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Autore: adrienne riordan    17/05/2021    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno 27 ottobre: piece by piece (pezzo dopo pezzo)

Disclaimer: Il mio neuroncino fanwriter è partito per la tangente, con le ipotesi su Esqueleto e i suoi abitanti, chiaramente tutto cadrà come un castello di carte quando avrò tra le mani il terzo volume, e non vedo l’ora che ciò avvenga presto. Mi ero già dilettata in passato, con Thomas, Mattie e Franklin, oggi riprovo a fare il mio gioco preferito: la caccia alla divinità azteca, ossia indovina quali sono le altre divinità nascoste dietro a insospettabili umani.

 

 

 

 

Esqueleto, in senso lato, potrebbe essere descritta come una prigione, dal momento che era materialmente impossibile uscire dalla città e che si era costantemente sorvegliati. Questo poteva apparire snervante nei primi tempi di detenzione, soprattutto se avevi avuto una vita, o una famiglia in angoscia per la tua scomparsa, fuori da Esqueleto, ma quando finalmente ci si faceva l’abitudine, le calacas di Emanuel diventavano presto un trascurabile elemento del paesaggio circostante. Inoltre, a differenza di una normale prigione, dentro i confini di Esqueleto potevi fare praticamente tutto quello che volevi, stando ovviamente bene attento a non pestare i piedi a qualcuno che aveva il potere di farti pagare caro l’affronto. Se poi la tua famiglia era reclusa insieme a te, almeno l’angoscia diventava più gestibile, anche se non svaniva mai.

Valiant aveva sempre aspirato a una vita tranquilla, modesta ma dignitosa. Divenuto prigioniero della città, aveva avuto il rimpianto di non poter allevare altrove i suoi figli. Esqueleto non era precisamente un luogo adatto dove crescere bambini, ce n’erano così pochi, e quello non era nemmeno il problema principale!

Riacquistati i ricordi della sua prima vita, non aveva cambiato idea circa il rimpianto di non poter allevare altrove i suoi figli; eppure, questo sì che era paradossale da ammettere, riteneva che non potesse esistere un luogo migliore dove crescerli, all’infuori di quella città. Il motivo?

Durante la sua vita fuori da Esqueleto, Valiant non aveva programmato diventare padre così giovane eppure, quando arrivarono i gemelli, con un tempismo del tutto inaspettato, si era sentito come se avesse sempre saputo di essere al mondo per loro. Non si era mai risparmiato, e non si era mai pentito di nessuno dei sacrifici che, in quanto ragazzo padre, aveva scelto di compiere. Valiant aveva visto i figli crescere e si era spesso stupito nell’osservare lo sviluppo di personalità così diverse dalla sua: si era domandato spesso da chi avessero preso. Guardandoli, si era reso conto che i bambini erano davvero altro da sé, come scrivevano gli psicologi dell’età evolutiva nei manuali per il perfetto genitore, e sarebbe dovuto essere, in effetti, una cosa del tutto normale. Invece, non aveva saputo reprimere un senso di inquietudine nel constatare che c’era qualcosa, nei suoi figli, che non riconosceva. Li percepiva come estranei. Questa sensazione era decisamente diversa da una semplice presa di consapevolezza dell’individualità dei ragazzi, e Valiant si era chiesto se, forse, lui non fosse altro che un padre snaturato che desiderava un rapporto simbiotico con i figli, o che i bambini crescessero a sua immagine e somiglianza.

Una volta sceso a patti con la consapevolezza di essere una divinità e di essere prigioniero nella città maledetta da Emanuel, Valiant aveva trovato nella sua routine di cameriere al Pavo del Corral e di padre single la salvezza per i suoi nervi. Sarà pure stato il "Signore delle acque”, ma le acque chete (anche se non meno pericolose) erano decisamente più nelle sue corde. Il giovane padre aveva intuito le minacce nascoste dietro a quell’apparente cittadina fittizia, ma aveva ben presto capito che la minaccia non era rivolta ai suoi figli, e questo gli bastava. Questo lo consolava ma, allo stesso tempo… lo rattristava, con conseguente, ovvio, senso di colpa. Avrebbe voluto avere la forza di proteggere i suoi cari ragazzi da ciò che sarebbe sicuramente accaduto. Perché adesso aveva compreso il senso di estraneità che aveva percepito nei suoi ragazzi. Una cosa era stata lampante fin da subito, non appena ebbe riottenuto i ricordi e il potere: solo una divinità poteva accedere ad Esqueleto e, in qualunque parte del mondo si fosse trovata, il volere divino  l’avrebbe guidata verso la città, come una lanterna attirava le falene con la sua luce. Se i suoi figli fossero stati dei semplici umani, non sarebbero riusciti ad accedere alla città, neppure se fossero stati tenuti in braccio durante l’attraversamento del confine. Valiant si chiedeva perché il destino avesse deciso di rendere proprio lui il custode di tre giovani divinità. Aveva il suo senso, comunque: se ci si incarnava troppo tardi, la divinità sarebbe stata troppo giovane per spostarsi in autonomia, sarebbe rimasta fuori da Esqueleto e, in tal caso, non sarebbe più potuta tornare, alla fine di tutto;  ma se fosse stata scarrozzata da qualcun altro… Valiant non poteva saperlo, prima, ma era stato usato, come un uccello che allevava i pulcini di un cuculo. Poteva solo supporre l’identità dei tre piccoli clandestini, senza avere comunque nessuna certezza. Affrontare la scoperta della propria vera identità era un fatto personale. Privato. Valiant era stato tagliato fuori da quella dei suoi figli, con sua somma delusione, prontamente dissimulata, nell’attesa che fossero i ragazzi stessi a fare il primo passo verso di lui. Un’attesa, fino a quel momento, vana. Tra l’altro, Delia, Johann e Karol non vennero toccati dalla maledizione, pur essendo arrivati insieme a Valiant, e la cosa  sembrava aver sancito un’ulteriore, impercettibile presa di distanza dal loro padre. Dopo un periodo di crisi, aveva raggiunto la consapevolezza che, dopotutto, chiunque essi fossero, a lui non importava. Loro erano Johann, Delia e Karol, in quel momento, e avrebbe benedetto ogni singolo giorno che ancora potevano passare con la loro identità umana. Tra l’altro, a lui stava bene che i ragazzi non fossero stati costretti a badare a se stessi, che avessero potuto contare (e potessero contare ancora) su qualcuno che li amasse incondizionatamente, ossia Valiant stesso.

Non c’era mai stato un lago, prima del suo arrivo. Valiant voleva fare qualcosa per alleggerire le giornate dei bambini, e cosa c’era di meglio di un bello specchio d’acqua vicino alla loro nuova dimora, dove tuffarsi e divertirsi nelle giornate di sole? Era stata un’ottima motivazione per testare il suo potere, tornato a lui dopo tutto quel tempo… e il progetto aveva entusiasmato anche Murdock, per ovvie ragioni. Non gli si poteva certo nascondere un progetto del genere e Valiant aveva accettato con gratitudine la sua collaborazione. Due divinità dell’acqua, in fondo, erano meglio di una, e l’antica affinità che provava per Amimitl era riemersa dall’oblio dei secoli. Senza contare che il libero accesso a un lago avrebbe potuto essere un bel modo per distendere rapporti di buon vicinato con gli altri, indipendentemente da chi fossero e da chi fossero stati, sempre a vantaggio di quella tranquillità che tanto anelava. Emanuel non era stato disturbato da quella miglioria alla sua creazione (ammesso che avesse fatto tutto da solo, cosa su cui Valiant era stato decisamente scettico); anzi, il moro gli aveva addirittura chiesto (il carceriere che chiedeva a un detenuto, altra bizzarria di quel carcere) di estendere l’acqua attorno a tutta la sua abitazione, in modo da poter tenere fuori dai piedi i potenziali disturbatori, e Valiant non aveva potuto dire di no, per il solito quieto vivere.

Quel tardo pomeriggio di novembre, nel suo giorno libero, Valiant osservava quanto aveva costruito in quegli anni, e non si trattava soltanto del lago con il pontile, lussuriosamente spanciato in acqua nella sua forma animale. I suoi ragazzi erano cresciuti bene, e non poteva che essere orgoglioso di loro: sembravano sereni. Karol e Johann stavano giocando la loro ennesima partita a scacchi, eternamente in rivalità (ma non in conflitto) su chi dei due fosse il migliore, mentre Delia, con il suo solito atteggiamento distaccato e superiore, leggeva un libro dal titolo assai discutibile (Via col daddy: cos’era, una dichiarazione d’intenti?) scovato sicuramente in biblioteca – o magari passatole personalmente da Artemisia stessa. I suoi ospiti, amici da ben più di una vita, si stavano divertendo tra tuffi, nuotate e chiacchiere leggere. Sarebbe stato bello se quella serata fosse durata per sempre ma, con l’arrivo di Mordecai a Esqueleto, il quieto vivere aveva i giorni decisamente contati. Il countdown era già partito da un pezzo, in verità, e questo era risaputo persino tra gli umani che si prendevano gioco di quella data (i sacerdoti Mexica avevano adorato i calcoli matematici ben più di Atlahua stesso in passato – o di Valiant nel presente) ma era innegabile che l’arrivo di Quetzalcoatl avesse messo in allerta tutti, come fosse stato un inconsapevole messaggero del monito che l’inevitabile era ormai imminente.

Al momento però, il biondo era soltanto il portatore della cena ordinata al Pavo, nelle sembianze di un assai tenero cervo – no, daino, come ebbe modo di correggere il più saputello della sua prole.

Valiant non era del tutto in pace con se stesso: si sentiva in colpa nell’aver scelto di tenere Mordecai all’oscuro e vederlo, per questo, così a disagio nel trovarsi in una situazione che non conosceva. Gli era stato imposto di tacere e l’avrebbe fatto – sempre per quieto vivere. Dopotutto, il biondo non era in pericolo, non lo era nessuno a dire il vero. Semplicemente, il serpente piumato andava tenuto tranquillo, affinché non facesse altre stupidaggini. L’ultima sua stupidaggine era costata parecchio a tutto il pantheon azteco, seppur indirettamente.

Presto, molto presto, Johann, Delia e Karol non ci sarebbero stati più, soppiantati dal riemergere definitivo delle loro vere identità… sarebbe andato perduto anche il loro legame, visto che Atlahua non aveva avuto alcun figlio? Questa eventualità, talvolta, gettava nello sconforto il povero Valiant. Forse era stato davvero solo un povero pennuto sfruttato da una nidiata di piccoli cuculi, dopotutto…

Con pensieri del genere in testa, era più che naturale contraddire l’accurato pronostico di Johann circa la sicura vittoria di un coccodrillo in una gara di nuoto, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

“Papà, sei stato una schiappa!” lo canzonò Karol.

“La fisica non spiega come sia possibile che tu abbia perso!!!” commentò incredulo Johann.

“I tamales me li sono meritati come premio di consolazione?” chiese Valiant in tono leggero, per dissimulare il fatto di aver bisogno davvero di comfort food, in quel momento. Proprio lui, che poco prima era andato a fare la morale a Mordecai circa il non essere sempre angosciato!

Poi però…

C’era stato il sostegno di Johann, che aveva preso su di sé la maggior parte del peso di Valiant per aiutarlo a salire sul pontile, proprio lui che preferiva l’uso della testa a quello dei muscoli ed evitava sempre qualsiasi incombenza fisica. C’era stata la delicata carezza dell’imperturbabile Delia sulla sua dura corazza verde, mentre aiutava il fratello a sollevare il padre. C’era stato il sorriso dolce che gli aveva rivolto Karol, il figlio che aveva fatto del broncio arrabbiato il suo marchio distintivo e, pertanto, qualunque cambio di espressione era da celebrare come un evento più unico che raro.

Erano stati atti così piccoli e fugaci che avrebbero potuto benissimo passare inosservati, ma ebbero su Valiant l’effetto di una magia benefica che aveva sciolto la sua preoccupazione.

Forse, Johann, Karol e Delia avrebbero conservato qualche ricordo del loro papà, o forse no. Avrebbero continuato ad amarlo, o forse lo avrebbero lasciato indietro, chi lo sa. Ma avrebbero preso il vento verso la vita, e a Valiant, l’uomo, o ad Atlahua, il dio delle acque, sarebbe andato bene così. I ricordi che stavano costruendo insieme, pezzo dopo pezzo, non avrebbero potuto cancellare le prove dell’esistenza di un legame affettivo forte come quello che Valiant e i suoi figli avevano costruito, se anche soltanto uno di loro li avesse conservati nel cuore come il più prezioso dei tesori.

***

 

 

Nota finale

Comunque non so se Atlahua avesse avuto davvero figli, non ho trovato niente a tal proposito quindi… magari non è nemmeno Valiant. Anche perché, in alcuni siti web, Atlahua sembra essere semplicemente una variante di Tlaloc, quindi boh… Oh, io ci gioco, poi chi vivrà vedrà e leggerà…

Fun fact: non ho accennato alla eventuale madre di Karol, Delia e Johann perché… beh, secondo me non è mai esistita! Ha fatto tutto Valiant! Ma non avrebbe avuto senso con la storia scritta sopra, che voleva essere un pensiero sui genitori che “non riconoscono” i propri figli, a un certo punto della loro vita, ma che li accettano e li amano per quello che sono, solo che per Valiant il problema era un po’ più sovrannaturale! Quindi ho soprasseduto sulla eventuale “signora  Molotov”…

Comunque, più scrivo e più mi accorgo di schifare i dialoghi. Male, molto male!
  
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