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Autore: coopercroft    19/05/2021    0 recensioni
Laura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologa forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata.
Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complicato e singolare con cui inizia un rapporto altalenante pieno di luci e ombre: Mycroft Holmes, fratello maggiore del più noto Sherlock.
Quella frequentazione problematica trascina Laura in gioco di potere, di attentati, di omicidi che logorerà entrambi.
Tra discussioni e riavvicinamenti, si ritroverà a combattere con caparbietà per quel sentimento tormentato che li avvolge sempre più strettamente: una "solitudine elettiva" che li porterà ad aprirsi reciprocamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Aspettai il suo arrivo, ero talmente nervosa e allarmata che non riuscii nemmeno a catalogare i reperti.

 Se Lestrade fosse arrivato prima di Mycroft, non avevo idea di come comportarmi. Avere Scotland Yard e i servizi segreti dell’Mi6 anteposti era una situazione difficile da gestire.

Finalmente il cicalino della porta emise il suo suono monotono e andai ad assicurarmi che fosse Holmes.

Aprii furente, indossavo ancora la tuta verde.   Lui entrò con la faccia scura piena di risentimento, forse per quel bastardo che gli avevo gridato. Non riconoscevo niente in lui della sera prima. Un dolore sottile mi percorse fino allo stomaco.

“Non saltare a conclusioni affrettate, portami a vedere il corpo.” La voce bassa e tagliente, il crombie nero aperto, doveva essere venuto in fretta, non aveva nemmeno l’ombrello, e non si era portato dietro   nemmeno Anthea. In silenzio entrammo nella sala settoria. Lo vidi titubare e irrigidirsi, sapevo che l’odore era pungente e infastidiva la maggior parte delle persone, cercai di essere comprensiva anche se lo avrei preso a schiaffi.

“Mettiti la mascherina e non ti avvicinare se non te la senti.”  La prese e la indossò. “Non sono un bambino, Lorenzi.” Sibilò seccato mentre mi seguiva risoluto.

“Bene, allora stai vicino a me.”  Sogghignai ironica e lo portai dentro, ma cercavo di assicurarmi che stesse bene.

Lo scrutai un paio di secondi prima di scoprire il corpo. Sembrava stabile.  Fissò la poveretta, e io fissavo lui. Il suo volto passò rapido dal dolore alla rabbia, gli occhi dal grigio al nero denso.

“La conosci, vedo.” Annuì silenzioso abbassando la testa, mentre pietosamente la coprivo, cercai di essere rispettosa del corpo della giovane donna, mentre lui non dava nessun segno di rammarico, così mi infastidii.  “Ho un problema imminente, sta arrivando Lestrade. Cosa devo fare?” Brontolò, mentre uscivamo dalla sala autoptica. Lui mi precedeva, le spalle sembravano portare un peso enorme.

Tolse la mascherina e la gettò nei rifiuti, mentre io mi liberavo dalla tuta verde. Si sedette sulla sedia del laboratorio, quasi scomposto.

Era pallido. “Come è morta?” La voce nascondeva una nota di stanchezza.  Presi un bicchiere d’acqua dal dispenser e glielo allungai. “Bevi, senza protestare.” Lo accettò e mi accorsi di un impercettibile tremore delle mani mentre lo afferrava, ne mandò giù un lungo sorso.  Mi sistemai davanti a lui in piedi sovrastandolo, mi appoggiai al bancone, e gli raccontai tutto quello che avevo trovato. Per ultimo gli allungai il reperto che conteneva il pezzo di carta rosso che aveva inghiottito.

Non alzò mai la testa, ascoltò tormentando il bicchiere di carta e bevendo a piccoli sorsi. Alla fine non disse nulla, rimase impietrito, arroccato dentro la sua freddezza. Io non capivo se provavo dolore o rancore per quel suo modo di agire al limite della legalità.

“La conoscevi?”  Lo studiai mentre mi rispondeva.

“Si, era una brava agente, scrupolosa e fidata.”  Sospirò. “Talmente tanto che si è fatta uccidere per tenere il segreto.”  Alzò gli occhi che si erano fatti più limpidi, sembravano pieni di pietà. Mi fissò turbato, quasi dispiaciuto. “Per questo voglio che tu non sappia nulla di quelle cartelle.”  Sbuffai ironica, incrociai le braccia e sibilai per niente garbata.

“Come se servisse Holmes. Dici delle stronzate.” Lui non capì il mio inglese italianizzato.

“Stronzate?”

“Delle cose stupide, tradotto per te.”  Non afferrò l’offesa e non brontolò come al solito... “Dimmi che devo fare con Greg.”

Si alzò e riprese la sua freddezza. “Me ne occupo io, quando arriverà.” 

“Bene, finisco in sala.” Mi avviai per indossare nuovamente la tuta verde, ma mi fermò prendendomi il braccio.

“Laura, il corpo di Gwen lo portiamo via noi. Sii gentile, preparalo nel migliore dei modi.”  Lo fissai, vidi un attimo di profonda disperazione passagli sul volto.

“Allora il suo nome era Gwen? Mi dispiace, te la restituisco il più dignitosamente possibile.” Riprese il suo usuale contegno. 

Il cicalino annunciò l’arrivo di Lestrade. Li lasciai soli e andai a dare l’ultimo saluto a Gwen.

Ero convinta, mentre la ricomponevo, che Holmes l’avrebbe vendicata. Credo anche che sapesse già di chi era la colpa, ma c’era un che di oscuro nel suo lavoro che mi fece rabbrividire.

Poco dopo entrarono due uomini del trasporto mortuario e portarono via Gwen.

Intravidi Lestrade che usciva furioso, imprecando contro Holmes, che immobile lo seguiva con lo sguardo.

“Vedo che hai un nuovo amico.” Gettai la tuta nei rifiuti, abbattuta da quella situazione assurda. 

“Fa un po' di scena, ma ha capito, ed è una brava persona.”  Holmes si avvicinò alla porta. “Io devo andare, tu rimani ancora?” 

“Te ne vai così senza nessuna spiegazione?”  Mi irritavano questi suoi silenzi assurdi, dove non esistevo più, dove non ero più la sua “friend”.

“Non ti devo nulla, Lorenzi.” Un sorriso sprezzante gli si stampò in volto. Fu scortese, si sistemò la sciarpa con noncuranza.

 Com’era possibile passare dalla dolcezza di un abbraccio alla freddezza che mi buttava addosso in quel momento. Non riuscii più a trattenermi, mentre tutto l’affetto che avevo per lui si disintegrava.

“Sei sempre il solito, Mycroft!  Non riesco a capirti, ora non sono più la “tua friend”?  Cosa sono in questo momento? Solo un ostacolo al tuo maledetto lavoro!  Mi sento una stupida ad averti aperto il mio cuore. Vattene. Va via.” 

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì nulla, era turbato dalla mia rabbia.

“Esci, fuori di qui.” Quasi urlai, mi voltai e lo lasciai lì, con il suo cappotto costoso e la sua aria di superiorità.

La porta a vetri, si chiuse e rimasi sola in laboratorio.

Finii per entrare nella sala autoptica piena di rancore e iniziai a pulire rabbiosa.

Non capivo perché mi tenesse all’oscuro di tutto, avrebbe potuto parlarmi del suo lavoro, anche senza entrare in quei particolari rischiosi che non dovevo conoscere, ma   non riponeva in me nessuna fiducia.  Gli avevo offerto la mia amicizia, ma lui non faceva altro che contraddirsi. Ora mi cercava, ora mi allontanava. Anche con tutta la sua voglia di proteggermi mi aveva già ampiamente compromessa. Sapevo di essere in pericolo e rabbrividii. Sapeva quello che avevo patito, eppure ora non c’era, era sparito, come faceva sempre lasciandomi sola e impaurita mentre mi dibattevo tra odio e amore nei suoi confronti. 

Non desideravo altro che un po' di continuità e fiducia nel nostro rapporto. Nulla di più.

 

   
 
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