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Autore: AlnyFMillen    23/05/2021    0 recensioni
"Sta tranquilla, Ladybug. Va tutto bene. I miei occhi sono sempre rimasti chiusi, non ho visto nulla"
Desiderava più di qualunque altra cosa sapere chi in realtà si celasse dietro la maschera a pois neri che tanto lo aveva conquistato, credeva fosse quello lo scopo più grande cui bramava. Eppure solo ora... Solo ora capiva quanto si stesse sbagliando.
"Non sei pronta e va bene. Sono qui, ci sarò sempre: quando e se mi vorrai, resterò al tuo fianco"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quanto di più egoista

[Marinette]

 

 

 

 

Parigi in fiamme: l'ultimo addio a Gabriel Agreste.

"Place du Châtelet si tinge di rosso, mentre la tragedia torna ad abitare Villa Agreste.

L'incendio, di carattere ancora sconosciuto, è divampato tra le sei e le sette del pomeriggio, finendo per protrarsi sin alle prime ore della sera.

All'arrivo delle autorità, l'edificio si trovava già immerso in una nube di fuoco, originato, secondo le indagini, dal piano più alto dell'abitazione.

Alcuni testimoni oculari attestano la presenza dei due supereroi, Ladybug e Chat Noir, sul posto, ma fonti più attendibili smentiscono tali constatazioni.

Tra le vittime accertate, il noto stilista Gabriel Agreste, creatore dell'omonimo marchio di fama internazionale. Secondo i dipendenti, l'uomo sarebbe stato sorpreso dal fumo durante il lavoro, prendendo coscienza del pericolo quando ormai era troppo tardi.

A coinvolgere la famiglia è il secondo lutto, preceduto da quello della giovane coniuge Agreste, scomparsa in circostanze misteriose un anno fa.

Modello di punta e pupillo della maison e figlio del designer, Adrien Agreste sembra tutt'ora scomparso".

Marinette serrò le palpebre tanto forte da farsi male agli occhi, mentre i titoli sulla linea di fondo del telegiornale si ammassavano gli uni sugli altri.

Villa Agreste in fiamme.

La polizia indaga: "possibile suicidio".

Rinvenuto il corpo senza vita di Gabriel Agreste.

Disperso il figlio di sedici anni, ormai orfano.

Adrien: il ragazzo nuovo che aveva sin da subito giudicato bello e impossibile, il compagno di classe che le aveva sorriso quel giorno di pioggia, l'amico che si era curato di regalarle un portafortuna così simile al suo. Adrien: non una semplice cotta, ma l'amore indiscusso della sua breve, intensa, vita adolescenziale.

Dove si trovava, ora? Come si sentiva? Perché lei non era lì, accanto a lui? Quanto poteva star soffrendo, esattamente, pur non conoscendo nel completo la realtà crudele a cui il destino aveva deciso di sottoporlo? 

Non lo sapeva.

Era impotente, Marinette, posta al di fuori di qualunque possibile informazione potesse farle comprendere il dolore dell'altro. Voleva sapere, doveva sapere, e il non poterlo fare la stava — come un tarlo, un viscido verme sotto pelle — divorando dall'interno.

Subdola, meschina, semplice ossessione.

Tanto occupata a struggersi, non si chiese nemmeno come potesse essere scaturito un qualcosa di così orrendo dal sentimento vero e puro che si annidava nel suo cuore. Ci volle qualche tempo prima che riuscisse a prendere nuovamente il controllo di sé.

Deglutì, sfregò le mani fra loro, rabbrividendo al percepire i polpastrelli gelidi e le dita innaturalmente tese. Resistette. Si impedì la trasformazione in Ladybug, concentrandosi sulle condizioni già precarie del suo corpo, la salute di Tikki e chissà cos'altro, pur di non pensare ai due smeraldi verdi che le appestavano la mente. Passò i palmi ben aperti sul viso, verificando la sua effettiva presenza nel mondo, scacciò il tremito che pareva scuoterla. Infine, raggiunse la posizione eretta, finalmente certa e consapevole delle proprie intenzioni.

Non poteva far nulla, al momento, per aiutare colui che amava. Doveva concentrarsi su ciò che le era possibile migliorare, qualcosa nelle sue capacità. Di fatto, appariva inutile persino ad una mente offuscata dal dolore come la sua portare avanti riflessioni tanto inconcludenti.

Strinse i pugni, racimolando la determinazione che, per un lungo attimo, l'aveva abbandonato.

Poteva ancora sistemare le cose, un pezzo per volta; alleggerire, almeno in parte, almeno minimamente, il peso che portava sul petto. Tutto incominciando da Chat.

Gli occhi le si riempirono di lacrime, al pensiero dell'amico. Tentò di impedirlo, invano.

Era stato disposto a rischiare la vita, lui, pur di non lasciare che la compagna d'avventure si ferisse. La situazione nella quale si trovavano era solo ed esclusivamente colpa sua, del suo stupido capriccio.

La folla gridava il nome della supereroina, quando un akumizzato veniva sconfitto; Parigi contava su di lei, quando si trovava in pericolo. La stessa Alya aveva fondato un blog in suo onore: non lo Chatblog, che dir si volesse, ma solo ed esclusivamente il Ladyblog. In realtà, Ladybug dubitava che il suo così immeritato successo sarebbe continuato a durare, se qualcuno l'avesse conosciuta per quel che era realmente. 

Si chiese cosa avrebbe potuto pensare la gente dei gesti che aveva compiuto nelle ultime ore ed ebbe l'irrazionale voglia di uscire allo scoperto, raccontare tutto a tutti pur di essere trattata come dovuto. Aveva sempre odiato piangere sul latte versato, Marinette: preferiva di gran lunga reagire, anziché crogiolarsi nell'autocommiserazione. Eppure trovava inevitabile rinfacciarsi le proprie colpe in un momento come quello.

Erano Ladybug e Chat Noir — sempre prima il suo, di nome, poi quello dell'altro — quando in verità lei non  avrebbe anche solo potuto esistere senza l'aiuto dell'amico.

I sensi di colpa gridavano tanto forte da farle girare la testa.

Egosita.

«Marinette, tesoro?».

La ragazza alzò il capo di scatto, le guance rosse per il pianto trattenuto, mentre la signora Dupain-Cheng spegneva il televisore con un sospiro. Sabine poggiò lo sguardo sulla figlia, carezzandole piano i capelli, preoccupata. «Va tutto bene?».

Marinette restò a fissarla qualche secondo più del necessario: desiderava sfogarsi, raccontarle tutto come faceva sempre appena tornata da scuola, lasciare che la consigliasse e la consolasse. Tuttavia, si costrinse ad annuire, tirando su con il naso e passandoci poi una mano sotto.

Chat Noir è quasi morto, a costo di salvare te e la tua fantomatica identità segreta, eppure tu non fai altro che pensare ad Adrien. Non meriteresti l'amicizia di nessuno dei due.
Sei soltanto un'egoista.

«Povero ragazzo, deve essere sconvolto. Tuo padre è già fuori a cercarlo con gli altri: metà Parigi si è mobilitata appena venuta a conoscenza dell'accaduto. Lo troveremo, sta tranquilla», cercò di rassicurarla la donna, ignara dei pensieri che la tormentavano. Detto ciò, sospirò nuovamente davanti al mutismo ostinato della figlia, la baciò sulla fronte e lasciò il salone per dirigersi verso la boulangerie incustodita.

In Marinette si ripresentò prepotente la tentazione di fermarla, così da raccontare quanto in realtà fosse accaduto, ma, ancora, non cedette.  Al contrario, si trovò a riflettere sulla propria incoscienza. Non aveva prestato sufficientemente attenzione alla madre e quella, nella più malaugurata delle ipotesi, avrebbe potuto accedere al piano superiore, ritrovandosi faccia a faccia con uno sconosciuto. 

Scosse il capo, tentò di non rimproverarsi e rivolse il suo completo interesse alla botola che dava accesso alla sua camera, subito prima di spingere il legno verso l'alto.

Concentrazione: l'unica cosa di cui al momento aveva bisogno. Non pensare a Gabriel Agreste, al figlio, ai suoi stessi genitori o a se stessa. Doveva concentrarsi solo ed esclusivamente sulle condizioni di salute di chi si trovava in quella stanza.

Tikki, lo sapeva, necessitava delle cure del Maestro Fu — lo strano omuncolo che ormai aveva scoperto Gran Guardiano dei Miraculous — il prima possibile. Le ferite di Chat erano però di natura quantomeno umana e quindi, seppur limitatamente, più di sua competenza. Si sarebbe occupata di entrambi come meglio poteva, almeno fin quando non fosse divenuto possibile spostarsi assieme per raggiungere l'abitazione del Maestro. Lei non aveva la minima idea di dove fosse situata e Tikki si era rifiutata categoricamente di fornirle informazioni, almeno fin quando Chat Noir non avesse ripreso parzialmente le proprie capacità.

Plagg, l'esserino eccentrico che durante la permanenza nella stanza aveva assistito ad alcuni dei momenti più imbarazzati della sua vita, si era adoperato per cercare di far ragionare l'amica, ma quasi subito arreso, causa la preoccupazione per la kwami e per il proprio portatore. Tuttavia, Marinette aveva apprezzato davvero quell'aiuto, dopo il primo momento di totale solitudine nel quale si era trovata.

Era a quello che pensava, quando un grumo informe di tessuti e vestiti in movimento si sporse verso la sua direzione con aria curiosa. Lì per lì, non lo aveva notato e, nel momento in cui lo fece, tutto le venne in mente tranne che, sotto quella stoffa, si nascondesse uno dei suoi amici più cari.

Indietreggiò d'istinto e, così facendo, cadde all'indietro. Entrata a contatto con il duro del pavimento, prese effettivamente coscienza della strana situazione nella quale aveva finito per invischiarsi e che, anzi, aveva creato lei stessa. Certo, era sembrata un'idea geniale, quella di coprire per bene ogni centimetro del corpo di Chat, prima; doveva essere stata troppo preoccupata per accorgersi di quanto fosse in realtà folle.

Arrossì, sbiancò, arrossì di nuovo.

«My... My lady?», esordì con voce incerta il foulard che qualche amica (Juleka o Rose?) doveva averle regalato per il compleanno.

Ed era così strano quel tono, quella sciarpa parlante, quell'idea di un supereroe rintanato nel suo letto che, in modo del tutto spontaneo, Marinette rise. Cercò di trattenersi, in modo tale da non confondere più di quanto già non fosse il ragazzo, ma inutilmente. Più ci pensava, più le veniva da ridere.

Con la coda dell'occhio, una risatina trattenuta tra le labbra, le parve di vedere il kwami della Sfortuna guardarla storta e Tikki, che più la conosceva, piegare la piccola bocca in un sorriso.

A causa della gola arrossata, le parole le graffiarono il palato in modo sgradevole, ma fu certa che fossero veritiere e sincere.

«Sono felice che tu sia sveglio, Chat».

Forse, poteva definirsi un po' meno egoista.
 

 

   
 
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