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Autore: All_I_Need    07/06/2021    5 recensioni
John ha un incidente nel laboratorio della struttura militare di Baskerville. Mentre aspettano che gli scienziati trovino una soluzione, lui e Sherlock devono riesaminare la natura della loro amicizia mentre si destreggiano nella vita quotidiana e nel Lavoro, il tutto cercando di rispondere alle domande veramente importanti: va bene accarezzare il tuo coinquilino se al momento è un cane? E come chiedi esattamente le coccole a un autoproclamato sociopatico?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 10 

Sherlock non si era aspettato sul serio di dormire quella notte, ma a quanto pareva l'insistenza di John per orari regolari si stava già ripercuotendo sul suo mezzo di trasporto. Dopo aver ceduto al sonno solo nelle prime ore del mattino la notte precedente, la sera prima si era addormentato ancor prima che John avesse lasciato la sua camera da letto, e uno sguardo all'orologio gli disse che in realtà aveva dormito tutta la notte. Succedeva abbastanza di rado, quindi Sherlock supponeva che fosse il recupero dell’arretrato.

Si chiese quante altre persone si sarebbero riferite a una buona nottata di sonno come a una ‘notte in bianco’, mentre lavorare fino all'alba era semplicemente la norma.

Naturalmente, tutte le sue oziose riflessioni sull'argomento furono sospese in fretta da John che balzava nella sua camera da letto, con la coda che sventolava avanti e indietro come una bandiera nelle mani di un tifoso troppo entusiasta.

"Stavolta sono già sveglio, oggi non c'è bisogno di leccarmi la mano,” disse svelto Sherlock, prima che John potesse avere qualche idea.

John si limitò a sbuffare, tornò verso il corridoio, poi tornò al letto e continuò ad andare avanti e indietro.

"Sì, sì, mi sto alzando, non c'è motivo di essere impaziente. Buon Dio, se ti svegliassi così presto ogni giorno, saresti di umore orribile. Ora va’ a sdraiarti nella tua cuccia e calmati mentre faccio la doccia e mi vesto. Non ti porterò a fare una passeggiata in pigiama.”

Gettò via le coperte ed entrò barcollando in bagno, togliendosi i pantaloni del pigiama e lasciandoli ammucchiare sul pavimento, già dimenticati mentre entrava nella doccia.

Uno spruzzo di acqua fredda lo portò al completo stato di veglia e Sherlock si domandò oziosamente quando fosse stata l'ultima volta che aveva dormito fino a tardi. Di solito non sprecava il proprio tempo impigrendosi a letto, ma pensava che l'ultima volta potesse essere stata il giorno in cui erano stati chiamati a Buckingham Palace da Mycroft. Forse avrebbe dovuto programmare una mattinata a letto nel prossimo futuro, dire a John di andare a farsi la passeggiata per conto suo e godersi lo sguardo sul suo viso peloso.

Sherlock sbuffò tra sé e passò attraverso la routine di insaponarsi il corpo e i capelli, prestando particolare attenzione a questi ultimi.

Quando fu uscito dalla doccia e ebbe indossato vestiti asciutti, era del tutto sveglio e stava considerando quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima che Molly arrivasse all'obitorio in modo da poterlo aggiornare sui piedi del signor Forsythe.

Versò le crocchette nella ciotola di John, riempì l'altra di acqua fresca e distrattamente si preparò una tazza di tè e una fetta di pane tostato con il miele. Si rese conto di aver accidentalmente fatto colazione solo quando mise il piatto vuoto nel lavandino e notò che John gli stava lanciando uno sguardo piuttosto compiaciuto.

"Non guardarmi così," borbottò Sherlock. "È colpa tua se il mio mezzo di trasporto ha deciso di tradirmi e la cosa è del tutto inaccettabile."

Un pensiero sommesso nel profondo della sua mente gli ricordò il piccolo problema con cui era stato alle prese prima che prendessero il caso Baskerville. Sherlock decise di ignorare la faccenda: meglio non svegliare il can che dorme, per così dire. Se era fortunato, il suo mezzo di trasporto aveva ricevuto il messaggio e lo avrebbe lasciato in pace almeno per un altro paio di mesi.

Ignaro dei pensieri di Sherlock, John si limitò ad alzare gli occhi al cielo e andò a raccogliere il suo guinzaglio.

Sherlock sospirò e controllò il telefono per eventuali messaggi di Molly, poi se lo fece scivolare nella tasca interna della giacca. "Va bene, andiamo. Dov'è la tua palla?"

John gli portò la borsa a tracolla e rimase perfettamente immobile mentre Sherlock gli agganciava il guinzaglio al collare e frugava nella borsa per assicurarsi che avessero tutto. "Va bene, ce l’ho. Andiamo, allora."

Non poté fare a meno di sorridere alla vista di John che balzava con entusiasmo giù per le scale davanti a lui. C'erano modi peggiori per iniziare una mattinata.


*****


Un'ora dopo tornarono a casa, John ansimante e Sherlock che si chiedeva fino a che punto fossero arrivati ​​gli scienziati nello sviluppo degli arti robotici. Pensava che gli sarebbe piaciuto investire in un braccio per lanciare palline da tennis.

Aveva appena chiuso la porta d'ingresso dietro di sé quando John s’irrigidì, tutta la sua attenzione sulle scale. I peli sulla nuca gli si erano rizzati.

"Cosa c’è?” chiese Sherlock a bassa voce.

John non si voltò nemmeno a guardarlo, si limitò ad angolare la testa in modo da poter guardare il maggior numero di scalini che poteva, e iniziò a tirare il guinzaglio.

Senza altra scelta, Sherlock lo seguì. Non aveva senso cercare di essere silenziosi; impossibile non notare il suono delle zampe artigliate sul legno.

La porta del soggiorno era aperta. C’era qualcuno nel loro appartamento.

"Cerca di non morderli finché non sappiamo cosa vogliono," mormorò Sherlock. "Stiamo cercando di fare un'impressione favorevole.”

John fece di nuovo quel suono, mezzo grugnito e mezzo sbuffare, che significava che pensava che Sherlock fosse ridicolo e che, in casi come questo, non gli era mai importato del tipo di impressione che faceva.

Salirono il resto delle scale ed entrarono nel loro appartamento come se non avessero nessun pensiero al mondo.

"La gente di solito chiama in anticipo,” disse Sherlock con calma.

L'uomo seduto nella sua poltrona di pelle sorrise con aria benevola. "Così ho sentito, ma non mi aspettavo che lei fosse fuori alle sette del mattino. Mi scuso."

Sherlock lo guardò accigliato. "E il fatto che fossi fuori non le ha fatto prendere in considerazione l'idea di andarsene e tornare più tardi?"

"Sono piuttosto a corto di tempo al momento,” disse l'uomo in tono di scusa.

"E cosa porta un contabile da poco in pensione a casa mia questa mattina presto?" domandò Sherlock, facendosi scivolare la borsa dalla spalla e gettandola con noncuranza sul divano prima di sfilarsi il cappotto. "Vorrei aggiungere che trovo assurdo da parte sua tentare di mentirmi. Nessuno che sia entrato di recente nel proprio tanto atteso pensionamento è in alcun caso a corto di tempo un martedì mattina."

Si piegò e sganciò il guinzaglio dal collare di John.

John si avviò prontamente ad annusare le gambe dei pantaloni dello sconosciuto prima di lanciargli uno sguardo sprezzante e spostarsi per sedersi accanto alla propria poltrona.

Sherlock sorrise e si sistemò sulla poltrona di John,

"Allora? Cosa posso fare per lei?"

L'uomo stava fissando John con lo sguardo teso di qualcuno che non è abituato a stare con i cani. "Mi permetta di assicurarmi di aver capito bene, prima,” disse. "Lei è il signor Sherlock Holmes, non è vero?"

"Sì," confermò Sherlock, sentendosi già annoiato. Fece un gesto verso John. "Questo è John."

L'uomo aggrottò la fronte. "Avevo l'impressione che il nome del suo assistente e blogger fosse John."

"Infatti."

"Ma questo è un cane."

"Che occhio."

"Ma se John è un cane, allora chi scrive il suo blog?"

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Santo cielo, signore! Il cane si chiama Johnny. Il mio coinquilino e blogger, John, al momento è via per affari di famiglia. Di certo non sta suggerendo che questo cane qui sia in grado di digitare qualsiasi post di un blog."

Fu gratificante vedere l'uomo dimenarsi un po’. "Be’... no. Sono stato semplicemente preso alla sprovvista. Chiedo scusa."

Sherlock sospirò. "Allora possiamo tornare alla faccenda in questione, signor...?"

"James," si presentò l'uomo. "Harold James."

"Ebbene, signor James, quale sembrerebbe essere il problema?"

Il signor James si sporse in avanti, con un po’ della sua franchezza che veniva sostituita da un'onesta preoccupazione mentre parlava. "Fino a poco tempo fa lavoravo in un'azienda di tutto rispetto in qualità di contabile, come lei ha correttamente dedotto. Sono molto bravo con i numeri, lo sono sempre stato, ed ero appassionato del mio lavoro, quindi a volte me lo portavo a casa. Dopo il mio pensionamento, ho trovato ancora sulla mia scrivania a casa alcuni file che appartenevano all'azienda, quindi li ho controllati per vedere di cosa si trattava prima di restituirli. È stato allora che ho notato alcune discrepanze.”

"Sospettava una frode?” chiese Sherlock.

"Appropriazione indebita," confermò il signor James. "Non posso esserne sicuro, poiché i file mostravano solo una piccolissima parte dei movimenti di denaro all'interno dell'azienda e non ho avuto la possibilità di guardare nessuno degli altri documenti. Senza dubbio non ero l'unico contabile dell'azienda e la cosa è stata fatta in modo molto sottile, che credo sia il motivo per cui nessuno ha mai notato nulla.”

"E ne ha parlato con il suo precedente datore di lavoro?” chiese Sherlock. L'appropriazione indebita poteva condurre su strade molto interessanti o molto noiose e sperava in un caso interessante, qui.

Il signor James sembrò rattristato. "Ho provato, ma quando ho chiamato il suo ufficio sono stato informato che il signor Forsythe era inaspettatamente deceduto."


*****


Un quarto d'ora dopo che il signor James aveva annunciato in modo così casuale e inconsapevole il proprio collegamento con l'attuale indagine di Lestrade nel salotto del 221b, Sherlock stava camminando su e giù tra le scrivanie e la cucina.

"Omicidio, appropriazione indebita, un altro omicidio... oh, questo si preannuncia davvero molto interessante!" esclamò.

"Mi dica, signor James, è possibile che il suo ex datore di lavoro fosse stato a conoscenza della contabilità creativa in corso nella sua azienda?"

"Potrebbe esserlo stato, sì," rispose il signor James. "Aveva lui stesso un ottimo occhio per i numeri, avendo iniziato l'attività in proprio da giovane e sviluppandola fino a diventare l'azienda che è oggi. All'inizio, ha dovuto fare tutto da solo fino a quando non mi ha assunto per tenergli i conti, in modo che lui potesse concentrarsi su un'ulteriore espansione. In effetti, è per questo che oggi sono qui. Non ho pensato molto alla sua morte quando ne ho sentito parlare per la prima volta, tranne che per la solita tristezza che ci si può aspettare, ma poi ho sentito alla notizia che lui era stato assassinato e che anche suo figlio aveva trovato una fine violenta. Questo mi ha incuriosito e una volta che ho saputo dov’era stato trovato, ho sospettato che potesse essere stato sulla strada per... "

"Per vedere me," finì Sherlock. "Ho pensato la stessa cosa quando è diventato chiaro che non c'era nessun altro motivo possibile per lui per aver camminato fino a Regent's Park da casa sua la mattina così presto."

"Aveva sempre ammirato i suoi talenti e l'avevo visto spesso leggere il suo sito web e il blog del suo collega,” disse il signor James. "Quando ho saputo che era stato trovato a Regent's Park, mi è sembrata l'unica conclusione logica."

Sherlock provò una non piccola fitta di soddisfazione perché la sua deduzione era stata corretta. La sensazione aumentò quando John gli diede un colpetto alla mano con la testa in silenzioso apprezzamento. In risposta, grattò l'orecchio del suo amico.

"La ringrazio molto per aver portato la cosa alla mia attenzione, signor James. Se fosse così gentile da lasciare il suo biglietto per me in modo che io possa contattarla se ho ulteriori domande, le sarei molto grato."

Il signor James, riconoscendo un congedo quando ne sentiva uno, si alzò con prontezza dalla poltrona e porse a Sherlock il proprio biglietto da visita. "Sono lieto di sapere che esaminerà la questione,” disse. "So che Harrison avrebbe apprezzato i suoi sforzi, qualunque cosa lei possa scoprire."

Sherlock annuì, infilando la carta al sicuro nella tasca anteriore della camicia. "Farò del mio meglio. Nel frattempo, posso suggerirle di non entrare in contatto con nessuno dei suoi ex colleghi? Credo, infatti, che potrebbe trarre profitto da una vacanza fuori città, preferibilmente da qualche parte in cui nessuno verrebbe a cercarla."

L'ex contabile sbiancò. "Che dice?"

"Sa cosa sto dicendo. Qualcuno ha sottratto denaro da questa azienda per quelli che potrebbero essere stati anni e ora questo è costato la vita al suo ex datore di lavoro e al suo erede. Come ex capo contabile, lei potrebbe essere un altro bersaglio nella lista di questa persona. Le suggerisco di svignarsela. Non dica a nessuno dove sta andando e tenga il telefono sempre con sé in caso di emergenza da parte sua o ulteriori domande dalla mia."

Pallido e tremante, il signor James strinse la mano di Sherlock, fece un piccolo inchino educato e se ne andò.

Sherlock aspettò che la porta d'ingresso si fosse chiusa dietro l'uomo prima di avvicinarsi alla finestra e guardarlo allontanarsi a piedi. "Se ha un po’ di buon senso, chiamerà un taxi un po' distante da qui,” rifletté.

Poi si voltò di nuovo verso John che lo stava guardando in attesa.

"Bene,” disse Sherlock. "Cosa ne pensi?"

John emise un basso latrato.

"Sì, di certo è stato inaspettato. Quante volte abbiamo avuto indizi preziosi che ci aspettavano proprio a casa nostra?"

Sorridendo, Sherlock continuò a camminare avanti e indietro. "Oh, è fantastico! Così tanti punti di vista! So che il figlio ha ucciso suo padre in una discussione. Ma era anche responsabile dell'appropriazione indebita? Suo padre si limitava a crederlo? Era quella la causa della discussione o stavano litigando per una questione non correlata? E se sì, chi è stato il responsabile della morte del figlio poche ore dopo? Vorrei che Lestrade si affrettasse e mi mostrasse le immagini della scena del crimine in modo da poter eliminare il suicidio dall'elenco delle possibilità."

Vide il modo in cui John inclinò la testa. "Non guardarmi così. Accoltellarsi alle spalle è perfettamente possibile, dipende da quanto disperatamente uno vuole che la cosa non sembri un suicidio e da quanto sia intelligente la persona in questione. Ero disposto ad ammettere che è improbabile la scorsa notte , ma considerando questo sorprendente colpo di scena, ora non darò nulla per scontato. No, dovrò vedere le foto il più presto possibile."

Sherlock tirò fuori il telefono e inviò un breve messaggio a Lestrade. "Forse possiamo chiamare un taxi per lo Yard, così posso dare un'occhiata immediatamente."

John uggiolò e scosse la testa, indicando la finestra con un cenno del capo.

Sherlock si voltò. Aveva cominciato a piovere. "E allora? È un po’ di pioggia, passerà."

La pioggia diventò più forte perfino mentre parlava e lui poté vedere nuvole nere che si avvoltolavano nel cielo. Non era il solito grigio malinconico della pioggia leggera e l’occasionale piovigginare da cui Londra era così spesso inzuppata. Quelle erano il tipo di nuvole che significavano guai.

Sherlock gemette. "Meraviglioso. Con un temporale sulla testa, sarà assolutamente impossibile prendere un taxi."

Come se fosse un segnale, iniziò a grandinare.

Sherlock lanciò un'occhiataccia alla finestra, sperando contro ogni speranza che la sua opinione personale potesse influenzare il tempo. Non poteva.

Con uno sbuffo, si gettò sul divano per tenere il broncio.

"Finalmente sta succedendo qualcosa di divertente, il caso sta facendo progressi meravigliosi, e poi dobbiamo proprio avere uno dei nostri rari temporali,” ringhiò. "È odioso sotto ogni aspetto, John.”

John gli uggiolò e si avvicinò, strofinando il naso sulla mano di Sherlock che penzolava dal divano.

Lui sospirò e girò la mano per accarezzargli il petto, che era la parte più vicina che poteva raggiungere.

"Almeno oggi tu hai già fatto la tua passeggiata," mormorò. "Immagina di uscire con questo tempo. I Toller dovrebbero amare l'acqua, ma penso che anche tu porresti il veto alla grandine."

John rispose scuotendo tutto il corpo con repulsione. Sherlock sentì gli angoli della sua bocca inclinarsi verso l'alto. "Ora, cosa ne faremo di questa orribile giornata?"


*****


Trascorsero la giornata oziando per l'appartamento e giocando a nascondino. Sherlock prendeva una delle palline da tennis di John e la strofinava con varie spezie che aveva dissotterrato da un cassetto in cucina e poi la nascondeva da qualche parte in casa perché John la trovasse solo dall’odore. Altre volte, riempì il kong di dolcetti e spedì John a cercarli, e i dolcetti erano il suo premio per aver trovato il kong.

La signora Hudson venne di sopra nel primo pomeriggio per guardare la televisione con loro e lei e Sherlock trascorsero il tempo a discutere delle persone nello show, una sorta di realtà sceneggiata che a Sherlock faceva perdere la speranza dell'esistenza di vita intelligente in generale e dell'umanità in particolare.

Quando la loro padrona di casa fabbricò una delle sue sigarette all'erba da condividere con Sherlock, John lanciò a entrambi uno sguardo severo.

"Oh, non fare così, John,” disse la signora Hudson, allungando una mano e picchiettandogli il fianco. "Lascia che una vecchia signora si diverta. E sai benissimo che è molto scortese non condividere."

John borbottò in tono basso, trasferendo la sua occhiataccia su Sherlock.

"Non guardare me, è scortese rifiutare qualsiasi cosa offerta dalla tua padrona di casa,” disse con prontezza Sherlock, accettando lo spinello dalla donna in questione con un sorrisetto. "Sarà molto interessante vedere come reagisce un cane al profumo di marijuana nell'aria.”

John appiattì le orecchie verso di lui e trotterellò con ostentazione verso l'altro lato della stanza dove si acciambellò nella sua cuccia, nascondendo il naso sotto la coda. Forse avrebbe potuto semplicemente dormire durante tutta quella faccenda e rivendicare l'ignoranza in merito, se interrogato a posteriori. Di certo adesso non poteva farci niente, a meno di non mangiare quella dannata cosa.

Alla fine, John dovette ritirarsi fino alla sua camera da letto per sfuggire al profumo penetrante dell'erba. Sapeva che la marijuana non era particolarmente dannosa e che le sigarette di Sherlock in realtà erano molto più nocive, ma qualcosa in lui si ribellava contro qualsiasi forma di uso di droghe ricreative. Non poteva certo rimproverare la signora Hudson, che sosteneva che fosse più salutare di qualsiasi farmaco antidolorifico che un medico potesse prescriverle per l'anca, ma si opponeva al fatto che Sherlock annebbiasse con quella roba la sua mente brillante.

Dato che nessuno dei due fece la minima mossa per fermarsi prima che l'intera canna fosse finita, John si ritirò al piano di sopra e si rannicchiò sul letto dove poteva sonnecchiare circondato dal proprio stesso profumo con il naso sepolto sotto un cuscino in modo che lo spinello non gli arrivasse così facilmente. Aveva persino spinto col muso la porta fino ad accostarla il più possibile senza lasciarla realmente chiudere. L'ultima cosa che voleva era essere rinchiuso qui e dover fare affidamento su Sherlock per farlo uscire. Sarebbe sembrato troppo come una punizione per aver protestato contro l'erba e onestamente non aveva idea di quale sarebbe stato il suo effetto su Sherlock. Forse avrebbe dimenticato che John aveva un problema con l'apertura di certe porte, forse si sarebbe del tutto dimenticato di lui e si sarebbe disconnesso, si sarebbe perso nel suo Palazzo Mentale, o avrebbe iniziato un ridicolo esperimento che avrebbe portato alla distruzione di un altro tostapane.

Rabbrividendo, John si raggomitolò un po’ più stretto e ascoltò il rumore della pioggia che cadeva fuori. Sembrava di stare proprio accanto a una cascata ma, guardando fuori dalla finestra, sapeva che in realtà non era altro che un forte acquazzone che si abbatteva sugli edifici e sui marciapiedi, e, in molti casi, sugli sfortunati abitanti della città.

Il rumore era quasi assordante. Dovette prestare molta attenzione per sentire la voce della signora Hudson mentre salutava Sherlock e scendeva le scale per tornare al suo appartamento.

Udì il rumore di una finestra che veniva aperta e aspettò mezz'ora prima di avventurarsi al piano di sotto.

Sherlock aveva spalancato una delle finestre del soggiorno che fortunatamente non era stata colpita dalla pioggia e aveva arieggiato un po’ la stanza. L'odore dell'erba era ancora lì, ma stava venendo rapidamente sommerso dal profumo di aria pulita e fresca, pioggia, pavimentazione bagnata e il solito profumo di gas di scarico delle auto che perfino la pioggia di un giorno intero non avrebbe mai potuto sradicare del tutto.

"Riesci ancora a sentirne l'odore?" strascicò Sherlock.

Era sdraiato sul divano, la vestaglia avvolta intorno a sé come un bozzolo di seta. Ogni suo arto sembrava sciolto e rilassato e John si chiese se questo fosse l'aspetto che aveva avuto Sherlock, nei giorni bui della sua tossicodipendenza.

John annuì, facendo guizzare le orecchie da una parte e dall'altra. Con la finestra aperta, il rumore della pioggia era ancora più forte di quanto non fosse stato al piano di sopra.

Trotterellò verso la finestra e si alzò sulle zampe posteriori, sostenendosi al davanzale con le zampe anteriori in modo da poter guardare fuori. La strada era deserta e c'erano poche macchine in giro, ma era normale per Baker Street. Poteva sentire i rumori delle auto su Marylebone Road, ma anche lì il traffico sembrava smorzato e meno intenso del solito. Le persone che non erano costrette ad andare da qualche parte tendevano a rimanere al coperto in questo tipo di tempo.

Respirò a fondo, godendosi l'aria pulita. Con questo naso, poteva effettivamente annusare la graduale diminuzione della percentuale di fumo d’erba nell'aria ed era glorioso. Sarebbe stato in grado di ritrovarne l'odore ovunque, ora che era stato immagazzinato nella sua mente, ma per ora veniva cancellato dall'appartamento poco a poco.

"Posso chiudere la finestra, adesso, o vuoi che prima mi congeli a morte?” chiese Sherlock dal divano. "Una reazione un po’ eccessiva, come forma di punizione."

Brontolando, John voltò le spalle alla finestra e saltò sul divano. Non avanzava molto spazio, con Sherlock che occupava così tanto della superficie a causa delle sue gambe irragionevolmente lunghe.

John trovò un punto, però, e non riuscì a darsi la briga di preoccuparsi che quel punto fosse giacere in mezzo alle gambe di Sherlock con la testa appoggiata sul suo addome.

"Non sono sicuro se tu stia cercando di tenermi al caldo mentre l’appartamento si arieggia, o se stia cercando di punirmi ancor di più esercitando pressione sulla mia vescica e rifiutandoti di lasciarmi alzare," rifletté Sherlock, allungando il braccio per accarezzare la nuca di John.

In risposta lui emise un lieve mugolio, silenziosamente sorpreso dalla propria capacità di produrre un suono del genere. Vibrò lungo la parte posteriore della sua gola e lui chiuse gli occhi in beatitudine alla sensazione delle dita di Sherlock nella sua pelliccia. Non si sarebbe mai stancato di questo, lo sapeva e basta. E in questa posizione il polso di Sherlock era in stretta prossimità del suo naso, quel suo profumo vicino e rassicurante, il suo battito cardiaco udibile attraverso il sottile strato di pelle.

Sherlock sospirò piano e rimase dov'era, le dita sulla nuca di John l'unica parte di lui che si muoveva, a parte il costante salire e scendere del petto.

Le orecchie di John si voltarono in direzione della finestra quando si rese conto che un'auto stava svoltando in Baker Street. Si fermò proprio davanti al 221b. Rimase dov'era, ascoltando le portiere che si aprivano e si chiudevano.

Un attimo dopo, il suono acuto del campanello infranse l'atmosfera calma.

"Non mi muovo da qui," lo informò Sherlock. "Non mi interessa chi sia, possono benissimo parlarmi mentre sono sdraiato."

La signora Hudson aprì la porta ed entrambi la sentirono salutare qualcuno. Un attimo dopo, la voce di Lestrade fluttuò su per le scale.

Sherlock sospirò. "Riesci ancora a sentire l'odore dell'erba? E, cosa più importante, pensi che lui possa?"

John alzò la testa abbastanza a lungo da scuoterla prima di tornare alla sua posizione precedente.

Immaginava che avrebbe dovuto alzarsi e andarsene, ma era troppo dannatamente a suo agio proprio dove si trovava. Era probabile che Lestrade sarebbe andato a nozze con la loro posizione attuale. Così com'era, li stava praticamente beccando a coccolarsi sul divano. In pieno giorno, niente di meno! Ma se Sherlock non ne era infastidito, perché avrebbe dovuto esserlo lui? Così rimase al suo posto.

Due paia di piedi salirono le scale, ma John sapeva già che Lestrade aveva portato Donovan. Aveva sentito il suo basso saluto alla signora Hudson. Ma dal momento che Donovan non aveva idea che John e il cane Johnny fossero la stessa persona, lei era ancora meno un motivo per alzarsi.

"Sherlock, ci sei?” chiese Lestrade, entrando nel soggiorno seguito da Donovan. "Accidenti, si gela qui dentro."

"A Johnny piace il profumo della pioggia," lo informò Sherlock, attirando la loro attenzione su di lui.

Lestrade diede uno sguardo all'intimo quadretto di loro due sul divano, aprì la bocca con un'espressione gongolante sul viso, lanciò un'occhiata a Donovan e rimase in silenzio.

Sally, d'altra parte, non riuscì tenere la bocca chiusa. "Wow, Holmes, così sembri davvero un essere umano."

"Ah, il mio travestimento funziona,” disse con prontezza Sherlock. "Grazie per la conferma. D'ora in poi farò in modo d’indossare sempre un cane. Che ne dici, Johnny? Camminare è comunque sopravvalutato. Ti trasporterò in giro tutto il giorno. O forse chiederò a due dei tirapiedi di Mycroft di portare questo divano ovunque."

John scodinzolò senza troppa convinzione in risposta.

"Pensavo che saresti stato in piedi a lavorare al caso,” disse Lestrade, apparentemente scegliendo di ignorare l’ambiguo spettacolo di fronte a sé. "Mi aspettavo quasi che tu avessi ricreato la scena del crimine proprio qui nel soggiorno."

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Inutile. Non ho nemmeno dovuto uscire dalla porta per occuparmi del caso. Quando Johnny e io siamo tornati a casa dalla nostra passeggiata questa mattina, il bandolo della matassa ci stava aspettando proprio qui in salotto."

"Che cosa?"

Sherlock sospirò e raccontò loro della visita del signor James e delle cose interessanti che aveva da dire sul signor Forsythe e la sua azienda.

"Quindi abbiamo a che fare con appropriazione indebita, un parricidio, un altro omicidio che è stato probabilmente commesso per coprire l'appropriazione indebita, e con ogni probabilità il nostro assassino non ha ancora finito. Devo dire, Lestrade, questo caso sta superando tutte le mie aspettative. E pensare che sulla scena del crimine l'ho considerata una faccenda noiosa e semplicissima!"

"Sono così felice che tu ti senta divertito da questo casino,” disse Lestrade, con voce grondante di sarcasmo.

"Grazie. Ora, hai portato le foto della scena del crimine del figlio?"

Lestrade lanciò un'occhiata a Donovan, che con riluttanza estrasse la cartella da una grossa borsa. "Ecco qua. Serviti pure."

"Grazie,” disse Sherlock, accettando il fascicolo e aprendolo con un gesto svolazzante.

Il campo visivo di John divenne giallo pallido quando fu costretto a fissare l'esterno della cartellina.

"Huh," mormorò Sherlock, sfogliando le fotografie assortite. "Interessante. Be’, questo di certo lo conferma. Sicuramente un omicidio. Mi stavo chiedendo se fosse possibile un suicidio da questa angolazione, forse nel tentativo d’incastrare qualcuno, ma questa ferita non è stata sicuramente autoinflitta. Ed è stato trovato a giacere a faccia in giù?"

"Sì," confermò Lestrade. "Steso sul pavimento della cucina con il coltello nella schiena in quel modo."

"Quindi non aveva modo di cadere all'indietro su di esso e poi girarsi sul pavimento. Ci sarebbe voluto tutto il suo peso per spingere la lama a quella profondità," notò Sherlock. "Pertanto, deve essere stato attaccato da dietro. Se si fosse lasciato cadere da solo sul coltello, sarebbe stato trovato sulla schiena o forse sul fianco. No, questo è stato sicuramente un omicidio."

"Be ', grazie per questa magistrale deduzione," gli disse con sarcasmo Sally. "Non so davvero come avremmo potuto capirlo da soli."

"Sto solo confermando una teoria," replicò Sherlock, per niente turbato dal suo atteggiamento. "Se fosse stato autoinflitto, voi avreste avuto dei problemi a capirlo."

"C'è qualcos'altro che puoi dirci?"

"Be', di sicuro ha ucciso suo padre, anche se è stata una cosa d’impulso, a giudicare dalla scena del crimine."

"Pensi che volesse impedire a suo padre di scoprire l'appropriazione indebita?” chiese Donovan, accigliandosi.

Sherlock le restituì il fascicolo e scosse la testa. "Se dietro c'era lui, chi lo ha ucciso e perché? No, penso che Forsythe junior avesse qualcos'altro da nascondere che non voleva che io, e per estensione suo padre, scoprissimo. Tutto verrà alla luce abbastanza presto ora, credo."

"Quindi qualunque cosa stesse nascondendo è qualcosa per cui vale la pena uccidere?"

"Agli occhi dell'assassino, certo, a meno che lui non sia stato ucciso dal malfattore."

"Oh bene," gemette Lestrade. "Questo restringerà il campo."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Scopriremo di cosa si tratta. Non appena questa deplorevole pioggia cesserà, vorrei che mi portaste sulla seconda scena del crimine. Forse l'appartamento della vittima mi dirà qualcosa di più. Se siamo fortunati, mi basterà per fare almeno un'ipotesi plausibile su ciò che il figlio stava cercando di nascondere.”

"Se lo dici tu. Vedrò cosa posso fare. Ma avvisami, Sherlock. Non posso mollare tutto e portarti in giro ogni volta che ne hai voglia. Ho anche altro lavoro da fare."

Con un sospiro teatrale, Sherlock annuì. "Va bene. Non sarà prima di domani, comunque. È già quasi sera e Johnny qui senza dubbio vorrà la sua cena e presto forse una passeggiata molto breve e bagnata."

John uggiolò in accordo, battendo la coda contro le gambe di Sherlock. Stava diventando affamato e una passeggiata suonava bene, anche se fosse stata una molto molto corta nel cortile sul retro in modo da potersi liberare.

Lestrade sogghignò. "Divertiti a bagnarti. Anche solo percorrere i tre gradini dalla tua porta di casa alla macchina ci farà mezzi inzuppare."

"Allora farai meglio a farla finita il prima possibile," suggerì Sherlock, agitando una mano sprezzante prima di rimetterla al suo posto precedente sulla nuca di John.

John divenne prontamente gelatina, il leggero massaggio di quelle lunghe dita sul collo e sul retro della testa troppo beato per fargli prestare attenzione al loro pubblico.

"Devo concedertelo,” disse a bassa voce Donovan. "Le tue abilità con le persone possono essere schifose, ma ti prendi davvero cura del tuo cane."

Sherlock, avendo chiuso gli occhi in un chiaro congedo, fece un sorrisetto. "Mia madre mi farebbe tagliare la testa se facessi altrimenti. Inoltre, i cani sono persone migliori. Non l'hai notato?"

"Sto iniziando a farlo,” disse lei. "Ci vediamo domani."

"Precedimi, Donovan,” disse Lestrade. "Voglio scambiare due parole con Sherlock in privato."

"Solo se mi dai le chiavi, così posso davvero aspettare in macchina. Non starò sotto la pioggia solo per farti fare due chiacchiere."

Il DI gliele lanciò e lei le acchiappò con una mano. John scoprì che i suoi occhi seguivano la loro traiettoria di volo e fu quasi deluso di vederle atterrare sane e salve nella mano di Donovan. Gli sarebbe piaciuto molto qualcosa da inseguire.

Aspettarono che Donovan se ne fosse andata prima che Lestrade parlasse di nuovo.

"Ascoltate, voi ragazzi state bene?"

"Sì, certo,” disse Sherlock, senza darsi la pena di guardarlo. "Perché non dovremmo star bene?"

"Be’..." Lestrade si dimenò un po’. "Voglio dire... guardatevi! La posizione in cui vi trovate adesso! Non credete di stare, non lo so, oltrepassando un po’ i confini? Incasinando le cose?"

Sherlock aprì un occhio per dargli un’occhiata confusa. "No. Perché dovremmo? Siamo chiaramente un uomo e il suo cane che trascorrono un bel pomeriggio insieme sul divano. Non vedo davvero perché tutto questo dovrebbe preoccuparti."

"Ma voi non siete solo un uomo e il suo cane," sibilò Lestrade a denti stretti. "E comincio a temere che lo stiate dimenticando entrambi. Perché il John che conosco non si farebbe beccare in questa posizione neanche morto." Gesticolò nella loro direzione.

John pensò che fosse un commento piuttosto offensivo sul suo carattere e lanciò un breve ringhio di avvertimento.

"Non credo che John sia d'accordo,” disse Sherlock con calma.

"No, penso che sia molto d'accordo, ma che non gli piaccia che io lo dica," ribatté Lestrade. "Le implicazioni praticamente si scrivono da sole, qui. John, se tu fossi nella tua forma umana, scommetto la mia misera pensione che non saresti in questa posizione in questo momento. Ed eccoti qui."

"Sei tu quello che ha suggerito che avessimo bisogno di più contatto fisico," scattò Sherlock. "E adesso d’improvviso non va più bene? Ti stiamo mettendo a disagio? Perché John può alzarsi in qualunque momento voglia e ha una vasta gamma di opzioni quando si tratta di farmi capire in modo chiaro la sua opinione. Quindi, a meno che non siamo io o lui ad obiettare al modo in cui gestiamo la situazione, andrò avanti e farò qualsiasi cavolo di cosa piaccia a entrambi e tu puoi tenere i tuoi commenti per te. Se questo non è chiedere troppo.”

L'ispettore investigativo alzò le mani in un gesto di difesa. "Bene. Ma penso che vi ritroverete entrambi con una grossa sorpresa una volta che John riacquisterà la sua forma, e sappiamo tutti chi sarà colto nel mezzo delle ripercussioni. Quindi forse pensaci la prossima volta che mi scatti contro perché sono preoccupato per entrambi."

Si scambiarono un’occhiataccia da una parte all'altra del soggiorno.

"Tutto qui?" azzannò Sherlock alla fine.

"No, in realtà,” disse Lestrade, incrociando le braccia e facendo uno sforzo visibile per calmarsi. "Volevo chiederti se hai sentito da Mycroft riguardo a... be’, questo. Ci sono stati progressi?"

Sherlock scosse la testa. "Non ancora. Ci vorranno almeno una o due settimane per trovare un antisiero e poi ci sarà un periodo di test per assicurarsi che non sia dannoso o abbia effetti collaterali indesiderati. Fino ad allora, tutto quello che possiamo fare è aspettare e andare avanti come abbiamo fatto."

Lestrade sospirò. "Va bene, allora." Fece un passo avanti e girò intorno al tavolino, allungò una mano e diede una pacca sulla schiena di John. "Resisti, John. Mi dispiace se sono sembrato un po’ duro poco fa. Sai che sono solo preoccupato per entrambi, anche se questo stronzo allampanato qui non sembra capirlo."

John gli uggiolò e si voltò per leccargli la mano.

"Scuse accettate," tradusse Sherlock, non del tutto in grado di nascondere il suo sorriso mentre Lestrade tirava via la mano con un "Ehi!” disgustato.

"Almeno uno di voi è ragionevole su questo,” disse Lestrade, scrollando le spalle. "Più di quanto avrei potuto sperare, davvero. Buona notte, ragazzi. Ricordati di chiamare in anticipo, Sherlock."

"Chiudi la finestra prima di andare?" chiese Sherlock.

Il DI alzò gli occhi al cielo, ma lo fece, lasciandoli soli nel loro appartamento che si oscurava mentre il vento girava e la pioggia iniziava a martellare contro i vetri delle finestre.


*****

 
Dopo che Lestrade se ne fu andato, trascorsero un'altra mezz'ora sul divano, ascoltando la pioggia che cadeva e senza muoversi oltre lo sbadiglio occasionale.

Dopo circa quindici minuti, Sherlock chiese piano: "Pensi che abbia ragione?"

John fece un verso interrogativo.

"Riguardo a noi che oltrepassiamo i confini," continuò Sherlock, cercando in qualche modo di tradurre in parole la propria confusione. "Non sono abituato a questo contatto fisico con nessuno, ma trovo che non mi dispiaccia affatto toccarti. Pensi che sarà difficile, tornare al modo in cui di solito ci comportiamo l’uno con l’altro una volta che sarai tornato nel tuo corpo umano? Pensi che avremo problemi ad adattarci?"

John sbatté le palpebre e fece quella che Sherlock ormai sapeva essere una scrollata di spalle.

Lui sorrise. "Non lo so neanch’io. Suppongo che lo scopriremo abbastanza presto. Nel frattempo... davvero non ti dispiace, dico bene?"

Invece di rispondere, John premette un po’ più saldamente la testa contro l'addome di Sherlock e chiuse di nuovo gli occhi.

"Lo prendo come un no, allora."

Sherlock si chiese se il sollievo che provava fosse in qualche modo evidente per John, si chiese se quello lo infastidiva. Si chiese anche da dove venisse. Perché avrebbe dovuto essere preoccupato per tutto questo? Erano amici. Al momento, uno di loro era un cane. Il contatto fisico era importante; i cani comunicavano principalmente usando il linguaggio del corpo, dopotutto. E Sherlock aveva sempre apprezzato la compagnia dei cani. Erano sinceri. Non erano nemmeno capaci di mentire. Non importava se gli piacevi o ti odiavano, si sarebbero assicurati che tu lo sapessi in entrambi i casi. Non era complicato e quindi per molti versi era preferibile agli umani, con i loro segnali contrastanti e la loro aspettativa che tu comprendessi le cose che non avevano detto.

Sherlock si rilassò di nuovo. No, questo era bello. Questo era puro, pulito e semplice. Non aveva mai sentito il bisogno di accarezzare John prima di tutto questo casino, dopotutto.

Be’, a volte avrebbe voluto allungare un braccio e afferrargli la mano, solo per aggrapparsi a qualcosa. Ma anche questo era molto semplice, e non aveva mai preso in considerazione di farlo davvero. E John di certo non gliel’avrebbe lasciato fare. Quanto a questo, anche adesso John non gli avrebbe permesso di toccarlo come stava facendo in quel momento, se in qualche modo avesse avuto da obiettare. Lestrade poteva andare a farsi fottere per averlo fatto dubitare di tutto questo.

Un altro quarto d'ora trascorse in tranquilla compagnia prima che Sherlock finalmente sospirasse e si tirasse su. "Va bene, scendi giù. Non so tu, ma io ho passato un intero pomeriggio con la tua testa sulla vescica e potrei trovare utile una visitina in bagno. E a giudicare dal basso livello dell'acqua nella tua ciotola, suppongo che sia lo stesso per te."

John si alzò, si stirò e saltò giù dal divano, avvicinandosi già alla porta.

Sherlock fissò la pioggia. "Visto che non stai prendendo il guinzaglio, suppongo che questo significhi che non hai intenzione di andare a fare una passeggiata, vero?"

John annuì.

Sherlock gli sorrise. "Va bene, dammi un minuto e ti aprirò la porta sul retro."


*****


John trascorse fuori a malapena cinque minuti e anche se aveva cercato di rimanere sotto il misero riparo del tetto a strapiombo, era lo stesso piuttosto bagnato quando superò Sherlock per rientrare in casa.

"Non c'è motivo di bagnarmi tutti i pantaloni," borbottò bonariamente Sherlock. "Aspetta qui."

Si precipitò su per le scale e prese un asciugamano, sapendo che sia John che la signora Hudson avrebbero avuto molto da dire su gocce d'acqua che attraversavano l'intera casa.

Con la salvietta in mano, Sherlock tornò e trovò John esattamente dove l'aveva lasciato, che gocciolava acqua sul tappeto e sembrava infelice.

"Andiamo, prima ti asciughiamo, a meno che tu non sia particolarmente ansioso di attirare l'ira della signora Hudson sulla testa di entrambi."

John gli sbuffò, ma rimase perfettamente immobile mentre Sherlock iniziava ad asciugarlo delicatamente con l'asciugamano, facendo attenzione a non tirargli accidentalmente la pelliccia. "Ecco, dovrebbe bastare. Vai di sopra e sdraiati davanti al fuoco per un po’, questo dovrebbe renderti bello asciutto."

John balzò su per le scale con un basso latrato, lasciando che Sherlock chiudesse la porta e lo seguisse a un passo più tranquillo.

Doveva ammettere che l'intera situazione era ridicolmente domestica. Non avevano litigato, anche se avrebbero potuto trovare infiniti modi per farlo. Non avevano ceduto alla claustrofobia nonostante il forte acquazzone, e in effetti entrambi sembravano essersi goduti appieno il loro pigro pomeriggio sul divano.

Sì, rifletté Sherlock, tutti i segni indicavano decisamente la felicità familiare. Peccato che uno di loro fosse un cane e l'altro un autoproclamato sociopatico.

Entrò nel soggiorno e trovò John sdraiato davanti al fuoco, che sembrava l'immagine stessa della vita domestica. Non era questo quello che chiunque desiderava? Una casa confortevole e un cane davanti al camino?

Sherlock ridacchiò tra sé. E pensare che lui, fra tutte le persone, l'aveva ottenuta senza nemmeno provarci!

Il suo stomaco brontolò e John alzò all’istante la testa e gli lanciò uno sguardo gioioso di trionfo a malapena represso.

"Questa è colpa tua," si lamentò Sherlock. "Non ho mai avuto fame così spesso fino a quando non hai iniziato a costringermi a mangiare per tutto il dannato tempo."

Chiaramente John non fu impressionato da quest'affermazione. Scodinzolo semplicemente contro di lui, il bastardo!

Oh be’, non c'era niente da fare. Non aveva altro da fare oltre a guardare la pioggia e riflettere sui possibili segreti che il signor Forsythe Junior avrebbe voluto nascondere a suo padre, quindi tanto valeva che preparasse qualcosa da mangiare. Almeno ci sarebbe voluto del tempo.

"Prima questa giornata finisce, meglio è," mormorò Sherlock. "Persino una pioggia di questo tipo non può andare avanti un giorno e una notte e poi continuare. Dovrà esaurirsi, prima o poi.”

 




NdT: Un delizioso intermezzo casalingo... e sono sempre più interessanti queste pose da relax sul divano, no? 🤣
   
 
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