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Autore: Misaki Starlyght    15/05/2021    2 recensioni
[IN REVISIONE - cap 1 di 20]
|| M e r t h u r || M a g i c A U || S c h o o l A U || C u r s e d A U || H a t e to L o v e || S l o w B o r n ||
Long ambientata ai giorni nostri. Cosa succederebbe se un Arthur ribelle e problematico e un Merlin apatico e solitario si incontrassero da adolescenti frequentando la stessa scuola? E cosa accadrebbe se la magia esistesse ancora e venisse praticata
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balinor, Merlino, Morgana, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Il Lago di Avalon distava circa un'ora di bus da Camelot e Arthur non era mai stato così eccitato nel fare qualcosa.
Il tempo passato fra le mura di casa Emrys sembrava raddoppiato, triplicato in confronto alla realtà.
L'incanto di Morgana non sembrava più aver trasformato lui, ma il tempo e lo spazio intorno a loro, dando così origine ad una sorta di pellicola trasparente capace di separarli dal resto del mondo.

La sensazione era quella di essere catapultati dentro una palla di vetro con la neve.
Belle.
Perfette.
Un vero e proprio sogno cristallizzato.
E Arthur viveva quel sogno, nel quale di tanto in tanto la palla veniva sbattuta, smuovendo e facendo danzare la neve in piccoli mulinelli.
Leggere scosse che lo risvegliavano dal sogno, ricordandogli chi fosse veramente, cosa doveva fare e che al di fuori di quel vetro, il mondo c'era.
Lo attendeva.
Ma queste duravano poco. Il sogno lo rapiva di nuovo e lui si lasciava prendere senza troppe cerimonie.

Abbiamo tempo...

Questo si ripeteva nella mente, sperando così di ritardare il ritorno al mondo, ancora per un po'. Allora tutto ritornava fermo e immobile.
Ritornavano ad essere lui e Merlin, distaccati dal resto del mondo.
Fuori dal tempo e dallo spazio.
Pieni della loro routine, delle conversazioni costanti ma mai noiose e di quel appagamento senza nome che ormai stava diventando sempre più conscio, palpabile e visibile ad occhio nudo.

Palla di neve a parte, un unica cosa gli mancava: il contatto con altre persone che non fossero solo ed esclusivamente Merlin Emrys.
Gli piaceva passare del tempo con lui, ma dopo un mese o poco più di convivenza forzata, iniziava fisicamente a sentire il peso e la mancaza di interazioni con i suoi amici, la sua squadra.
Gli mancavano gli allenamenti sotto il sole cocente. Le feste con musica e alcol che iniziavano e non finivano mai finchè non sorgeva il sole del giorno dopo. Flirtare con le ragazze.
Gli mancava la sua vita sociale e per quanto vedesse l'impegno che Merlin ci metteva, a suo modo, per non fargli mancare nulla, nemmeno lui riusciva a sopperire a tutta quella mancanza così numerosa e festaiola.

Non gliene faceva una colpa, ovviamente. "Numeroso" e "festaiolo" non erano due termini che rientravano nel vocabolario del moro e chidergli di esserlo sarebbe stato un insulto.
Ma non lo avrebbe fatto in ogni caso.
Merlin andava bene così come'era, nella sua stramba e complessa unicità e stava bene dove dove stava, colmando parti di lui che invece il suo nutrito gruppo di amici non era mai stato in grado di fare. E che nemmeno lui sapeva di avere fino a quel momento.

Per questo motivo era così eccitato di andare al lago.
Una parte di lui sperava di trovare lì la sua vecchia compagnia a divertirsi.
Era perfettamente conscio del fatto che non avrebbe potuto in alcun modo interagire con loro; ma sperava almeno in quel modo, di colmare la loro mancanza.
Anche solo osservandoli da lontano, sentendo le loro voci familiari e ascoltando i loro discorsi.

*Ma quanto ci mette il pullman ad arrivare? Con la mia macchina saremmo già arrivati da un pezzo.* chiese Arthur sfinito dal caldo dell'asfalto e dal sole che picchiava sulle loro teste, mentre aspettavano alla fermata degli autobus. *Hai mai preso un pullman?*
-Che domande. Vengo da una famiglia ricca. Ovvio che non nè ho mai preso uno.*
-Allora devi sapere che gli autisti non sono mai in orario.-
*Che strazio! E che fai di solito allora?*
-Nulla. Mi ascolto la musica e aspetto.-

*Provare a farglielo notare no?* gli chiese il Pendragon indignato dalla totale mancanza di rispetto dell'orario da parte dell'autista. A casa Pendragon una cosa del genere non se la sarebbe sognata nessuno.
-Una volta un tizio lo ha fatto, ma l'autista lo ha minacciato di lasciarlo alla fermata ogni volta che lo avesse visto. Così ho pensato non fosse il caso di insistere a mia volta.-
*Se vosse stato un Pendragon a dirglielo col cavolo che avrebbe risposto così. Te lo dico io.* Rispose indignato e allo stesso tempo compiaciuto del suo status familiare. -Non saprei.- disse poco convinto Merlin *E perchè?*
-I Pendragon non prendono gli autobus.- Ad Arthur ci volle qualche secondo per capire che il moro aveva appena fatto la sua seconda battuta in due giorni, prima di scoppiare a ridere. -Cazzo Emrys! Due battute in due giorni. Quasi non ti riconosco!*
-Devo ammettere che frequentarti ha migliorato le mie tecniche di conversione.-
*Quindi stai dicendo che ti ho insegnato qualcosa?* chiese Arthur sorridendo sotto i baffi, ma ovviamente era troppo chiedere che il moro gli desse anche la soddisfazione di una assenso come risposta. -Ora non esagerare.-

Il pullman arrivò con quindici minuti buoni di ritardo e l'autista dopo aver guardato storto Merlin con una sacca da spiaggia in mano e accanto un lupo senza guinzaglio dalla dubbia docilità li fece salire con un:
-Guai a te se la tua bestiaccia piscia sulla mia Cindy. Hai capito?-

*Ma che simpatico.* disse Arthur a Merlin con evidente sarcasmo nella voce, mentre si dirigevano all'utima fila di sedili. *Chi cavolo è Cindy?*
-Il suo Autobus.-
*Sul serio?* chiese esterrefatto il Pendragon. *Ha chiamato il suo autobus Cindy?*
-Io l'ho sempre detto che la gente è strana.-
*Proprio tu parli?*
-Io non do nomi femminili agli oggetti.-
*E menomale. Ci mancava solo questo.*
-Ma se tu chiami sempre la tua macchina Baby.- rispose perplesso il moro, ripensando a tutte le volte che Arthur aveva nominato la sua macchina preoccupato, non sapendo dove sua sorella l'avesse nascosta. *Mi stai paragonando a quel ciccione pelato? Si dà il caso che la mia macchina sia una Lamborghini Aventador da settecentosettanta cavalli. È una Signora Macchina. Mentre questo è un ferro vecchio di nome Cindy. Non potrà mai competere con la mia Baby.*
-Sai...inizio a pensare che potreste andare daccordo.- disse sinceramente confuso e allo stesso tempo divertito dal loro bisogno di dare un nome femminile ad un mezzo di trasporto. *Non sei divertente!* Il moro non rispose a quella battuta. Semplicemente si girò a gardare fuori dal finestrino mentre un leggero sorriso increspava le sue labbra sottili.

Arrivati alla spiaggia, si sitemarono sotto l'ombra di un albero. Arthur aiutò Merlin come potè a sistemare i due teli sull'erba, e una volta finito il lupo si lanciò come un razzo nell'acqua fresca del lago. Ci sguazzò felice dentro finchè non si rese conto che Merlin, non lo aveva seguito come aveva sperato.
Lo vide invece seduto composto sul suo telo, al riparo dal sole cocente, mentre tirava fuori un libro dalla sacca.

Veloce uscì dall'acqua e dopo essersi scrollato la pelliccia gli si avvicinò. *Che cosa fai?*
-Leggo. A te che cosa sembra?-
*Lo vedo. Quello che non capisco è perchè se siamo qui al lago, tu sei qui sotto un albero a leggere, invece di buttarti con me in quell'acqua fantastica laggiù.*
-E solo che...ora non mi va. Mi butterò più tardi, ora sto bene così.- rispose Merlin con evidente difficoltà. *Ma se ci saranno almeno quaranta gradi oggi. E tu sei sudato fradicio.*
-Sì...beh...te l'ho detto. Ora non mi va. Preferisco stare qui all'ombra a leggere un po'.- rispose il moro cercando di sembrare il più naturale possibile, nonostante il caldo insopportabile e l'insistenza di Arthur lo stessero decisamente mettendo alla prova.

Il Pendragon a quel punto non insistette oltre, capendo di essere sulla soglia di una ennesima porta che non doveva essere aperta. Anche se lui avrebbe volentieri preferito scardinarla a suon di pugni. *Te lo giuro Merlin, prima o poi capirò come funziona il tuo maledetto cervello.*
-Buona fortuna allora. Ti toccherà metterti in fila.- Rispose Merlin tirando un sospiro di sollievo nel vedere il biondo mollare l'osso.
*Fa come ti pare zuccone. Io vado a farmi un bagno.*
E detto ciò si voltò per buttarsi un altra volta in acqua, portandosi dietro quella costante curiosità, che ormai lo avvolgeva come una coperta, nei confronti di Merlin.

Arthur rimase un'ora buona a galleggiare in acqua e a rimuginare sul perchè Merlin non avesse voluto unirsi a lui.
Conoscendolo, aveva iniziato a pensare alle cose più astruse, passando poi al semplice:
Forse vuole solo stare un po' da solo per i fatti suoi senza avermi in torno.

In ogni caso, qualunque fosse la reale motivazione, non avrebbe mai potuto saperla senza che il diretto interessato gliela dicesse. Così alla fine, contro voglia si mise l'anima in pace e uscì dall'acqua per fare una passeggiata lungo il bagnascuga.

Camminò per una ventina di mentri finchè alle sue orecchie non giunsero delle voci familiari. Veloce, diresse lo sguardo verso la musica alta e il vociare divertito, e subito vide alcuni ragazzi della sua cerchia di amici.
Riconobbe quattro ragazzi della sua squadra con in mano una birra e tre cheerleader intente a prendere il sole, di cui con una era stato a letto mesi addietro.
Lentamente si avvicinò alla loro postazione, posizionandosi non troppo vicino per essere notato ma nemmeno troppo lontano per ascoltare le loro conversazoni.

Per un po' rimase semplicemente sdraiato sotto l'ombra di un albero lasciando che le loro voci familiari gli accarezzassero la mente, mentre le ragazze parlavano di gossip, moda e altro ancora, e i ragazzi delle loro ultime conquiste, degli allenamenti e delle feste più in a cui sarebbero andati. Iniazialmente non diede molto peso alle conversazioni ma con l'andare dei minuti si rese conto di quanto quello scambio fosse frivolo.
In tutta onestà non ricordava i loro discorsi così vuoti, al contrario, ricordava le battute divertenti, le risate e...in effetti...quelle conversazioni piene di nulla.
Perché effettivamente non parlavano di altro.
Lui non aveva mai parlato di altro con loro.

Li conosceva da quando era piccolo dato che tutte le famiglie altolocate di Camelot si frequentavano assiduamente; ma solo in quel momento si rese conto di non conoscerli veramente.
Frequentarli era praticamente un obbligo sottinteso da generazioni e suo padre non si sarebbe aspettato altro da lui come aveva fatto a sua volta, così da coltivare incentivi economici. Perché fondamentalmente tutto in quella famiglia era indirizzato verso quell'obiettivo.

Ma solo ora si rendeva conto di averli scelti non come singoli individui, ma come imposizione paterna.
Come avrebbe potuto?
Erano tutto il suo mondo e lui aveva visto e conosciuto solo quello che suo padre gli aveva mostrato.
Li aveva accolti nella sua vita cosciente che nessun altro avrebbe potuto prendere il loro posto, ignorando tutto il resto del mondo; mai abbastanza alla sua altezza per essere considerato.
Sapeva per filo e per segno come sarebbe stata la loro vita. Compresa la sua.
Un percorso già segnato dai propri genitori senza scampo, né deviazioni.
Non conosceva i loro sogni, le loro aspirazioni. Forse nemmeno li avevano. Come lui, non si erano mai posti il problema.

È lui cosa voleva? Cosa desiderava?
Non lo sapeva.
Era la prima volta che si poneva quella domanda, e questa improvvisa consapevolezza lo spiazzò.
C'è qualcosa di confortante nel desiderare nulla e lasciare che gli altri ti spianino la strada. La sicurezza di avere tutto programmato senza la paura dell'ignoto. Ma prendere coscienza di non avere aspirazioni, idee proprie, scelte proprie era altrettanto terrificante.
Chi era lui?
Quale era il suo vero io senza quella strada spianata? Senza quelle imposizioni? Senza quegli insegnamenti?
Nessuno, se non la copia di chi lo aveva cresciuto.

Un conato di vomito gli salì dalla bocca dello stomaco a quel pensiero.

Io non sono come lui...

Ma anche se avesse potuto scegliere, nessuno poteva dargli la conferma sulla riuscita dei suoi piani.
Nessuno dice di no a suo padre.
Nessuno.
Quindi...non avere piani alternativi, forse non era poi così male.
Non dover provare la delusione e lo sconforto del fallimento.
Avere su di sé lo sguardo punitore di Uther, mentre si congratula con lui per il suo fallimento assicurato.
Rimproverandolo della sua patetica inettitudine.

Tu non sei nulla senza di me! Come ti ho creato, posso distruggerti. Ricordatelo!

E poi...
E poi c'era Merlin.
Un altra imposizione. Questa volta da parte di sua sorella, nonostante ora, non la vedesse più così.
Lo era stato all'inizio, ma per quanto fossero stati costretti, Merlin, lo aveva accettato nella sua vita. E in un mese o poco più avevano condiviso più di quanto avesse fatto lui in anni con la sua presunta cerchia di amici.
Lui e Merlin non potevano essere più agli antipodi di così, eppure avevano trovato un modo per incastrarsi.
Non erano obbligati a conoscersi, ma lo avevano fatto. Avevano scelto di farlo.
Merlin lo aveva scelto nonostante i loro trascorsi e lui lo aveva scelto nonostante fosse la persona più lontana da lui.
Lo stava conoscendo, lo stava accettando e apprezzando per quello che era.
E soprattutto voleva continuare a conoscerlo in tutte le sue sfumature. Anche quelle più oscure che il moro si rifiutava di mostrare.

Si rese conto di sapere più cose sul conto di Merlin, che sui suoi amici, nonostate la sua regola ferrea sulla privacy.
Sapeva che Merlin aveva una fame insaziabile per la conoscenza. Non importava cosa e quanto piccola o grande fosse. Lui aveva questo bisogno di sezionare ogni cosa nel minimo dettaglio e conoscere a fondo anche il granello più insignificante.
Sapeva che era fissato con l'ordine e che ogni oggetto aveva un suo posto preciso. Sapeva che prima di leggere un libro, gli piaceva sfiorare le pagine con le dita e sentire il profumo della carta mischiata all'inchiostro.
Sapeva che era caparbio e assurdamente metodico in tutto quello che faceva e che mai e poi mai qualcuno sarebbe riuscito a fargli fare qual'cosa che non voleva.
Lui ne era la prova vivente. E sapeva che gli piaceva davvero chiaccherare con lui, e condividere le reciproche passioni perchè cascasse il mondo Merlin Emrys avrebbe preferito il silenzio piuttosto che cedere a qualcuno.
E Arthur lo ammirava per questo.

Sapeva che per quanto Merlin, potesse sembrare un robot senza anima agli occhi del mondo, in realtà non lo era affatto.
Era sì riservato e per nulla incline al contatto fisico, il rapporto che aveva con la madre bastava come dimostrazione; nonostante ciò sapeva che Merlin avrebbe smosso mari e monti per lei.
Di fatti, aveva scoperto che la maggior parte dei soldi guadagnati dai compiti venduti sotto banco, contribuivano alle spese mensili di vitto e alloggio.

Aveva conosciuto la sua mente acuta e brillante. La sua natura buona e un po' infantile. E sapeva che Merlin non era come tutti gli altri.
Sapeva quello che voleva e faceva di tutto per prenderselo a differenza sua.
Era un anima indipendente, risoluta che si era costruita da sola lottando, per guadagnarsi il proprio posto nel mondo.
Dio solo sa quanto lo invidiava.

Aveva un modo diverso di vedere la vita, forse un po' troppo analitico certe volte, ma di una cosa era assolutamente certo: Merlin non era una di quelle persone che si lasciano andare con facilità per questo motivo era certo del fatto, che chiunque fosse riuscito a guadagnarsi la sua fiducia, avrebbe guadagnato la migliore amicizia che una persona potesse desiderare.

Pregno di quella consapevolezza, decise di lasciare i ragazzi ai loro svaghi e tornare da Merlin con rinnovato vigore, quando una voce lo trattenne.

-Qualcuno di voi ha sentito Arthur? È da un mese che non si fa sentire.- disse Yuin. -Ho incontrato sua sorella l'altro giorno in centro.- rispose Giselle. -Mi ha detto che è partito per una vacanza in Europa, da solo.-
-Questa sì che è bella! Arthur non se ne andrebbe mai in giro senza di noi. Non ha detto altro? Tipo il perché ci ha abbondati qui come degli stronzi senza dire nulla?-
-Solo che improvvisamente aveva bisogno di stare da solo e che per questo ha praticamente staccato il telefono. Roba da matti. Ha aggiunto dicendo che ci saluta tanto e che sicuramente riceveremo una cartolina.- concluse la bionda.
-E tu le credi?- chiese Clare, la mora accanto a lei con evidente disgusto nella voce -Lo sanno tutti che sua sorella è matta. Gira sempre con quelle due svitate.-
-Sarà anche matta, ma io me la farei volentieri.- rispose Valiant. -Tu ti faresti chiunque.- rispose Yuin. -Vero. Ma te lo immagini con una Pendragon?-
-Saresti morto prima di poterci provare.- intervenne Eliot. -Dici che Arthur se la prenderebbe se ci provassi con sua sorella?-
-Io mi preoccuperei più di lei che di lui.- disse Eleanor -Mentre Arthur al massimo ti spaccherebbe quel tuo bel faccino. Morgana ti farebbe di peggio, fidati.-
-Ma che avete contro sua sorella? A me sembra una a posto.-
-A parte essere dieci volte più intelligente di te? Alcuni dicono che pratichi la magia nera insieme alle sue amiche pazze. Io non ci proverei se fossi in te.- aggiunse Clare
-Magia nera eh...eccitante!-
-Sei disgustoso! Voi maschietti non sapete proprio tenerlo nei pantaloni.- rispose Giselle. -Sai chi altro non se lo starà tenendo nei pantaloni?- intervenne Eliot -Un certo biondino di nostra conoscenza, che ci ha mollato qui per tenersi le europee tutte per sé.-
-Su questo non ti devi preoccupare. Quelle europee non si perdono nulla.- disse stizzita Eleanor.
-Ma che cazzo dici? È di Arthur Pendragon che stiamo parlando!-
-Appunto. Ma che te lo dico a fare? A voi maschi basta svuotarvi e siete a posto per un'altra settimana.-
-Che permalosa che sei! Cosa hai mangiato a colazione sta mattina? Acido e cereali?-

Yuin non poteva comprendere le parole della ragazza, perché era esattamente come lui quando era ancora umano.
Ma ora...
Sapeva bene quello che intendeva dire, e la triste verità era che aveva ragione.
Lui e Eleanor avevano cenato nel ristorante più In di Camelot per poi prenotare una camera nell'hotel sovrastante.
Lo aveva fatto tante di quelle volte da venirgli naturale. La parola giusta, il tocco giusto e poi sù dritti in camera da letto. Lui le lasciava pregustarsi il momento lasciando che fossero loro a sbottonargli i pantaloni e la camicia, stando però attento a non farsi mai togliere quest'ultima.
Non la tirava mai troppo per le lunghe.
Non voleva che le loro mani indugiassero troppo sul suo corpo. Sulla sua schiena maledetta.
Le prendeva di peso per poi sbatterle sul letto. Certe volte erano talmente affamate da voler avere loro l'iniziativa.
Allora si metteva a pancia in sú e le lasciava giocare con le loro mani e bocche piene di desiderio.
Poi le bloccava sotto di lui così da avere il pieno controllo. Faceva loro un lavoretto tra le gambe lasciando che le loro mani si insinuassero fra i suoi capelli spettinati, per poi girarle a pancia in giù e prenderle da dietro senza troppe cerimonie.
Non dava loro nemmeno il tempo di accoccolarsi insieme dopo una sana scopata.
Scendeva dal letto si rivestiva e le sbolognava con un conciso: -La camera è pagata per tutta la notte, goditela pure. Se hai fame ordina quello che vuoi. Offro io.-

Come se le stesse facendo un favore.
Forse nemmeno le prostitute che vivevano nella casa di piacere ai margini della città, venivano trattate con così poco riguardo.

Una settimana dopo aveva saputo che Eleanor si era presa una bella cotta per lui, e ovviamente non aveva preso bene la sua fuga repentina è priva di garbo.
L'unica cosa che fece, fu farsi una risata, guardare i suoi amici ed esclamare: -Le passerà.-
Eleanor non avrebbe potuto usare parole più azzeccate. Perché pochi giorni dopo aveva già trovato un'altra ragazza con cui svuotarsi.
Solo ora si rendeva conto del suo comportamento più che discutibile.

Si portava dietro da così tanti anni quelle cicatrici, da non rendersi conto degli effettivi danni che gli avevano arrecato.
Come uno storpio aveva imparato a camminare con il suo bastone di sostegno senza quasi più rendersene conto.
E da impedimento quelle stesse cicatrici erano diventate una corazza di duro metallo, contro tutto il resto del mondo.
Una corazza così spessa da impedirgli non solo di non percepire la sofferenza degli altri, ma anche la propria.

La sua paura era diventata sarcasmo.
Il suo disagio, collera.
E la gioia? Una mera maschera bugiarda. Indossata talmente bene da non riuscire più a scollarsela dalla faccia.

Il sesso si era trasformato in una mera necessità e non in un momento nel quale dare e ricevere piacere.
Quante cose si era precluso?
Quante cose suo padre gli aveva tolto?
Tante... così tante da non poterle contare. Compresa la sincerità.
Compreso l'amor proprio.
Compresa la libertà.

Ma sentire quello che avevano detto nei confronti di sua sorella...quello fu anche peggio. Valiant avrebbe fatto meglio a stare lontano da Morgana o gli avrebbe spaccato molto di più della sola faccia. E le altre?
Che sua sorella fosse una strega era innegabile...ma pazza?
Pazza era la sua famiglia.
E come si fa ad uscire sani di mente dall'inferno che avevano passato?
Solo i sui occhi e le sue orecchie conoscevano il dolore e la sofferenza che si celava fra quelle sfarzose mura casalinghe.
Solo le sue braccia gli avevano dato conforto quando nessun'altra mano era voltata in suo aiuto.
Sei lei era pazza...allora lo era anche lui.
Due matti in fuga dal loro inferno personale.
Lei aveva trovato Morgause, Nimueh e la magia.
E lui?
Non era certo di poter dire di avere Merlin al cento per cento. Ma vedendo cosa gli si presentava davanti al vetro l'ultima cosa che si sognava di fare, era di rompere quella palla di neve.

 

  
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