Giorno
27 ottobre: piece by piece
(pezzo dopo pezzo)
Disclaimer:
Il mio neuroncino fanwriter è partito per la tangente, con
le ipotesi su
Esqueleto e i suoi abitanti, chiaramente tutto cadrà come un
castello di carte
quando avrò tra le mani il terzo volume, e non vedo
l’ora che ciò avvenga
presto. Mi ero già dilettata in passato, con Thomas, Mattie
e Franklin, oggi
riprovo a fare il mio gioco preferito: la caccia alla
divinità azteca, ossia
indovina quali sono le altre divinità nascoste dietro a
insospettabili umani.
Esqueleto,
in senso lato, potrebbe essere descritta come una prigione, dal momento
che era
materialmente impossibile uscire dalla città e che si era
costantemente sorvegliati.
Questo poteva apparire snervante nei primi tempi di detenzione,
soprattutto se avevi avuto una vita, o una famiglia in
angoscia per la tua scomparsa, fuori da Esqueleto, ma quando finalmente
ci si
faceva l’abitudine, le calacas di Emanuel diventavano presto
un trascurabile
elemento del paesaggio circostante. Inoltre, a differenza di una
normale
prigione, dentro i confini di Esqueleto potevi fare praticamente tutto
quello
che volevi, stando ovviamente bene attento a non pestare i piedi a
qualcuno che
aveva il potere di farti pagare
caro
l’affronto. Se poi la tua famiglia era reclusa insieme a te,
almeno l’angoscia
diventava più gestibile, anche se non svaniva mai.
Valiant
aveva sempre aspirato a una vita tranquilla, modesta ma dignitosa.
Divenuto
prigioniero della città, aveva avuto il rimpianto di non
poter allevare altrove
i suoi figli. Esqueleto non era precisamente un luogo adatto dove
crescere
bambini, ce n’erano così pochi, e quello non era
nemmeno il problema
principale!
Riacquistati
i ricordi della sua prima vita, non
aveva cambiato idea circa il rimpianto di non poter allevare altrove i
suoi
figli; eppure, questo sì che era paradossale da ammettere,
riteneva che non potesse
esistere un luogo migliore dove crescerli, all’infuori di
quella città. Il
motivo?
Durante
la sua vita fuori da Esqueleto, Valiant non aveva programmato diventare
padre così
giovane eppure, quando arrivarono i gemelli, con un tempismo del tutto
inaspettato, si era sentito come se avesse sempre saputo di essere al
mondo per
loro. Non si era mai risparmiato, e non si era mai pentito di nessuno
dei
sacrifici che, in quanto ragazzo padre, aveva scelto di compiere.
Valiant aveva
visto i figli crescere e si era spesso stupito nell’osservare
lo sviluppo di
personalità così diverse dalla sua: si era
domandato spesso da chi avessero
preso. Guardandoli, si era reso conto che i bambini erano davvero altro
da sé,
come scrivevano gli psicologi dell’età evolutiva
nei manuali per il perfetto
genitore, e sarebbe dovuto essere, in effetti, una cosa del tutto
normale.
Invece, non aveva saputo reprimere un senso di inquietudine nel
constatare che
c’era qualcosa, nei suoi
figli, che non riconosceva. Li
percepiva come estranei. Questa
sensazione era
decisamente diversa da una semplice presa di consapevolezza
dell’individualità
dei ragazzi, e Valiant si era chiesto se, forse, lui non fosse altro
che un
padre snaturato che desiderava un rapporto simbiotico con i figli, o
che i
bambini crescessero a sua immagine e somiglianza.
Una
volta sceso a patti con la consapevolezza di essere una
divinità e di essere
prigioniero nella città maledetta da Emanuel, Valiant aveva
trovato nella sua routine
di cameriere al Pavo del Corral e di padre single la salvezza per i
suoi nervi.
Sarà pure stato il "Signore delle acque”, ma le
acque chete (anche se non
meno pericolose) erano decisamente più nelle sue corde. Il
giovane padre aveva
intuito le minacce nascoste dietro a quell’apparente
cittadina fittizia, ma aveva
ben presto capito che la minaccia non era rivolta ai suoi figli, e
questo gli
bastava. Questo lo consolava ma, allo stesso tempo… lo
rattristava, con
conseguente, ovvio, senso di colpa. Avrebbe voluto avere la forza di
proteggere
i suoi cari ragazzi da ciò che
sarebbe
sicuramente accaduto. Perché adesso aveva compreso
il senso di estraneità
che aveva percepito nei suoi ragazzi. Una cosa era stata lampante fin
da
subito, non appena ebbe riottenuto i ricordi e il potere: solo una
divinità
poteva accedere ad Esqueleto e, in qualunque parte del mondo si fosse
trovata, il volere divino l’avrebbe guidata
verso la città, come una
lanterna attirava le falene con la sua luce. Se i suoi figli fossero
stati dei
semplici umani, non sarebbero riusciti ad accedere alla
città, neppure se
fossero stati tenuti in braccio durante l’attraversamento del
confine. Valiant
si chiedeva perché il destino avesse deciso di rendere proprio lui il custode di tre giovani
divinità. Aveva il suo senso,
comunque: se ci si incarnava troppo tardi, la divinità
sarebbe stata troppo giovane
per spostarsi in autonomia, sarebbe rimasta fuori da Esqueleto e, in
tal caso, non
sarebbe più potuta tornare,
alla fine
di tutto; ma se
fosse stata scarrozzata
da qualcun altro… Valiant non poteva saperlo, prima,
ma era stato usato, come un uccello che allevava i pulcini
di un cuculo. Poteva solo supporre l’identità dei
tre piccoli clandestini, senza
avere comunque
nessuna certezza. Affrontare la scoperta della propria vera
identità era un fatto personale. Privato. Valiant
era stato
tagliato fuori da quella dei suoi figli, con sua somma delusione,
prontamente
dissimulata, nell’attesa che fossero i ragazzi stessi a fare
il primo passo
verso di lui. Un’attesa, fino a quel momento, vana. Tra
l’altro, Delia, Johann
e Karol non vennero toccati dalla maledizione, pur essendo arrivati
insieme a
Valiant, e la cosa sembrava
aver sancito
un’ulteriore, impercettibile presa di distanza dal loro
padre. Dopo un periodo
di crisi, aveva raggiunto la consapevolezza che, dopotutto, chiunque
essi fossero,
a lui non importava. Loro erano Johann, Delia e Karol, in quel momento,
e
avrebbe benedetto ogni singolo giorno che ancora potevano passare con
la loro
identità umana. Tra l’altro, a lui stava bene che
i ragazzi non fossero stati
costretti a badare a se stessi, che avessero potuto contare (e
potessero
contare ancora) su qualcuno che li amasse incondizionatamente, ossia
Valiant
stesso.
Non
c’era mai stato un lago, prima del suo arrivo. Valiant voleva
fare qualcosa per
alleggerire le giornate dei bambini, e cosa c’era di meglio
di un bello
specchio d’acqua vicino alla loro nuova dimora, dove tuffarsi
e divertirsi
nelle giornate di sole? Era stata un’ottima motivazione per
testare il suo
potere, tornato a lui dopo tutto quel tempo… e il progetto
aveva entusiasmato
anche Murdock, per ovvie ragioni. Non gli si poteva certo nascondere un
progetto del genere e Valiant aveva accettato con gratitudine la sua
collaborazione. Due divinità dell’acqua, in fondo,
erano meglio di una, e
l’antica affinità che provava per Amimitl era
riemersa dall’oblio dei secoli.
Senza contare che il libero accesso a un lago avrebbe potuto essere un
bel modo
per distendere rapporti di buon vicinato con gli altri,
indipendentemente da chi
fossero e da chi fossero stati,
sempre
a vantaggio di quella tranquillità che tanto anelava.
Emanuel non era stato
disturbato da quella miglioria alla sua creazione (ammesso che avesse
fatto
tutto da solo, cosa su cui Valiant era stato decisamente scettico);
anzi, il
moro gli aveva addirittura chiesto (il carceriere che chiedeva a un
detenuto,
altra bizzarria di quel carcere) di
estendere l’acqua attorno a tutta la sua abitazione, in modo
da poter tenere
fuori dai piedi i potenziali disturbatori, e Valiant non aveva potuto
dire di
no, per il solito quieto vivere.
Quel
tardo pomeriggio di novembre, nel suo giorno libero, Valiant osservava
quanto
aveva costruito in quegli anni, e non si trattava soltanto del lago con
il
pontile, lussuriosamente spanciato in acqua nella sua forma animale. I
suoi
ragazzi erano cresciuti bene, e non poteva che essere orgoglioso di
loro: sembravano
sereni. Karol e Johann stavano giocando la loro ennesima partita a
scacchi, eternamente in
rivalità (ma non in
conflitto) su chi dei due fosse il migliore, mentre Delia, con il suo
solito
atteggiamento distaccato e superiore,
leggeva un libro dal titolo assai discutibile (Via col daddy:
cos’era, una dichiarazione
d’intenti?) scovato
sicuramente in biblioteca – o magari passatole personalmente
da Artemisia
stessa. I suoi ospiti, amici da ben
più
di una vita, si stavano divertendo tra tuffi, nuotate e
chiacchiere
leggere. Sarebbe stato bello se quella serata fosse durata per sempre
ma, con
l’arrivo di Mordecai a Esqueleto, il quieto vivere aveva i
giorni decisamente
contati. Il countdown era già partito da un pezzo, in
verità, e questo era
risaputo persino tra gli umani che si prendevano gioco di quella data (i sacerdoti Mexica avevano
adorato i calcoli matematici
ben più di Atlahua stesso in passato – o di
Valiant nel presente) ma era
innegabile che l’arrivo di Quetzalcoatl avesse messo in
allerta tutti, come
fosse stato un inconsapevole messaggero del monito che l’inevitabile
era ormai imminente.
Al
momento però, il biondo era soltanto il portatore della cena
ordinata al Pavo,
nelle sembianze di un assai tenero cervo – no, daino, come
ebbe modo di
correggere il più saputello della sua prole.
Valiant
non era del tutto in pace con se stesso: si sentiva in colpa
nell’aver scelto
di tenere Mordecai all’oscuro e vederlo, per questo,
così a disagio nel
trovarsi in una situazione che non conosceva. Gli era stato imposto di
tacere e
l’avrebbe fatto – sempre per quieto vivere.
Dopotutto, il biondo non era in
pericolo, non lo era nessuno a dire il vero. Semplicemente, il serpente
piumato
andava tenuto tranquillo, affinché non facesse altre
stupidaggini. L’ultima sua
stupidaggine era costata parecchio a tutto il pantheon azteco, seppur
indirettamente.
Presto,
molto presto, Johann, Delia e Karol non ci sarebbero stati
più, soppiantati dal
riemergere definitivo delle loro vere identità…
sarebbe andato perduto anche il
loro legame, visto che Atlahua non aveva avuto alcun figlio? Questa
eventualità, talvolta, gettava nello sconforto il povero
Valiant. Forse era
stato davvero solo un povero pennuto sfruttato da una nidiata di
piccoli
cuculi, dopotutto…
Con
pensieri del genere in testa, era più che naturale
contraddire l’accurato
pronostico di Johann circa la sicura vittoria di un coccodrillo in una
gara di
nuoto, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
“Papà,
sei stato una schiappa!” lo canzonò Karol.
“La
fisica non spiega come sia possibile che tu abbia perso!!!”
commentò incredulo
Johann.
“I
tamales me li sono meritati come premio di consolazione?”
chiese Valiant in
tono leggero, per dissimulare il fatto di aver bisogno davvero di
comfort food,
in quel momento. Proprio lui, che poco prima era andato a fare la
morale a
Mordecai circa il non essere sempre angosciato!
Poi
però…
C’era
stato il sostegno di Johann, che aveva preso su di sé la
maggior parte del peso
di Valiant per aiutarlo a salire sul pontile, proprio lui che preferiva
l’uso
della testa a quello dei muscoli ed evitava sempre qualsiasi incombenza
fisica.
C’era stata la delicata carezza dell’imperturbabile
Delia sulla sua dura
corazza verde, mentre aiutava il fratello a sollevare il padre.
C’era stato il
sorriso dolce che gli aveva rivolto Karol, il figlio che aveva fatto
del broncio
arrabbiato il suo marchio distintivo e, pertanto, qualunque cambio di
espressione era da celebrare come un evento più unico che
raro.
Erano
stati atti così piccoli e fugaci che avrebbero potuto
benissimo passare inosservati,
ma ebbero su Valiant l’effetto di una magia benefica che
aveva sciolto la sua
preoccupazione.
Forse,
Johann, Karol e Delia avrebbero conservato qualche ricordo del loro
papà, o
forse no. Avrebbero continuato ad amarlo, o forse lo avrebbero lasciato
indietro, chi lo sa. Ma avrebbero preso il vento verso la vita, e a
Valiant, l’uomo,
o ad Atlahua, il dio delle acque, sarebbe andato bene così.
I ricordi che
stavano costruendo insieme, pezzo dopo
pezzo, non avrebbero potuto cancellare le prove
dell’esistenza di un legame
affettivo forte come quello che Valiant e i suoi figli avevano
costruito, se
anche soltanto uno di loro li avesse conservati nel cuore come il
più prezioso
dei tesori.
***
Nota
finale
Comunque
non so se Atlahua avesse avuto davvero figli, non ho trovato niente a
tal
proposito quindi… magari non è nemmeno Valiant.
Anche perché, in alcuni siti
web, Atlahua sembra essere semplicemente una variante di Tlaloc, quindi
boh… Oh,
io ci gioco, poi chi vivrà vedrà e
leggerà…
Fun
fact: non ho accennato alla eventuale madre di Karol, Delia e Johann
perché…
beh, secondo me non è mai esistita! Ha fatto tutto Valiant!
Ma non avrebbe
avuto senso con la storia scritta sopra, che voleva essere un pensiero
sui
genitori che “non riconoscono” i propri figli, a un
certo punto della loro
vita, ma che li accettano e li amano per quello che sono, solo che per
Valiant
il problema era un po’ più sovrannaturale! Quindi
ho soprasseduto sulla
eventuale “signora Molotov”…