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Autore: Challenger    12/06/2021    0 recensioni
Rinascita
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come prima cosa, decisi di non bere più, così da non essere accusato — di nuovo! — di essere pazzo. Il secondo passo era molto più semplice del primo: rimettermi in sesto e tornare a comportarmi da uomo e non più da ragazzino isterico. Dovevo riuscirci se volevo smascherare quella stronza bugiarda! Presi alcune ore di permesso e tornai dritto a casa per riorganizzare le idee. Aprii la porta d’ingresso con la sinistra. Fortunatamente la destra non era rotta, ma solo un po’ ammaccata; usai una busta di piselli surgelati come ghiaccio e mi lasciai cadere a peso morto sul divano sgangherato. Ah! Che casino. Che gran casino! Ero diventato un miserabile a causa di una donna! Io! Io che avevo sedotto e dormito con le femmine più belle della città! Io, il dongiovanni al quale nessuna poteva resistere e che tutti gli uomini invidiavano…ridotto ad un pezzente sfigato! E per chi? Per una puttana qualunque! No! Laura non era una “qualunque”, era la donna della mia vita, l’unica. Non esistevano altre come lei e non ne desideravo, ma gliela avrei fatta pagare, nessuno può trattarmi come una scarpa vecchia e passarla liscia! Mentre pensavo ad un modo per vendicarmi, sentii le palpebre scendere pesantemente sugli occhi; li riaprì solo alle 20.00. Accesi la tv per far passare il momento di torpore dovuto al sonno improvviso. C’era il telegiornale, noioso. Alzai il braccio buono per cambiare canale, quando notai una figura incappucciata dietro il giornalista. Il servizio riguardava un omicidio avvenuto dall’altra parte della città. Il cronista parlava davanti alla telecamera e sembrava che nessuno — a parte me — avesse notato quel losco figuro. Accidenti, era davvero inquietante! Inquietante come l’uomo con l’ombrello rosso, quello che la scorsa notte era con Laura! No, non poteva essere lui, insomma…un tipo sinistro come quello non passava di certo inosservato! Più lo guardavo e più sembrava che quel figlio di puttana puntasse il suo sguardo minaccioso verso di me! Sì, mi stava guardando! Guardava proprio me! Era un messaggio diretto a me! Potevo quasi vedere i suoi occhi scuri e profondi come l’abisso da sotto il cappuccio. Il mio corpo fu interamente scosso da brividi, non riuscivo a muovermi. Cazzo, quel tizio faceva venire la pelle d’oca! Com’era possibile che nessuno lo avesse visto?! Non si poteva non notarlo! L’inviato continuava a snocciolare frasi, ma non lo stavo più ascoltando, ero ipnotizzato da quell’essere. Mi stava chiamando. Mi ritrovai ad un tratto a trenta centimetri dallo schermo, stavo per essere assorbito dalla sua energia oscura… Dlin dlon. «AAAAARGH!!! MA CHI CAZZO È?!», cacciai un urlo di reale terrore, neanche fossi stato un moccioso senza peli sulle palle. Qualcuno stava suonando alla mia porta. Per poco non mi cagavo addosso dalla paura. Aprii. Era quell’idiota di Gianmarco – «con la N e con la M» gli piaceva dire con quella faccia da ebete. «Ti ho fatto paura, eheh?», anche la sua risata era stupida. «No, ero solo distratto. Comunque, cosa vuoi?», il mio tono era spazientito; volevo liberarmi di lui il prima possibile. «Oh, percepisco una nota di impazienza nella tua voce!», disse puntandomi contro il dito scheletrico, simile ad un artiglio adunco, e con il collo affondato nelle spalle ricurve. Sospirai, ero già esasperato dalla sua presenza. «Cosa vuoi?», ripetei. «Mi chiedevo se avessi un po’ di zucchero da prestarmi. Hai compagnia anche stasera?», sorrise sornione. Era un individuo viscido, ogni scusa era buona per rompermi le palle e farsi i fatti miei, non mi piaceva per niente. «No, mi dispiace. Amo prendere il caffè amaro. Buonanotte, Giammarco», stavo per sbattergli la porta in faccia, quando la bloccò con l’artiglio orrendo. «Ma insomma Marcolino! Quante volte devo dirtelo! Il mio nome si pronuncia ‘con la N e con la M’, GiaNMarco, mi chiamo come te, ma con il ‘Gian’ davanti, ahahah», risata inquietante, sembrava una di quelle bambole per il ventrilòquio. «Già, io invece mi chiamo ‘Marco’ non ‘Marcolino’, quindi vedi di ricordarlo la prossima volta. Buonanotte». «Notte, ihih», ancor più inquietante. Andai verso il televisore, ma il servizio oramai era finito e non c’era più traccia dell’uomo. * Avevo dimenticato quanto potesse essere ristoratrice una doccia. Mi guardai allo specchio: la barba era lunga. Non l’avevo mai portata così, la consideravo da sciattoni; presi il rasoio e la tagliai tutta. Pettinai i capelli neri — striati di bianco, cazzo! — all’indietro. Aprii l’anta scricchiolante dell’armadio e presi una camicia bianca e pantaloni beige. Annusai i vestiti puliti: lavanda, il mio profumo preferito. Prima di uscire mi guardai allo specchio attaccato sulla porta d’ingresso. Ero tornato ad essere uno schianto. * «Ciao Laura», la salutai quasi fossi un cane bastonato con gli occhioni da cucciolo. «Ciao Marco», mi guardò a malapena, era bellissima come sempre. «Volevo chiederti scusa per tutto quello che ti ho fatto passare in quest’ultimo periodo, spero potremmo tornare ad essere amici», sorrisi. «Non siamo mai stati amici», disse sgarbatamente. Stronza. «Beh, possiamo esserlo adesso. Senti, voglio lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare». «Mmm…ci devo pensare. Potrò essere tua amica SOLO se non farai più scenate, sai bene che odio gli uomini possessivi», lo sguardo era arrabbiato, ma la bocca sorrideva maliziosa. «Ci sto!», dissi allargando le braccia, come se stessi accettando una sfida. * La settimana trascorse meravigliosamente bene. Il piano stava procedendo. Il lunedì successivo sentii Giacomo discutere animatamente con qualcuno che non feci in tempo a vedere. «Ehi, tutto bene?», chiesi quando mi passò accanto, ma in risposta ebbi solo una spallata. Mah! Ci sarà un’epidemia di pazzia in questa cazzo di azienda! «Caffè?», Stefano arrivò di soppiatto battendomi la mano sulla schiena. «Cazzo Ste! Mi hai fatto prendere un colpo!». «Scusa, non credevo fossi uno dallo spavento facile», rise bonario. «Certo che non lo sono! Ero…niente lascia stare. Allora…questo caffè?», risi anche io. Stefano mi offrì il caffè con una zolletta di zucchero (le aveva comprate lui stesso, diceva che gli ricordavano sua nonna, ma lei le faceva sciogliere nel thè). Mi piaceva passare del tempo con Stefano, era simpatico, sempre allegro, mai banale ne volgare. Era trascorso del tempo e io mi stavo comportando come promesso; stavo quasi per rinunciare: cominciavo ad apprezzare l’idea di essere solo suo amico, le cose andavano bene, mi piaceva il rapporto che si stava creando, fino a quando un giorno vidi l’ombra inquietante di quell’uomo e lo raccontai a Laura. Inaspettatamente mi aggredì come una furia! «DEVI SMETTERLA CON QUESTA STORIA! QUELLA SERA ERO CON MIA MADRE, AVRAI AVUTO QUALCHE ALLUCINAZIONE!». Non osai rispondere. Ero allibito dal suo strano comportamento. Da quel giorno niente fu più come prima.
   
 
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