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Autore: Huffelglee2599    18/05/2021    1 recensioni
Buongiorno a tutti! Eccomi qui con una nuova e breve storiella targata Brittana. L'ispirazione è giunta durante la visione del film "The Impossible" che racconta la lotta per la sopravvivenza di questa famiglia la cui serenità è stata travolta dallo Tsunami del 2004 in Thailandia. Così ho deciso di prendere la famiglia costruita nella mia prima storia "A life together" e inserirla all'interno di questa vicenda. Il racconto si articola in soli tre capitoli che vengono narrati tramite il punto di vista di Santana e Brittany. Spero che vi piaccia e vi intrattenga..buona lettura!
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Calore


Appoggiai la guancia sinistra sul suo capo, chiudendo gli occhi e lasciando che il mio olfatto si inebriasse del profumo dei suoi capelli, così simile a quello di Santana: sospirai tremante, prima di  depositare tra le sue ciocche nere un piccolo bacio e continuare con quell’ipnotico movimento sulla sua schiena che aveva permesso al mio corpo di arrestare i violenti tremori, al mio cuore di stabilizzare la velocità dei battiti e alle mie guance di asciugarsi. Intrecciai le dita della mia mano destra alle sue, respirando profondamente e sbattendo con rapidità le palpebre per riuscire ad arginare il magone che, facendosi strada nella mia gola, rendeva lucide le mie iridi: il pensiero che sarei dovuta andare in quel campo per cercare la mia famiglia stava logorando la mia anima, allontanando il mio corpo dalla prospettiva di alzarsi e raggiungere un luogo che avrebbe potuto segnare l’inizio del mio dolore, ma ero anche a conoscenza del fatto che dovevo sapere se vi era ancora una qualche speranza da perseguire. Deglutì, incrementando la stretta intorno al suo corpo, prima di sporgermi in avanti e darle un bacio sulla guancia destra -“Forza piccola mia..andiamo a cercare mami e Evolet”- le sussurrai, non riuscendo a contenere il leggero strato di umidità che racchiuse i miei occhi alla vista delle sue labbra distese in un raggiante sorriso: mi avvicinai, appoggiando la bocca sulla sua fronte, alla ricerca di quel coraggio che mi avrebbe permesso di affrontare qualsiasi sofferenza. Dopo aver spostato Luna dalle mie gambe distribuì il mio peso sul lato sinistro del corpo, facendo leva sui muscoli delle braccia per essere in grado di sollevarmi da terra: gemetti, digrignando con forza i denti, mentre percepivo la pelle intorno alla ferita tirare e spezzarsi, accentuando le dimensioni della lesione e la quantità di sangue che da essa fuoriusciva. Una volta in piedi appoggiai il palmo della mano destra sulla fasciatura, comprimendo la lacerazione, mentre con le dita dell’altra mano incrociavo quelle di mia figlia: chiusi gli occhi, lasciando che la mia anima incanalasse più ossigeno possibile, prima di cominciare a camminare. Nonostante la temperatura fosse molto elevata le strade erano gremite di persone e il mio sguardo non poteva fare altro che spostarsi freneticamente in tutte le direzioni, cercando di non perdere l’occasione di individuarle in quelle insidiose vie, ma nulla sembrava catturare l’attenzione dei miei occhi, conducendomi così in uno stato di angoscia che fece accelerare le pulsazioni del mio cuore e il ritmo del mio respiro: era come se l’unico luogo in cui le avessi potute trovare fosse quel dannato campo. Riportai la concentrazione sul sentiero davanti a me e sulla destinazione che dovevo raggiungere, deglutendo nell’istante in cui intravidi alcune persone riversarsi su un corpo: aumentai la stretta intorno alla mano di Luna, cercando qualcosa che avrebbe potuto distrarla dalla distesa di cadaveri in cui ci saremmo imbattute di lì a poco. Non avrei mai voluto allontanarmi da lei, neanche per un singolo istante, ma nell’attimo in cui avevo notato alcuni bambini giocare con una palla non avevo potuto fare altro che intimarla ad andare da loro, raccomandandole di rimanere sul lato sinistro della strada e non avvicinarsi per nessuna ragione a quello destro: un sospiro tremolante abbandonò la mia bocca, mentre il mio sguardo si soffermava sulla sua figura che correva in direzione delle fragorose risate dei suoi coetanei. Sbattei velocemente le palpebre, asciugandomi una lacrima che era sfuggita al mio controllo, prima di dirigermi verso il lato opposto della via: ad ogni passo che compivo il mio stomaco si racchiudeva in una soffocante morsa, il mio cuore incrementava le sue pulsazioni, sotto il peso di un respiro troppo precario, e la mia anima rimaneva in bilico, tra la paura del dolore e il sollievo della speranza. Con gli occhi lucidi e la gola oppressa da un magone iniziai ad osservare la fisionomia dei vari cadaveri che, posizionati uno di fianco all’altro, si estendevano su tutto il ciglio della strada: ogni volta in cui il mio sguardo si soffermava su alcune ciocche di capelli biondi o intravedeva una porzione di pelle mulatta il mio corpo si irrigidiva, bloccandomi il respiro, il mio cuore si contraeva sofferente e la mia anima si preparava a sbilanciarsi verso l’oblio. Avevo percorso solo qualche metro quando i miei piedi si fermarono di colpo: sollevai il capo, voltandomi di scatto, mentre la voce di Luna che gridava il nome di Evolet investiva di incredulità il mio udito, portando il mio cuore ad accelerare i suoi battiti e il mio respiro a incrementare il suo affanno. I miei occhi iniziarono a vagare frenetici per tutta la via, accompagnati dall’impazienza dei miei passi che non attesero nemmeno un secondo prima di seguire il suono di quel miracolo: mi diressi dall’altra parte della strada, non troppo distante dal punto in cui avevo detto a Luna di recarsi, allungando il collo e alzandomi sulle punte dei piedi per riuscire a scorgere con i miei occhi quell’inaspettata speranza che aveva sfiorato le mie orecchie. Il mio sguardo continuava a spostarsi con rapidità, ansioso di concedere alla mia anima la possibilità di trovare quella pace che avrebbe riportato l’equilibrio nel mio spirito, ma le mie iridi non riuscivano a individuare nulla: l’irregolarità del mio respiro e l’intensità del mio battito si accentuarono, così impauriti dall’eventualità che quella voce fosse solo frutto della mia immaginazione da diffondere nel mio corpo una sensazione di vertigine che rese precaria la mia stabilità e annebbiata la mia vista. Lo sconforto cominciò a prendere il possesso del mio cuore, inumidendo i miei occhi di quel dolore che solo l’ennesima illusione infranta poteva scatenare: abbassai il capo, sconfitta da una sorte che conduceva i miei passi verso un’unica possibilità. Sospirai, riportando l’attenzione sul lato opposto della strada, prima di riprendere a camminare: ero avanzata solo di qualche metro quando il rumore di famigliari risate travolse il mio udito, arrestando il movimento del mio corpo e inducendo i miei occhi a chiudersi di scatto, spaventati all’idea che potesse trattarsi di un’allucinazione generata dalla mia mente ormai distorta dalla sofferenza. Respirai profondamente, preparando la mia anima al solito silenzio, prima di voltare la testa verso sinistra, in direzione di quella fantasia: dischiusi le labbra, mentre il mio cuore palpitava incredulo nel mio petto e il mio fiato si disperdeva nella mia gola, sopraffatto dalla visione di Luna che trovava ristoro tra le braccia di Evolet. Un lieve e sorpreso risolino sfuggì dalla mia bocca, mentre i miei occhi venivano avvolti da un intenso calore che, in pochi attimi, invase le mie guance: un singhiozzo di pura gioia risuonò nella mia cassa toracica, dandomi la spinta per procedere velocemente nella loro direzione -“Evolet!”- al suono del mio grido il suo capo si sollevò di scatto e le sue iridi spalancate si posarono sulle mie -“Mamma..”- si staccò da Luna, alzandosi in piedi, mentre il suo sguardo incredulo continuava a vagare sul mio viso, come se stesse cercando di capire se fosse reale o meno -“..mamma!”- urlò, nell’istante in cui comprese di non avere a che fare con una mera illusione, cominciando così a correre verso di me: mi inginocchiai per terra, attendendo che il suo corpo si rifugiasse tra le mie braccia, e quando avvenne, non potei fare altro che stringerlo a me con tutte le forze che avevo. I palmi delle mie mani percorrevano con foga la sua schiena e il suo capo, tentando di avvolgere e sentire ogni parte della sua figura per assicurarmi che fosse tutto vero, mentre le mie umide e tremanti labbra le lasciavano una scia infinita di baci, dalla tempia fino alla guancia sinistra. La coccolai per interi minuti, sussurrandole parole di incredulità e conforto, prima di allontanare la sua testa dalla mia spalla e prendere visione del suo volto: accarezzai con i polpastrelli le sue gote, avvertendo il mio cuore incrinarsi d’innanzi alle ferite e alle abrasioni che solcavano la sua candida pelle, ma al tempo stesso gonfiarsi di beatitudine di fronte alla possibilità di rispecchiarsi nei suoi meravigliosi occhi neri. Sorrisi, con le lacrime che continuavano a bagnare le mie guance e la mia anima che tornava finalmente a respirare, intrecciando le nostre dita e appoggiando la mia fronte sulla sua: percepì Evolet sospirare e stringere con forza le mie mani, prima di spostarsi leggermente all’indietro e incrociare il mio sguardo che, confuso e irrequieto, cercava di comprendere che cosa avrebbe voluto dirmi la sua espressione. Deglutì, mentre prendevo coscienza del fatto che si trattasse di Santana: il battito del mio cuore si fermò, così come il mio respiro che si arrestò nel centro della mia gola, in attesa di quelle parole che avrebbero cambiato per sempre la mia vita -“Mami è qui”-
 


Deglutì, distogliendo lo sguardo, d’innanzi all’ennesimo corpo che sarebbe passato sotto al vaglio dei miei gonfi e affaticati occhi: non era passato molto tempo da quando avevo intravisto la prima fila di cadaveri disposti lungo il ciglio della strada, ma quei pochi minuti erano bastati alle mie iridi per riempirsi di quelle lacrime che non avevano trovato abbastanza spazio nelle occasioni precedenti e alla mia anima per affliggersi ancora di più e offuscare qualsiasi alternativa che non fosse la morte. A quella parola percepì il mio corpo irrigidirsi e le mie pulsazioni cardiache aumentare il ritmo, investendo con estrema urgenza le mie vene di sangue caldo e il mio cervello di ossigeno, come se l’attesa di un secondo avrebbe potuto rendere il mio corpo un freddo pezzo di carne: nonostante il conforto di Evolet avesse ridonato al mio spirito un barlume di linfa vitale la mia speranza continuava a vacillare e probabilmente avevo sbagliato ad allontanarla da quel luogo, ma non avrei mai potuto accettare che i suoi occhi incontrassero il crollo delle illusioni e la fine della vita. Un sospiro tremolante lasciò la mia bocca mentre, sollevando il braccio sinistro, asciugavo la mia guancia dall’ennesima testimonianza del mio dolore: chiusi gli occhi, tamponandomi il viso con il dorso della mano, in un miserabile tentativo di ridurre il peso della sofferenza che continuava ad attecchire nel mio cuore. Respirai profondamente, prima di dischiudere le palpebre e riportare l’attenzione sulla sequela di persone che aspettavano di essere riconosciute: il mio sguardo correva rapido lungo la figura sdraiata ai miei piedi quando il suono di una voce interruppe la mia straziante ispezione, bloccando i muscoli del mio corpo e spezzando il mio già instabile respiro. Con insicura incredulità mi girai verso destra, pensando che si trattasse di una insensata invenzione della mia mente e che la disperazione avesse attanagliato così profondamente il mio udito da averlo ridotto ad un primo sentore di pazzia, ma nell’istante in cui i miei occhi si posarono sul volto a cui apparteneva quella voce i battiti del mio cuore non poterono fare altro che fermarsi -“Luna..”- mormorai, con le lacrime che iniziavano a racchiudere le mie iridi e a rigare di gioia le mie guance e gli angoli della bocca che si estendevano in un sorpreso e meravigliato sorriso -“Luna!”- cominciai ad avanzare nella sua direzione, mentre la sua dolce voce che urlava il mio nome continuava a raggiungere le mie orecchie, sanando gli squarci della mia anima e alleviando l’intensità di quel dolore che aveva oppresso il mio cuore per troppo tempo. Dopo una manciata di passi le mie ginocchia cedettero, sotto le torture di una ferita che non smetteva di pulsare e sanguinare, così attesi che fossero le sue braccia ad avvolgere con vigore il mio collo -“Mami”- sospirò, mentre il suo capo si appoggiava alla mia spalla sinistra e le sue dita si avvinghiavano ai miei capelli: chiusi gli occhi, godendo di quella sensazione che aveva caratterizzato ogni mio ritorno a casa, ma che in quei giorni sembrava persa per sempre. La mia mano sinistra era impegnata ad accarezzarle con parsimonia e necessità la schiena, mentre quella destra sostava sulla sua nuca, permettendomi così di sentire e inglobare il suo calore nel mio corpo: restai in quella posizione per alcuni istanti, giusto il tempo di prendere effettivamente atto che tutto ciò fosse reale, prima di staccarmi leggermente e depositare una serie di rapidi e intensi baci su tutto il suo viso. Le corde vocali di Luna iniziarono a vibrare lievemente, regalando alle mie lacrime un altro motivo per solcare le mie gote e al mio cuore un ulteriore ragione per accentuare il suo ritmo: lasciai che i miei sensi assaporassero quel momento con avidità, cercando di colmare quel vuoto che, insinuandosi nel mio corpo, ne aveva reciso ogni parte -“Mami”- interruppi la sequenza di sbaciucchiamento, sospirando ancora incredula e rivolgendo lo sguardo verso destra, richiamata dalla voce di Evolet: le sorrisi, allungando il braccio e intrecciando le mie dita alle sue, pronta a circondare il suo corpo in una poderosa stretta, ma lei bloccò il mio movimento, restando ferma nella sua posizione e continuando ad osservarmi con un sorriso di pura felicità sul volto. Corrugai lievemente la fronte, confusa dal suo comportamento, ma poi i suoi occhi si posarono su un punto imprecisato della strada, portandomi a seguire la direzione del suo sguardo: le mie labbra si dischiusero, sempre più incredule d’innanzi a ciò che la mia vista scorgeva, mentre le mie iridi non tardarono a inumidirsi, sbigottite e a tratti disorientate, di fronte alla persona che camminava a fatica verso di noi. Restai immobile per alcuni istanti, con il respiro che diventava sempre più pesante e il cuore che sbatteva violentemente contro al mio petto, tentando di raggiungere l'ossigeno di cui necessitava, prima che le sue lucide e meravigliate iridi trovassero conforto nelle mie: mi alzai, barcollando leggermente a causa della lesione alla mia coscia sinistra che non smetteva di diffondere dolore e afflizione in tutte le mie articolazioni, mentre lei si arrestava di colpo, osservando la mia figura con un tale incanto da farmi apparire come una sorta di sublime miracolo. Rimasi a contemplare il suo viso, così come i suoi occhi facevano con il mio, sollevando ad ogni secondo gli angoli della mia bocca, sempre più consapevole che la sua presenza non fosse un'allucinazione generata dalla mia mente: trascinai il piede destro in avanti, cominciando a procedere nella sua direzione, colma di quella gioia che non pensavo avrei mai più potuto provare. Le mie iridi si riempirono di lacrime, mentre la sua vicinanza diveniva realtà, così come il profondo taglio che spiccava sul suo fianco destro: deglutì, nel percepire tutto il dolore e la sofferenza che avevo avvertito in quei giorni riaffiorare nel mio cuore, solo per venire spazzati via dalla meravigliosa sensazione di beatitudine che attraversò la mia anima nell'esatto momento in cui i suoi palmi sfiorarono le mie appiccicose  guance e i suoi arrossati occhi azzurri si adagiarono sui miei. Sollevai le braccia, ricambiando con delicatezza le carezze dei suoi polpastrelli, ancora incredula di poter toccare la sua soffice carne -"Sei qui..sei..sei davvero qui”- mormorai, mentre tracciavo i contorni del suo viso, tremando ad ogni cambio di direzione, e sentivo il calore della sua pelle propagarsi nel mio corpo, donando pace e sollievo alla mia stremata anima -“Si amore mio..sono qui..sono qui”- le sue labbra si distesero in un ampio sorriso mentre, accarezzando con foga i miei capelli, lasciava  che una scia di lacrime si riversassero sulle sue gote: ricambiai la sua espressione, prima di avvolgere il suo corpo tra le mie braccia e affondare il mio volto nell'incavo del suo collo. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente il suo odore e abbandonandomi a quel benessere che solo il suo calore poteva trasmettermi: mi lasciai cullare dalle sue dolci carezze sulla schiena, rimanendo senza fiato nel percepire la mia anima tornare in vita, nel sentire il mio stomaco liberarsi dalla solita soffocante morsa e nell'avvertire i battiti del mio cuore vibrare di pura felicità. Strinsi la presa intorno al suo corpo tremante, dandole un lieve bacio sulla clavicola per cercare di calmare il flusso di gocce salate che continuava a bagnare la mia spalla sinistra -"Ti amo..”- sussurrai, staccandomi leggermente dal suo collo, quel tanto che bastava da consentirmi di appoggiare la bocca sulla sua mandibola -"..ti amo..”- mormorai, strofinando la mia punta del naso contro la sua e rispecchiandomi nelle sue arrossate iridi: mi sporsi in avanti, racchiudendo il suo labbro superiore nella mia bocca e stringendo con forza l’orlo della sua maglietta per tenermi aggrappata a quella realtà che mi aveva ridonato la vita. Una volta staccate abbassai lo sguardo, sorridendo commossa alla vista di Luna ed Evolet che circondavano le nostre gambe: mi inginocchiai, e così Brittany, inglobando la mia famiglia in un abbraccio che divenne sempre più caloroso e colmo di quelle lievi risate che riempivano di speranza e luce la desolazione che ci assediava.
   
 
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