Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    30/05/2021    0 recensioni
“Non aver paura… qui c’è la tua solida terra e se la terra non crolla, il mondo rimane in piedi”.
[Fanfic partecipante alla challenge “You raised me up” del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Mia Koji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fanfic partecipante alla challenge “You raised me up” del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO
 

Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Autrice: PerseoeAndromeda – Heatherchan
Titolo e prompt: Tramonto
3frasific scelta: -Il sole al tramonto tingeva il lago di un colore rosso intenso e, davanti agli occhi di Shin, si materializzò una distesa di sangue, un’associazione così naturale che lo spaventò: da quando la sua mente gli giocava scherzi simili?
Le battaglie avevano condizionato la sua psiche a tal punto che la violenza e l’orrore si erano impadroniti anche di ciò che era sempre stato bello per lui?
Terrorizzato da se stesso, si ritrovò a tremare così tanto che quasi cadde a terra, ma c’erano, come sempre, le braccia di Shu lì per lui, c’era la sua voce, che gli impediva di cadere nel baratro:
“Non aver paura… qui c’è la tua solida terra e se la terra non crolla, il mondo rimane in piedi”.

Personaggi: Shin, Shu, Nasty
Generi: Hurt/Comfort, angst, introspettivo
Rating: verde
 
 
TRAMONTO
 
Per Shin era un giorno difficile.
Aveva dormito male e si era svegliato di cattivo umore, con la testa piena di brutti pensieri riguardo ad ogni cosa.
Il corpo era dolorante, gli strascichi delle battaglie contro Arago non gli davano tregua, prepotenti e crudeli, ma Shin si conosceva bene: era la sua psiche che gli giocava brutti scherzi. Aveva avuto incubi tutta la notte, si trascinava dietro quelle visioni da quando era sorto il sole e il fisico ne risentiva.
Nel corso di tutta la giornata aveva cercato di non dare a vedere nulla ai nakama, ma gli era più difficile del solito fingere un buon umore che non aveva, così aveva passato tutto il tempo a rifuggire il più possibile ogni contatto, se non per lo stretto necessario.
Per i nakama, che lo conoscevano ormai fin troppo bene, quell’atteggiamento era inquietante: Shin era sempre in prima fila se si trattava di restare con loro, di regalare ad ogni inquilino dell’abitazione in cui Nasty li ospitava un sorriso rassicurante, una coccola, una piccola attenzione e quella sua improvvisa asocialità li aveva messi, irrimediabilmente, in allarme.
Ad un certo punto, Shin non aveva più potuto negare, aveva trovato la scusa dell’emicrania, di una stanchezza accumulata, ma la preoccupazione sui loro visi non gli piaceva: era lui che si prendeva cura di tutti, lui era quello più grande, lui non doveva crollare o mostrarsi debole.
Non lo aveva mai accettato da se stesso, da quel giorno in cui aveva fatto al padre la propria promessa sul suo letto di morte: lui proteggeva, si prendeva cura ed era forte abbastanza per sopportare ogni dolore.
Eppure…
Era sempre più difficile.
Nascondersi e negarlo a se stesso diventava sempre più proibitivo e il peso che gli opprimeva il petto sempre più doloroso e soffocante, impossibile da ignorare.
Alcune volte risultava ostico persino respirare e il mondo intorno si trasformava in un vortice impazzito, in mezzo al quale lui era un puntino senza più appigli.
Quel giorno, tale peso non gli dava tregua, aveva cominciato durante la notte, si era alzato senza provare sollievo, tanto che anche la luce del giorno era come filtrata da lenti che rendevano tutto più in ombra, i profili delle cose e le luci stesse avevano qualcosa di tetro.
Era abituato agli attacchi d’ansia, sapeva riconoscerli e cercava sempre di affrontarli in solitudine.
Ma come poteva scappare se tutti, in quella casa, da quando si erano resi conto del suo malessere, davano l’idea di non volersi staccare da lui?
«Lascia stare Shin, penso io alla cena. Riposati un po'».
Sgranò gli occhi, sorpreso dalla voce e dalla mano che si posava sul suo polso, l'odore di bruciato gli pizzicò con prepotenza le narici.
Fu un brusco ritorno alla realtà: la frittata che stava preparando stava miseramente trasformandosi in una poltiglia carbonizzata e l’intervento di Nasty si era rivelato provvidenziale, prima che anche la padella subisse la medesima sorte.
«Che idiota!» esclamò, in un moto di rabbia verso se stesso, ma così feroce che Nasty sussultò e lo scrutò con aria preoccupata.
«Shin… non è successo niente».
Venne scosso da un brivido, gli sembrava di risvegliarsi da uno strano sogno e il petto era oppresso da una morsa che gli provocava dolore, oltre alla sensazione di non riuscire a respirare bene.
“Maledizione all’ansia” pensò, fissando un punto davanti a sé, cercando di concentrarsi per riprendere il controllo su se stesso e sulla propria lucidità.
Nasty si affrettò a spegnere il fuoco, ma senza distogliere lo sguardo dal suo volto e la sua percepibile preoccupazione non aiutava il ragazzo, che lottava contro la pulsazione impazzita del proprio cuore e il capogiro inarrestabile.
Temeva di cadere a terra.
«Shin…».
Lui scosse il capo, chiuse un attimo gli occhi e si sfiorò la fronte con le dita:
«Scusa Nasty… credo davvero di essere un po’ stanco».
«È normale… ne avete passate tante».
La ragazza sembrava tuttavia consapevole che ci fosse qualcos’altro e non lo perdeva di vista. Gli posò una mano sul braccio:
«Vai di là a riposarti. Qui finisco io, davvero».
«Mi dispiace, Nasty».
Mentire non sarebbe servito più a nulla, sperava che, almeno, sia la ragazza che i nakama avrebbero creduto ad una grande stanchezza e niente più.
Si rassegnò e andò verso la porta.
Gli occhi di Nasty continuavano a rimanere fissi sulla sua schiena che si allontanava, colpiti dalla mestizia che si palesava in ogni gesto. La mano della ragazza si posò sulla spalla del giovane samurai prima che egli potesse attraversare la soglia.
«Shin… ricordati della tua virtù. Affidati a chi ti ama, senza paura. Non sarai mai un peso, per nessuno di noi».
Un intenso calore risalì dal petto e gli infiammò le guance: parole simili non se le sarebbe mai aspettate e, forse, non credeva di meritarle.
Cosa aveva, lui, di così speciale?
Voleva tanto essere amato, ma ottenere amore, dal suo punto di vista, significava concederlo e nient’altro, il riceverlo non era contemplato, lo faceva sentire in colpa.
Certo che si affidava a loro, si fidava ciecamente di tutti loro.
Ma di se stesso no, i propri sentimenti, tutte quelle emozioni che premevano per uscire, erano pericolose, lo spaventavano. Se non le avesse tenute immobili, lì dove si trovavano, dove lo avrebbero condotto?
Era fuori discussione lasciarle uscire, era assolutamente necessario tenerle ferme in quell’angolino della sua anima, dove non avrebbero dato fastidio a nessuno.
Abbassò il capo, nel vano tentativo di nascondere alla ragazza quel rossore che sapeva essergli esploso sul volto:
«Grazie Nasty. Ma sto bene, davvero».
Quando chiuse la porta che separava la cucina dal soggiorno, era consapevole che uno sguardo preoccupato era rimasto fisso sulla sua schiena fino all’ultimo istante.
Varcata la soglia non trovò nessuno e sospirò di sollievo: non sarebbe stato costretto a nessun’altra lotta per sottrarsi ad attenzioni che, lo sapeva, prima o poi lo avrebbero portato al crollo.
Il primo istinto fu quello di rifugiarsi in camera o di sdraiarsi sul divano, ma era certo che nessuna delle due opzioni lo avrebbe aiutato a calmarsi: i livelli di ansia erano troppo elevati, il cuore pulsava con una tale enfasi da fare male e non sarebbe neanche riuscito a concedersi un sonno ristoratore.
Senza contare che qualcuno sarebbe potuto giungere e coglierlo nel suo cedimento.
Così si diresse verso la porta d’ingresso, nella mente un solo richiamo: acqua… lago…
L’acqua, forse, poteva salvarlo da se stesso.
“Perché sono così?” si domandò. “Perché sto così male? Perché avrei solo voglia di piangere e di farmi abbracciare?”.
Farsi abbracciare…
Dalle braccia forti di suo padre…
Ma, quando si fermò sulla riva del lago, lo sguardo fisso sulle acque leggermente increspate e una mano ad artigliare la felpa all’altezza del petto, un nome gli salì alle labbra, mentre si faceva strada il bisogno di braccia altrettanto forti, di una stretta altrettanto sicura:
«Shu… tu non mi faresti crollare».
Ma Shu non era lì, non voleva che ci fosse, perché non aveva nessun diritto di essere tanto debole, di avere tanto bisogno di lui: come avrebbe potuto salvarsi dalle emozioni che gli avrebbe trasmesso quell’abbraccio? Da tutta quella tenerezza?
Sarebbe precipitato in un vortice emotivo dal quale non sarebbe riemerso mai più.
Sollevò lo sguardo verso il cielo.
Il sole al tramonto tingeva il lago di un colore rosso intenso e, davanti agli occhi di Shin, si materializzò una distesa di sangue, un’associazione così naturale che lo spaventò: da quando la sua mente gli giocava scherzi simili?
Le battaglie avevano condizionato la sua psiche a tal punto che la violenza e l’orrore si erano impadroniti anche di ciò che era sempre stato bello per lui?
Terrorizzato da se stesso, si ritrovò a tremare così tanto che quasi cadde a terra, ma c’erano, come sempre, le braccia di Shu lì per lui, c’era la sua voce, che gli impediva di cadere nel baratro:
«Non aver paura… qui c’è la tua solida terra e se la terra non crolla, il mondo rimane in piedi».
Ecco…
Era perduto adesso.
Non c’era altro che potesse fare, niente che volesse fare, perché quell’abbraccio che aveva sognato era lì, ed era così bello, così forte.
«Cosa ne sarà di me, adesso?» avrebbe voluto solo pensarlo, ma il sussurro sfuggì alle labbra e venne raccolto dal ragazzo alle sue spalle che, in risposta, accentuò la stretta e lo attirò contro di sé.
Il bacio di Shu si posò sul collo, poco sotto l’orecchio, strappandogli un fremito di piacere e paura e provocando un’ondata di lacrime che neanche tentò più di arginare: ormai non aveva più scampo, le emozioni erano lì, erano arrivate, sarebbe affogato in esse, si sarebbe perso.
«Ci sono io qui con te» la voce calda di Shu gli accarezzò l’orecchio, come prima aveva fatto il bacio contro la pelle. «Non c’è niente che devi temere, non aver paura di te…».
«A volte… temo di andare in pezzi… sai Shu?».
Era inutile tacere, non voleva più farlo, Shu lo aveva colto in un momento in cui le inibizioni non trattenevano nulla. E improvvisamente Shin seppe di non voler trattenere nulla, pur non cancellando la paura: quella permaneva, era più grande di ogni cosa, quella paura di non essere abbastanza forte per reggere ad un’esistenza che sembrava impazzita… di non essere abbastanza forte per nulla, neanche per mantenersi lucido.
«Non andrai in pezzi, perché io sarò qui a tenerti insieme».
«E allora fallo».
L’ultima parola si spezzò in un disperato singhiozzo e Shin si voltò, per aggrapparsi a Shu e nascondere tutte le sue lacrime contro il petto forte del nakama.
Shu, come aveva promesso, lo raccolse, lo strinse con ancor più forza e si lasciò scivolare a terra con lui.
Rimasero inginocchiati, intrecciati l’uno all’altro, acqua e terra che si incontravano, fondendosi in una sola, inscindibile realtà.
   
 
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