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Autore: JAPAN_LOVER    20/05/2021    0 recensioni
Gregor Startseva è il giovane allenatore di 34 anni della nazionale maschile di pallavolo, con una lunga serie di successi alle spalle.
Proprio mentre è intenzionato a godersi le meritate vacanze estive, all'indomani di un trionfo che è valso ai suoi ragazzi la medaglia d'argento, viene convocato dalla Federazione sportiva per un nuovo incarico: guidare ai mondiali 12 ragazze a una settimana dagli esordi.
Tra numerosi punti oscuri e mille difficoltà, deve imparare a gestire una squadra di ragazze che non conosce. A suo modo, ognuna gli darà del filo da torcere e, in particolare una, Lucia, la capitana, rivelerà nutrire un'inspiegabile avversione nei suoi riguardi.
La medaglia è fuori dalla portata di mano, ma riuscirà Gregor a domare le sue 12 leonesse e a tornare a casa, senza rovinare molto la sua luminosa carriera?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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SCELTE

 
LUCIA
 
Tengo stratta la palla fra le falangi e mi dirigo a passi calibrate calibrati nella nostra area di battuta.
Aspetto così il fischio di inizio da parte dell’arbitro, facendo rimbalzare ripetutamente sul parquet il pallone e saggiandone sul palmo della mano la dura consistenza. 
Il palasport è decisamente più affollato rispetto alle prime partite disputate, sempre qui al Tokyo Metropolitan Gymnasium. Appassionati e tifosi sono accorsi da tutti il mondo per seguire da vicino la seconda fase, decisamente più impegnativa e piena di sfide. Oggi ha inizio il nuovo capitolo di questo percorso agonistico costellato da impegno e dedizione, lacrime e sudore, gioie e sofferenze. D'altronde è questa la vera essenza dell’agonismo, e richiede da parte di ciascun atleta un grande spirito di sacrificio e un’incessante voglia di vincere.
In questa prima giornata, affronteremo gli Stati Uniti, una squadra che in passato ha più volte messo in difficoltà la nostra nazionale, capitanata da un fortissimo opposto, Tori Anderson.
Le mie compagne sono tutte rivolte verso l’altra metà campo, dove le nostre avversarie sono già pronte e schierate in ricezione. 
Cerco di concentrarmi solo sul campo e di liberare la mente da tutto ciò che non riguarda la partita. Lascio fluire via dal corpo, insieme alle tossine, tutti le emozioni che mi hanno tormentata negli ultimi giorni. 
Appena l’arbitro decreta con un fischio l’inizio del primo set, mantengo tesa e aperta la mano destra colpitrice mentre protendo avanti la sinistra con il pallone. Prendo visivamente le misure del campo, lancio la palla in altro e la colpisco a tutto braccio, imprimendovi tutta la forza che possiedo in corpo.  
La mia giocata spiazza la ricezione avversaria. Corro immediatamente a coprire il mio spazio, in postazione 1 mentre le americane riorganizzano rapidamente il loro attacco. L’alzatrice, la biondissima Kelly Johnson, sceglie subito di servire l’accattante di riferimento della loro formazione.
Camilla e Rossella sottorete riescono a stento a sfiorare la potentissima cannonata della Anderson, che balza via fuori dal campo, sporcata dal nostro muro.
Le avversarie esultano nella loro metà campo, mentre noi ci stringiamo forte in un rapidissimo abbraccio.
“Rimaniamo calme e concentrate, ragazze!” esorto decisa, mentre batto il cinque con ciascuna delle mie compagne.
“Non lasciamoci scoraggiare!” è il monito di Cris.
“Forza! Forza! Forza!” urla invece Camilla.
Sento carica con non mai la mia amica dai grandissimi occhi azzurri e il caschetto corvino, tenuto ordinato con una fascia naturalmente di colore azzurro. Sono contenta di vedere nei suoi occhi la stessa determinazione con cui aveva affrontato la prima fase. Camilla è la nostra sostituta palleggiatrice, la regista della nazionale italiana costretta a improvvisarsi tale: più di ogni altra merita incoraggiamento e supporto incondizionato.
Evito scrupolosamente di guardare verso la panchina, nostro punto di riferimento, e focalizzo la mia attenzione solo sulla palla, adesso finita nelle mani delle nostre avversarie. Sento l’assoluto bisogno di mantenere la dovuta lucidità per battere le americane, ma è inevitabile, mio pensiero corre sempre verso di lui…sempre verso Gregor. Ce ne ho messo di tempo per apprezzare l’allenatore Startseva, ma è bastata una sola giornata insieme, al di fuori dei nostri ruoli, per imparare ad amare Gregor come uomo. 
L’inconveniente in ascensore che ci ha fatto perdere il treno per Kyoto e poi quello all’imbocco della metro, la vista panoramica mozzafiato dalla Tokyo Tower e la visita al tempo Zoji-ji.  Quello che è avvenuto tra noi è stata una tempesta perfetta: uno straordinario intrecciarsi di eventi che ci hanno condotto a quel bacio. 
So che probabilmente ho scambiato la sua gentilezza per dolcezza e le sue premure di allenatore per tenerezze di un uomo innamorato, ma quel bacio…quel bacio non riesco a togliermelo dalla mente. Non ho mai ricevuto un bacio così intenso e travolgente da toglier e il fiato.
Lo so che devo mettere da parte le mie emozioni, che in questo momento non posso permettermi alcun tipo di cedimento. Questo mondiale è troppo importante! Rappresenta tutto ciò per cui mi sono impegnata tanto in questi anni, e so e significa molto anche per lui. Quindi devo mettere la parte le emozioni, esattamente come gli promisi all’inizio di questa competizione.
Salto al muro, in un tentativo di contenimento assieme a Camilla, per arginare un altro ferocissimo affondo della fuoriclasse americana, però troppo potente e diretto per essere arginato. 
Con la coda dell’occhio, vedo Giulia, il nostro libero, precipitarsi in scivolata a recuperare quel pallone. A quel punto, Camilla riesce a ricostruire un’azione di contrattacco servendo una palla alta e morbida a Rossella, che la sfrutta con successo andando a complire la zona di conflitto delle nostre avversarie.
Cami urla, in preda al furore agonista, e batte un fragoroso cinque con Rossella.  
Ci portiamo avanti in questo set, mantenendo un discreto scarto di tre punti dalle nostre avversarie finendo con un 25-22. 
Cambio campo. Ne approfittiamo tutte per riprendere fiato e sgranchirci come possiamo, prima del secondo set. In tutto ciò, non dimentico il mio ruolo per cui sono stata chiamata, per me è solo un onore portare la fascia da capitano della nazionale.
“Ce la possiamo fare, ragazze! – incito le mie compagne – stiamo dimostrando di non essere da meno delle grandi squadre!”
“Giusto!!” replica Giulia!
“Ragazze non so voi – ammette Cami – ma anche se non sto giocando nel mio, mi sento carica come una tigre!!”
“Allora fammi un ruggito!!” la incito, divertita.
“Grrrrrrrrraw!” urla Camilla, saltandomi letteralmente addosso.
Rido e ricambio la stretta della mia amica, che è una vera e autentica forza della natura. Con il suo passaggio da schiacciatrice ad alzatrice, abbiamo sacrificato una delle nostre migliori attaccanti ma è stata un’autentica rivelazione: Camilla è in grado di ricoprire il nuovo ruolo con la naturalezza e la disinvoltura di un vero alzatore.
Un nuovo fischio decreta l’inizio del secondo set. 
Ci ricomponiamo e ci prepariamo a ricevere, determinate più che mai a mantenere il nostro vantaggio. Ogni tanto giungono dalla panchina le urla di esultanza delle nostre compagne e soprattutto di Paolo, il nostro più grande tifoso ancor prima che allenatore.
“Siete una forza!! – lo vedo incitarci, infervorato – ragazze, continuate così!”
I miei occhi e quelli di Startseva si incontrano per la prima volta dall’inizio del match, i suoi concilianti e i miei irrequieti. Mi beo per quel tormentato contatto di sguardi, che per un breve attimo ha il potere riportarmi a quella sera. 
Nel frattempo il secondo tempo ricomincia con un punteggio purtroppo più equilibrato e con scambi più intensi e lunghi. Le americane ci sono ancora, e si fanno sentire!
10-11 per loro.
Il nostro coach deve correre ai ripari. Decide così di mette a riposo Cris, autrice di strepitose murate e una decina di punti diretti nel primo set ma adesso stanca, e chiama una validissima De Brasi a sostituirla. La nostra compagna ci saluta con un cinque, mentre ci riposizioniamo in ricezione pronte a difenderci e contrattaccare più che mai.
Giulia compie un miracolo, viene buttata letteralmente giù da un potentissimo attacco da fondocampo ma riesce a contenerlo. Cami ha così modo di lavorare il pallone e servirmelo alto morbido: schiaccio, ma la palla mi ritorna bruscamente indietro.
10-12.
Rimango per un attimo frastornata. Non è certo la prima volta che subisco una murata, ma non mi aspettavo una simile posizione di contenimento.
Le mie compagne si stringono a me e mi incoraggiano, anche dalla panchina sento arrivare supporto ed energia positiva. Non è questo momento di lasciarsi abbattere!
Ancora una volta il servizio è della Riley: qui urge decisamente un cambio palla. 
Questa volta in ricezione difende Rossella, e la nostra alzatrice decide di servire nuovamente me. Tento così un altro attacco dritto per dritto, mi slancio verso la rete ma ecco scontrarmi di nuovo contro un fragoroso muro.
All’ennesimo monsterblock subito, digrigno i denti in una smorfia di frustrazione. Sento il fischio della mia panchina e so perfettamente cosa significa. 
Vedo Federica Della Mea prepararsi e avvicinarsi a bordo campo. Ancor prima che lo speaker annunci il nostro cambio, corro a dare un cinque energico alla mia sostituta.
“Forza, in bocca al lupo!” grido per sovrastare la ola degli spalti.
“Crepiii!” urla di rimando la mia compagna.
Prima di raggiungere la panchina, passo inevitabilmente davanti ai miei due coach. Startseva si limita a rivolgermi un cenno di incoraggiamento e non proferisce parola, con grande sorpresa di Paolo, il quale mi dà invece una pacca sulla spalla e mi esorta ad andare a riprendere fiato.
Recupero così un asciugamano al volo e corro a sedermi accanto a Cris.
“Hey!” sussulta la mia amica, preoccupata.
Scuoto la testa e punto i miei occhi sulla schiena di Startseva, concentratissimo sulla partita. Terribilmente assetata, mi attacco alla borraccia e trangugio la mia bevanda energizzante. Provo a mettere in discussione me stessa, in questo momento così delicato in cui gli errori non sono più concessi: sono presente a me stessa, interamente concentrata sulla partita e su quella palla, niente turba la mia mente nemmeno i sentimenti più dolorosi, nemmeno Gregor! Eppure la corazzata americana mi ha punita, per ben due volte.
“Mi sono sentita come paralizzata!” riesco infine ad ammettere alla amica.
“Cosa ti è successo? – sussurra la mia amica – e poi sei strana da giorni, sei strana da quando…”
“Shhhh!” sibilo, terrorizzata che qualcuno possa sentirci.
Cris non sa nulla di quello che è successo il giorno della loro gita a Kyoto, ma in questi giorni di ritiro con la squadra qualcosa ha sicuramente intuito. 
“Allora cos’è successo?”
“Lucia…!” la voce del nostro coach mi fa balzare il cuore in gola.
Gregor mi fa cenno con la mano di raggiungerlo. Lancio uno sguardo spaurito alla mia amica e lei mi stringe forte le mani prima di lasciarmi andare, come a volermi sussurrare sono con te.
Con un braccio, Paolo mi cinge le spalle in un rapido abbraccio.
“Ti sei ricarica?” mi domanda il mio secondo allenatore.
“Sì!” come se il problema fosse questo.
Non sono certe le energie a mancarmi, in fondo siamo ancora al secondo tempo. Sono abituata a sostenere ritmi incessanti e giocare ininterrottamente cinque set, senza alcuna sostituzione. 
“E’ tutto ok, Lucia? – domanda Startseva, ma prima ancora che io possa replicare prosegue risoluto – ecco, vedi, in tutto questo tempo noi abbiamo studiato molto le americane ma anche loro hanno studiato noi, e in particolare te che sei la nostra punta di diamante!”
Io sarei la punta di diamante…?
“Tu prendile di sorpresa, stupiscile!” ammicca, Paolo.
“Esatto, gioca d’astuzia! – continua il mio primo coach – non hai sbagliato niente fino ad adesso, sei stata fortissima e hai giocato al meglio, ma in alcuni casi è bene variare i colpi per spiazzare gli avversari soprattutto quando le loro azioni di contenimento sono concentrate tutte su di te!”
Solo in quel momento ritrovo la dovuta lucidità. Le americane hanno dovuto triplicare il loro muro per contrastare il mio secondo attacco, impegnando Jefferson, Johnson ed Anderson. Avevano previsto che con quell’alzata precisa di Camilla io avrei innescato una parallela in posto 1.
“Arrivaci un po' più in ritardo su quella palla, soprattutto quando ti arriva così precisa – suggerisce Paolo – e prima di attaccare, mantiene sempre un occhio sul campo avversario”
Annuisco con decisione, infinitamente grata delle dritte dei miei allenatori. 
Vedendomi nuovamente carica e motivata, Startseva non esita a chiamare un doppio cambio: fuori Federica Della Mea e Paola De Basi, dentro di nuovo io e Cris.
Riprendo la partita con lo stesso entusiasmo e la stessa concentrazione di prima, ma con una rinnovata consapevolezza e fiducia in me stessa.
Questa volta sono io a chiamarmi la palla.
“Cami, da questa parte!”
La nostra regista lavora per me una palla alta e precisa. Mi slancio verso la rete e questa volta, invece di optare un’altra potente schiacciata a tutto braccio, innesco un pallonetto non precisissimo ma in grado di sporca il muro avversario. Punto.
Urlo di gioia, e insieme a me si scatena tutta la squadra e la panchina. 
Mi unisco alle mie compagne in un saldo abbraccio. La corazzata americana non mi fa più paura, sono riuscita a scardinare il loro muro e a fare breccia. Vedo Startseva gongolare orgoglioso a bordo campo, e questo ha il potere di darmi energia ancor più della scarica di adrenalina che ho appena provato. 
Chiudiamo la partita con un significativo 3-1, un risultato inaspettato che ha il potere di farci continuare a sognare ancora. Mentre ci dirigiamo negli spogliatoi con un ottimismo che mai ci saremmo aspettare all’esordio di questa rassegna mondiale, ridiamo e scherziamo come le ragazze di vent’anni che in fondo siamo.
“Dai, ragazze – grida Rossella – che rischiamo di rimanere in Giappone ancora per un altro po' qui!”
“Ora che hai parlato, sicuramente alla prossima le turche ci rispediscono in Italia!” alza gli occhi al cielo Cris.
“Ma ci pensate, che sogno sarebbe arrivare in finale?” gli occhi sognanti di Giulia, rispecchiano perfettamente lo stato d’animo di tutte noi dopo l’ennesima vittoria conquistata.
Sognare in grande, ma rimanere con i piedi saldi per terra: in fondo è questo il messaggio che fin dall’inizio Startseva ha cercato di trasmetterci e che noi abbiamo fatto perfettamente nostro. 
“Ragazze, sento che l’Italia dovrà attendere ancora un altro po' per il nostro ritorno – lo dico, lo sento – ma noi intanto mettiamocela tutta, qui non si molla!”
 
 
GREGOR
 
La nostra prima giornata si è conclusa positivamente.
Sono orgoglioso delle ragazze e sono orgoglioso dell’umiltà e della determinazione con cui Lucia ha fatto fronte alle difficoltà. L’ho vista andare in pallone, braccata letteralmente dalle americane, ma una volta riuscita ad eludere quel muro, punto dopo punto ci ha condotti alla vittoria.
Esco dalla doccia e mi avvolgo in un morbido accappatoio, allacciato alla vita. Stento a riconoscermi nella figura che mi restituisce lo specchio che ho davanti: gli occhi sembrano stanchi e il viso particolarmente livido e scarno.
Non riesco a togliermi dalla mente il nostro bacio a quanto sono stato bene il giorno della visita al Tokyio. Solo in quell’occasione ho avuto modo di rapportarmi con la vera Lucia, non la campionessa che ormai conosco benissimo dal punto di vista tecnico. Forse perché abbiamo entrambi una storia difficile alle spalle o perché si è dimostrata sensibile e affatto superficiale, ma con lei quel giorno mi sono sentito incredibilmente a mio agio.
Poi quel bacio ha cambiato tutto: se da una parte ha gettato nuovo scompiglio nel nostro delicato rapporto, dall’altra ha turbato l’equilibro interiore che dalla morte di Vittoria mattone dopo mattone, anno dopo anno, ero riuscito a costruire.
In questi giorni Lucia mi ha letteralmente ignorato, non uno sguardo o una parola, se non direttamente sollecitata. Per un momento ho temuto che fossimo tornati a qualche mese fa, che tutte le conquiste fatte fossero andate perdute: ma questa volta i suoi occhi erano spenti, non irriverenti o animati da un’aria di sfida. 
L’ho ferita, lo sento, e mi odio per questo. Il fatto è che Vittoria continua ad albergare nei miei pensieri e a tormentare i miei sogni, ma per la prima volta dopo tanto tempo mi sono scoperto ad addormentarmi con il pensiero rivolto a un’altra.
Qualcuno bussa alla mia porta e mi sottrae alle mie stanche riflessioni. 
“Chi è?” domando, uscendo dal bagno.
“Servizio in camera!”
Scoppio a ridere, aprendo la porta e trovandomi davanti quel mattacchione di Paolo.
“Te la prendi comoda coach?” mi rimbecca. 
“È stata una giornata stancante – osservo – ti ricordo che mentre tu riaccompagnavi le ragazze in hotel, io ho dovuto fermarmi al palasport per una conferenza stampa e ben tre interviste!”
“Touché!” solleva le mani il mio amico, in segno di resa.
“Mi vesto e scendo per cena!”
“D’accordo, fa pure con calma, io allora comincio a scendere e raggiungo le ragazze!” ammicca il mio amico prima di lasciarmi, ed io fingo di non sapere per quale motivo si trova così tanto a suo agio con le nostre ragazze.
Quindi mi affretto a ricompormi e a rendermi presentabile. Infilo un paio di jeans neri comodi, una camicia bianca e dei mocassini color cammello. Lancio un’ultima occhiata alla mia immagine riflessa, poco soddisfatto, e lascio la mia stanza.  
Seppellisco dentro di me i miei mille sentimenti contrastanti e mi incammino lungo il corridoio. Giunto all’ascensore vedo lei, che appena si accorge di me rimane come pietrificata. Non può andare avanti così, non può rimanere tutto in sospeso tra noi, decido quindi di farmi avanti.
“Lucia…!”
Cerca in tutti i modi di evitarmi, di eludere il mio sguardo, ma deve arrendersi alla mia presenza quando ormai le sono di fianco. 
“No, non adesso!” esala con tono esasperato. 
Lucia mi passa davanti, ma ancor prima di lasciarla scappare l’afferro per una mano. Lei rimane scossa dal mio gesto, forse troppo irruento, e mi restituisce uno sguardo sgomento.
“Perdonami!” mi limito a scusarmi, nel lasciare la presa.
I suoi occhi increduli e feriti mi domandano tacitamente cosa stiamo facendo e io, ancora una volta, rimango pietrificato, incapace di dar voce alle mie emozioni.
“Lucia, non possiamo continuare così…!”  
Cerco di articolare un qualche discorso logico, ma ancora una volta mi sembra di non arrivare a niente.
“Perché no? A me sembra funzionare” obietta lei.
“Lo sai…” tento in tutti i modi di esprimere quello che ho dentro, qualcosa che in fondo non è chiaro neanche a me.
“Lo so benissimo! – sbotta senza riuscire a trattenere quelle lacrime che fino a questo momento era riuscita a ricacciare dentro – quel bacio per te non ha significato niente, io l’ho accettato, sei tu che devi smetterla di farne un dramma…era solo un bacio!”
“Cosa…? Lucia, guarda che ti sbagli…”
Non riesco a credere che lo pensi seriamente, come fa a credere che quel bacio non abbia significato niente per me se non riesco a pensare più ad altro? 
“Davvero Gregor – la sua è una supplica – non devi dire niente, è già penoso così!”
“Io ti amo!” lo sento e lo dico ad alta voce per la prima volta.
Adesso i suoi occhi continuano a guardarmi increduli e confusi, come se stessi dicendo qualcosa di assurdo, assolutamente privo di senso…e in un certo senso è così. 
Non c’è niente di ragionevole in quello che ho detto, nulla di razionale nel bacio che sto per darle. Prendo il suo viso tra le mani e lascio che le mie labbra si perdano nuovamente nelle sue. Dopo un attimo di smarrimento, che per me è parsa un’eternità, Lucia ricambia il bacio. L’ascensore vuoto si apre alle nostre spalle e noi ci trasciniamo dentro senza alcun intento di staccarci l’uno dall’altro.
“Cos’hai detto poco fa…?” mi domanda, con filo di voce tra un bacio e l’altro.
“Che ti amo!”
“Sei un bugiardo!”
“Questo mai…!”
“Sparirai di nuovo!” queste parole hanno l’incredibile potere di toccare le corde del mio cuore.
“No, te lo prometto! – mi stacco un po' da lei quel tanto che basta per poter guardare i suoi occhi nocciola – ce ne ho messo per capirlo, ma adesso sono qui sono con te e non vado da nessuna parte!”
“Anche io, da nessuna parte…!”
La stringo in un possente abbraccio senza fine.
“Unica cosa…” dico con esitazione, sperando di non rovinare il momento.
“Lo so – mi anticipa, puntando l’indice lungo le labbra – dopo il mondiale…!”
Sapevo che avrebbe compreso, sono orgoglioso di lei come allenatore e come uomo.
Appena l’ascensore annuncia che siamo arrivati al piano terra, Lucia sguscia fuori prima di me precedendomi in sala da pranzo. 
Ciao a tutti, sono Gregor Startseva e ho appena scoperto di poter essere travolto da quel sentimento meraviglioso e irrazionale che tutti chiamano amore, ma sono ancora l’allenatore della nazionale italiana di pallavolo e ho dei doveri verso la maglia. L’uomo integro che è dentro di me mi richiama al senso del dovere, ma prometto che è solo questione di tempo e poi ci sarà modo di lasciar vivere questo amore alla luce del sole.
.......................................
CIAO A TUTTI! PUBBLICO SOLO ADESSO UN NUOVO CAPITOLO DI QUESTA STORIA, MA NON HO MAI SMESSO DI LAVORARCI SU, NEL POCO TEMPO LIBERO CHE HO AVUTO NELL'ULTIMO ANNO. MI PORTO DIETRO QUESTA STORIA DA MOLTO TEMPO, CHE E' RIMASTA DENTRO DI ME SEMPRE IMMUTATA E NON HA MAI SMESSO - POCO ALLA VOLTA - DI PRENDERE FORMA. UN GROSSO GRAZIE A CHI CONTINUA A SEGUIRLA E AI NUOVI ARRIVATI. SPERO CHE LA STORIA DI LUCIA E GREGOR POSSA CONTINUARE AD APPASSIONARVI E A FARVI SOGNARE. UN GROSSO ABBRACCIO!
   
 
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