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Autore: Ghostclimber    16/05/2021    2 recensioni
Gokudera ha passato due mesi in Italia nel vano tentativo di dimenticare il Decimo.
Ora è di ritorno, e dovrà decidere se continuare a fingere o guardare in faccia la realtà.
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Genere: Demenziale, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lovehearts on an old stone building
have no relevance now.
Sherry bottles in a bus-stop litter bin
remind me of you somehow.






La porta di casa Sawada si schiuse silenziosamente e Nana entrò in punta di piedi.

Era appena l'alba e il sole era sorto su Namimori splendente, luminoso, quasi ad irridere la sua sofferenza, così grande e inaspettata che Nana davvero non sapeva da dove cominciare non già per gestirla, ma anche solo per comprenderla.

Fece cenno a Oregano di seguirla e la donna eseguì, in completo imbarazzo: il viaggio in aereo era stato tranquillo, le due donne si erano conosciute poco a poco e avevano cominciato a fidarsi l'una dell'altra, ma restava quell'enorme elefante rosa a forma di Iemitsu tra loro, e Oregano non sapeva come comportarsi.

Nana lasciò le valige nell'ingresso e fece strada verso la cucina; entrambe camminarono silenziosamente: anche se Tsuna aveva promesso che si sarebbe svegliato per dar loro il benvenuto, la casa era ancora immersa nella quiete e Nana preferiva che suo figlio continuasse a dormire ancora un po'.

Accese la luce della cucina, e un coro di voci la accolse: “BENTORNATA!”. Nana, colta di sorpresa, indietreggiò di mezzo passo e Oregano la prese d'istinto per le spalle, poi entrambe risero.

Il tavolo della cucina era coperto di piatti, piattini, ciotole e bicchieri, e tutti i figli di Nana, quello naturale e quelli adottivi, erano in pigiama, intorno al tavolo, pronti a fare colazione.

“Ma guarda qui, tutti i miei bambini!” esclamò Nana, sorridendo, poi scoppiò finalmente in lacrime. Non era ancora riuscita a piangere, troppo terrorizzata dal futuro senza Iemitsu, nel cuore un dolore troppo grande per essere espresso con le lacrime; tuttavia, vedere che al mondo c'erano ancora persone che la amavano abbastanza da svegliarsi prima delle rondini solo per farle trovare la colazione pronta aveva lenito la sua sofferenza quel tanto che bastava per concederle di sfogarsi.

Si sentì circondare dalle braccia di Tsuna, dal suo profumo che avrebbe riconosciuto in mezzo ad una ridda di odori, e per la prima volta si concesse di appoggiarsi al suo bambino, gettando al vento tutta la sua convinzione che una buona madre non dovesse mai mostrarsi debole o ferita di fronte al proprio figlio. Lo sentì sussurrare: “Tranquilla, mamma, va tutto bene. Andrà tutto bene, sfogati.” e il suo pianto divenne dirotto, irrefrenabile, tanto che al dolore si aggiunse una punta di paura: e se non fosse più riuscita a smettere? Se fosse morta soffocata dalle sue stesse lacrime, tra le braccia di quel figlio meraviglioso che le aveva appena promesso un futuro luminoso?

Braccia più corte e sottili di quelle di Tsuna le avvolsero la vita, due da un lato e due dall'altro: I-Pin e Lambo. Fuuta si insinuò tra la ragazzina e Tsuna e la strinse a sua volta, mentre due coppie di braccia femminili si posavano sulle sue spalle: Oregano e Bianchi. Dopo una manciata di secondi, Lambo venne spostato, protestò, poi anche Reborn si aggiunse all'abbraccio.

Nana si sentì ancorata alla terra, potente e sottovalutata come una canna d'acqua, sferzata da venti di uragano, piegata e maltrattata ma salda nelle sue radici e sicura che la tormenta sarebbe passata e che lei sarebbe stata ancora al suo posto, dritta e fiera, con la corolla rivolta al sole che occhieggiava timido da dietro le nuvole che finalmente si dissolvevano nel cielo che diventava terso.

Poco a poco, Nana si calmò e smise di piangere. Sciolse l'abbraccio di gruppo e baciò Tsuna sulla fronte; premette le labbra sulla sua pelle liscia, cercando di infondere in quel contatto tutta la gratitudine che provava nei suoi confronti: per l'abbraccio, per le sue parole, per essersi svegliato a darle il benvenuto, per essere la persona che era.

Quando si scostò, Tsuna aveva gli occhi lucidi. Nana procedette a distribuire baci e paroline dolci a tutti quanti, poi il lievissimo rumore del bollitore che veniva appoggiato sul fornello la spinse ad alzare gli occhi: “Oh, Gokudera kun, sapevo che dovevi esserci anche tu!” il ragazzo pareva mezzo morto di imbarazzo, ma Nana non si pose problemi. Lo raggiunse, lo abbracciò e lo baciò sulle guance: “Per fortuna ci sei tu a prenderti cura del mio bambino!”

“Già, come se non avesse alzato di almeno cinque punti il rischio incendio del circondario.” commentò Reborn a mezza voce; Bianchi emise un gemito esasperato e Lambo rise sguaiatamente.

“Reborn!” lo richiamò Tsuna, e il ragazzino rispose: “Che c'è? È la verità!”

“Infatti ho preparato solo il tè,” ribatté Gokudera, sulle cui guance aleggiavano due belle chiazze di uno splendido rosso pomodoro, “Fino a prova contraria, non si può bruciare l'acqua.” Nana rise di cuore e gli accarezzò una guancia surriscaldata: “Hai fatto qualcosa che sai fare e te ne sono grata.”

“Oh, Sawada san, io... non è nulla, davvero, vorrei poter fare di più.”

“Ti prendi cura del mio Tsu kun.” decretò Nana, e Gokudera rimase muto, con la bocca lievemente aperta, incapace di controbattere. Nana lo lasciò stare, consapevole che se avesse insistito ancora il ragazzo si sarebbe probabilmente buttato dalla finestra per sfuggire all'imbarazzo, e si sedette a tavola, trascinando Oregano con sé.

“Lei è Oregano,” la presentò, “Una mia amica. Starà qui da noi per un po'.” Oregano si scambiò un'occhiata con Reborn; Nana se ne chiese il motivo, poi decise che aveva già avuto troppi shock nel giro di ventiquattro ore e rimandò le domande.

Mentre tutti si servivano del cibo chiaramente da asporto disposto sul tavolo, Nana cominciò a notare una certa strana atmosfera: alzò gli occhi sui suoi bambini e notò che tra Tsuna e Gokudera volavano sguardi dolci, e che i loro movimenti interagivano gli uni con gli altri in maniera diversa, quasi come se fosse intervenuta una nuova grazia. Di colpo, si rese conto che il suo sospetto, che Tsuna in qualche modo ricambiasse i palesi sentimenti di Gokudera, era del tutto fondato. Le sovvenne il paragone con una coppia di ballerini molto abili che non avevano mai danzato insieme prima: dopo qualche passo imbranato, finalmente l'innata intesa era sorta, un punto di sorgiva era stato trovato e acque pure avevano cominciato a sgorgare, benedicendo l'ambiente circostante.

Nana lanciò uno sguardo a Bianchi, con la quale solitamente s'intendeva anche solo a cenni impercettibili, ma la giovane donna era intenta a mangiare a capo chino, gli occhi resi illeggibili da un paio di occhiali scuri, come sempre quando suo fratello era con lei: per qualche assurdo motivo, il ragazzo sembrava reagire alla vista del suo volto con violenti attacchi di mal di stomaco, e avevano dovuto ovviare alla faccenda coprendole gli occhi.

Forse sentendosi osservata, Bianchi sollevò il capo. Dietro alle lenti scure, i suoi occhi erano tristi e un po' gonfi, cerchiati da occhiaie che evidentemente non si era data la pena di coprire con del correttore. Nana ebbe la tentazione di chiederle se stesse bene, ma percepì una scintilla di timore e si limitò a rivolgere un impercettibile cenno in direzione di Tsuna, che era appena diventato rosso in viso dopo che Gokudera gli aveva passato un panino al vapore, sfiorandogli inavvertitamente le dita con le proprie. Bianchi fece un sorriso sincero e sollevò un sopracciglio, e Nana coprì il proprio sorrisetto con la ciotola della zuppa di miso.

Le chiacchiere si sprecarono, Gokudera raccontò della sua vacanza in Italia, Reborn raccontò di un disastroso pic-nic in cui Tsuna era riuscito non si sa come a cadere nel fiume e ritrovarsi in pieno centro città, Lambo raccontò che a scuola era diventato famoso perché il temibile Hibari Kyoya sembrava averlo preso sotto la sua ala; Nana si rese conto di sentirsi a proprio agio, e si accorse che quel tipo di chiacchiere leggere e spensierate si smorzavano in un silenzio imbronciato ogni volta che Iemitsu passava qualche giorno a casa.

L'ipotesi che Tsuna sapesse del suo tradimento le attraversò la mente, ma svanì nel nulla: Nana avrebbe scommesso la propria vita che, se il suo bambino fosse stato a conoscenza di una cosa del genere, glielo avrebbe senz'altro detto, anche a costo di rischiare di non essere ascoltato. Perché sì, ora Nana poteva ammetterlo, era stata terribilmente cieca ogni volta che l'argomento si spostava su quello che presto sarebbe diventato il suo ex marito.

Tsuna le aveva detto più volte che l'uomo non era quella gran meraviglia che lei descriveva, aveva spesso espresso il proprio disagio quando era costretto a dividere la casa con lui, ma Nana aveva cancellato le sue obiezioni con uno sbadato colpo di spugna, adducendo come causa il fatto che Iemitsu non era quasi mai a casa, e che Tsuna lo conosceva troppo poco per giudicarlo.

Ma, alla luce degli ultimi fatti, Nana cominciò a ricredersi sulla capacità di giudizio del proprio figlio: si rese conto, come se il trauma le avesse spalancato gli occhi, che Tsuna era perfettamente in grado di tener testa ad elementi difficili, ma che le persone che gli creavano un reale fastidio si potevano contare sulle dita di una mano.

Cercò di pensare agli amici meno stretti di Tsuna: quel ragazzo, Hibari, mai sorridente, sempre severo, quasi minaccioso. Eppure, Tsuna ci conviveva in pace, anche se era impossibile non notare i suoi tentativi di respirare più silenziosamente possibile in sua presenza. Persino quell'uomo con la faccia piena di cicatrici che era passato qualche volta insieme ad un altro uomo dai capelli lunghi, per quanto emanasse un'aura di minaccia e fosse tremendamente scostante, trascorreva del tempo con Tsuna e lui non se ne lamentava, anzi usciva da quegli incontri forse un po' provato ma in qualche modo anche rinvigorito, come se avesse cercato per tutto il tempo di ottenere un minimo di approvazione da quell'individuo e vi fosse infine riuscito.

Con Iemitsu, invece, Tsuna si limitava a stare fuori casa più tempo possibile. Se obbligato a passare del tempo con lui, rispondeva a monosillabi, non ribatteva alle sue provocazioni e non faceva mistero del proprio disgusto, che si stampava a chiare linee sul suo viso. Nana l'aveva spesso rimproverato per la sua apparente incapacità di creare un legame con l'uomo che l'aveva messo al mondo, ma ora comprendeva: la questione non era che Tsuna fosse incapace di farlo. Semplicemente, aveva deciso in completa coscienza di non farlo.

Nana ritornò al presente e udì Tsuna dire: “Ma come fai a tenere la ciotola dal lato con una mano?!”

“Non lo so, Ts... Tsuna,” rispose Gokudera, arrossendo di nuovo nel pronunciare il suo nome, “Si vede che ho le mani più grandi delle tue.”

“Fa' vedere!” disse Tsuna, e Nana alzò lo sguardo sulla deliziosa scena di suo figlio che appoggiava il palmo della mano destra contro la sinistra di Gokudera. La differenza era tanta da risultare quasi comica: le mani di Gokudera erano grandi e affusolate, e quando piegò l'ultima falange oltre alle dita di Tsuna tutti risero.

Lambo disse: “Reborn, fammi vedere quanto sono grandi le tue mani!”

“Se vuoi te ne stampo una in faccia, poi tu ti prendi a schiaffi dall'altra parte e paragoni i lividi.” rispose l'altro ragazzino. Nana ignorò la minaccia, sapeva che quello era semplicemente il modo in cui Reborn reagiva ad una situazione imbarazzante ed era logico che tra i due ci fosse un po' di attrito: erano due ragazzini che entravano nell'adolescenza all'interno della stessa casa, come a dire due galli nello stesso pollaio.

Tsuna intrecciò le dita a quelle di Gokudera, la bocca appena socchiusa come se stesse assistendo ad un meraviglioso fenomeno della natura, e Nana non poté più trattenersi. In tono appena appena allusivo, chiese: “Tsu kun, mi devi forse dire qualcosa?” Tsuna sollevò la testa così di botto che Nana udì le sue vertebre scricchiolare e la fissò con tanto d'occhi. Sembrava un cervo investito dalle luci dei fari di un pick-up, ed era al tempo stesso tenerissimo e buffissimo.

Gokudera scattò in piedi, sciogliendo la stretta delle loro dita, e si diresse al piano della cucina per versarsi una tazza di tè. Tsuna si lasciò sfuggire una risata imbarazzata e cominciò a biascicare alla velocità della luce: “No, cioè, insomma, voglio dire, ehehe, sai, Gokudera kun mi è mancato un sacco mentre era in Italia, insomma, ho tanti amici però ecco, lui mi mancava lo stesso anche quando non avevo un secondo libero, e sì ok, ci sentivamo, però non era la stessa cosa, non potevo abbracciarlo, non che io l'abbia mai abbracciato prima di ieri, però sai avevo voglia di abbracciarlo, e ho trovato la sua maglietta e me la sono messa, aveva il suo profumo, e poi va beh, lui è tornato, e poi è svenuto e Reborn ha fatto una battutaccia e abbiamo dovuto spiegare a Lambo la storia delle api e dei fiori, oh e poi ci siamo baciati, ma niente di serio, anzi sì, mamma lui mi piace un sacco, Hayato kun mi piaci un sacco, mamma stiamo insieme credo, Hayato kun, noi stiamo insieme, sì?”

Tsuna finalmente si interruppe e cominciò a respirare pesantemente: aveva detto tutta quella cascata di parole in un sol fiato, e francamente Nana stava cominciando a preoccuparsi che sarebbe svenuto sul posto per mancanza di ossigeno.

Gokudera, immobile con gli occhi sgranati di fronte alla cucina, sull'attenti con le braccia lungo i fianchi, del tutto dimentico della tazza di tè, rimasta vuota di fianco alla teiera, annuì con forza, una volta sola, poi svenne e cadde di faccia sul pavimento.

Tsuna si sbatté la mano sulla fronte e soffiò una mezza risata dal naso: “Ma sarà così per il resto della vita?” chiese, a tutti e a nessuno. Nana si ritrovò a ridacchiare sotto i baffi.

“Ho fiducia che prima o poi Hayato ce la farà a non svenire, abbi pazienza.” disse Bianchi in tono serio, poi si mise a ridere. Si tolse gli occhiali da sole, momentaneamente inutili, e si nascose il viso tra le mani per soffocare le risate; a Nana suonò un tantino isterica, e mentre faceva il giro del tavolo per andare a congratularsi con Tsuna le passò la mano sulla schiena, in una carezza di conforto. Sapeva che prima o poi la donna si sarebbe confidata e non voleva metterle fretta.

“Tsu kun, sono contenta che tu ti sia finalmente reso conto dei tuoi sentimenti.” disse Nana, in completa sincerità. Cercò di ignorare Lambo che si proponeva di svegliare Gokudera con una puzzetta in faccia e proseguì: “Ormai è da un sacco che l'avevo capito, e ho sempre fatto il tifo per voi.” sorrise rassicurante, nascondendo l'ansia che la questione le aveva procurato. Del tutto ignara su faccende relative alla sfera dell'orientamento sessuale, un paio d'anni prima Nana aveva addirittura consultato uno psicologo: dopo aver appurato che Nana non andava convinta della legittimità dei sentimenti di Tsuna, l'uomo le aveva consigliato di esporre la sua approvazione a chiare lettere per poi comportarsi normalmente.

Tsuna rispose al suo sorriso, una chiara luce di gratitudine negli occhi, poi bisbigliò: “Penso che ora dovremmo provare a far rinvenire Haya...”

“LAMBO!” urlò I-Pin, “MA CHE PUZZA!”

 

Far rinvenire Hayato fu semplice, molto meno lo fu impedirgli di trasformare Lambo in una tartare.

Abbracciarlo e ripetere anche a lui le stesse parole dette a Tsuna sarebbe dovuto essere una passeggiata, ma si trasformò in un'esperienza meravigliosa quando Gokudera si gettò tra le braccia di Nana e lì rimase per una buona mezz'ora, a farsi cullare. La donna lo trascinò fino al divano e si sedettero, e nel riflesso della vetrinetta del salotto vide i suoi occhi, aperti, asciutti e un po' tristi, e si chiese quanto gli fosse mancato l'abbraccio di una madre e come mai non ne avesse ricevuto uno per così tanto tempo da farlo crollare al primo accenno di amore materno.

Dopo qualche minuto, Tsuna si sedette timidamente al fianco di Gokudera, gli accarezzò il fianco e poi, gettato al vento ogni indugio, appoggiò la testa sulla curva della sua anca, tenendogli una mano sul gomito così da comunicargli che non era obbligato a lasciar andare Nana per abbracciare lui.

Cullata dal peso di quei due disastri, Nana si appisolò. Non si svegliò nemmeno quando Ryohei entrò in casa e, dietro richiesta di Tsuna, la prese in braccio e la portò fino in camera per distenderla sul letto.

 

“Oregano,” chiamò Reborn, sottovoce per non svegliare Nana, “Al Cedef sanno che sei qui?”

“Sì, ho parlato con Lal. Sono in missione autorizzata.” rispose la donna, seduta col busto eretto su una sedia della cucina ormai rimasta vuota.

“Lal è incazzata nera con Iemitsu.” riferì Reborn, sedendosi di fianco a lei.

“Lo so. Basil mi ha scritto dicendomi di riferire a lui, hanno dovuto spedirla di corsa a Mafia Land con una scusa per impedirle di squartarlo. Cristo, se avessi saputo...”

“Lo so, Oregano, non devi giustificarti.” la interruppe Reborn, poi proseguì dopo una breve pausa: “Quell'uomo è un autentico pezzo di merda.” Oregano aprì la bocca, come per ribattere, poi la richiuse. Scosse il capo e mormorò: “Vorrei difenderlo, ma ora come ora proprio non ci riesco.”

“Capita di innamorarsi di un'altra persona.” disse Bianchi dalla soglia della stanza, “Ma un uomo onesto parla chiaro, non tiene il piede in due scarpe.” Reborn la guardò in imbarazzo, senza parlare. Lo sguardo di Oregano passò dall'uno all'altra, poi Bianchi sorrise amaramente: “Ci meritiamo tutte un uomo come Reborn.” senza aggiungere altro, uscì. Pochi secondi dopo, la porta d'ingresso si aprì e si richiuse.

 

“Mamma.” chiamò Tsuna a metà pomeriggio. Nana stava facendo una seconda colazione con pane e marmellata e si voltò verso di lui con un sorriso.

“Mamma, ascolta.” disse Tsuna, poi trasse un grosso respiro e si sedette sulla sedia di fianco a lei, che disse: “Tesoro, sospetto che in qualche modo tu abbia scoperto cos'è successo.”

“Ehm... ecco, in realtà sì, ma non chiedermi come, te lo spiego un giorno che siamo tranquilli.”

“D'accordo.” Nana sorrise, poi tornò seria e disse: “Tuo padre riceverà mie notizie solo tramite l'avvocato che gli manderà le pratiche di divorzio. Non hai motivo di temere che io gli racconti di te e Hayato.” Tsuna si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo e si rilassò. Nana appoggiò sul piatto la fetta di pane che stava mangiando e gli mise una mano sul collo, accarezzandolo col pollice: “Piccolo mio, credo di aver sottovalutato il tuo intuito. Devi scusarmi se per tanto tempo ho cercato di farti andare d'accordo a forza con tuo padre.” Tsuna scosse la testa, deciso.

“Mamma, era normale che ci provassi, solo... solo che non ci riesco. Non ci sono mai riuscito.”

“Ora lo capisco. E credo di aver anche cominciato a capire il perché.” disse Nana. Tsuna annuì piano e la donna aggiunse: “Una cosa buona però l'ha fatta, amore mio.”

“E sarebbe?” chiese Tsuna, scettico.

“Mi ha aiutata a mettere al mondo un figlio meraviglioso.” Tsuna sorrise, e Nana si convinse ancora un po' del fatto che davvero tutto sarebbe andato per il meglio.

Prima o poi.

 
   
 
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