poteva negare in nessun modo, si era visto da come aveva reagito alle accuse di Durand e sulla salsa acida… ma era anche vero che io facevo della guerra all’ansia una specie di santa crociata, in quel senso ero l’uomo giusto per Sahan. E ora che me ne rendevo conto e che capivo appieno quale fosse il mio principale ruolo mi sentivo molto più calmo: se avessi assolto i miei compiti e fossi riuscito a tenere dritto il timone Sahan ci avrebbe guidati in porto entrambi.

D’altronde, mi dissi, se non mi mettevo in gioco per l’unico che aveva creduto in me da quando ero stato arrestato, per chi altro avrei mai potuto?

«Sono bravo a capire quando le persone diventano nervose» replicai allora sorridendogli. «Ti terrò d’occhio e ti arriverò uno sculaccione ogni volta che diventi ansioso.»

Sahan mi guardò preoccupato e io sollevai la mano.

«Oh, sei nervoso!»

«No! Giuro di no!»

Fu inutile che cercasse di scapparmi, perché gli arrivai una pacca sul sedere col mio braccio “ridicolmente lungo” – lo chiamò così mentre si massaggiava la natica con un vittimismo esagerato. Almeno, però, il suo umore era migliorato.

«D’accordo, Raim… tu prendi appunti. La ricetta è scritta e spiegata, con temperature e dettagli del genere, ma voglio che tu veda come si fa e mi faccia tutte le domande che ti vengono. Non esiste una domanda stupida, okay?»

Presi il quadernino e la penna che mi aveva preparato e mi disse che mentre divideva gli ingredienti secondo la sua linea potevo iniziare a leggere la ricetta del dolce, perché avremmo iniziato da quella. Lo vidi preparare la panna, le uova sgusciate e separate, ammollare la gelatina, tritare il limone salato e disporre tutti gli ingredienti in ciotole di dimensioni diverse, alcune davanti a me e altre accanto ai fornelli.

«Prima che inizi la ricetta, posso una domanda?»

«Sì» mi fece un po’ sorpreso. «Riguarda la mia linea?»

«Perché hai una giacca fucsia?»

Sahan restò ancora più stupito, ma poi si accigliò con un’aria tremendamente irritata.

«Perché un uomo non può indossare una giacca da cuoco o un qualsiasi vestito di colore rosa e magenta, è questo?»

Non pensavo davvero che potesse prendere così male il mio commento e alzai le mani in segno di resa.

«No, no… è che pensavo che i cuochi di livello indossassero solo giacche bianche o nere… anche in tv non mi è mai capitato di vedere una giacca con dei colori così vivaci.»

«Non è assolutamente così. Nel ristorante Micheaux gli chef de partie indossano uniformi bordeaux e i commis la casacca beige… ho lavorato con lo chef Ras Hamadisaba, un’eminenza della cucina vegetariana di alto profilo, che indossa sempre una divisa verde scuro… e questa…»

Sospirò passandosi il dito sotto il colletto fucsia.

«Era l’uniforme che voleva la chef Nocera nella sua pasticceria… ci ho lavorato per sei mesi, un piccolo stage… e voleva che usassi anche un elastico per capelli di questo colore. Come tutti gli artisti, anche gli chef hanno strane fissazioni e alcuni con le uniformi.»

Annuii: ne sapevo qualcosina anche io di artisti con bizzarre fissazioni.

«Sì, capisco… la mia insegnante di ballo vestiva sempre e soltanto di blu elettrico. Si truccava di quel colore anche gli occhi e le unghie, e anche nelle foto delle sue gare da giovane aveva sempre vestiti da ballo e scarpe blu.»

«Meglio del magenta… non so, queste tinte fluorescenti mi irritano un po’. È come se mi stancassero i nervi, è difficile da spiegare.»

Non aggiunse altro e io, tanto per fare qualcosa di utile, mi offrii di aiutarlo a predisporre la linea. Mi misi al lavoro con le uova, ma in quel momento di lavoro mi resi conto che mi mancava la musica in sottofondo… però, dovendo stare attenti al cibo e ai procedimenti, sarebbe stata una distrazione. Per un po’ non avremmo avuto modo di ballare e mi stupii della sensazione cupa che mi dava quell’idea. Non avevo ballato per anni e proprio ora mi sorgeva di nuovo quella voglia…

«Se aprissi un ristorante tuo useresti le uniformi bianche, allora?» domandai, un po’ per distrarmi da quella sensazione di incertezza. «O come nel ristorante di tuo padre?»

«Le uniformi bordeaux mi sembrano un po’ austere… se aprissi un ristorante sarebbe qualcosa di frizzante… nuovo, fresco, allegro… anche un po’ stravagante… sceglierei una cucina così, quindi…»

«Una cucina come te» osservai, senza tenermi il sorriso divertito.

«Oh, signor Manning, sto quasi cominciando a pensare di averti colpito!»

«È successo. Non mi è difficile dirlo: conosco poco la gastronomia e l’ambiente della cucina… in pratica, per niente, e al Liaison è stato come vivere nel campanile di Notre-Dame assordato dalle campane grosse. Ora sto passeggiando fuori insieme a te e vedo un mondo nuovo, che è frizzante, allegro, e stravagante… tu sei la mia Esmeralda.»

Sahan mi guardò e io lo guardai. Dopo un attimo scoppiammo a ridere, quel minimo disagio completamente azzerato.

«Oh, cielo, Raim» fece quando riprese fiato. «Spero di non finire bruciato~»

«Pensi che il ministro Frollo stia fra i critici che ha invitato Durand?»

«Conoscendo Durand non mi stupirebbe per niente!»

Emisi una risatina divertita e nervosa insieme immaginandomi un tale in tunica medievale in sala; per un solo momento fino al giorno della cena mi preoccupai della severità dei critici e fu proprio quello. Per fortuna l’attimo passò quando Sahan si dichiarò pronto a cominciare e mi illustrò la linea – per quale ragione aveva messo questo o quello in un posto o in un altro – prima di iniziare la base al sesamo, la sua prima preparazione che andava raffreddata a temperatura ambiente e richiedeva più tempo.

Feci sparire dubbi e angosce quando feci uscire la punta della penna e seguii la ricetta con la massima attenzione. Anche se dubitavo di avere domande con una ricetta così dettagliata come quelle scritte da Sahan mi trovai a farne una quantità su ogni procedimento di cottura e ogni reazione chimica; a ognuna Sahan rispondeva prontamente dicendomi tutto quello che riteneva importante ed era felice come un professore devoto ogni volta che gli chiedevo qualcosa.

Non lo facevo per dargli fiducia o fargli un piacere. In quanto gobbo incapace e unico sostegno della mia Esmeralda, volevo diventare il miglior supporto possibile per la sua grande occasione.

   
 
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