Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Redferne    07/06/2021    4 recensioni
Tre fratelli.
E una tecnica segreta che rappresenta la summa, lo stadio ultimo di una disciplina millenaria dall'incomparabile potere distruttivo.
Ed il modo in cui essa coinvolgerà le loro vite, ed i loro rispettivi destini.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jagger, Kenshiro, Raul, Ryuken, Toki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 13

 

 

 

 

 

 

 

La stanza era fiocamente illuminata dai raggi del sole che penetravano dalle finestre, opportunamente regolati e filtrati dalle file orizzontali di forellini in comune dotazione a quel tipo di persiane. Che in quel momento giacevano lievemente serrate ed in posione semi – abbassata.

C'era, o meglio c'era una volta una grossa lampadina ad incandescenza posta al centro del soffitto.

E che proprio da lì scendeva, sorretta da un solitario intreccio di due fili elettrici, fino a fermarsi a circa un metro e mezzo di distanza dal suolo.

Solo una grossa lampadina mezza opaca e dal vetro sudicio, senza neanche lo straccio di un misero paralume che le facesse da complemento, guarnizione o che provvedesse quantomeno ad abbellirla o arricchirla.

Il più delle volte non veniva nemmeno usata. Questo fino a che qualche pezzo di stronzo non aveva deciso di spaccarla.

Grazie al preciso lancio di una sassata o con l'ausilio di qualche altro oggetto di tipo condundente, sempre gettato. O magari di un bastone o di una spranga.

Vallo tu a sapere, il perché.

Qualche pezzente che era in sbronza dura e che pensava di riuscire a smaltirla a quel modo. O che forse semplicemente era in fase di scazzo cronico e acuto o si annoiava, e riteneva che fosse un altrettanto valido metodo per farsela passare.

Vai tu a capire cosa frullasse nella zucca marcia e ripiena zeppa fino all'orlo di merda putrida che si ritrovavano certi coglioni.

I coglioni mischiati ed incrociati con gli scarti e coi cazzoni che in genere bazzicavano da quelle parti. E di cui lui spesso si circondava. Anche perché non gli era rimasto molto altro, purtroppo.

Doveva avere la calamita, cazzo.

Doveva proprio averci una specie di calamita interna, dentro.

Una stra – cazzo di calamita interna perennemente sintonizzata sulle frequenze di quei rifiuti, per attirarseli adosso così bene.

Una meraviglia, proprio.

Doveva avercela proprio la fissa per certa gentaglia, a quanto sembrava.

Tsk. Razza di idioti e di mongoloidi semi – analfabeti. Che non servivano e non gli servivano a niente, se non quand'erano belli che morti. E forse...nemmeno in quel caso.

Che a farne a pezzettini e brandelli i cadaveri per poi spargerli nei campi non ci si poteva nemmeno riuscire a concimarli.

Con tutto il veleno che avevano in corpo c'era da scommettere che non sarebbe venuto su nulla.

Qualunque cosa si sarebbe potuta seminare...sarebbe morta ancora prima di nascere. Ancora prima di far fuoriuscire le sue gemme dal terreno.

A quella gente le radiazioni gli avevano preso il sangue. Il loro sangue le aveva assorbite per intero.

Se solo si provava a cremarne i cadaveri, tra quello e tutto l'alcool da quattro soldi che tenevano in pancia ed in corpo, bruciavano nel giro di un istante.

Andavano in combustione che era una bellezza.

Gentaglia. Feccia. Buoni solo ad uccidere. E basta.

Talvolta non ci provava nemmeno più gusto, quando ogni tanto si decideva a farne fuori qualcuno.

Nulla gli dava più gusto, ormai. Solo...

Solo il sapore del sangue. Del sangue che versava e che faceva scorrere. E che di tanto in tanto persino trangugiava, in maniera più o meno consapevole.

Perché al punto in cui era e stava qualunque cosa bevesse, mangiasse, assaggiasse...o che si fumava o che si scopava sapeva di sangue.

Solo di quello, e basta. Nient'altro.

Aveva l'impressione che persino quel che ascoltava e vedeva, o quello di cui parlava...sapesse di sangue.

Sangue, sangue, sangue.

Da una parte li capiva, a quel branco di pezzenti.

Lo comprendeva benissimo, il fatto che non avessero una ragione o un motivo ben precisi per squartare e trucidare. Neanche lui, in fondo...

Neanche lui ce l'aveva una ragione, quando lo faceva.

Nenache lui ce l'aveva quando faceva anche lui quel che loro facevano.

La stessa cosa.

AMMAZZARE.

Non ce l'aveva nemmeno lui, un motivo. Se non che prima di farlo lo pigliava all'improvviso quell'istinto, quell'impulso irresistibile ed irrefrenabile di tagliare, e mutilare. E di distruggere.

Era un istinto irrinunciabile quello che lo prendeva, quando lo prendeva. A cui non sapeva mai resistere.

Gli piaceva, ecco la verità.

Almeno quasi quanto quello che ora lo stava spingendo a fare quello che stava facendo ed in cui era impegnato a fare adesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La moto si trovava proprio nel mezzo della suddetta stanza, proprio sotto alla salma della fu lampadina, defunta da un pezzo. Al termine di neanche mezzo secondo di onorato servizio.

Due cocci rimasti attaccati al bordo inferiore del perno filettato da avvitare per assicurarla alla base.

Che vi fosse o non vi fosse stata...nessuno se ne sarebbe accorto.

Proprio come avrebbe potuto dire di certi, inutili individui.

Di UNO, in particolare.

Ma questo non valeva di certo per il suo amato bolide, con l'apposita stampella laterale tenuta ben estesa a sorreggerla. Bella dritta, e lievemente inclinata verso l'interno di qualche grado.

Il telaio era completamente smontato in ogni sua componente, e così il blocco motore che lo racchiudeva e che lo proteggeva dagli ammaccamenti di fortuiti e possibili urti e dall'erosione degli agenti esterni.

I vari pezzi giacevano sul pavimento, ma nient'affatto sparpagliati.

Erano disposti secondo un ordine ben preciso, che rispettava in pieno la sequenza di montaggio.

Lo stesso ordine che avrebbero avuto una volta rimessi al loro posto e recuperata la loro posizione originaria. Così non si sarebbe confuso.

Un libretto di istruzioni sulle parti, meccanismi ed ingranaggi interni di un vano motore non avrebbe saputo fare e mostrarli meglio di così.

Un autentico lavoro da manuale. Davvero.

Il pulviscolo si alzava dai vari punti in cui giacevano, essendo la parte inferiore del locale composta dalla nuda terra, e basta. Una volta sollevato, veniva messo in evidenza dalle stille e dagli spiragli della luce del sole che in quel momento era giunto quasi a tre quarti della sua corsa quotidiana, essendo pieno pomeriggio.

Piccle scintille luminose, che splendevano esattamente come chi le illuminava. Peccato solo che...

Peccato solo che non gliene importasse nulla.

Non si curava, non si interessava di queste cose. Era come cieco, quando veniva messo dinnanzi ad esse.

La bellezza...era inutile. Alla pari di certi esseri umani.

Di UNO, in particolare.

Era già la quarta volta che lo rifaceva, quel giorno. Aveva appena finito anzi, non aveva fatto a tempo a finire che già era bello che pronto per ricominciare. Un'altra volta.

Nemmeno aveva voluto prendersi il giusto tempo per fermarsi a rimirare il bel lavoro svolto, a momenti.

Un'altra volta. L'ennesima.

Smontava il corpo centrale del suo mezzo in ogni sua parte, le metteva giù e una volta completata l'opera passava a pulirle. Con uno strofinaccio dall'aria alquanto lisa e sudicia.

Ma la cosa non costituiva poi questo grosso problema, in fondo.

Con quel che usava lui, per nettare e lustrare...andava bene qualsiasi cosa. Qualunque.

Persino della carta igienica, in mancanza di meglio. E pure usata.

Era il liquido, a contare. Non quel che si usava per nettare.

Il liquido che si era preparato apposta, e da solo, era a dir poco eccezionale.

La soluzione, con la quale aveva provveduto a riempire fin quasi all'orlo una piccola tanica dalla forma tipica, era una mistura a base di gasolio, lubrificante per motori e trielina purissima.

Un prodotto assolutamente eccezionale, a dir poco.

Davvero ottima, per lucidare. Ma anche per riempirci le bottiglie incendiarie, all'occorrenza.

Una volta appicciate e lanciate, quando si spaccavano addosso all'imbecille di turno, la roba che contenevano gli si attaccava ed appiccicava alla pelle che era una meraviglia. E una volta che prendeva fuoco gli smangiava le carni fino all'osso.

Meglio di qualsiasi altro fluido infiammabile usato in guerra o in guerriglia.

Quasi meglio del napalm, a momenti. E meno male, visto che ormai era pressoché impossibile da recuperare.

Dopo l'ultima guerra qualche ricordino, qualche residuato e rimasuglio lo si poteva ancora trovare in giro, nei ventri e negli scheletri di qualche palazzo, anfratto o percheggio sotteraneo. Sotto forma di qualche bastardo appartenente alle truppe d'assalto o sterminatrici. Ancora in casco e tuta ignifuga e ad ossigeno, dotato di lanciafiamme e col serbatoio ancora bello pieno.

Ai tempi si credeva che fosse un'arma efficace. E lo era, finché si trattava di rastrellare e di passare al setaccio la zona dopo averla conquistata. Per disinfettarla da eventuali superstiti.

Per STERILIZZARLA DAI BACILLI, così si soleva dire.

Già. Proprio così. Peccato solo che...peccato solo che i bacilli in questione fossero germi a DUE GAMBE.

Arrostirli sotto agli occhi di tutti poteva servire da crudele monito per chiunque fosse riuscito a sfuggire all'attacco. Per fargli vedere quale sarebbe stato il suo destino, in ogni caso. Sia che avesse voluto riprovarci oppure no, a combattere e a fronteggiare di nuovo il nemico.

Ma alle volte capitava che qualcuno rimaneva. Qualche cecchino piuttosto coraggioso e temerario, oppure completamente pazzo. Ognuno decida di interpretarla a suo modo e come meglio ritiene e preferisce.

In genere qualcuno impazzito per la rabbia e il dolore di aver visto i propri cari e la propria famiglia finire brutalizzati e trucidati. Non necessariamente in quest'ordine.

E ci tenevano a sparare le loro ultime cartucce, prima di raggiungere i loro cari estinti a loro volta dopo esser stati crivellati dai colpi per aver rivelato la loro presenza in maniera così inopportuna quanto improvvida.

Ma se prima di morire gli riusciva di piazzare il classico colpo fortunato...allora diventava un autentico gioco da ragazzi.

Bastava un buco. Un semplice foro sulla tuta ignifuga. Era più o meno l'equivalente di un buco fatto sul costume di un palombaro mentre si trovava alle prese con un'immersione nelle profondità degli abissi.

Bastava un buco. Nient'altro che quello. L'ossigeno fuoriusciva, faceva reazione con le fiamme allo stato liquido causate dal fluido infiammabile sparato dalla canna dell'apposita pistola pressurizzata e...i tizi in tuta finivano bruciati vivi. All'interno delle loro stesse tute, quelle tute che almeno in teoria avrebbero dovuto proteggerli. E che a quel modo si trasformavano in una trappola letale. Che garantiva la più atroce delle morti.

Lentissima e molto, molto dolorosa, come tutte le morti per ustioni. Ma se erano abbastanza fortunati...forse nemmeno se ne accorgevano, in alcuni casi.

Dipendeva tutto dalla velocità di propagazione.

L'ossigeno puro, a determinate condizioni, é una delle cose più infiammabili che esistano.

Una volta che prende e lo si riesce a far incendiare...sviluppa delle fiamme bianchissime.

Delle fiamme al calore e di colore bianco accecante, da decine di migliaia di gradi in scala Celsius, che inceneriscono di colpo e all'istante qualunque cosa avvolgano.

E dipendeva anche dalle dimensioni della vittima.

Chissà...forse, se eri abbastanza grosso, riuscivi ad accorgerti di quei due o tre secondi in cui stavi morendo. Almeno quanto se ne doveva rendere conto una panciuta e pelosa falena fritta dalle barre azzurrognole di una lampada insetticida.

Ogni tanto ci pensava. Immaginava le grida di quei tizi mentre si carbonizzavano dentro alle loro divise. E l'idea lo eccitava.

Valeva anche per le falene. Anche di loro si immaginava i flebili urletti. E a dirla tutta...quella scena, oltre a farlo godere, gli metteva sempre anche un certo qual appetito.

Anche se abbrustoliti a morte, quei tizi potevano risultare comunque utili. Almeno in apparenza.

Le loro tute erano ignifughe, si era detto. Una volta che nel rivestimento interno non era rimasto più nulla da bruciare, si rivolgevano e tornavano verso l'esterno. Dove il tessuto a base di amianto ed asbesto faceva il suo sporco lavoro, soffocando il fuoco e spegnendolo nel giro di pochi, pochissimi istanti.

Quel che vi era dentro veniva ridotto ad una purea nera di zolfanelli. Ma in tal modo il contenitore portatile con tanto di cinghie e di bretelle ascellari, pari a quelle di uno zaino, rimaneva pressoché intatto.

Così quel che ancora conteneva lo si poteva recuperare. E riutilizzare.

Ma le cose non é che andassero proprio così come la si racconta.

Erano passati tanti anni. Il liquido infiammabile aveva perso tutti i suoi ottani, ed era divenuto esausto.

Era ridotto ad una scoria, ormai. Nient'altro che una scoria.

Inutile ed inservibile. Nemmeno buono per scaldarci la zuppa.

A ritmi regolari prendeva la piccola tanica per il manico piazzato sopra alla parte superiore, la inclinava in avanti e ne versava un fiotto sul panno che teneva nell'altra mano, fino ad inzupparlo.

E poi riprendeva a sfregare con cura ed attenzione certosina il pezzo che stava lucidando, fino a renderlo lucente e a farlo splendere come uno specchio su cui si stava riflettendo un qualsivoglia genere di sorgente luminosa.

Non la lampadina, visto che era rotta. E non quella generata dal sole, visto che i raggi che penetravano lì dentro erano si troppo deboli e fiochi. Appena sufficienti da rischiarare quel posto, che aveva deciso di adibire a sua officina privata e personale.

Ci si poteva riflettere, dal tanto che li rendeva lindi. Quasi ad un passo dal farli diventare trasparenti, anche se non erano certo di vetro.

Faceva la stessa cosa che stava facendo a quel pezzo con ogni singolo pezzo che si trovava lì.

Ogni biella. Ogni pistone. Ogni cilindro. Ogni ingranaggio. Ogni rotella. Ogni cuscinetto.

E una volta finito...rimontava tutto. Per poi rismontare di nuovo e ricominciare tutto quanto da capo.

Era già la quarta volta che lo rifaceva, quel giorno.

Avrebbe potuto andare avanti fino all'indomani, come minimo. Fino a dopodomani. Fino alla settimana o anche fino al mese prossimo. Fino all'anno venturo, persino.

Fino all'infinito, addirittura.

Ogni tanto i suoi sottoposti gli lanciavano qualche occhiata strana, intanto che di sfuggita lo osservavano mentre era tutto preso ed assorto in quella sua sorta di strano quanto bizzarro ed inusuale rituale.

Ma nessuno si degnava di dirgli qualcosa. Perché era e restava il loro capo, in fin dei conti. E poi...

E poi chi mai oserebbe, farlo? Chi mai potrebbe osare, con uno come lui?

Chi mai potrebbe osare dire qualcosa, al grande e leggendario Jagger?

Però, alle volte...qualche volta persino lui pensava che quel che stava facendo non fosse altro che una grossa, grossissima, emerita stronzata. Ma nonostante questo...

Nonostante ciò non poteva farne a meno. Non poteva assolutamente fare a meno di continuare.

Di farlo e di rifarlo. E di rifarlo ancora. E ancora, e ancora e ancora. E poi ancora.

Tsk. Che pensassero pure quel che volevano e che meglio gli pareva, quel branco di imbecilli.

La maggior parte degli idioti e dei babbei che dispongono di una moto si limitano a guidarla, e basta.

Sanno solo farla scorrazzare avanti e indietro lungo le strade polverose, deserte ed assolate. Nient'altro che quello. Ma se si presentava un problema o qualche grana...non sapevano assolutamente cosa farci.

Non sapevano proprio che razza di pesci pigliare, ecco la verità. E quindi...non rimaneva loro altro da fare che rivolgersi a qualche meccanico specializzato.

La vecchia mentalità che se non si é capaci di fare qualcosa, basta pagare. E che é suffciente trovare qualcuno che é capace di farlo, o che é quasi sicuramente più capace di noi, e che metterà le sue capacità al nostro servizio in cambio del giusto compenso e della corretta remunerazione per il lavoro svolto.

Più o meno impeccabile che fosse, verrebbe da aggiungere. Perché non sempre si dimostravano in gamba come asserivano. Anzi...

Spesso il risultato ottenuto contraddiva la bontà del loro lavoro.

Aveva ragione.

Suo fratello maggiore Raoul aveva pienamente ragione.

Stava per nascere un mondo nuovo, ed occorreva prepararsi per poterlo affrontare al meglio. E crearsi così delle buone e soddisfacenti opportunità e prospettive.

Bisognava abbandonare, superare certe idee preconcette.

Proprio comel'idea di pagare per ottenere, per l'appunto.

Tutto questo faceva parte di una mentalità ed una logica che ormai iniziavano ad essere vecchie ed obsolete. Proprio come certi concetti sulla successione e sull'assegnazione dei titoli e del patrimonio famigliare, nonché delle eredità ad esso annesse.

Col mondo che stava per arrivare, che aveva già iniziato a fare capolino...ben presto di gente che ne capisse qualcosa di moto, macchine e di motori in generale, di gente che ne capisse PARECCHIO, di quella roba, ne sarebbe rimasta in giro ben poca. Quasi nessuno.

Occorreva imparare ad arrangiarsi da soli.

Riuscire, essere in grado di riparare e di effettuare un'adeguata manutenzione sullla propria moto e sul proprio veicolo sarebbe risultato altrettanto importante dell'essere abili a guidarla e manovrarla.

Tenere il proprio mezzo in ottime condizioni conta tanto quanto saperlo usare.

Se si affida un bolide a un cretino, le sue prestazioni saranno sempre ridotte al minimo. Non c'é niente da fare.

Lui, dal canto suo...della sua moto se ne occupava da solo. Non permetteva a nessuno, proprio a nessuno, di metterci le manacce sopra.

Gliele avrebbe mozzate di netto, a chiunque si fosse anche solo permesso di provarci.

La sua moto. L'unico essere di cui si fidasse appieno.

L'unico essere che non lo avrebbe tradito mai.

Per quante volte la si potesse smontare, per quante volte la si potesse rompere, per quante volte la si potesse distruggere...

Per quante volte la si potesse UCCIDERE...la si poteva sempre ricostruire.

Si fosse potuta fare la stessa cosa con gli umani...

Gli uomini non davano le stesse soddisfazioni. Non gli davano lo stesso genere di soddisfazione.

Una volta uccisi, non li si poteva più rimettere insieme.

Un vero peccato.

Già. Proprio un vero peccato.

Si dice che gli uomini vivano dstruggendo. E ad un mondo come questo...un potere che consentirebbe e permetterebbe di ricostruire tutto daccapo e come nuovo sarebbe davvero la cosa più bella che possa esistere.

Ricostruire qualcosa. Per poi poterlo nuovamente distruggere. E poi ancora, e ancora e ancora. E poi ancora.

Ma sembra proprio che quando una vita se ne vada, niente e nessuno la possa riportare indietro da dove va a finire. Ma forse...

Forse il successore può.

Forse il successore della Divina Arte della Scuola dell' Hokuto Shinken può riuscirci.

Per il successore, che conosce e governa gli tsubo, tutti gli tsubo dell'organismo umano...nulla é impossibile.

Forse può arrrivare addirittura a sconfiggere la morte.

Perché no? Dopotutto, ricevendo il Sacro Pugno dell' Orsa Maggiore, é come se ricevessero i poteri del Dio della morte. I suoi stessi poteri.

E se ciò é vero...allora poteva darsi che avrebbe potuto arrivare ad uccidere la morte stessa.

Essere in grado di dispensare dalle sue mani la vita e la morte a proprio piacimento. Far rivivere per poi uccidere di nuovo. E ancora, e ancora e poi ancora. In una spirale senza fine. E senza più nemmeno l'inizio, a quel punto.

Era proprio quello che avrebbe tanto voluto scoprire. E che avrebbe senz'altro scoperto, una volta diventato il nuovo ed ultimo reggente.

E non vedeva l'ora di farlo. Di scoprirlo.

Intanto...andava avanti a pulire, lucidare e lubrificare.

Gli piaceva farlo. Avrebbe potuto andare avanti per delle ore.

Tenere una moto in perfette condizioni richiedeva una pratica assidua e costante.

Quasi quanto l'allenarsi nelle arti marziali. Se non di più, addirittura.

E ultimamente, forse, dedicava più tempo a quello che all'addestramento. Ma ormai aveva raggiunto una maestria tale nelle tecniche della Divina Scuola di Hokuto da non rendere più necessario quel continuo e tedioso ripetersi di mosse su mosse.

Decine, centinaia, migliaia di volte al giorno. Sino a crollare a terra esausti.

In realtà non esistono segreti, nelle arti marziali.

Non c'é nessuna tecnica segreta, ma solo la normale e quotidiana preparazione portata sino all'estremo.

Anche se quelle mortali come l' Hokuto Shinken, progettate per avere come unico scopo il totale annientamento dell'avversario, ne possedevano.

Tecniche dimenticate e celate.

Segrete, per l'appunto. Dalla forza distruttiva e devastatrice assolutamente unica, al punto che una volta usate nulle rimaneva più come prima.

Tecniche in grado di distruggere cose e persone mediante il tocco di un solo dito su pochi millimetri di superficie vulnerabile ed esposta. O persino senza che vi fosse alcun bisogno di sfiorare il bersaglio designato.

Tecniche che venivano tramandate e rivelate unicamente a chi si rivelava degno.

Al successore. E quindi...

A lui.

Non appena sarebbe diventato il reggente, quelle mosse segrete sarebbero diventate sue. Tutte sue.

Solo e soltanto sue. E di nessun altro.

All'improvviso...udì dei passi.

Gente che sopraggiungeva. Gente in avvicinamento.

Andò avanti a pulire, affettando indifferenza.

Non ci teneva a rendere pubbliche e visibili le proprie emozioni, anche se dentro era a dir poco in tumulto.

Si sentiva ribollire e fremere di gioia e di impazienza.

“Signor Jagger!!”

Ecco la conferma. Ed era arrivata proprio con quella voce. Il fatto che lo stessero chiamando era già di per sé fin troppo eloquente.

Erano lì per lui.

Chiunque stesse arrivando...stava arrivando da lui.

Dovevano essere quegli imbecilli dei suoi uomini. Aveva raccomandato loro di non disturbarlo assolutamente, mentre era assorto nel suo lavoro. A meno che non vi fossero notizie o novità importanti o di rilevanza assolutamente fondamentali e non rinviabili.

Era stato tassativo. E chiunque non rispettava gli ordini pagava pegno.

Con la propria vita.

Questa era la legge. La SUA legge.

“Signor Jagger!!”

Di nuovo. Ormai non vi era più alcun dubbio, e nemmeno aveva più motivo di doverne nutrire.

Il fatto, già il solo fatto che stessero mettendo deliberatamente a repentaglio le proprie miserabili ed inutili vite sfidando uno dei suoi stessi diktat esplosi con concitata veemenza, e a cui aveva fatto seguire i fatti per farlo meglio capire a tutto l'interlocutorio massacrando con le sue stesse mani il coglione di turno che aveva osato disobbedirgli...

Tutto questo non poteva che significare una cosa.

Era fatta, ormai.

Suo padre doveva essersi deciso, finalmente. Ed aveva deciso, quindi.

Aveva preso finalmente la solenne e sacrosanta decisione. Quella che stava aspettando da settimane. Da mesi. Da una vita intera, forse.

Da quando lo aveva adottato ed aveva preso ad allevarlo.

L'unica decisione possibile. E adesso...

Adesso i suoi uomini stavano venendo a comunicargli la lieta novella.

Non stava davvero più nella pelle, e sentiva letteralmente mancargli il terreno sotto ai piedi.

Non poteva proprio più attendere.

No, non ce la stava facendo proprio più a rimanersene lì fermo ad aspettare.

Era quasi sul punto di alzarsi in piedi e andargli incontro lui stesso, quando il portone si spalancò e i suoi uomini fecero irruzione nel locale, con aria trafelata.

“Signor Jagger!!”

“Signor Jagger!! E' successa una cosa terribile!!”

“Purtroppo é accaduto quel che temevamo!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

No.

Non era possibile. Non poteva essere.

Non poteva essere successo davvero.

Non poteva essere accaduto un simile disastro. Perché quello, era.

Un autentico disastro. Una tragedia. Una catastrofe.

Non poteva essere vero. Come...

Come diavolo aveva fatto? Come aveva potuto?!

Come aveva potuto fare una cosa del genere?!

Come aveva potuto? Proprio suo padre, per giunta!!

Proprio lui, che era suo padre!!

Come aveva potuto fargli una cosa simile? Come aveva potuto fargli un affronto del genere?!

A lui!!

Proprio a lui!! Che era il suo figlio prediletto ed il suo allievo più forte!!

Era mai possibile che non capisse?!

Era davvero possibile che non si rendesse conto di quel che stava facendo? Di quello che aveva appena fatto?!

Forse aveva sopravvalutato suo padre. Aveva confidato troppo nelle sue capacità di giudizio.

Dopotutto...si dice che l'età che avanza ed il tempo che passa facciano dell'uomo, di ogni uomo, un saggio.

Molto nobile, si. Certo. Peccato solo che la realtà sia ben diversa, e che contrasti completamente con quell'immagine così epica ed edificante.

L'uomo in sé...non é poi questo gran che. Fatta debita e dovuta eccezione per l'Imperatore. E per il successore di Hokuto chiamato a difenderlo e a proteggerlo.

La verità é un'altra. E ben altra.

L'età che avanza ed il tempo che passa non fanno dei saggi. Fanno solo dei disgustosi e putridi vecchi. Annebbiano ed offuscano la presenza e la lucidità mentale.

Capita a tutti, presto o tardi.

Tutti si rincoglioniscono, prima o poi.

E suo padre, che ormai stava imboccando il viale del crepuscolo e del tramonto della vita, e che di fatto aveva rinunciato al ruolo di reggente decidendo di abdicare e di consegnarlo al successivo depositario...ormai non era più l'uomo più forte del mondo. O almeno così come lui se lo ricordava, ed era abituato da sempre a vederlo.

Aveva smesso di esserlo. Ormai stava tornando, era tornanto ad essere un uomo normale.

E pertanto...nemmeno lui era un'eccezione. Non la costituiva più, l'eccezione. Aveva smesso di esserlo, ormai. E...

Aveva sbagliato.

AVEVA SBAGLIATO.

Aveva sbagliato anche lui. O forse...

Forse la colpa non era sua. Non era sua la colpa di quanto stava accadendo e di quanto era accaduto, ma di qualcun'altro.

Di quel bastardo.

Quel lurido bastardo infame. Quello stronzetto infernale.

Aveva ragione. Aveva ragione a odiarlo.

Aveva avuto ragione ad odiarlo e disprezzarlo così tanto. Da sempre. Dal momento in cui aveva messo piede nel maniero, e all'accademia.

Non lo aveva mai sopportato. E non gli era mai piaciuto. Dal primo istante in cui lo aveva visto.

Se lo sentiva. Se l'era sentito. E lo aveva sempre saputo.

Lo sapeva che da quell'infido moccioso non sarebbe mai potuto venire fuori nulla di buono. E che avrebbe portato solo una gran sfortuna.

Da quel figlio di puttana sarebbero venute solamente disgrazie, e basta.

Solo quelle, e nient'altro. Ed infatti...

Infatti ne erano venute. E ne stavano venendo. E ne sarebbero venute ancora. E ancora. E poi ancora.

A lui, e a tutta la sua famiglia. Ai suoi due fratelli e a suo padre.

Hai capito, lo stronzetto. Con quella sua aria da innocentino che gli dava così tanto fastidio, e che lo urtava oltre ogni dire.

L'aria da finto innocentino che però la sapeva lunga. Molto, molto lunga. E adesso...

Adesso il ragazzino tanto ingenuo e candido aveva finalmente gettato la maschera, e mostrato il suo vero volto. E le sue reali intenzioni.

Voleva spodestarli, e prendersi tutto quanto per sé.

Voleva esautorare suo padre. I suoi due fratelli maggiori.

LUI.

Chissà cosa gli aveva detto, al suo maestro. Chissà che razza di discorsi gli aveva fatto.

Doveva avergli riempito la testa di un mucchio di stronzate del cazzo, a furia di insulse ed inutili chiacchiere.

Se l'era lisciato, arruffianato ed oliato per benino. E alla fine...ci era riuscito.

Doveva essere riuscito a tirarselo dalla sua parte. Magari approfittando di un suo momento di scarsa lucidità e presenza di sé.

Mentre lui, Raoul e Toki si spaccavano la schiena a suon di allenamenti massacranti, quel piccolo e ignobile pezzettino di merda era solo buono di stargli dietro alle sottane del suo saio a leccargli i piedi e il culo.

Ed ecco il bel risultato.

Avrebbe dovuto ammazzarlo, quella carognetta.

Avrebbe dovuto farlo fuori quando ne aveva avuto l'occasione. E gliene aveva fornite già tante di quelle volte, quel buono a nulla. Perché la differenza tra loro due era fin troppo evidente.

Poteva liquidarlo come e quando avesse voluto. Però...

Però non lo aveva mai fatto. Perché...

Perché ci godeva troppo a pestarlo, umiliarlo, maltrattarlo e torturarlo tutte le volte. Ogni volta.

Ma, sul più bello...

Proprio sul più bello esitava. Finiva sempre, invariabilmente con l'esitare, al momento decisivo.

Aveva esitato. Ed aveva compiuto un errore imperdonabile.

Ai serpenti bisogna schiacciargli ben bene la testa, quando li si cattura. Altrimenti...potrebbero mordere di nuovo.

Avrebbe dovuto ucciderlo già da tempo. Non lo aveva fatto. Ma...

Ma poteva sempre rimediare adesso.

Ed era proprio per questo motivo, che ora si stava dirigendo a passo spedito dove ben sapeva di trovare quell'imbecille e inetto del più piccolo tra i suoi fratelli adottivi. Di cui non voleva nemmeno pronunciare il nome, per evitarsi un travaso di bile.

Al solo pronunciarlo...si sentiva inquinare la bocca. Come se lo avessero immobilizzato e costretto con la forza ad inghiottire una manciata di sterco molle e fumante.

Pesante, da masticare. Ancor più da digerire.

Si dovevano essere tutti quanti rimbambiti.

Si erano tutti rincoglioniti, ecco la verità.

Suo padre Ryuken. Raoul. Toki. Tutti quanti.

Avevano perso il senno.

Suo padre ad insignire quel minuscolo frammento di vomito di verme di un onore così grande, e per giunta in maniera totalmente immeritata.

Un onore e un compito fin troppo grandi, per capacità così infime e scarse.

Un onore che non avrebbe retto. Che non avrebbe potuto mai reggere, e che avrebbe finito per schiacciarlo e farlo morire sotto al suo stesso peso.

Tsk. Che crepasse pure, per quel che gli importava di lui.

Ma la Divina Arte di Hokuto...no, la Scuola di Hokuto non poteva morire.

Non poteva finire così. In simili mani...

In mani tanto disgraziate sarebbe finita in modo ben misero.

Sarebbe stata la fine, per la sua tecnica.

Non doveva, non poteva succedere.

Suo padre doveva essere ammattito. Il male al cuore gli doveva essere arrivato fino al cervello.

O forse, visto che ormai non doveva restare poi molto...aveva finito per contrarre la classica demenza senile.

Nulla di cui meravigliarsi. Capita anche ai grandi.

Ma in quanto agli altri due...Beh, gli altri due non avevano la benché minima attenuante che potesse giustificarli, a tal riguardo.

Si era recato al piccolo tempio da Raoul e da Toki, suoi fratelli maggiori, per convincerli a fare qualcosa. E per portarseli dietro, costringendoli a seguirlo nella sua spedizione punitiva.

Niente. Era stato tutto inutile.

Quei due non avevano mosso un solo dito.

Non avevano fatto altro che rimanersene entrambi a gambe incrociate e a mani in grembo, in posizione meditativa.

Totalmente immobili ed impassibili. Ed permeabili a qualsiasi stimolo o esortazione.

Che si fottessero.

Che andassero a farsi fottere, tutti quanti.

Suo padre. Raoul. Toki. E pure QUELLO LA'.

Che se ne andassero al diavolo. All' Inferno. E a fare in culo, già che c'erano.

Si dovevano essere rincoglioniti. Si erano rincoglioniti tutti quanti, senza alcun dubbio.

Ma lui...beh, lui no.

NO.

Lui ci vedeva ancora chiaro. Ed aveva saputo intuire l'estremo pericolo che si stava profilando all'orizzonte.

La Scuola di Hokuto, di questo passo, non aveva alcun futuro.

Non avrebbe avuto più nessun futuro.

Ma non tutto era perduto.

Spettava a lui, provvedere.

Glielo avrebbe ridato lui, un futuro.

L'incarico del successore é di rimettere le cose in ordine e a posto.

E lui, che tra i candidati selezionati era il più palpabile...

Lui che era il predestinato a diventarlo poiché nessun altro, nessuno più di lui era degno di ereditare la tecnica più potente dell'intero pianeta...la sapeva bene, quel che c'era da fare.

Avrebbe dovuto pensarci lui. Era il suo compito, in quanto futuro reggente.

E ci avrebbe pensato lui.

La Tecnica dell' Hokuto Shinken stava per finire nelle mani sbagliate. E toccava a lui sigillare quelle mani e quei pugni, prima che fosse troppo tardi.

Troppo tardi per tutto.

Avrebbe risolto lui, la situazione.

Che si fottessero tutti.

Lui sapeva cosa doveva fare, a questo punto.

Erano tutti convinti che sarebbe dovuto essere quello là, il nuovo successore?

Nessun problema. Che lo diventasse pure. Non restava soltanto che da vedere quanto sarebbe durato.

E lui avrebbe fatto in modo di farlo durare ben poco Il meno possibile.

Che se andassero tutti a farsi fottere.

Lui sapeva cosa doveva fare. Lo sapeva benissimo.

E, cascasse il dannato mondo...lo avrebbe fatto.

A qualsiasi costo.

Non c'é niente da fare.

Se si dà un bolide, la miglior moto in circolazione ad un emerito cretino...la sue prestazioni saranno sempre ridotte al minimo, visto che non é assolutamente capace di usarla.

Non restava altro da fare che togliere di mezzo il cretino. E rubargli la moto.

Semplice.

Tutto qui?

Tutto qui. Davvero tutto qui.

Nient'altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Mi voglio scusare per il ritardo a dir poco ENORME, questa volta.

Si, é vergognoso. E non ho attenuanti.

E di solito nemmeno ne cerco.

Solitamente ritengo che non vadano mai cercate scuse o giustificazioni, alle proprie mancanze.

Ma diciamo che...ho avuto un periodo alquanto incasinato.

La solita solfa, dirà qualcuno. E forse ha pure ragione.

Tra impegni vari ho fatto anche la prima dose di vaccino (Moderna, per la precisione). E tanto per cambiare due giorni dopo la puntura mi ha letteralmente steso, costringendomi a letto.

Ora va meglio. E speriamo che con la seconda dose non sia uguale.

Oltre a questo, la mia piccola si é quasi fratturata un braccio (quasi, per fortuna). E anche lì...corri a destra e a manca.

E poi la gente si chiede da dove uno tragga ispirazione per quel che scrive. Nel mio caso...da tutto quel che mi accade nella vita reale e autentica, che già basta e avanza!

Sul serio, non ho proprio bisogno di andarmi a cercare avventure.

Proprio vero quel che diceva qualcuno (forse il grande Charlie Chaplin, credo).

E cioé che qualunque cosa ti possa capitare nella vita, bella oppure brutta che sai, non puoi proprio fare a meno di viverla. Nemmeno se non vuoi.

Alla fine, ritengo che scrivere sia un buon modo per esorcizzare certe disavventure miste a sfighe.

Relativizzare, questo conta. Se nessuno si fa male o ha niente di rotto, e ce la si cava con un gran spavento e basta...forse trovare lo spunto per una buona storia può servire a farsi passare la paura di dosso. O qualcos'altro. O tutto il resto.

Può servire, insomma.

Allora?

Che ve ne pare?

Vi confesso che sono sorpreso.

M é una delle scoperte che sta venendo fuori con la seconda e definitiva stesura al pc di questa long.

Un altro capitolo incentrato su Jagger.

Eh, già. Inizialmente doveva essere un personaggio marginale, e a parte la sua scorsa incursione nona vremmo dovuto vederlo particamente più.

Ed invece, in questa versione 2.0...sta iniziando a reclamare spazio. E io glielo sto pure dando, perché ho scoperto che mi sto divertendo un mondo a caratterizzarlo.

E' un tipo folle, sconclusionato, imprevedibile. E proprio per questo interessantissimo.

E andiamo. E' il più sfigato del quartetto, suo padre non se lo é mai filato di pezza.

Eppure...non si arrende. E' convinto (a torto) di essere lui, il numero uno.

E' incredibile come non si renda conto che le sue aspettative non combacino assolutamente con la realtà dei fatti.

Comicissimo. A me fa morire dal ridere.

Non c'é niente da fare. Io con gli psicotici mi trovo a meraviglia. E la cosa mi preoccupa un po', a dirla tutta...

Mi sento come uno psicologo che cura i nevrotici perché il primo nevrotico é lui.

Comunque...sono curioso di sapere che ne pensate.

Scherzi a parte, prima di chiudere vorrei aggiungere una cosa.

Ci tengo molto.

Ormai più di due settimane fa ci lasciava il maestro KENTARO MIURA.

Si. L'autore di BERSERK.

Dissezione aortica, stando al referto medico.

Stroncato da un infarto a 54 anni.

No, dico.

CINQUANTAQUATTRO ANNI. Ci rendiamo conto?

Ma facciamo un passo indietro.

Ripensare al suo manga mi dà una strana sensazione.

Mi fa ritornare con la mente ad un periodo in cui leggevo fumetti a quantità industriale, mi sparavo sessioni ai videogames della durata di interi pomeriggi e mi spaccavo letteralmente in due in palestra a furia di allenamenti, tra Thai – boxe e pesi.

E la sera uscivo. TUTTE LE SERE. E poi la mattina presto al lavoro.

Una macchina. Vivevo al 101% e a trecento miglia orarie.

Già lavoravo. E spendevo praticamente TUTTO, per soddisfare le mie passioni.

Questo prima di metter su famiglia e diventare papà.

Ma ritengo che non avrei mai avuto le ispirazioni giuste per scrivere, se non avessi vissuto quel periodo.

Ricordatevelo, ragazzi. Le passioni...NON SONO MAI INUTILI. E priam o poi ti ripagano sempre in qualche modo, per la dedizione e l'amore che si dedica loro.

Per usare una frase bellissima pescata in rete...ERAVAMO IN UN PICCOLO MONDO FATTO DI MOSTRI, DRAGHI, GUERRIERI CON IN MANO PEZZI DI FERRO TROPPO GRANDI E PESANTI PER ESSERE CHIAMATI SPADE, GUERRIERI METAFISICI, ALIENI BIO – CORAZZATI E MAGHI CHE PER FARE GLI INCANTESIMI CITAVANO PEZZI DI CANZONI DEI CELTIC FROST.

Di sicuro Berserk ha fatto parte della mia vita. Meno rispetto ad altri manga (LE BIZZARRE AVVENTURE DI JOJO su tutti, quello a parer mio rimane un'opera inarrivabile), ma ci metto anche lui.

Ricordo quando lo lessi la prima volta.

Era appena nata la Planet Manga della Panini, e tra le prime pubblicazioni c'erano BATTLE ANGEL ALITA di Yukito Kishiro (che sono stato ben felice di ritovare. E di leggere fino alla fine, questa volta), e poi proprio Berserk.

Ne avevo già sentito parlare, ed ero curioso. Ma nulla avrebbe mai potuto prepararmi a quel che vi ho trovato.

Un mondo fantasy. Ma non quello pieno di elfi, aitanti spadacini, ragazze bellissime e altre creature maestose in stile LODOSS WAR.

Uno quando pensava ai manga di genere fantasy immaginava quello.

Ma in Berserk non c'era niente del genere.

Era un mondo cupo e medievale, con fortissime influenze di artisti come Bruegel e Bosch. Bravissimi nel rappresentare mostri, demoni e inferni.

Un mondo fatto di miseria, sporcizia, storpi, deformi e poveri. Di bambini trucidati e brutalizzati in ogni modo, sin dalla più tenera età. E di soldataglia rozza, brutale e sanguinaria. E di estrema violenza. E ignoranza.

Un mondo di pezzenti oppressi e di nobili arroganti, caratterizzato dall'assoluto spregio, disprezzo e mancanza di qualsivoglia rispetto per la vita umana.

Un mondo davvero orribile. Una fotografia perfetta di quella che ritengo essere una delle pagine più buie ed oscure della nostra storia.

Non ci sarebbe stato neanche bisogno di mettere delle creature mostruose, che già faceva schifo così. Eppure...c'erano anche quelle.

Ed erano veramente una roba orrenda e ripugnante. Presa di peso dalle visioni di altri due grandi artisti dell'orrido che corrispondono ai nomi di H. R. Giger e Clive Barker. Rispettivamente gli ideatori dello xenomorfo di ALIEN e dei supplizianti di HELLRAISER.

Ed in mezzo a tutto questo si muoveva un tizio di nome Gatsu.

Un guerriero con degli evidenti problemi psichici, e di una cattiveria ai limiti del sadico.

Un uomo a cui doveva essere accaduto qualcosa di davvero orribile.

Il fumetto, fino ad un certo punto, é un autentico capolavoro.

Poi nell'ultima parte, almeno a parer mio, si é ammorbidito un po'. Un po' troppo, tradendo lo spirito iniziale.

A tutto questo aggiungiamo alcune scelte piuttosto discutibili, e...si, non é che recentemente mi convincesse molto. Mi sembrava giunto ad un punto morto.

Ma sono convinto che Miura stesse lavorando sodo per riuscire a districare la matassa. Così come credo che dentro di lui sapesse dov'é che la storia stesse andando a parare.

Ma un autore deve aver tempo, per sviluppare un racconto. E anche calma, pace e tranquillità. E invece spesso si ritrova con accordi, contratti, tempi di consegna e date di scadenza che non hanno alcuna considerazione della fatica che un autore compie per cercare di rispettarli.

Leo Ortolani (l'autore di RAT – MAN) diceva che il terrore più grande di un fumettista é di non vivere abbastanza a lungo per riuscire a raccontare ai lettori tutto quel che ha in mente.

Qui, purtroppo, é successo.

Come andrà a finire...non lo sapremo mai. Non lo sapremo più.

Forse qualcuno continuerà la sua opera, ma...non sarà la stessa cosa.

Fa impressione, comunque.

Stroncato da un infarto a 54 anni.

Ora, io ritengo che ognuno di noi abbia una data di scadenza. Una chiamata, un appuntamento a cui non può assolutamente mancare e a cui non può rifiutare, nemmeno volendo.

E se é stato quello il caso...non ci si può fare niente.

Ma poi sono ben conscio della realtà editoriale e lavorativa nel paese del sol levante, e non posso fare a meno di pensarci.

Del resto le note che lasciava a margine negli ultimi periodi, a margine, a rileggerle col senno di poi trasmettono un messaggio a dir poco agghiacciante.

Mostrano una persona che era sul punto di scoppiare da un momento all'altro, che dormiva sì e no quattro ore a notte e che sempre di notte lavorava perché faceva più fresco. E che per non perdere tempo teneva la coperta per dormire sotto al tavolo di lavoro. E che diceva di non vedere la luce del sole da mesi. E che aveva MEZZA GIORNATA DI FERIE ALL' ANNO.

MEZZA. GIORNATA.

E' inaudito.

Consumato dalla macchina produttiva. Dalle creature a cui lui stesso aveva dato vita. E da mostri ben più reali e pericolosi che affollavano il suo mondo.

Inghiottito, masticato e digerito dal sistema. Come una vittima sacrificale davanti ad un apostolo del suo fumetto più celebre.

E stiamo parlando di uno degli autori più rinomati di questi anni!

Ma come si é potuti arrivare a questo?

Un grosso sbaglio, secondo me, é stato di serializzare i manga.

La cosa bella dei manga e dei cartoni giapponesi in generale era che finivano.

Un tempo contava l'autore, non l'opera.

Un Toriyama finiva DR. SLUMP E ARALE e magari cominciava un DRAGONBALL.

Uno Tsukasa Hojo finiva OCCHI DI GATTO e partiva con CITY HUNTER.

E la Takahashi? E' partita con LAMU', poi ha fatto MAISON IKKOKU, poi RANMA ½ e poi ancora INUYASHA.

Non ci si fossilizzava su di un personaggio o su di un'opera, contrariamente a quanto fanno in America coi comics o qui da noi.

Oggi si é invertito il processo. Basti vedere opere come NARUTO (che grazie al cielo é finito) o ONE PIECE.

Per non parlare di autori come gli stessi Hojo e Toriyama (anche se lui ha affidato il lavoro a un assistente), Araki, Kurumada o Hara che hanno deciso (o dovuto, peggio ancora) riprendere in mano i loro personaggi più famosi, per mungere la fanbase.

Senza che ce ne fosse assolutamente bisogno, aggiungo.

Continuare a spillare quattrini proponendo mille versioni trite e ritrite della stessa zuppa, ecco cos'é.

E aggiungiamo che per me é semplicemente folle far durare un manga decenni, considerando i ritmi di lavoro infernali che ci sono da quelle parti.

E' da pazzi.

Di questo passo li uccideranno tutti.

Sarei curioso di sentire anche il vostro parere, se ve la sentite di fornirlo.

Senza obbligo né impegno, naturalmente.

Intanto...non so se questo sia uno dei miei capitoli migliori, o più riusciti. Ma penso che al maestro Miura sarebbe piaciuto. Lo vedo in linea con lo spirito dei suoi primissimi lavori, senza voler essere troppo presuntuosi.

Pertanto...voglio dedicarglielo. Di cuore.

Addio, sensei Kentaro.

Ha dato tanto. Ha dato tutto. Anche di più. Ed ora é giusto che si riposi.

Anche se ne avremmo fatto tutti qaunti volentieri a meno, maledizione.

Ho sentito di un mucchio di gente che ora vuol vendere la sua collezione di Berserk per il semplice fatto che, non avendo più un finale, di fatto per loro equivale a carta straccia.

Dal canto mio...giammai.

Da ora in poi la leggerò con ancor più rispetto e da ttenzione. E la custodirò ancor più gelosamente. Perché la considero un lascito.

Un lascito prezioso. Anche se le questioni tra Gatsu, Grifis e Caska saranno destinate a rimanere così, molto probabilmente.

Irrisolte.

Addio, senpai. E grazie di tutto.

Un giorno ci rivredemo.

Nel frattempo...non la dimenticherò.

E ora un grazie di cuore a Kumo no Juuza, Devilangel476 e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

Grazie ancora a tutti e...alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

   
 
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