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Autore: Ms_Hellion    19/05/2021    0 recensioni
[“Ne, ne, hai sentito?”
“Sentito cosa?”
“Non hai visto la foto?”
“Quale foto?”
“Chi l’avrebbe mai detto che Orihara Izaya…”
“Orihara Izaya?”
“…che Orihara Izaya fosse gay.”]
Storiella in cui c’è una foto incriminante in giro per la Raijin, gli adorati umani di Izaya si stanno prendendo un po’ troppe libertà, e Shizuo non ha intenzione di ammettere i suoi sentimenti nemmeno sotto tortura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Izaya Orihara, Kyohei Kadota, Shinra Kishitani, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Eccomi finalmente con l’ottavo capitolo!! (。=^ω^=。)

Attenzione: oltre al solito linguaggio omofobico, questo capitolo contiene un tentato stupro (non esplicito). Tenetelo a mente se è qualcosa che può darvi fastidio.

Buona lettura ♥
 

_ _ _

 

8.

 

 

Era in trappola.

Izaya impiegò un totale di cinque secondi per giungere alla logica conclusione, il risultato di un ragionamento deduttivo che aveva assunto come premesse il luogo isolato in cui era stato attirato, la mancanza di vie di fuga, essendo stata chiusa con un tonfo la porta che costituiva la sola uscita dall’edificio, e infine l’espressione meno che amichevole degli individui che si paravano di fronte a lui.

Ne contò undici, ovvero un bel po’ di più di quelli di cui si poteva occupare da solo.

Ma tu guarda che situazione.

Si guardò intorno, ma l’ambiente era tanto vuoto e privo di possibili vie di fuga alternative, quanto quando l’aveva esaminato per la prima volta. Le sue mani scivolarono nelle tasche del cappotto, stringendosi una attorno al cellulare, l’altra attorno a un coltello.

Il primo oggetto era inutile, lo sapeva. Se pure ci fosse stato qualcuno volenteroso di accorrere in suo soccorso – e l’immagine di un certo protozoo lampeggiò nella sua mente – non avrebbe fatto in tempo a comporre il numero che quegli altri gli sarebbero subito saltati addosso.

Gli restavano dunque una lama affilata e la sua lingua altrettanto tagliente. Alla fine dei conti, erano le sue armi più efficaci.

Nessuno sarebbe venuto a salvarlo. C’erano solo lui, il ragazzo che voleva diventare un dio, e loro, gli umani che avrebbero dovuto adorarlo, e che erano ora pronti ad arrecargli danno.

Così sorrise, e pronunciò parole che vennero prontamente ignorate. Come la minaccia alla sua incolumità si rese palese, la sua presa attorno al manico del coltello si serrò.

Seriamente…

Questa è tutta colpa tua, Shizu-chan.

 

Un’ora prima…

 

Izaya si mosse in una rapida piroetta, facendo svolazzare come un mantello il cappotto orlato di pelliccia che avvolgeva le sue spalle e gli ricadeva lungo i fianchi in una cascata di tessuto scuro, fino a fermarsi all’altezza dei polpacci.

Analizzò rapidamente la propria figura allo specchio, dai jeans neri aderenti alla maglia color granata, alle mani impreziosite da alcuni semplici anelli di metallo e su fino alla sciarpa color crema avvolta attorno al suo collo, oltre alla quale spuntava il suo volto, aperto com’era in un sorriso, gli occhi scintillanti sotto ciocche accuratamente pettinate.

Non male, Orihara, si disse con un ghigno.

Allungò una mano in direzione del ripiano del bagno, indugiando per un attimo prima di selezionare una boccetta di acqua di colonia. Era il prodotto più costoso che possedeva, e quindi per definizione sprecato con un bruto come Shizu-chan, ma il corvino si disse che lo stava facendo soltanto per se stesso – ovviamente. Non era come se dovesse impressionare il bruto – non era come se gli importasse di cosa Shizu-chan pensava di lui.

Forse solo un pochino, ammise, aggiustandosi una ciocca dietro l’orecchio. Sospirò, facendo scorrere gli occhi sul proprio riflesso, arrendendosi alla prospettiva che probabilmente il protozoo non si sarebbe neanche accorto dei suoi sforzi.

Stupido Shizu-chan… sarà meglio che mi faccia i complimenti per il mio aspetto. Tch, scommetto che non si rende neppure conto della sua fortuna.

Già, perché Orihara Izaya di certo non andava in giro a regalare il suo prezioso tempo al primo individuo che lo avesse invitato a uscire.

E a tal proposito…

Il telefono squillò, recapitando l’ennesimo messaggio di un umano alquanto noioso con cui Izaya era lieto di non aver sprecato ulteriori energie. Non si scomodò a leggere il messaggio; invece, sghignazzò tra sé mentre s’immaginava la faccia di Kota-chan quando sia la sua ragazza che la sua famiglia avevano ricevuto, da parte di un mittente misterioso, una serie di immagini riprese dalle telecamere di un locale di Ni-chome. Si chiese brevemente se i suoi genitori avessero finito per diseredarlo – sarebbe stato divertente, non è così? – quindi mise da parte il pensiero, decidendo che per il resto di quella giornata la sua attenzione sarebbe stata concentrata su un certo protozoo che, per lo meno, non cessava mai di intrattenerlo.

All’ingresso, si chinò per infilarsi un paio di stivaletti, quindi aprì la porta, e fu salutato da tiepidi raggi luminosi e un’atmosfera umida, che conservava un vago aroma metallico, un ricordo della pioggia da poco caduta. Presto i suoi occhi furono attratti da un lampo di colore, e gli angoli della sua bocca si incurvarono in un ghigno.

“Ma tu guarda, un arcobaleno. Che sia per me~?”

Doveva trattarsi di un segno sull’esito della sua opera di seduzione, pensò compiaciuto.

“Parli di nuovo da solo, Iza-nii?”

“No amici.”

“Ha! Hai ragione, Kururi. Parla da solo perché non ha amici.”

Izaya roteò gli occhi come una vocetta stridula gli forò i timpani, accompagnata da una seconda voce del tutto simile ma nettamente più pacata. Neanche quelle pesti delle sue sorelle, però, sarebbero state in grado di guastare il suo buonumore.

“Dove vai?”, chiese Mairu, inclinando la testa di lato con curiosità. La bambina inspirò, e il suo naso si arricciò un po’. “Puzzi di odore da adulto.”

Izaya sbuffò una mezza risata. “Si chiama colonia, e profuma.”

Mairu fece spallucce. “Non mi hai ancora risposto, Iza-nii! Dove stai andando? Vai a vederti con il tuo amico speciale?”, domandò con un ghigno insolente, il tono di scherno palese nella sua voce.

L’autocompiacimento della bambina tuttavia vacillò presto come ricevette in risposta un ghigno due volte più ampio.

“In effetti, è così”, replicò Izaya mellifluo, facendo strabuzzare gli occhi di Mairu; perfino Kururi parve un pochino sorpresa. “Ora che ci penso, farei meglio a sbrigarmi, non vorrei proprio tardare~”, fece con tono allegro. “Ci vediamo dopo, ragazze. Cercate di non radere al suolo la casa mentre non ci sono, ne? Bye-bye~.”

Era certo di aver udito almeno un insulto volare nella sua direzione, ma la porta si frappose tra lui e le sue sorelle prima che avesse modo di elaborare le parole. Si limitò a scrollare le spalle.

Uno strano pensiero si infiltrò nella sua mente, facendolo pausare per un secondo.

Shizu-chan… chissà se è bravo con i bambini.

Nemmeno il mostro poteva essere peggio – più disinteressato – di lui, poco ma sicuro. Se non altro, conoscendo Shizu-chan, avrebbe per lo meno provato ad essere buono con loro.

Prima che quella strana riflessione potesse terminare con un piano per sfruttare il Neanderthal come babysitter se l’appuntamento fosse andato per il verso giusto – dato che tra l’altro la precedente babysitter, l’ingenua vecchia signora, aveva reso piuttosto chiaro che i due piccoli demoni non sarebbero stati nuovamente invitati, in futuro, a devastare la sua abitazione – il corvino fu distratto dal vibrare del telefono nella sua tasca.

Automaticamente, si mosse per controllare il messaggio, e sulla sua fronte si formarono una serie di rughe.

 

[Da: Shizu-chan, 15:34

Yo, Izaya! Ti dispiace se cambiamo il luogo dell’appuntamento? C’è stato un problema con l’altro posto, ti spiego dopo.]

 

Seguiva un indirizzo. Izaya grugnì tra sé, irritato, notando che era parecchio più lontano del caffè inizialmente proposto dal biondo. Avrebbe dovuto correre per arrivare in tempo. A peggiorare le cose, Izaya era familiare con quella zona – esattamente come era familiare con ogni singola nicchia di Ikebukuro – ed era piuttosto scettico sul suo potenziale romantico.

Stupido Shizu-chan, che cosa mi combini?

 

[Da: Shizu-chan, 15:35

Scusa ancora per il disturbo.

 

A: Shizu-chan, 15:35

Nessun problema, tesoruccio~! Ci vediamo tra poco! Chu~ xxx

 

Da: Shizu-chan, 15:35

Chu xx]

 

Izaya inarcò un sopracciglio e sbuffò una sorta di risata.

Compose e inviò un ulteriore messaggio – a un diverso destinatario, stavolta – quindi intascò il cellulare e si avviò in direzione del luogo d’incontro.

Sulla sua strada, fischiettò un po’, optando per il motivetto più insulso e allegro che conoscesse. Smise presto, però, come si scoprì incapace di reprimere del tutto la tensione che premeva alla bocca del suo stomaco, tingendo le note squillanti di incertezza.

 

. . .

 

“Heh, che vi avevo detto, ragazzi? La checca ci è cascata.”

Solo, in piedi al centro dello spazioso ambiente vuoto, Izaya serrò le dita attorno al suo fidato coltello a serramanico e forzò le sue labbra a stirarsi in un ghigno.

Era in trappola, ciò era ovvio. Un trappola in cui si era cacciato da solo, quando aveva seguito le indicazioni del messaggio di ‘Shizu-chan’ fino a un capannone abbandonato, sufficientemente isolato e lontano dalle abitazioni da mascherare qualsiasi grido di aiuto se, per esempio, una persona fosse inciampata sul ciarpame che ingombrava il pavimento – principalmente tubi e assi spezzate che fungevano da indice della previa funzione di deposito dell’edificio – cadendo e spezzandosi una gamba, o se una manciata di ragazzi di una scuola locale si fosse radunata per riempire di botte un loro compagno.

“Shimoda-kun, che piacevole coincidenza, incontrarci qui”, fece con tono eccessivamente zuccherino. “E hai portato i tuoi amici, vedo! Bene, bene, si direbbe che state per organizzare una bella festa, mmh?”

Izaya ne contò undici, degli amici di Shimoda, ancora vestiti con le uniformi della Raijin.

Come gli apostoli e il loro maestro, pensò, inclinando la testa di lato con interesse. Si chiese brevemente se l’analogia lo rendesse Giuda, per poi decidere che il titolo di Dio incarnato fosse molto più appropriato per lui.

Un dio, e dodici traditori.

“Una festa, sì, e tu sei il festeggiato”, ribatté un ragazzo magrolino, in piedi alla sinistra di Shimoda, con voce stridula e labbra stirate in un ghigno idiota.

“Sarà un party da urlo” aggiunse un tizio con un paio di sopracciglia cespugliose, facendo scrocchiare le nocche. “Letteralmente.”

Izaya produsse una risata, improvvisa e acuta e interamente priva di ilarità.

Curioso, davvero.

Non avrebbe saputo individuare con precisione il momento in cui aveva smesso di essere divertente. Se gli fosse stato richiesto, non sarebbe stato in grado di spiegare come o perché quel particolare gruppetto di scocciatori avesse terminato infine la sua funzione di intrattenimento, divenendo appunto giusto quello – una scocciatura. Doveva essere successo da qualche parte tra quel primo foglietto appallottolato che era atterrato sulla sua scrivania e l’agguato che gli avevano ora teso, rovinando il suo primo, vero appuntamento.

Forse non era mai stato divertente in primo luogo.

“Ah, capisco, capisco! Gentile da parte vostra, riunirvi qui in mio onore”, commentò con un sorriso. “Ne, vi chiederei se Shizu-chan è stato invitato alla festa, ma qualcosa mi dice che non è così, vero?”

“Temo di no.”

Era stato Shimoda stesso a rispondere, e quando finalmente Izaya rivolse l’attenzione verso di lui, rimase lievemente impressionato da ciò che gli si presentò.

Il ragazzo sorrideva, un’espressione che rispecchiava quella dello stesso corvino; a differenza di quest’ultimo, però, sembrava esserci vera emozione nei suoi occhi. Non gioia, no. Piuttosto ferocia, trionfo e odio vendicativo.

Era impressionante, davvero, constatare quanto in là un umano fosse disposto a spingersi pur di ottenere vendetta. E allo stesso tempo, lo faceva apparire quasi patetico.

Shimoda-kun, non dirmi che ti importava così tanto di Mikage-chan.

Si trattava solo di un’altra pedina. Né un dio, né un mostro, soltanto un altro gioco sulla scacchiera. Come lo sei sempre stato tu.

A giudicare dall’odio bruciante riflesso sui tratti dell’altro, però, Shimoda non condivideva il suo punto di vista.

“Siamo solo noi adesso, Orihara”, disse, o meglio sputò, la sua voce colma di disprezzo. “Hai finito di nasconderti dietro a quell’aberrazione.”

Il sopracciglio di Izaya si contrasse, una volta sola.

“Non ricordo di essermi mai nascosto dietro a nessuno”, disse con tono di pacata indifferenza. Scrollò le spalle e allargò le braccia, quasi a offrire se stesso al loro giudizio. “Mi conosci, Shimoda-kun. Se mi volevi, sapevi già da prima dove trovarmi.”

“Ha! No, non credo proprio,”, fece Shimoda. Sputò ai suoi piedi. “Ho chiuso con i tuoi giochetti, Orihara. D’ora in poi, le cose andranno a modo mio. Inoltre, mi piaceva l’idea di avere un po’ di privacy”, aggiunse con un sogghigno.

Izaya lo fissò in silenzio per alcuni secondi, gelido quanto la lama nascosta nel suo cappotto. Quindi, modellò i tratti del suo volto in una manifestazione di falsa affabilità.

“Capisco”, disse, annuendo un po’. “E dunque? Che succede ora? Dimmi, sarebbe questo il tuo grande piano?” Si guardò intorno, fingendo di notare i suoi dintorni per la prima volta. “Mi hai attirato qui, e adesso hai intenzione di, cosa, sguinzagliare i tuoi cani leali su di me? Massacrarmi di botte? Mandarmi all’ospedale, magari?”

“Sarebbe un inizio”, fece Shimoda tra i denti, ma Izaya non aveva ancora finito.

“Qualsiasi cosa tu faccia, non durerà. Puoi rompermi le ossa, puoi ferire la mia pelle e persino condurmi sul baratro della morte. Ma a meno che tu non mi spinga in quel baratro, le tue azioni saranno futili, perché, indovina un po’? Che ci voglia un’ora oppure un mese, uscirò da quell’ospedale come se nulla fosse, e allora avrò la mia vendetta.” Izaya sorrise un po’, ridacchiò tra sé. “Credi che quanto abbia fatto a Mikage-chan sia terribile? Eppure non ho mai desiderato di arrecarle danno. Aspetta di vedere cosa farò a te, mio piccolo insolente umano.”

“Tu…!”

“Perciò, a meno che dopotutto tu non mi voglia ammazzare”, proseguì pensieroso, ignorando il sibilo infuriato di Shimoda tanto quanto la tensione che andava progressivamente diffondendosi tra i testimoni del loro dialogo, “ti consiglio di correre a casa, da bravo bambino, tu con tutti i tuoi amichetti. Il tempo di giocare alla gang è finito, sarà meglio che lasciate perdere prima di imbattervi in un pesce troppo grosso per voi. E già che ci sei, Shimoda”, aggiunse prima di potersi fermare, “perché non provi a ricontattare Mikage-chan? Chissà, forse, dall’ultima volta che vi siete visti, ha scordato che razza di totale imbecille tu sia, e forse si convincerà a sprecare con te ancora un po’ del suo tempo. O forse, mi implorerà di nuovo di aiutarla a liberarsi di te.”

Le ultime parole uscirono dalla sua bocca con la freddezza e la gioia di ferire di una lama, squarciando e affondando in profondità, con lo scopo dichiarato di infliggere quanto più danno possibile. E così fece. Solo per un battito, lampeggiarono shock e dolore sincero sul volto di Shimoda. Solo per un battito, Izaya esultò, crogiolandosi nel piacere di umiliare chi aveva osato umiliarlo.

Quindi, comparve la reazione attesa. La rabbia. L’odio. Nulla che il corvino non si aspettasse.

Eccetto che, a quanto pareva, aveva commesso un piccolo errore di calcolo.

Suo malgrado, rabbrividì.

Che cos’è quella faccia?, si chiese, scioccato, indietreggiando di fronte all’espressione di Shimoda. Proprio adesso, dovrebbe provare rabbia impotente, non questo… qualunque cosa questo sia!

Non può fare nulla contro di me. Lui sa che non può fare nulla. E allora…

che cosa diamine è quell’espressione?

E non solo lui. Guardandosi attorno, leggendo la minaccia sui volti di alcuni umani e ghigni storti su quelli di altri, Izaya avvertì per la prima volta che qualcosa era andato per il verso sbagliato. Molto, molto sbagliato.

E poi, la tensione si spezzò come una corda di violino.

“Prendete quel pezzo di merda”, sbraitò Shimoda.

In un lampo, il coltello a serramanico era aperto nella presa di Izaya come undici persone gli si avvicinarono minacciosamente.

“Io non lo farei”, li avvertì, giusto per cortesia, e perché davvero preferiva non farlo, solo per essere ignorato.

Il primo – Sopracciglia Cespugliose, lo riconobbe il corvino – gli si scagliò addosso senza esitare. Cercò di colpirlo con un pugno, solo per ritrovarsi a sferrare un destro contro il nulla come Izaya si spostò, rapido, per evitare l’attacco. Approfittando dell’apertura, la lama del corvino sibilò attraverso l’aria, intaccando l’uniforme del ragazzo e disegnando una linea rossa sul suo fianco.

“Ah!”, gridò quello, premendosi una mano sulla ferita – ma Izaya non ebbe il tempo di esultare, poiché subito dopo fu costretto a balzare all’indietro, schivando per un pelo altri due assalitori.

Lacerò con il coltello un palmo teso ad afferrarlo e assestò un calcio in mezzo alle gambe di un ragazzo grosso come un armadio, quindi si abbassò, saltò, piroettò di lato, muovendosi abilmente tra i tentativi di agguantarlo, tra gli attacchi volti ad atterrarlo, riuscendo persino a far sì che uno degli aggressori colpisse accidentalmente un suo compagno.

Era leggero, veloce, feroce come una serpe, come il degno rivale che Heiwajima Shizuo aveva affrontato per anni senza mai riuscire a sconfiggere. Era il futuro informatore di Shinjuku, colui che un giorno avrebbe terrorizzato la città, facendosi gioco dei criminali più incalliti come se fossero bambini in un parco giochi.

Ma era anche, sfortunatamente, abitante di un corpo umano.

E gli assalitori erano troppi. Semplicemente troppi.

Un cazzotto lo colpì sull’orecchio, stordendolo momentaneamente, e un secondo attacco lo centrò dritto al plesso solare. Izaya si piegò su se stesso, il fiato spezzato e l’orecchio che fischiava, e seppe che era finita.

Fece un ultimo tentativo, uno scatto in direzione della porta – ma Voce Stridula lo agguantò prontamente per un polso, strattonandolo all’indietro, e Sopracciglia Cespugliose si vendicò per quella prima ferita, assestandogli una gomitata dritta alla nuca. Con forza.

Un verso strozzato lasciò la bocca del corvino, e le sue ginocchia si piegarono, traballanti. Subito un paio di mani ne approfittò per stringere la presa su di lui, e poi un altro e un altro ancora, e quando Izaya riuscì infine a scacciare i puntini luminosi che danzavano di fronte ai suoi occhi, si trovava già a terra, costretto in ginocchio da mani pesanti premute sul suo corpo.

Si divincolò, inutilmente, nel tentativo di scrollarsi gli assalitori di dosso, riuscendo appena a liberare un braccio e a brandire il coltello prima che questo gli venisse sbattuto via di mano con un calcio. Un secondo calcio lo colpì dritto in faccia, e per la seconda volta in meno di altrettanti minuti, la visione di Izaya fu oscurata da un’esplosione di colori.

Sentì un sapore di sangue in bocca e pregò ardentemente che il suo naso non fosse rotto, nonostante il dolore pulsante paresse suggerire il contrario.

Sputò per terra, e un rivolo di saliva misto a sangue colò pendendo dalla sua bocca, per poi ricoprirgli il mento come Izaya piegò la testa all’indietro, sollevando lo sguardo verso il ragazzo che per l’intera durata dello scontro non aveva mosso un dito e che ora lo osservava come se si trovasse di fronte a un genere di verme particolarmente disgustoso.

Izaya stirò le labbra, scoprendo i denti in una smorfia insanguinata che voleva essere un ghigno.

“Tutto qui?”, lo provocò.

Naturalmente, lo provocò – perché Izaya non sapeva fare altro, di fronte al pericolo, che ridere e scherzare con il fuoco. Perfino con Shizu-chan non era mai riuscito a tenere la bocca chiusa per evitare di attirarsi l’ira del mostro.

Eppure… Shizu-chan non lo aveva mai guardato così.

Izaya rabbrividì, chiedendosi tutto d’un tratto se Shizu-chan avesse mai voluto fargli davvero del male.

Shimoda si chinò con calma ingannevole per raccogliere il coltello a serramanico che, dalla mano del corvino, era scivolato lungo il pavimento del capannone, fino ad arrestarsi ai suoi piedi.

“Sai, Orihara…”

Shimoda fece scattare la lama, ed essa rifletté l’unico raggio di sole che penetrava attraverso il vetro della larga finestra, emettendo in risposta un bagliore rossastro. Se Shimoda era disturbato alla vista del sangue che ancora macchiava la lama, non lo diede a vedere.

“…dovresti davvero imparare a chiudere quella cazzo di bocca.”

Izaya si irrigidì.

Che cosa vuole…?

“Tenetelo giù, ragazzi.”

Le mani sul suo corpo si serrarono ancora di più, con una violenza destinata a lasciare lividi. Sentendosi spingere verso il basso, Izaya si dimenò in un tentativo di opporsi, ma fu incapace di impedire loro di manovrarlo finché le sue spalle e il lato della faccia non furono pressati contro il pavimento.

Cosa diavolo vuole fare?!

Izaya non capiva.

Cosa stavano facendo? Perché lo stavano solo tenendo fermo? Non avrebbero dovuto cominciare già da un pezzo a colpirlo?

“Oi, Shimoda. Ne sei proprio sicuro?”, domandò qualcuno.

“Cos’è, te la stai facendo addosso proprio sul più bello?”, rispose astioso Voce Stridula.

“N-no, non è quello, è solo che…”

“Allora stai zitto!”, giunse la velenosa replica. “Personalmente, non vedo l’ora di vedere il frocio sanguinare.”

Izaya si chiese distrattamente che cosa avesse fatto per meritarsi un tale odio da parte dei suoi umani. Li aveva sempre amati, non era così? E, oltre a Shimoda, ben pochi tra gli altri avevano ragione di augurarsi il suo male.

Allora perché? Era per via del suo orientamento sessuale, sul serio?

No…

Più probabilmente…

È la natura violenta degli esseri umani.

“Oi, Orihara”, pronunciò Shimoda, la voce orrendamente piatta e infinitamente crudele, come un bambino che, catturata una farfalla, si appresta a strapparle le ali. “Tutto sommato, dovrebbe piacerti se ti ficco questo coltello su per il culo, giusto?”

Izaya sbarrò gli occhi, mentre il sangue si drenava dal suo volto.

Non oserebbe, fu il primo pensiero che attraversò la sua mente.

Ma la pressione di troppe mani su di lui era forte.

Il pavimento sotto la sua guancia, gelido.

L’espressione di Shimoda, completamente esente da ilarità.

L’intero essere di Izaya si ribellò violentemente all’idea, e senza preavviso il suo corpo prese a contorcersi e dimenarsi con rinnovata foga, rifiutando la posizione in cui era stato forzato tanto quanto la prospettiva dell’umiliazione.

Dita spietate si strinsero tra ciocche fini e tirarono, costringendolo a piegare il proprio corpo all’indietro prima di sbattere brutalmente la sua testa contro il pavimento. Era il terzo colpo che soffriva alla testa nell’arco di pochi minuti, e il corvino gemette mentre lottava contro il bisogno impellente di vomitare.

Quindi, Shimoda fece un passo avanti. Contemporaneamente, Izaya avvertì il peso di una mano spostarsi dalla sua schiena al retro della sua cintura, e quattro dita si incurvarono, infilandosi tra la banda dei pantaloni e la sua pelle.

Chiuse gli occhi, preparandosi al peggio.


 

 

   
 
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