Aspettai
il suo arrivo, ero talmente nervosa e allarmata che
non riuscii nemmeno a catalogare i reperti.
Se Lestrade fosse
arrivato prima di Mycroft, non avevo idea di come comportarmi. Avere
Scotland
Yard e i servizi segreti dell’Mi6 anteposti era una
situazione difficile da
gestire.
Finalmente
il cicalino della porta emise il suo suono
monotono e andai ad assicurarmi che fosse Holmes.
Aprii
furente, indossavo ancora la tuta verde.
Lui entrò con la faccia scura piena di
risentimento,
forse per quel bastardo che gli avevo gridato. Non riconoscevo niente
in lui
della sera prima. Un dolore sottile mi percorse fino allo stomaco.
“Non
saltare a conclusioni affrettate, portami a vedere il
corpo.” La voce bassa e tagliente, il crombie nero aperto,
doveva essere venuto
in fretta, non aveva nemmeno l’ombrello, e non si era portato
dietro nemmeno
Anthea. In silenzio entrammo nella
sala settoria. Lo vidi titubare e irrigidirsi, sapevo che
l’odore era pungente
e infastidiva la maggior parte delle persone, cercai di essere
comprensiva
anche se lo avrei preso a schiaffi.
“Mettiti
la mascherina e non ti avvicinare se non te la
senti.” La
prese e la indossò. “Non sono
un bambino, Lorenzi.” Sibilò seccato mentre mi
seguiva risoluto.
“Bene,
allora stai vicino a me.”
Sogghignai ironica e lo portai dentro, ma
cercavo di assicurarmi che stesse bene.
Lo
scrutai un paio di secondi prima di scoprire il corpo.
Sembrava stabile. Fissò
la poveretta, e
io fissavo lui. Il suo volto passò rapido dal dolore alla
rabbia, gli occhi dal
grigio al nero denso.
“La
conosci, vedo.” Annuì silenzioso abbassando la
testa,
mentre pietosamente la coprivo, cercai di essere rispettosa del corpo
della
giovane donna, mentre lui non dava nessun segno di rammarico,
così mi
infastidii. “Ho
un problema imminente,
sta arrivando Lestrade. Cosa devo fare?” Brontolò,
mentre uscivamo dalla sala
autoptica. Lui mi precedeva, le spalle sembravano portare un peso
enorme.
Tolse
la mascherina e la gettò nei rifiuti, mentre io mi liberavo
dalla tuta verde. Si sedette sulla sedia del laboratorio, quasi
scomposto.
Era
pallido. “Come è morta?” La voce
nascondeva una nota di
stanchezza. Presi
un bicchiere d’acqua
dal dispenser e glielo allungai. “Bevi, senza
protestare.” Lo accettò e mi accorsi
di un impercettibile tremore delle mani mentre lo afferrava, ne
mandò giù un
lungo sorso. Mi
sistemai davanti a lui
in piedi sovrastandolo, mi appoggiai al bancone, e gli raccontai tutto
quello
che avevo trovato. Per ultimo gli allungai il reperto che conteneva il
pezzo di
carta rosso che aveva inghiottito.
Non
alzò mai la testa, ascoltò tormentando il
bicchiere di
carta e bevendo a piccoli sorsi. Alla fine non disse nulla, rimase
impietrito,
arroccato dentro la sua freddezza. Io non capivo se provavo dolore o
rancore
per quel suo modo di agire al limite della legalità.
“La
conoscevi?” Lo
studiai mentre mi rispondeva.
“Si,
era una brava agente, scrupolosa e fidata.”
Sospirò. “Talmente tanto che si
è fatta
uccidere per tenere il segreto.”
Alzò gli
occhi che si erano fatti più limpidi, sembravano pieni di
pietà. Mi fissò
turbato, quasi dispiaciuto. “Per questo voglio che tu non
sappia nulla di
quelle cartelle.” Sbuffai
ironica,
incrociai le braccia e sibilai per niente garbata.
“Come
se servisse Holmes. Dici delle stronzate.” Lui non
capì il mio inglese italianizzato.
“Stronzate?”
“Delle
cose stupide, tradotto per te.”
Non afferrò l’offesa e non
brontolò come al
solito... “Dimmi che devo fare con Greg.”
Si
alzò e riprese la sua freddezza. “Me ne occupo io,
quando
arriverà.”
“Bene,
finisco in sala.” Mi avviai per indossare nuovamente
la tuta verde, ma mi fermò prendendomi il braccio.
“Laura,
il corpo di Gwen lo portiamo via noi. Sii gentile,
preparalo nel migliore dei modi.”
Lo
fissai, vidi un attimo di profonda disperazione passagli sul volto.
“Allora
il suo nome era Gwen? Mi dispiace, te la restituisco
il più dignitosamente possibile.” Riprese il suo
usuale contegno.
Il
cicalino annunciò l’arrivo di Lestrade. Li lasciai
soli e
andai a dare l’ultimo saluto a Gwen.
Ero
convinta, mentre la ricomponevo, che Holmes l’avrebbe
vendicata. Credo anche che sapesse già di chi era la colpa,
ma c’era un che di
oscuro nel suo lavoro che mi fece rabbrividire.
Poco
dopo entrarono due uomini del trasporto mortuario e
portarono via Gwen.
Intravidi
Lestrade che usciva furioso, imprecando contro
Holmes, che immobile lo seguiva con lo sguardo.
“Vedo
che hai un nuovo amico.” Gettai la tuta nei rifiuti,
abbattuta da quella situazione assurda.
“Fa
un po' di scena, ma ha capito, ed è una brava
persona.” Holmes
si avvicinò alla porta.
“Io devo andare, tu rimani ancora?”
“Te
ne vai così senza nessuna spiegazione?” Mi irritavano questi suoi
silenzi assurdi,
dove non esistevo più, dove non ero più la sua
“friend”.
“Non
ti devo nulla, Lorenzi.” Un sorriso sprezzante gli si
stampò in volto. Fu scortese, si sistemò la
sciarpa con noncuranza.
Com’era possibile
passare dalla dolcezza di un abbraccio alla freddezza che mi buttava
addosso in
quel momento. Non riuscii più a trattenermi, mentre tutto
l’affetto che avevo
per lui si disintegrava.
“Sei
sempre il solito, Mycroft! Non
riesco a capirti, ora non sono più la
“tua friend”?
Cosa sono in questo
momento? Solo un ostacolo al tuo maledetto lavoro!
Mi sento una stupida ad averti aperto il mio
cuore. Vattene. Va via.”
Aprì
la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì nulla, era
turbato dalla mia rabbia.
“Esci,
fuori di qui.” Quasi urlai, mi voltai e lo lasciai
lì, con il suo cappotto costoso e la sua aria di
superiorità.
La
porta a vetri, si chiuse e rimasi sola in laboratorio.
Finii
per entrare nella sala autoptica piena di rancore e
iniziai a pulire rabbiosa.
Non
capivo perché mi tenesse all’oscuro di tutto,
avrebbe
potuto parlarmi del suo lavoro, anche senza entrare in quei particolari
rischiosi che non dovevo conoscere, ma
non riponeva in me nessuna fiducia.
Gli avevo offerto la mia amicizia, ma lui non faceva altro
che
contraddirsi. Ora mi cercava, ora mi allontanava. Anche con tutta la
sua voglia
di proteggermi mi aveva già ampiamente compromessa. Sapevo
di essere in
pericolo e rabbrividii. Sapeva quello che avevo patito, eppure ora non
c’era,
era sparito, come faceva sempre lasciandomi sola e impaurita mentre mi
dibattevo tra odio e amore nei suoi confronti.
Non
desideravo altro che un po' di continuità e fiducia nel
nostro rapporto. Nulla di più.