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Autore: crazyfred    20/05/2021    0 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve salvino gente!!! Ci ritroviamo qui finalmente per un nuovo episodio di quella che io ho ribattezzato la mia "bolla". Stavolta facciamo un passo indietro rispetto all'ultimo capitolo pubblicato, nello specifico a qualche mese dopo la fine di "Noi Casomai". Come sempre quando scrivo, i personaggi vanno da un'altra parte e, quello che doveva essere un semplice "quadro", si è trasformato in qualcosa di più. Così sono stata costretta a dividere la storia due parti e ci troviamo tra un paio di settimane con la seconda parte.
Prima di lasciarvi con la lettura vi invito a mettere "mi piace" alle mia nuova pagina Facebook dove potrete trovare informazioni su capitoli, video e, se vi va, salutarmi e commentare insieme a me i capitoli. 
Buona lettura!!!
 
 
Aspettative e realtà
(parte 1)





 
Davanti allo specchio in camera da letto, Emma sbuffava, girandosi e rigirandosi di fronte al proprio riflesso con addosso l'abito avorio in tessuto bouclé che aveva acquistato per l'occasione. Francesco la osservava in disparte, divertito, fermo sull'uscio della porta della loro camera, finché sua moglie non si accorse della sua presenza.
"Che fai?" domandò. "Nulla" rispose l'uomo, avvicinandosi, alle spalle "sto solo cercando di capire quale sia il problema …" "Il problema siamo io e la mia cattiva abitudine di fidarmi di Valeria" bofonchiò. Ma dallo sguardo del marito, la donna comprese che non seguiva il suo ragionamento. "Guarda" esclamò, indicando la mise "è un disastro!" "Perché? Non è assolutamente vero" ribatté immediatamente Francesco, posando delicatamente le sue mani sui fianchi della moglie e, lentamente, lasciandole scivolare in avanti per stringerla in un abbraccio e posandole un bacio sulla guancia "sei bellissima."
Aveva imparato che il tempismo era vitale durante queste crisi di autostima: negare, negare sempre e tante coccole per aumentare i livelli di serotonina.
"Leo?" "Di sotto. Sono arrivati tuo fratello e tua zia." "Vestito?" Francesco annuì. "Non durerà cinque minuti" Il marito fece spallucce. Era un bambino, sudato o disordinato non sarebbe stato uno scandalo per nessuno.
"Uff" sbuffò ancora Emma, tornando a concentrarsi sull'immagine allo specchio "Sono enorme e il bianco non aiuta" "Ma cosa dici? Amore sei stupenda"
Non era una bugia, Francesco lo pensava davvero ed era oggettivo. Non molte donne sulla faccia della terra potevano dire di avere quel fisico a quattro mesi dal parto: con la gravidanza era sbocciata, ma la maternità - a dispetto delle notti insonni e dei pianti talvolta inconsolabili - l'aveva resa ancora più bella. La luce che si portava dentro era diventata qualcosa di accecante. E se davvero ci fosse stato qualche chiletto in più, era tutto a favore della dolcezza delle sue forme e del suo viso.
Ma le parole del marito non sembravano essere d'alcun aiuto. "Non è vero" sbuffò "sono ridicola, da far ridere i polli"
"Scusa eh … ma da quand'è che ti importa come ti cade addosso un vestito? Non sei tu quella che dice sempre: deve piacere a me, se agli altri non piace che guardino altrove?!"
"Ma oggi è un giorno speciale! Voglio che sia tutto perfetto per i bambini"
Il giorno speciale era il battesimo dei bambini. Leonardo non era stato battezzato e, ottenuto il permesso dei nonni e degli assistenti sociali, era stato deciso di battezzarlo assieme alla sorellina. Al di là dell'aspetto religioso, più importante per Emma che per Francesco, era stato un modo per sottolineare che i due bambini per loro erano uguali in tutto e per tutto. "E lo sarà" affermò Francesco " E vuoi sapere perché? Perché sono con la loro mamma, il loro papà e tutti quelli che gli vogliono bene. Non certo per un vestito … che per la cronaca ti sta benissimo"
"Ma ci credi davvero che bastino due parole a convincermi?" "Sono tuo marito…vorrei ben sperare" "Ecco, perché per qualche motivo sta funzionando" affermò, aprendo le labbra ad uno di quei sorrisi furbi che tanto piacevano a lui.
Francesco, ancora stretto in quell'abbraccio alle spalle,  scese con la testa fino a poggiare il mento sulla spalla di Emma, per posarle delicatamente un bacio sul collo. Il forte aroma di vaniglia che poche gocce di profumo riuscivano ad emanare, lo abbracciava e inebriava totalmente, quasi stordendolo; avrebbe voluto perdersi su quella pelle e tra quei morbidi capelli. Ancora non abbastanza lunghi per i gusti di suo marito, Emma li aveva raccolti e appuntati leggermente a mezza altezza, lasciando che l'ondulatura naturale delle ciocche facesse il resto.
Tuttavia, mentre la coppia indugiava in quella fugace coccola, dalla stanza di fronte un pianto urgente e imperioso richiamò la loro attenzione. La piccolina di casa si era svegliata ed era ora di prepararla. Emma, gli occhi al cielo, si spogliò in fretta, mettendo addosso la tuta. Aveva pensato di farsi furba e vestirsi in anticipo, con calma. Ma non aveva fatto i conti con i bisogni primari di una neonata di quasi quattro mesi. Già prima della nascita della piccola, difficilmente si metteva in tiro, ma da quattro mesi a quella parte aveva abbandonato quasi del tutto il trucco e acconciature che non fossero trecce o chignon per tenere i capelli al loro posto. E l'ultima cosa di cui aveva bisogno era una macchia di rigurgito, pipì o pupù sul vestito nuovo di zecca.
"Stai. Vado io" si fece avanti suo marito. "Ma dove vai tu che ti devi ancora lavare? Sbrigati che altrimenti facciamo tardi!"
 
Nella nursery, Sole scalpitava nel suo lettino, sbracciandosi e agitando la trapunta; c'era di che far venire il mal di mare anche agli orsacchiotti stampati sul lenzuolino. "Ciao amore mio!" la salutò la madre, curvandosi sul lettino "Che c'è? Ti sei spaventata a svegliarti da sola in cameretta?"
La bambina, ovviamente, dormiva ancora nella sua culla in stanza con i suoi genitori; tuttavia, al mattino, dopo la prima poppata, Emma e Francesco la facevano scivolare nel lettino della sua camera, non appena si riappisolava, per poter mettere in ordine nelle altre stanze. La moglie di Huber e alcune mamme dell'asilo di Leo avevano detto ad Emma che era quasi ora di trasferirla in cameretta in pianta stabile, ma loro non si sentivano pronti a lasciarla andare, avrebbero quantomeno fatto passare l'inverno; provarci, per Emma, tanto per vedere come andava, non era un problema, ma al solo inizio di una conversazione sull'argomento Francesco si alzava e se ne andava.
Emma prese in braccio la bambina che, agitata, quasi letteralmente si tuffava verso il suo seno. "Piano patatina! Hai fame, eh?" esclamò, sorridendo. Dovette battagliare un po' per sistemarsi sulla poltroncina ed allattarla con calma: il latte non le mancava, Sole cresceva bene, ma quando era così vorace si domandava se magari il latte non le bastasse più e non fosse il caso di iniziare a svezzarla appena superato il traguardo dei quattro mesi. L'idea la elettrizzava e la spaventava molto più che farla dormire in un'altra stanza, perché significava iniziare a separarsi da lei. Prima o poi sarebbe successo, presto sarebbe anche tornata a lavoro, ma erano in una simbiosi così perfetta quando la bimba era attaccata al suo seno che non riusciva a pensare di farne a meno lei stessa.
Mentre se ne stava in quella bolla senza tempo che era per lei l'allattamento, Emma sentiva l'acqua scrosciare nel bagno, di fianco alla cameretta e le ante della doccia aprirsi e chiudersi perché Francesco vi entrasse. Pensò per un attimo a quelle mamme che, in attesa dal pediatra, si lasciavano andare a commenti del tipo "con un figlio si imparano ad apprezzare anche le piccole cose, come una doccia". Non voleva sminuirle, perché di sicuro era così, ma lei non poteva raccontare a nessuno che, dopo aver rischiato di morire a trent'anni, non era stato certo l'arrivo di sua figlia a farle vedere il mondo sotto un'altra prospettiva. Si poteva dire, anzi, che la guarigione prima, e la nascita di Sole poi, l'avevano riportata indietro ad uno stile di vita in cui poter permettersi di vivere tutto con più leggerezza, apprezzando sia le cose fondamentali che quelle più frivole.
 
Cambiata la piccolina e vestita di tutto punto con un vestitino semplice in lana e velluto bianco, Emma tornò in camera assieme a Sole; suo marito era nelle stesse condizioni in cui lui l'aveva trovata poco prima. Pantalone scuro, camicia bianca immacolata, armeggiava disperatamente con la cravatta davanti allo specchio. "Non capisco tutta questa necessità di mettere la cravatta" "Lo hai detto tu che è un'occasione importante" "Lo è" riaffermò Emma "ma continua sfuggirmi il nesso tra l'importanza del giorno con la cravatta. Quando ci siamo sposati non te la sei messa, mi pregavi disperato…devo dedurre che il nostro matrimonio non era niente di serio?"  
Adorava punzecchiarlo, ancora di più quando riusciva ad essere sufficientemente credibile da istillargli il dubbio che fosse seria. "Ma perché devi dire stronzate? " domandò il forestale a sua moglie mentre, con le mani, copriva le orecchie della bambina, la quale dimostrava di essere più interessata a raggiungere con le manine la sua passione del momento, i suoi piedini, che al turpiloquio di suo padre "E poi … disperato … quanto sei esagerata …"
La donna sapeva di poter scherzare con certe cose con suo marito perché tanto non ci credeva nemmeno lui a quello che stava dicendo. Era un bisticcio innocente, scherzoso, quasi malizioso.
Emma fece sedere suo marito sul letto proprio di fronte alla specchiera, mettendo la bambina seduta sulle gambe del padre che, ciondolando ritmicamente con la gamba, simulava il trotto di un cavallo. "Vacci piano" lo pregò Emma "ha appena finito di mangiare".  Sole, invece, sembrava gradire: i gridolini acuti e le sue risate riecheggiavano nella stanza. Emma si portò alle loro spalle e alzò il colletto della camicia del marito "Vediamo un po' …" Guidandosi con l'immagine riflessa,  prese le estremità della lunga cravatta celeste e iniziò i passaggi del classico nodo Windsor.
"Questa me la segno" "Cosa?" "Da quand'è che sai anche annodare una cravatta, Giorgi?" "Da molto più tempo di quanto immagini, Neri" confidò Emma, sorridendo sommessamente "in realtà è uno dei pochi ricordi d'infanzia piacevoli che ho. Prima che Giulio nascesse … avrò avuto sei, sette anni, non so … la mattina mio padre era spesso in ritardo e mi sedevo sulla poltroncina della camera da letto dei miei ad aspettare che fosse pronto per accompagnarmi a scuola. Se si accorgeva che mi annoiavo lasciava che lo aiutassi ad annodare la cravatta. Era poco … era un gioco, ma era speciale per me." Francesco, dai racconti di Emma, aveva sempre dato per scontato che la sua infanzia non fosse stata rose e fiori. Ma evidentemente doveva esserci stato anche per lei, e per fortuna, un prima e un dopo, un periodo, anche se breve, in cui aveva potuto essere semplicemente una bambina, senza preoccupazioni. "È un bel ricordo … non dire che è poco"
Conoscendo la relazione complicata che Emma aveva con i suoi genitori, era un sollievo sapere che c'erano dei bei ricordi che lei, comunque, aveva conservato. E non era un caso se la voce si addolciva proprio con un ricordo legato a suo padre. Tra i due, infatti, quello che per primo si era fatto avanti dopo la nascita di Sole, era stato proprio l'integerrimo Dottor Giorgi. Emma era rimasta con i piedi per terra, dava tutta la colpa alla zia Vittoria che aveva di sicuro insistito con il fratello affinché approcciasse sua figlia e andasse a conoscere la sua famiglia. Non avrebbe preso parte alla funzione, quel giorno, aveva accampato una scusa qualunque sulla sessione di esami in università dove insegnava oltre al suo lavoro di medico, ma il passo lo aveva fatto, questo lei glielo riconosceva.
"Ecco fatto … fammi vedere?" disse, facendogli segno di girarsi verso di lei "Assolutamente perfetto!" "Assolutamente pinguino" esclamò lui, alzandosi dal letto e portandosi davanti allo specchio per allentare leggermente il nodo "ma per la mia principessina questo ed altro. Vero patatina?" Strinse la piccolina con tutte e due le braccia, portandola di fronte a sé, e prese a riempirle le guanciotte paffute di baci; la piccolina, con il ditino in bocca, gli lasciava una scia di bavetta sul viso, mentre rideva di gusto.
Emma sarebbe stata lì a guardarli per ore, assolutamente innamorata ed estasiata da quella visione. Era proprio per quello che aveva lottato con le unghie e con i denti per sopravvivere all'intervento a cui si era sottoposta. Non per diventare madre - non solo, almeno - ma per poter vedere l'uomo che amava libero e felice come lo era in quel momento.
 
L'inverno era particolarmente clemente, quell'anno, in Val Pusteria. Di nevicate copiose come quelle dell'anno precedente se n'erano viste ben poche, ma questo non impediva alle temperature di essere glaciali e ad uno strato sottile e ghiacciato di neve di resistere, pericoloso ed infame, lungo le strade, per giorni e giorni. Per arrivare alla chiesa di San Michele, nella piazza principale, lasciata l'auto in un parcheggio decentrato, Emma dovette aggrapparsi forte al braccio di suo marito che spingeva la carrozzina, pregando in tutte le lingue del mondo di non beccare alcuna lastra di ghiaccio e scivolare. Al freddo, ormai, nemmeno faceva più caso. Le sue gambe, sotto la gonna, velate solo da un leggerissimo paio di collant, aveva smesso di sentirle uscendo di casa. Leonardo, poco più avanti, saltellava incauto, stretto nel suo giaccone pesante, raccogliendo la neve accumulata agli angoli dei palazzi per lanciarla verso lo zio che rispondeva, non curante della gente che passeggiava intorno e mandava imprecazioni in italiano e in tedesco, ugualmente irritati.
"Leo basta!" Francesco esclamò, deciso ma comprensivo, all'ennesimo sguardo in cagnesco di un passante. Fosse stato per lui lo avrebbe lasciato fare, ma quando erano in giro, il Comandante Neri e la sua famiglia erano sempre tenuti a dare l'esempio. "Ho vinto io!!!" gridò Leonardo allo zio, quando il padre decretò la fine dei giochi. Giulio, compresa l'antifona, prese per mano il nipote e tornarono a camminare composti, verso la chiesa, garantendogli che nel pomeriggio, nel giardino di casa, si sarebbe preso una rivincita con i controfiocchi.
Lungo il corso, i turisti lasciavano di buona lena gli alberghi per dirigersi, in scarponi e sci in spalla, verso gli impianti di risalita; altri, i più temerari, erano seduti ai tavolini del bar nonostante il freddo per una colazione in tarda mattinata o si mettevano in posa davanti alle sculture di ghiaccio. L'atmosfera delle feste appena passate, del resto, era ancora intatta: le casette di legno dei mercatini, che avevano chiuso i battenti con l'Epifania, erano state rimosse durante la settimana; le decorazioni, invece, erano state lasciate così com'erano, per mantenere ancora forte lo spirito festoso e allietare il passeggio dei turisti, soprattutto a sera quando, calata la notte, le luci si accendevano lungo i viali e riscaldavano l'atmosfera, rendendola più accogliente.
Fuori dal sagrato, mentre gli altri fedeli accorrevano per la funzione domenicale, gli ospiti dei Neri aspettavano la famigliola davanti al portone della chiesa. Vedendoli arrivare, ad una decina di metri, Huber fece partire un applauso scrosciante, mettendo immediatamente i due coniugi in imbarazzo. "Ricordami perché lo abbiamo invitato" chiese Francesco a sua moglie, che fece finta di non sentire quel commento ingeneroso. Era il casinista del gruppo, quello che riusciva sempre a fare qualcosa che mettesse in soggezione gli altri, ma alla fine tutti gli volevano bene com'era, perché lui voleva bene loro in un modo pulito e totalmente disinteressato.
"Ecco la famiglia più figa di San Candido" esclamò Klaus, mentre Emma e Francesco salutavano parenti e amici, scattando foto neanche fosse un paparazzo "e con la sua bellezza da uno schiaffo morale a tutti" "Dai smettila Klaus" lo pregò Giulio, bisbigliando e tirando una gomitata complice all'amico "mio cognato già è un pavone, se continui così finisce che ci crede davvero!"
I due cognati avevano creato un rapporto di stima e affetto, cementato dal bene che entrambi provavano per Emma e i bambini. Non c'erano stati dubbi quando c'era da scegliere il padrino per Leonardo. Lo zio Giulio era sembrato la scelta più ovvia. I due, infatti, si erano trovati e capiti immediatamente, forse perché avevano percepito, l'un l'altro, l'impaccio del pesce fuor d'acqua in quella banda di matti che era la loro famiglia. Più di chiunque altro, più di Emma, Leonardo aveva permesso a Giulio di ritagliarsi un posto tutto suo all'interno della comitiva e anche il sodalizio tra Klaus e Giulio, sebbene i due si conoscessero già vagamente, era un po' merito suo.
"Emma cosa sono quelli?" protestò Valeria, madrina di Sole, indignata, indicando gli stivali senza tacco color cuoio che indossava sotto al cappotto. "Non incominciare" la fermò immediatamente l'amica "non avevo alcuna intenzione di rompermi l'osso del collo indossando i tacchi a spillo" "Ma è una cerimonia!" "Ma è il 12 Gennaio e per terra c'è il ghiaccio!!!"
Le due, pur volendosi un bene dell'anima, erano diventate proprio come due sorelle, che bisticciano e si punzecchiano per le cose più stupide ma, in fondo, ridevano sotto i baffi per il teatrino che inscenavano ogni volta. I loro compagni spesso le lasciavano fare, ben consci che non avrebbero mai tenuto il broncio. A calmare le acque, notando il parroco che, sull'uscio della chiesa, accoglieva i fedeli e guardava accigliato a quella chiassosa compagnia, intervenne Vincenzo: "Nenné dai entriamo … qua fuori si gela e Mela già tiene un po' di mal di gola". Neanche l'avesse premeditato, Carmela tossì con un tempismo impeccabile proprio mentre il padre pronunciava queste parole. "Ecco, vedi, le vuoi fa' piglia' na polmonite a sta criatura" "No, no per carità" decretò la giovane forestale "altrimenti poi mi tocca fare da balia anche a te che stai male per solidarietà"
"Dai dai entriamo! Non facciamoci  riconoscere" tagliò corto anche il comandante della forestale, richiamato dalle campane della chiesa all'imminente inizio della funzione di cui erano, evidentemente, i protagonisti, ma più preoccupato che la sua bambina non venisse spaventata dai rintocchi assordanti della torre sopra le loro teste.
 
Erano ormai le cinque del pomeriggio. La notte era calata e dalle finestre della casa di Francesco ed Emma si potevano vedere, in lontananza, le luci accendersi nelle case in paese come tanti lumicini. Nel soggiorno, tutti gli invitati e qualcuno in più che era stato invitato per la classica fetta di torta parlavano tranquilli e di buonumore, ma era più un brusio di sottofondo che un vero e proprio rumore. Il festeggiato aveva resistito con il vestito buono per un'oretta, tempo di mangiare qualcosa e tuffarsi nella neve in giardino con lo zio e gli altri bambini. Ora, tutti insieme, se ne stavano buoni e stanchi davanti ad un gioco di società. Leonardo, i cui occhi facevano una fatica bestiale a rimanere aperti, si era seduto in braccio a Klaus e, in silenzio, tentava di capire il gioco. Aveva passato tante serate, a casa della sua prima famiglia affidataria, a tentare di stare al passo con i ragazzi più grandi di casa.
La festeggiata invece, aveva ben presto salutato tutti: il giorno di festa non era una giustificazione sufficiente a spezzare i suoi regolari ritmi del sonno. Dopo che Sole si era addormentata tra le braccia del papà, Emma aveva faticato un po' a convincerlo quantomeno a poggiarla nel carrozzino.
Valeria se ne stava seduta in un angolo del divano, sola; tutti erano in qualche modo occupati, anche Vincenzo era impegnato in una conversazione con i nonni di Leonardo, e lei restava a guardare, un po' annoiata e mesta. "Valeria che ci fai qui tutta sola soletta?" le domandò Vittoria, la zia di Emma, tornando nel soggiorno. La Vicky non era una semplice zia. Per Emma era una madre a tutti gli effetti, le era stata vicina quando più aveva bisogno di una figura femminile al suo fianco negli anni dell'adolescenza e l'unica della sua famiglia a restarle accanto durante la malattia. "Nulla … sono solo un po' stanca" pensò che la scusa potesse reggere, in fondo si era offerta di aiutare Emma nei preparativi il giorno precedente, accompagnandola in paese per le ultime spese mentre il marito era di turno in caserma e Vittoria e Rosa badavano ai bambini.
"Ti trattieni ancora qualche giorno Vittoria?" domandò allora Valeria, cercando di cambiare argomento. "Vorrei tanto, ma il lavoro mi chiama, e tra la nascita di Sole e le feste di Natale ho esaurito tutte le ferie".
A Milano aveva due figli coetanei di Giulio ad aspettarla, ma diceva sempre a tutti, con una punta d'orgoglio, che Emma era figlia femmina che aveva ricevuto in dono dal cielo.
Fisicamente molto simile a sua madre, caratterialmente era tutta sua zia; ora che anche Emma era diventata mamma, Vittoria riconosceva ancora di più nella nipote la laboriosità e l'intraprendenza che le appartenevano. Provava un orgoglio immenso nei confronti di quella che per lei sarebbe sempre rimasta la sua bambina, che aveva preso sotto la sua ala protettiva quando era solo una ragazzina la cui famiglia era andata in frantumi. L'aveva aiutata a costruirsi un mondo sicuro, rigido … studio, lavoro … dove non potesse accaderle nulla di male, dove tutto potesse filare liscio. Ma la vita aveva altri piani per la sua bambina: ed era stato allora che Vittoria ha dovuto rendersi conto che quella di fronte a lei non era più una bambina, ma una donna fatta e finita, con sogni e desideri che, pur nel momento più buio, era riuscita ad avverare camminando da sola.
"Tu come stai? Non puoi capire quanto mi faccia piacere sapere che con Vincenzo procede tutto a gonfie vele" "Per ora non mi posso lamentare .. è complicato, ma ci stiamo lavorando. Ogni giorno però sembra sempre più facile"
Non sapeva dire perché, ma anche Valeria si trovava straordinariamente a suo agio con Vittoria. Forse la incredibile somiglianza caratteriale con la sua migliore amica, faceva sentire Valeria libera di aprirsi come faceva con Emma. Senza paura di venir giudicata, ma fiduciosa di trovare un consiglio spassionato.
"Perché dici così? Quando vi vedo insieme, fattelo dire, siete il ritratto della felicità!" "Ti ringrazio, … ma come direbbe Huber: la vita non è sempre una concerto a richiesta" "Come?" "Non è sempre domenica…"
Esaurito l'entusiasmo delle prime settimane, infatti, era stato difficile conciliare la sua vita e la vita che stava costruendo con Vincenzo. Da un lato c'erano il suo lavoro, sempre più pieno di incarichi e responsabilità da quando era nata la piccola Sole e Francesco aveva imparato quanto fosse utile avere un vice, e Isabella, che a 16 anni, sebbene molto matura per la sua età, era comunque un'adolescente da seguire in tutto e per tutto; dall'altro lato c'era l'uomo che amava insieme alla sua bambina, con un carico di responsabilità ed esigenze che andavano incastrate con il loro bisogno, da coppia appena formata, di stare insieme. Volevano andarci piano, volevano capire come e dove stavano andando come coppia e, a loro modo, come famiglia allargata, e così avevano finito per restare a vivere ciascuno a casa propria, vedendosi poche ore al giorno durante la settimana e stando insieme solo nel weekend.
"Non lo è per nessuno, neanche per quei due piccioncini…" disse Vittoria, indicando la nipote e il marito che, curvi sul carrozzino, guardavano la loro creatura e si guardavano a vicenda come non ci fosse altro al mondo. Emma e Francesco erano passati dall'essere una coppia ad essere una famiglia in così poco tempo eppure sembravano nati per quella vita. Vederli nella loro bolla di felicità faceva sembrare tutto così facile che lei, nel tentativo di gestire un fidanzato, una nipote e una figlia putativa, temeva di non poter reggere il confronto. "Lo so" rispose, ma sentiva che quelle parole erano dette più per circostanza che convinzione: Valeria sapeva benissimo che i suoi amici, per arrivare dov'erano, avevano dovuto scalare montagne più alte delle cime che li circondavano, ma a volte era difficile ricordarselo.
"Valeria! Cara, è tutto ok?" la scosse Vittoria, poggiandole una mano sulla spalla. "Insomma …" ammise la giovane "da quando sono tornata qui la mia vita è stata capovolta totalmente, ma almeno avevo dei momenti per fermarmi a respirare assieme ad Emma." Dopo la morte di Adriana, Emma era diventata la cosa più vicina ad una sorella che avesse. Sì, ogni tanto ancora si concedevano un'uscita, una chiacchierata al telefono, ma non erano più così frequenti e non erano più la stessa cosa. Passavano il tempo a mandarsi foto di Mela e di Sole, a parlare di pannolini e capricci che tutto il resto passava il più delle volte in cavalleria.  A volte la sera, quando chiudeva la porta della foresteria e lei ed Isabella restavano sole, ripensava a quelle serate che trascorrevano tutti insieme, prima che la piccolina di casa Neri arrivasse, prima che la polizia si trasferisse nel nuovo commissariato, e a volte, in un angolo remoto del suo cervello complicato, iniziava a capire i timori di Huber. Che le cose non sarebbero state più uguali era inevitabile, ma non credeva che il nuovo equilibrio li avrebbe allontanati così tanto. Si diceva che era colpa dell'inverno, che, arrivata la bella stagione, avrebbero ricominciato le passeggiate e i pic nic all'aria aperta. Ma erano solo a Gennaio e l'inverno le sembrava ancora troppo lungo. Neanche il Natale l'aveva aiutata.
Si guardò attorno per sincerarsi che Vincenzo non potesse sentirla e lo trovò impegnato in una conversazione con i nonni di Leonardo all'altro capo della tavolata. "Amo Vincenzo" continuò, la voce sincera che quasi le si rompeva in gola per l'emozione, non riusciva ancora pienamente a capacitarsi "ma non è proprio la stessa cosa" "Hai provato a fare ad Emma la stessa domanda che ti ho fatto io? Magari sbaglio eh … ma è possibile che Emma provi la stessa cosa" "Impossibile" "Dici?" "Guardali … voglio dire, la famiglia del Mulino Bianco è meno perfetta di loro. E poi Francesco è il suo migliore amico…" "Ah … questo lo so bene. Ma a volte c'è bisogno anche di una persona che ci aiuti a dire le cose al nostro migliore amico. O no?"
La forestale si ricordò di quella volta che Emma le aveva confidato di aver sentito la mancanza di un'amica come lei nei primi mesi di relazione con Francesco, quando erano ancora troppo poco in confidenza per poter condividere con lei il peso di una gravidanza complicata e indesiderata, di una malattia che era d'ostacolo alla sua felicità e di due presenze ingombranti e dannose alla sua vita di coppia con l'uomo che amava. Se ci fosse stata lei, le disse, forse avrebbero fatto entrambi meno cazzate. Al contempo, senza Emma e senza Francesco, lei e Vincenzo non si starebbero neanche barcamenando tra due case, una bambina dell'asilo e una ragazzina adolescente e una storia complicata, ma pur sempre una storia.
Forse lei e Vincenzo non sarebbero mai stati migliori amici, non avrebbero mai raggiunto, pur con tutto l'amore del mondo, quel livello di intimità naturale ed innata, ma ci potevano lavorare su come avevano fatto fino a quel momento. Parlando, proprio come avevano imparato da Francesco ed Emma.
"Forse dovrei chiedere anche a qualcun altro se va tutto bene…" commentò Valeria, buttando uno sguardo sul commissario. "Vedi?!" replicò la donna, gli occhi che le brillavano maliziosi per aver colto nel segno "Se hai pensato a lui non hai niente da temere. Hai la situazione completamente sotto controllo" "È che a volte mi sento schiacciata. E allora penso che se mi sento così dopo pochi mesi, cosa succederà quando saranno passati anni?!"
Quando si poneva questa domanda ripensava ai primi giorni, a quando era determinata a lavorare su di sé e sulla sua relazione giorno per giorno, senza piani. Ma si era potuta illudere per poco: non poteva non fare piani, perché  quella con Vincenzo non era, purtroppo, una relazione a due.
"Succederà quello che deve succedere. Non bisogna fasciarsi la testa prima d'averla rotta. È quando lo facciamo che allora arrivano i danni."
Quando Vittoria le parlava, sembrava davvero di avere a che fare con una versione più adulta della sua amica, la stessa calma, lo stesso candore, la stessa limpidezza. Era certa che le parole che uscivano dalla sua bocca le venivano dritte dal cuore, senza preconcetti né falsità.
"Il mio matrimonio è finito, e da allora non ho avuto relazioni stabili e durature … un po' perché non è capitato, un po' perché sto bene così come sto. E quindi forse non sono la persona migliore da cui andare per consigli sulle relazioni. Ma una cosa posso dirtela perché vale per tutti i rapporti: non pensare di poterli gestire da sola, perché ci sarà sempre qualcun altro con cui condividerai le scelte e le decisioni che prenderai. A quel punto … è meglio percorrerla insieme la strada, no?!"
Valeria annuì, e stava per risponderle ma sentì un paio di mani appoggiarsi sulle sue spalle e massaggiarle delicatamente la nuca. Era il suo punto debole e Vincenzo lo sapeva; avrebbe potuto sciogliersi a quel tocco.  "Lo sai che mi sei mancata, nenné?" le sussurrò all'orecchio, abbassandosi su di lei. "Ero qui, a neanche un paio di metri di distanza" Valeria fingeva nonchalance, ma non poteva negare che la cosa la colpisse. Quelle piccole attenzioni che le rivolgeva le facevano scordare ogni malumore.
"Guarda Mela..." le disse. La piccola, seduta in braccio ad Isabella, si era appisolata. Anche lei, come Leo, finiva sempre a giocare con i bimbi dei Fabricetti o con Klaus ed Isabella, nonostante fosse troppo piccola per molti dei loro giochi e, il più delle volte, si limitava a muoversi nella loro orbita. Nonostante l'ansia non abbandonasse mai il padre, Vincenzo la faceva fare, tenendo sempre un orecchio teso ed un occhio vigile a che non succedesse nulla alla sua creatura. "Forse è il caso di tornare a casa" dichiarò Vincenzo. "Vai pure … io aspetto che finiscano loro di giocare" disse Valeria, accennando ai ragazzi riuniti attorno al tavolo "ci riporta a casa Klaus" "E ja', lasciali stare tranquilli. Vieni con me, ti fai venire a prendere quando vanno via ..."
Il commissario dovette pregare un po' la ragazza perché andasse con lui, notando come fosse un po' stranita. Notò anche che, al momento di lasciare casa degli amici, Valeria pregò Emma di sentirsi presto, che aveva bisogno della sua amica. Preferì però non dirle nulla, perché quella puzzava di giornata no e, nelle giornate no, con la sua imbranataggine avrebbe rischiato di fare danno.


(continua...)
   
 
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