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Autore: Imperfectworld01    26/05/2021    0 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Dieci.

«Una squilibrata... una squilibrata! Dio, che fastidio! Idiota, stupido, disturbato mentalmente che non è altro! Ha cambiato umore tre volte in dieci minuti e si azzarda persino a trattarmi come se fossi io la folle?»

Stavo sfregando le dita sul capo con così tanta forza e enfasi che a un certo pensai quasi di essermi graffiata. Dedussi quindi di essermi insaponata i capelli a sufficienza, allora aprii il getto della doccia e cominciai a sciacquarmi via lo shampoo dai capelli.

Dopo aver finito di lavarmi, uscii dalla doccia e mi avvolsi il solito telo attorno al corpo e misi le ciabatte ai piedi.

Senza neanche attendere che le punte dei capelli smettessero di sgocciolare, mi affrettai a passare la spazzola con energia per poter sciogliere ogni nodo.

Poi riappoggiai la spazzola sul mobile del bagno e uscii dalla stanza. Tornai in camera mia e, dopo essermi assicurata che il mio corpo fosse asciutto, tolsi il telo, lasciandolo cadere sul letto.

Poi aprii il cassetto della biancheria intima e tirai fuori una canottiera e delle mutandine pulite.

«Non metti il reggiseno?» domandò mia sorella, osservandomi mentre mi vestivo.

«A cosa servirebbe? Non c'è granché da reggere» ammisi, dandomi qualche leggero colpo sul petto. «Vedi?»

«Lo so, ma con questa canottiera ti si vedono i capezzoli, Nina» mi fece notare, alzandosi dal letto e venendo nella mia direzione.

Roteai gli occhi. «Che male c'è? Ce li hanno tutti.» Poi abbassai un attimo lo sguardo per guardare se quanto detto da Benedetta fosse vero.

«Non mi stava così attillata prima, di solito non si vedeva niente...» dissi, più che altro fra me e me.

«Ci credo, non fai che abbuffarti tutto il giorno. Fra poco farai concorrenza a Vittorio per quanto mangi, solo che lui almeno è alto e smaltisce di più.»

Rimasi interdetta qualche secondo per la sua sfacciataggine. «Grazie, Benni, come sei gentile» ribattei, piuttosto seccata. Poi aprii un altro cassetto e presi una maglia larga a maniche corte e dei pantaloncini.

«Dovresti esserne contenta: era anche ora che mettessi su qualche chilo, sei sempre stata uno scricciolo» fece, tirandomi un piccolo pizzicotto sulla pancia.

In effetti aveva ragione. Non mi ero mai sentita molto a mio agio con il mio fisico, mi ero sempre sentita da meno rispetto alle mie coetanee. Forse ingrassare un po' era ciò che mi serviva. E non è che fossi una che in genere mangiava poco, anzi, l'appetito non mi mancava mai, ma solo in quegli ultimi giorni sembrava che non smaltissi più rapidamente tutte le calorie che ingerivo come succedeva un tempo.

«Ciò non significa che mi piaccia essere paragonata a un maiale» dissi, prima di finire di vestirmi e gettarmi a letto. Mi sedetti appoggiando la schiena al muro e portandomi le ginocchia al petto.

«Lo sai, un po' di femminilità non guasterebbe» commentò Benedetta, portandosi entrambe le mani sui fianchi per darsi una certa aria.

«Mica è colpa mia se l'hai presa tutta te» feci, scrollando le spalle. «E poi non mi interessa essere femminile, specie se implica avere la puzza sotto al naso proprio come te.»

«Mi chiedo solo come farai a trovare qualcuno disposto a sposarti con quei modi sgraziati da ragazzo» mi rimbeccò, sedendosi sul suo letto, di fronte a me.

«Hai mai pensato che forse sposarmi è la cosa fra tutte che meno mi interessa? Ci sono tante cose a cui aspiro essere, prima che una moglie, o una madre.»

Prima di tutto, mi sarebbe piaciuto viaggiare. Vedere tutta l'Italia, tanto per cominciare, e non fare solo da Milano a Torino e da Torino a Milano in eterno. E poi il resto d'Europa, e l'Asia, e così via. C'erano così tanti luoghi diversi da quello in cui ero nata da vedere e da scoprire, un sacco di culture e persone da conoscere.

E avrei voluto farlo perlopiù da sola. Andare alla scoperta del mondo da sola, senza dover stare dietro né dover assecondare nessuno.

Poi mi sarebbe piaciuto trovare un lavoro gratificante, qualcosa che mi avrebbe reso fiera ogni giorno, qualcosa che mi avrebbe permesso di fare qualcosa di importante. Qualcosa che in genere era affidato agli uomini, e per il quale le donne non venivano quasi prese in considerazione, così da poter dimostrare quanto fosse sbagliata la continua disparità fra generi.

Mi sarebbe piaciuto anche diventare brava a fare cose diverse: conoscere altre lingue, scrivere, suonare uno strumento... Qualcosa di diverso dal solito cucinare o lavorare all'uncinetto.

E poi, soltanto alla fine, mi sarebbe piaciuto costruirmi una famiglia. Trovare un marito, avere dei figli. Ma non era una vera e propria necessità, né aveva la precedenza sul resto.

«Ma dai, lo dici solo perché come al solito vuoi sentirti diversa e speciale rispetto a tutti gli altri! Non c'è niente di male nel...»

Scattai in piedi e persi il controllo, non lasciandole neanche il tempo di terminare la frase: «Perché semplicemente non puoi rispettare un modo di vedere le cose diverso dal tuo? Non me ne frega niente di distinguermi dalla massa, semplicemente non baso la mia vita sulla ricerca di un moroso e non ho intenzione di cambiare il mio modo di essere e i miei atteggiamenti solo per riuscire a trovarne uno!» esclamai, sentendo le guance ribollirmi per la rabbia.

Presi un paio di respiri profondi subito dopo e tornai a sedermi sul letto, per riacquistare la calma.

Come accadeva la maggior parte delle volte in cui avevamo una discussione, le mie parole le entrarono in un orecchio e le uscirono dall'altro: infatti mi ignorò totalmente e provò a cambiare discorso per non far degenerare ancora una volta il tutto. «Vedi di abbassare la voce, che abbiamo ospiti. Che cosa vuoi che pensino di noi tutti quanti?»

Sbarrai gli occhi. «Ospiti? Chi c'è a casa?»

«Un altro degli amici di Vittorio» rispose, sbuffando. «In questa casa è sempre pieno di stupidi mocciosi, non bastavi già tu?»

Così presa da ciò che aveva detto, non colsi neanche la frecciatina di Benedetta. «Quale amico?» chiesi, anche se dentro di me stavo già pentendomi di quella domanda.

«Oh, ma che ne so? Non mi interessa. A proposito, vai a chiedere a mamma fra quanto si mangia? Devo chiamare Maurizio stasera, ma se è quasi pronto allora lo chiamerò dopo cena.»

Accennai un sì con la testa e poi uscii dalla nostra stanza e mi diressi in cucina.

Non appena mossi un piede dentro la stanza, il mio olfatto fu deliziato da un ottimo odore e il tutto fu seguito poi da un enorme senso di vuoto allo stomaco. Allora mi ricordai che era quasi da pranzo che digiunavo, dal momento che la mia merenda di quel pomeriggio era finita in un cestino.

Mi avvicinai ai fornelli e inspirai. «Mmh... risotto con lo zafferano!» esclamai, osservando la padella nella quale mia mamma stava colorando di giallo il risotto con il condimento.

«Alla Milanese» sottolineò mia madre. «Assaggia e dimmi se va bene» disse poi, passandomi un cucchiaio di legno sul quale c'era un po' di risotto. Non me lo feci ripetere due volte.

«Sì, è pronto.» Poi diedi un'occhiata alla tavola, che era già apparecchiata. Storsi il naso. «Perché hai apparecchiato per sei?»

«Abbiamo un ospite stasera, si ferma a cena da noi, forse resta anche a dormire. È un amico di Vittorio, dovresti conoscerlo» disse mia madre, prima di spegnere il fornello.

«Per caso quello biondo?» chiesi, pregando dentro di me che la sua risposta non fosse affermativa.

Mia madre mi rivolse un sorriso. «Sì, proprio lui!»

«Ecco, lo sapevo...» sbottai scocciata, ma a quanto pare mia madre non interpretò in maniera corretta il mio tono di voce: «Che c'è, speravi che fosse proprio lui?» fece con tono malizioso.

«No, l'esatto contrario.» Incrociai le braccia al petto e mi andai a sedere a tavola. «È pronto! A tavola!» esclamai poi.

Rimasi tutto il tempo con le braccia conserte appoggiate sul tavolo e lo sguardo tenuto basso. O almeno finché non sentii delle voci maschili farsi sempre più vicine alla cucina e finché non riconobbi la risata più fastidiosa esistente al mondo.

Cioè, no, era anche una bella risata, una di quelle abbastanza contagiose. Il fastidio era dovuto alla persona che emetteva quella risata.

Non appena entrò in cucina, incrociò velocemente il mio sguardo, ma lo distolse subito e non disse nulla, il che mi meravigliò. Ma di certo era meglio così.

Dopodiché ci raggiunsero a tavola anche Claudio e Benedetta.

Diedi un'occhiata a Vittorio, il quale andò a sedersi in mezzo a noi due, come a voler fare da mediatore e impedire qualsiasi bisticcio. Lui ricambiò il mio sguardo, e sembrava quasi volesse dirmi qualcosa come: «Fidati, è tutto a posto».

O almeno lo speravo. Per quella giornata ne avevo avuto abbastanza.

*

La cena comunque proseguì tranquilla. Filippo era stato stranamente gentile, parlava a mia madre con tono così tanto mellifluo che sembrava quasi le facesse il filo. Ciò mi rese molto difficile mantenere l'impegno che mi ero presa di evitare commenti o smorfie ogni qualvolta aprisse bocca. Continuavo a riempirmi il bicchiere d'acqua e a bere soltanto per avere la bocca piena e riuscire a tenere a freno la lingua.

Con Claudio sembrava avere un gran bel rapporto, del resto si conoscevano da anni, lo trattava come se fosse suo figlio e al tempo stesso anche Filippo sembrava quasi considerarsi tale.

Ciò che mi stupì in assoluto, però, fu che riuscì perfino a strappare due parole a mia sorella, che normalmente durante tutti i pranzi in famiglia se ne stava quasi del tutto zitta, attendeva di finire il suo pasto e poi si alzava e se ne andava in camera sua. Invece quella sera rimase volentieri più del solito, parve quasi dimenticarsi di dover telefonare all'amore della sua vita.

Sembrava che Filippo fosse di famiglia più di quanto lo fossi io.

Si offrì perfino di aiutare mia madre a sparecchiare e lavare i piatti, dicendo che tanto era abituato a farlo a casa sua e non gli pesava, il che diede a Claudio il pretesto per obbligare suo figlio a fare lo stesso. «Andiamo, sfaticato, renditi utile» disse a Vittorio, mentre io e mia sorella fummo ben contente di potercene andare in camera nostra a rilassarci.

Ero a dir poco sfinita. Andai rapidamente in bagno, mi lavai i denti e poi tornai in camera per mettermi a letto, peccato che proprio in quel momento mia sorella stava componendo il numero di casa di Maurizio, ciò significava che non avrei avuto pace per le successive tre ore.

«Benni, per favore, non puoi spostarti in salotto?»

«No, non ci arriva la cornetta fino al divano. Sh! Sta squillando!» disse poi, portandosi un indice sulle labbra.

«Ma se tanto ti siedi sempre a terra appoggiata al muro» le feci notare. «Ho sonno, e visto che questa è la camera di entrambe, dovresti...»

«Pronto? Amore, eccomi finalmente!» mi interruppe, senza neanche dare ascolto alle mie parole.

Roteai gli occhi, uscii dalla stanza e mi diressi verso il mobiletto in legno dove solitamente era appoggiato il telefono. Mi chinai a terra e senza troppi sensi di colpa staccai la spina.

Mia sorella non ci impiegò molto a fare due più due e a capire cos'era successo e chi era la responsabile. «Nina!» strillò, prima di spalancare la porta della stanza e afferrarmi per l'orecchio.

Mi liberai con uno strattone e le tirai una sberla sulla mano. «Ahia! Sei impazzita?»

«Sei proprio una sciocca!»

«Almeno adesso mi darai ascolto e mi lascerai dormire?»

Non mi rispose. Mi strappò il cavo del telefono dalle mani e riattaccò la spina alla presa, prima di sedersi a terra, lì in corridoio.

Grazie a Dio.

Tornai in camera mia soddisfatta, massaggiandomi l'orecchio dolorante. Dopodiché, senza perdere ulteriore tempo, mi stesi a letto e chiusi gli occhi.

Ero così cotta che mi addormentai quasi subito, nonostante la terribile afa di quella notte.

Per mia sfortuna, la cosa non durò a lungo. Mi risvegliai dopo poche ore, per andare in bagno. Mia sorella aveva già finito la sua chiamata con Maurizio e si era messa a dormire, perciò dedussi di aver dormito per circa due o tre ore.

Ritornai a dormire, solo per rialzarmi ancora altre due volte nel corso della notte.
Forse bere così tanta acqua a cena non era stata un'ottima idea, dato che sembrava fossi diventata incontinente.

E il problema era che mi era anche tornata la sete.

Tentai per un po' di resistere, per non rischiare di passare davvero tutta la notte fra il mio letto e il gabinetto, ma alla fine cedetti e mi rialzai. Avevo la gola troppo secca.

Feci per dirigermi in cucina, quando notai la portafinestra della sala socchiusa. Era strano che ce la fossimo dimenticata aperta. Mi avvicinai e la richiusi. Dopodiché mi diressi in cucina, tirai fuori un bicchiere dalla credenza e lo riempii d'acqua del rubinetto.

Sobbalzai letteralmente non appena iniziai a sentire dei forti colpi provenire dall'altra stanza, facendo cascare un po' del contenuto del bicchiere a terra. Appoggiai quest'ultimo sul tavolo dopo essermi dissetata, e poi andai a vedere di cosa si trattasse, sebbene fossi un po' timorosa di scoprire a cos'erano dovuti quei rumori.

Rimasi immobile sulla soglia della porta della cucina per qualche istante, prima di portarmi una mano sulla bocca per soffocare le risate. «Allora ecco perché l'avevo vista socchiusa!» esclamai, prima di andare di nuovo verso la portafinestra.

«Tu hai dei seri problemi!» sbraitò Filippo, che a causa mia era rimasto chiuso fuori in terrazzo.

«Ehi, non ti conviene parlarmi così, potrei sempre decidere di lasciarti qui» feci, incrociando le braccia al petto. Decisi allora che gliel'avrei fatta un po' sudare. «Allora, qual è la parolina magica?»

Ridusse gli occhi a due fessure e sbuffò. «Datti una mossa, andrà a finire che le zanzare mi mangeranno vivo!» esclamò, e la cosa sembrava farsi sempre più allettante. Poi, vedendo che io non facevo una piega, sospirò rassegnato. «Amore della mia vita e futura madre dei miei figli, saresti così gentile da aprire la portafinestra e lasciarmi entrare?»

Alzai gli occhi al cielo. Non poteva proprio farne a meno di irritarmi.

«Ah, ma allora ti piace proprio l'idea di rimanere chiuso qui fino a domattina» dissi, portandomi le mani sui fianchi.

Alla fine però abbassai la maniglia e aprii la portafinestra. Del resto non volevo passare tutta la notte a negoziare con lui. Era anche vero che avrei semplicemente potuto andarmene a dormire e fregarmene, ma mi sarei di certo sentita in colpa a farlo.

«Grazie, tesorino» disse una volta rientrato in casa.

«Piantala, o ti risbatto fuori a calci» lo ammonii. «E poi si può sapere che ci facevi fuori in terrazzo a quest'ora?»

Si strinse nelle spalle. «Nulla, non riuscivo a dormire ed ero venuto a prendere un po' d'aria fresca e a riflettere sul senso della vita. Ma in realtà fa quasi più caldo fuori che qui dentro» spiegò. «O almeno, era così prima che ti vedessi, adesso la temperatura sta certamente salendo» aggiunse con uno dei soliti ghigni beffardi e fastidiosi.

Alzai gli occhi al soffitto e non risposi subito.

«Wow, allora adesso mi parli» commentai a un certo punto.

«Ma certo, non ha senso vivere portando rancore, non trovi?» fece, poggiandomi una mano sulla spalla.

«Sì, suppongo di sì...» dissi, non molto convinta. Ogni volta trovava il modo di lasciarmi spiazzata. Quel pomeriggio mi aveva letteralmente dato della squilibrata, pensavo non mi avrebbe mai più rivolto la parola. Se non altro ci speravo.

«E tranquilla, ho imparato la lezione: non proverò più a baciarti. A meno che non sia tu a volerlo.» Si morse il labbro inferiore e mi fissò con quella solita faccia da pesce lesso.

Indietreggiai di qualche passo, per liberarmi della sua mano ancora appoggiata sulla mia spalla. «Certo, sì, tu inizia ad attendere che cambi idea, ne riparleremo quando sarai ormai in punto di morte magari.»

Gli voltai le spalle, già stufa di quella conversazione. Filippo mi si piazzò allora davanti, per far sì che il dialogo proseguisse. «D'accordo. Ho una vita intera davanti per aspettare che cambi idea.»

«Quanto sei scontato. Poi posso sapere perché fra tutte le ragazze che ci sono ti sei fissato proprio con me?»

Non avevo fatto altro che trattarlo male e respingerlo da quando lo conoscevo. Allontanare le persone per via del mio carattere era la mia specialità, era strano che con lui non avesse funzionato.

«Non lo so» rispose in tutta sincerità, scrollando le spalle.

Inarcai le sopracciglia e spostai il peso da un piede all'altro. «Ah sì? Io una mezza idea ce l'avrei: tu sai benissimo l'effetto che hai normalmente sulle ragazze e, il fatto che per una volta ce ne sia una che non ti muore dietro, rappresenta per te come una sorta di sconfitta. E a te non va di perdere.»

«O forse è perché tu non sei come le altre.»

Che banalità.

«E come sono le altre? Sono stupide? Troppo facili? Non sono abbastanza? Galline, ingenue, fuori di testa? Su, illuminami» lo sfidai, avvicinandomi un poco al suo viso. Ero curiosa di vedere come si sarebbe tirato fuori da quella situazione. In un modo o nell'altro finiva sempre per dire la cosa sbagliata e farmi arrabbiare.

«No, guarda che...»

«Se pensi di fare colpo su di me dicendomi che sono "diversa" dalle altre ragazze, allora sappi che non avrai successo. Magari sì, sono diversa, perché tutte lo siamo. Ma io non ho nulla in più né nulla in meno rispetto alle altre ragazze.»

Non rispose, conscio di aver appena fatto una terribile figura ai miei occhi. Feci allora per tornare verso la mia stanza, ma mi afferrò per un braccio e mi fece voltare: «Perché devi per forza pensare male di me? Hai tratto le tue conclusioni senza nemmeno lasciarmi l'occasione di finire di parlare».

«Allora spiega quello che intendevi.»

«Be', non ci riesco, ok? Non tutto può essere spiegato a parole.»

«Oh, fammi il piacere! Che c'è, ti sei innamorato di me? Se nemmeno mi conosci.»

«È proprio questo che ti ho chiesto. Di uscire con me per darmi la possibilità di conoscerti. E per avere la possibilità di conoscere te. Che cosa ho fatto di male per non meritarmelo?»

Riflettei per qualche secondo sulle sue parole. Non aveva tutti i torti. Ero partita in quarta, facendomi un'opinione su di lui senza neanche conoscerlo. In fondo non si era comportato male nei miei confronti. Dopo il primo rifiuto aveva deciso di non demordere, ma comunque non era stato neanche troppo invadente, ero io che l'avevo presa in modo anche fin troppo esagerato e ormai ogni cosa che diceva veniva interpretata in maniera negativa da me.

«Va be', d'accordo allora» fece a una certa.

«Cosa?» domandai confusa, mentre lo vedevo dirigersi verso il corridoio che portava alle camere da letto.

«Basta così, me ne farò presto una ragione.»

Strabuzzai gli occhi. «Stai scherzando?»

«No. Che vuoi, solo a te è consentito cambiare idea? Se pensi che sia uno a cui piace correre dietro alle ragazze, sappi che ti sbagli. In genere sono uno che si stufa molto in fretta e, onestamente, non ho più voglia di rincorrerti.»

Sembrava un sogno. Finalmente me ne stavo tirando fuori, anzi, meglio: era lui che si stava tirando indietro. «Come non detto, allora. Pensa, stavo quasi per dirti di sì.»

Sorrise, mostrando quella fossetta che gli spuntava solo sulla guancia destra. «Ah, troppo facile così. Vuoi la parità di genere? Anche io. Ora tocca a te.»

«Ora tocca a me fare cosa? Guarda che lo facevo per te, non me ne importa nulla di uscire con te. Ora che non interessa più neanche a te, siamo a posto direi.»

«Sì, siamo a posto. Mi raccomando, non cercarmi» mi fece un occhiolino prima di andarsene verso la stanza di Vittorio.

«Tranquillo, non c'è questo rischio!» dissi a voce un po' più alta per farmi sentire, dal momento che era già entrato dentro la stanza e aveva chiuso la porta alle sue spalle.

«Lo vedremo!» rispose lui dall'altra parte.

 

   
 
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