Il mio nome è Byakuya Kuchiki, ventottesimo capo famiglia del nobile Clan Kuchiki. Ho avuto ordine, durante una riunione di capitani recentemente avvenuta, di scrivere una mia biografia personale, grazie al quale esempio gli altri avrebbero fatto lo stesso. Non conosco le ragioni per cui questo ordine sia stato impartito, e saperlo non cambierebbe certo il fatto che lo eseguirò. Senza ulteriori indugi, che non mi si addicono di certo, passerò ora a raccontarvi la mia storia.
Mio padre era Ganriu Kuchiki, e
fu costretto a fare un matrimonio combinato per salvare una nobile famiglia che
stava avendo qualche piccolo contrattempo. Mia madre non si innamorò mai di
lui, e per questo la sua infelicità era immensa. Venne placata un poco quando
io nacqui, poiché per lei rappresentavo la sola fonte di gioia. Inutile dire
che mio padre dopo la mia nascita non sfiorò mai più mia madre, poiché lui
voleva solamente un erede per il Clan Kuchiki, in modo da non sentire più i
continui rimproveri di mio nonno Ginrei Kuchiki. Fin da piccolo fui ricoperto di attenzioni,
istruzioni e soprattutto di doveri. Non appena compii cinque anni, un
precettore cominciò a insegnarmi a leggere e scrivere, ed in seguito passò alla
lunga storia del Clan Kuchiki. Mio padre morì quando io avevo sei anni, era in
missione per la sesta divisione e scomparve per la grande gioia della mia
povera madre. Inutile negare che non apprezzavo mio padre, lo trovavo e lo
considero tutt’ora un uomo con un grande
complesso di inferiorità verso mio nonno, che era stato uno eroe della Soul
Society nonché uno dei più saggi capitani che il Gotei
tredici potesse schierare in campo. Non versò una lacrima per il figlio ai
grandi funerali che facemmo. Mi spiegò quando fui qualche anno più grande, che
un nobile non doveva mai scomporsi a piangere.
All’età
di dieci anni, cominciò il mio addestramento con mio nonno, l’allora capitano
della sesta divisione. Era un grande maestro dell’arte della spada, mi diceva
sempre
–Combattere
non è più difficile di danzare, devi fare i movimenti giusti nel tempo giusto,
col tempo imparerai-
Fu così che cominciai ad allenarmi duramente
nel Kendo, il modo di combattere di tutta la famiglia Kuchiki. Ovviamente, come
ogni buon maestro, mio nonno, al quale ero molto legato, mi insegnò anche la
filosofia del combattente. Le sue parole più grandi, e anche quelle che sono
diventate il mio credo, sono parole che sfiorano la poesia
-Prega affinché l’altro non sfoderi, ma alla fine, se
non è possibile evitarlo, mettilo a morte con un colpo solo e prega perché
riposi in pace-
Non trovate anche voi che queste parole siano prive di
odio? Che incitino ad un combattimento armonioso? Mio nonno era sempre così, la
sua serenità d’animo mi è sempre stata d’esempio.
Quando compii tredici anni mi iscrissero all’accademia,
ero già avvezzo all’arte della spada, ma non ancora un maestro, per questo
motivo mio nonno, dopo il primo anno di accademia, per fortificarmi nella
volontà e nello spirito, mi presentò, oltre a farmi allenare duramente, un
donna che non potrò mai dimenticare.
Era il capitano della seconda divisione Shihōin Yoruichi, prima donna ad essere diventata capitano della
seconda divisione e capo famiglia di una delle quattro più importanti. Mi
apparve sotto forma di un tenero gatto nero, che mi distrasse dagli allenamenti
per qualche ora nella mia stanza. Scoprii in seguito la sua vera identità,
quando mio nonno comparve all’improvviso e lei fu costretta a trasformarsi. Fu
una scena alquanto imbarazzante vedere il gatto che stavo coccolando trasformandosi
in una affascinante donna, completamente nuda. Mio nonno non se ne preoccupò
minimamente e ordinò che i vestiti del capitano Shihoin
venissero portati al più presto. Era stato tutto un inganno di mio nonno, che
voleva che i futuri maestra e allievo legassero prima di cominciare le lezioni.
-Questa è Shihōin
Yoruichi mio caro nipote, è qui per insegnarti la
nobile tecnica dello Shumpo, con tutto quello che ne
deriverà, mi raccomando, sii rispettoso e impara al più presto, lo shumpo è una delle tecniche più importanti che uno
Shinigami deve saper padroneggiare-
Rimasi praticamente sbalordito, ma dopo
alcuni secondi dovetti tornare alla realtà, perché Yoruichi
praticamente mi rapì portandomi in giardino. Dopo di ciò, cominciò a camminare
verso il lago della nostra tenuta, mi
guardò negli occhi e disse
-Bene piccolo Byakuya, prima ci siamo
divertiti ma adesso è il momento di fare sul serio, da oggi ti eserciterai per
diventare lo Shinigami più veloce all’interno della Soul Society, dopo di me naturalmente-
Dopo una lunga passeggiata, nella quale
parlò solo lei, arrivammo finalmente al lago di famiglia, dove si fermò e mi
disse che quello era il mio primo esercizio. Nel primo anno di accademia, nella
quale i mie voti erano brillanti in tutte le discipline, avevo imparato a
materializzare o concentrare un po’ di reiatsu, e sarebbe stato esattamente
quello che avrei dovuto fare per attraversare il lago in meno di venti secondi.
Ovviamente mi spiegò anche qualche trucchetto per svolgere bene l’esercizio.
Per prima cosa dovevo creare delle piccole piattaforme di reiatsu sotto i miei
piedi, e contemporaneamente concentrare il reiatsu nelle mie gambe per darmi
velocità. E io avrei dovuto fare tutte queste cose in meno di venti secondi.
-Perché proprio venti secondi?-
Chiesi con molta curiosità. Non mi sarei mai
aspettato una risposta così fredda e sadica come lo fu sentirmi dire con un
sorriso sulle labbra
-Perché è il tempo che ci vuole per evocare
una palla di fuoco col Kido, se tu superi i venti
secondi, io finirò di formulare la formula e te la scaglierò addosso alla
massima potenza, quindi ti consiglio di muoverti-
Era stata una risposta così sadica che
decisi di impegnarmi senza fare altre domande. Era un esercizio in cui avrei
rischiato di farmi del male, ma la sensei sperava
proprio che grazie a questo stimolo, imparassi l’esercizio molto in fretta.
Senza ulteriore indugio incominciai subito a organizzare il reiatsu.
Fortunatamente sapevo come gestirlo, esercizio che avevo imparato all’accademia.
Quando fui pronto, il via lo diedi io partendo. Feci venti passi molto lenti,
due al secondo, ma dopo il ventesimo caddi in acqua e persi il primo round. L’acqua gelata mi
sembrò certo una soluzione migliore rispetto al fuoco, ma sapevo che comunque
era un fallimento e come tale non potevo accettarlo. La seconda volta andò in
un certo senso meglio. Ma dopo trenta passi rifeci lo stesso errore della volta
prima. Ancora un fallimento, dovevo riprovare. La terza volta andò meglio di
quanto potessi immaginare; infatti riuscii a fare sessanta passi, ma avevo
dimenticato la storia dei venti secondi e mentre entravo nella seconda metà del
lago, una palla di fuoco mi investì gettandomi in acqua. Il dolore del fuoco,
per chi lo avesse provato in una dose così grande saprà essere molto doloroso.
L’acqua per fortuna si assicurò che le fiamme si spensero immediatamente, ma
per me fu un attimo di inferno, nonché il più lungo mai vissuto. A recuperarmi
fu la sensei, che senza dirmi niente continuò a
fissare il lago, incitandomi silenziosamente a riprovare. Sapeva anche lei che
era un esercizio difficile, ma io non lo credevo tale fino a quando non
assaggiai il fuoco. Fui così costretto a riprovare altre sette volte, cinque
delle quali mi fecero incontrare altre volte col fuoco. La settima partii con
un largo slancio, e restai concentrato senza badare al fuoco al fatto che
dovevo assolutamente concentrare passo con reiatsu e piattaforma, passo con
reiatsu e piattaforma, passo con reiatsu e piattaforma. Arrivai dall’altra
parte del lago in dieci secondi esatti. Mi girai a guardare la sensei che smetteva di contare e poi svenni per la fatica.
Note D’autore: mi scuso per l’inizio molto veloce, ma volevo sorvolare sull’infanzia di Byakuya per arrivare attivamente alla parte più “interessante” della sua vita.