Colore: giallo (per turpiloquio).
Note: nessuna.
«Emily, giusto?»
L’interpellata distoglie lo sguardo dal blocchetto degli appunti adagiato sul tavolino per fissarlo poco più in
alto, su dita dalle unghie smaltate di rosso e ben sagomate. Lo fa scorrere ancora un po’ più su: alla mano tesa
in sua direzione fanno capo una manica di tailleur perfettamente stirata e un visino spruzzato di lentiggini che
si intona a una chioma dai riflessi mogano.
E il visino parla ancora, senza attendere risposta alla prima domanda.
«Mi chiamo Rossana, sono della divisione contabilità. Piacere di conoscerti!»
Emily si morde l’interno della guancia. Osserva quelle costellazioni color ruggine sul volto della donna e pensa
che se fossero un gioco di "unisci i puntini" andrebbero a comporre la scritta MANAGER.
Lesta, approfittando del riparo offerto dalla superficie del tavolino, si sfrega via il sudore del palmo sulla
stoffa dei jeans e stringe l’offerta di pace di fronte a lei. Ricambia i convenevoli con un: «Il piacere è tutto
mio, signora».
Oddio, troppo informale? Le ha stretto la mano troppo piano, da pusillanime, o troppo forte, suggerendo
aggressività? E ora che penseranno? Che voglia fare le scarpe a qualcuno? Si è già bruciata l’assunzione
post-stage universitario?!
«Posso sedermi?»
Emily sussulta. «Ma certo!» esclama, recitando la parte della ragazza disinvolta mettendo su un sorriso più
falso di una moneta da tre zeny.
Oddio, oddio, oddio.
Mentre Rossana si liscia le pieghe della gonna e scivola sulla sedia di fronte a lei con un unico movimento
ipercollaudato, Emily si affretta a sgombrare il ripiano dai suoi appunti e li caccia di malagrazia dentro alla
borsa a tracolla che penzola dal suo schienale.
Guarda Rossana appoggiare un bicchierino sul tavolo. La donna rimesta il caffè con movimenti circolari dello
stecchetto in plastica prima di portarsi il bastoncino alla bocca e ripulirlo della schiuma marroncina con uno
schiocco delle labbra. Dunque, decide che è ora di sfoderare la scure e scuoiare la preda.
«Allora, ti piace lavorare alla Capsule Corp?»
Domanda prematura: è il suo primo giorno di lavoro! Ma Emily non può peccare di maleducazione, non se non vuole
essere la fortunata vincitrice di un biglietto di sola andata in direzione dell’uscita.
Allora risponde: «Molto!». E sfodera di nuovo i denti in un sorriso più artificiale dell’aspartame, finché non
si ricorda che nel regno animale il sorriso può essere talvolta equivocato e scambiato per una manifestazione di
aggressività e un tentativo di prevaricazione sull’avversario, e allora sente le labbra afflosciarsi e si
scervella in cerca di uno spunto su come continuare la conversazione perché ora come ora è vagamente consapevole
di star facendo una figura da pesce lesso.
Ti terrorizza l’ambiente? Molto!
Emily vorrebbe che la sua ansia sociale fosse una presenza tangibile per poterle tirare in faccia due
sberle.
«Ross, stai già tormentando i nuovi arrivi?»
Dal fondo dell’area ristoro sopraggiunge la voce della salvezza: tailleur con gonna fino al ginocchio, tripudio
di boccoli rossi domati con flaconcini di balsamo, un block notes formato A4 tenuto fermo davanti al petto da un
braccio sul cui polso luccica un orologio che a una stima sommaria costa quanto un piccolo aereo privato.
La nuova arrivata si accosta al tavolino e pretende un contributo sociale con il braccio libero teso verso di
lei. Insieme alla mano si alza anche una nuvoletta di colonia da un milione di zeny a spruzzata. Altro che voce
della salvezza, è un altro chiodo sulla bara.
«Mi chiamo Alessandra, sono della divisione sostenibilità ambientale. Piacere di conoscerti, Emily!»
Gli occhi di Emily saettano da viso a viso in un gioco di "trova le differenze".
Sì, Rossana e Alessandra sono gemelle. Sì, sono entrambe manager.
«Molto piacere» mormora Emily, leggermentissimamente in soggezione.
Afferrare l’ansia sociale per il collo. Affondarle la testa nell’acqua. Ridere sguaiatamente delle bolle d’aria
che salgono in superficie a ritmo sempre meno serrato.
Sta vagliando qual è la scusa migliore e meno pregiudicante per svignarsela da lì e tornare al suo cubicolo, al
suo silenzioso e solitario e sacro cubicolo, quando Alessandra si rivolge alla sorella con sguardo
corrucciato.
«Volevo chiederti, hai per caso visto Bulma?»
«No. La cercava anche Luke.» Rossana intercetta l’orologio sulla parete. Si acciglia pure lei. «In effetti,
stamattina è molto in ritardo.»
Segue, tra le sorelle, un silenzio animato solo dal ronzio di sottofondo dei distributori automatici di bevande
e dalle chiacchiere indistinte degli altri colleghi.
Poi le gemelle si guardano, si squadrano, accennano un ghigno di chi la sa lunga, e sembrano giungere
simultaneamente allo stesso, illuminante pensiero. Due voci in una.
«È tornato a casa.»
***
«Lasciami all’ingresso, Vegeta, lasciami all’ingresso!»
«Ma perché…?»
«È disdicevole per una signora entrare dalla finestra, quante volte te lo devo dire?! E cos’è quel sorrisetto,
adesso?»
«Riuscirai stavolta a fare tutte quelle rampe di scale, donna?»
«Prenderò l’ascensore!»
«Non l’hai ancora riparato, ricordi?»
«Cazzo.»
Stupida, stupida idea, dislocare il reparto logistico della Capsule in un’altra parte della città.
***
«Sei fortunata, Emily. Succede solo due o tre volte all’anno.»
«Che cos’è che succede?»
«Che il marito della titolare torni a casa.»
«Fa il militare?»
«Chi lo sa? La signora Bulma mantiene il completo riserbo sulla faccenda.»
Emily non riesce a cogliere il nesso tra quello che Rossana le sta dicendo e il fatto che ora metà dei
dipendenti in forza alla Capsule Corp sembra essersi data appuntamento davanti alla vetrata panoramica dell’area
ristoro, quella che dà sul piazzale d’ingresso del grattacielo e sull’orizzonte di West City.
Sono tutti in piedi, manager, impiegati ordinari e stagisti. Una marea di facce allineate a scrutare il cielo
come se da un momento all’altro dovesse piovere un meteorite.
E in effetti, visto da qui sembra quasi una stella cadente.
«Laggiù!»
La marea si volta all’unisono nella direzione indicata dal braccio teso.
Una scia azzurra attraversa il cielo a sinistra, in lontananza. Compie una brusca sterzata, senza perdere quota,
e in pochi secondi si è fatta così vicina che sembra in rotta di collisione con il loro edificio. Poi la scia si
disperde a mezz’aria, e così anche l’alone blu che sembra ammantare la… cosa che ora sta scendendo in
picchiata
verso il piazzale di acciottolato dell’azienda. I vetri vibrano come sotto all’impatto di un’onda d’urto.
Emily aguzza la vista. Non è una cosa, quella, ma un uomo che porta in braccio una donna.
Un uomo che atterra leggiadro sulla punta delle scarpe. Una donna dai capelli azzurri che smonta a terra e che,
sotto agli occhi del pubblico riunito dietro all’invetriata, tre piani più in alto, si volta di scatto e stampa
un bacio fugace sulla guancia del suo singolare mezzo di trasporto.
È scuro di capelli, piccolino ma ben piazzato e lei indossa i tacchi: neanche deve alzarsi sulle punte. Infatti,
è così veloce che lui pare preso in contropiede.
«EHI!»
L’esclamazione scandalizzata attraversa i vetri e raggiunge le orecchie di tutti.
L’uomo si ritrae, come scottato. Di sicuro, si è imporporato in viso come un pomodoro molto, molto maturo.
«Mi devi un favore, donna!»
Si sente anche questo.
Dopodiché lui si dà la spinta coi piedi e riparte a razzo, prima di rischiare una seconda aggressione in luogo
pubblico, lasciandosi dietro una scia di polvere e foglie vorticanti. Nel giro di pochi secondi, non è che un
puntino colorato all'orizzonte.
Alla donna, che dev’essere per forza la signora Bulma, non resta che sistemarsi la tracolla della borsetta
attorno alla spalla e sgambettare verso l’ingresso della Capsule Corp in un incedere che è tutt’altro che
armonioso.
È a questo punto che si accende il brusio all’interno del salottino.
«Cammina come una papera.»
«Ma perché non passa semplicemente dalla finestra del suo ufficio?»
«Sessione potente, stavolta.»
«Secondo voi sarebbe indelicato farle trovare un bicchiere di paracetamolo sulla scrivania?»
Emily si chiede come possano tutti essere così poco turbati dalla cosa. Quell’uomo stava volando, santo
cielo!
«Ha messo su ancora più massa. Ma come diavolo fa?»
«Infilerà più palle nel canestro lui di un giocatore della NBA.»
«Farà colazione a base di steroidi e marmellata.»
«Sbaglio o l’ascensore è ancora guasto?»
«Dite che la sentiremo cigolare su per i gradini?»
«Propongo una raccolta fondi per far installare un montascale.»
Soprattutto, Emily si sente esclusa da quello che dev’essere un inside joke ricorrente all’interno
dell’azienda.
Rossana le si accosta. «Ti ci abituerai» dice in tono confidenziale.
Forse è per via dello shock, forse è per via dei commenti assolutamente disinibiti e inopportuni dei suoi
colleghi... ma Emily ha un sacco di domande per la testa che le premono sulla lingua. «Succede spesso?»
chiede.
«Sempre, quando lui torna a casa.»
~fin~
Angolino d’autrice:
Come si dice? Mr. Hyde on the streets but Dr. Jekyll in the sheets...