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Autore: Nocturnia    16/06/2021    0 recensioni
A volte si ferma a riflettere su chi siano; cosa, oltre un'eredità scomoda e pesante.
A volte si sveglia affogando e lo trova sempre al suo fianco - una presenza costante e calda, rovinosamente
sua.
A volte il pensiero la colpisce all'improvviso, le attraversa la mente come una scossa elettrica - l'afferra per i piedi, facendole provare una vertigine uguale a quella prima di ogni balzo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evie Frye, Henry Green, Jacob Frye
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Legacy (3)
III


"I fell in love with her when we were together,
then fell deeper in love with her in the years we were apart."
- Nicholas Sparks -


1888

È quello che aveva sempre temuto; il suo incubo ricorrente, l'orrore che la spingeva a svegliarsi nel mezzo della notte per controllare il respiro di Jacob - se fosse vivo e caldo e dio, perché era partita per l'India, perché?
Evie corre, ingoia un grumo di lacrime e paura - nella mente le ultime parole di Jacob.

Torna.
Whitechapel è persa.
I Rooks fuori controllo.
Mi dispiace, Evie. Mi dispiace così tanto.

Londra le è diventata estranea; una città che la bracca e la insegue come fosse un animale rabbioso - vuota di assassini e templari, oscenamente sventrata dal suo stesso figlio.
Evie atterra sul tetto di una casa bruciata, si ferma, trattenendo persino il respiro.

Ti vedo, brutta puttana.

Scivola verso la finestra aperta, rannicchiandosi nelle ombre - la paura mutare in furia e deflagrare, rischiando di accecarla.

Anche io ti vedo, Jack.

Senza Jacob, vivere non ha più alcun valore.


You, you’re everything I want
and I, I’m everything you need.

Le notizie che giungono dall'India non sono rassicuranti.
Seduti l'uno davanti all'altro si guardano sapendo quale dovrà essere la loro prossima mossa.
"C'è un traditore nella Confraternita."
Jacob studia la foto del Koh-i-Noor, ruotandola con la punta del medio.
"Lo stanno cercando tra le mura di Amritsar, ma credo sia il posto sbagliato."
Evie osserva suo fratello bere il decimo bicchiere di whisky, fissare i documenti con uno sguardo furioso, ferito.
"Jacob."
"Si fottano."
Evie sospira, passandosi le mani nei capelli.
"Il Koh-i-Noor è un artefatto più potente persino della Mela dell'Eden o della sindone di Starrick: non possiamo lasciarlo ai Templari."
Jacob si reclina all'indietro, appoggiando un piede sul ginocchio.
"Vaffanculo al Koh-i-Noor. Vaffanculo all'India e a quei cazzo di elefanti."
Si versa dell'altro whisky, scuotendo la bottiglia quando la trova vuota - imbrociando le labbra in una smorfia infantile, piccata.
"Potrai venire quando vuoi."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, arricciando il naso.
"Tornerò a Londra ogni quattro mesi."
"Rassicurante."
Evie aggrotta le sopracciglia, osservandone la prossemica tesa, nervosa - per nulla addolcita dall'alcol.
"Ne stai facendo una questione di fiducia."
Jacob inclina il viso verso il suo, tace.
"So che non ti piace Henry."
"Un eufemismo."
"E che tu non piaci a lui."
Jacob beve un sorso di whisky, ridacchiando.
"Ma sono io, Jacob."
Evie si sporge verso di lui, afferrandogli la mano libera.
"Se tu sanguini, io sanguino." mormora, guardandolo.
Jacob le riserva uno sguardo incerto, nel quale frustrazione e tristezza si rincorrono in egual misura.
"Le tue lacrime sono anche il mio dolore." prosegue, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte.
"Se tu muori..." sussurra, scivolando al suo fianco.
"Io ti seguirò." conclude per lei Jacob, tra di loro le stesse parole di quella notte a Crawley - affranti, soli, sanguinanti.
Evie sorride, raggomitolandosi contro il suo petto e chiudendo gli occhi.
Quando Jacob si porta le mani al volto si accorge di star piangendo dopo anni.


1888.

Quella che ha davanti è una donna inquieta, perseguitata.
Abberline scorge nuove rughe d'espressione attorno le labbra, negli occhi una luce primitiva, ossessionata.
"Dov'è mio fratello?"
"Per quello che ne sappiamo lei è l'ultima assassina in città, signorina Frye."
Evie si volta, fissandolo.
"Lei crede sia morto."
"Non oso pensarlo, ma è una strana coincidenza che mentre uno spietato assassino devasta Londra suo fratello scompaia."
Evie indurisce lo sguardo, irrigidendo la linea delle spalle.
"Come si chiama?"
"Chi?"
"L'assassino che state cercando?"
"Lo chiamiamo lo Squartatore."
Evie inspira con forza - per cosa si usa questo? Ah già, giusto: per fare bambini da buttare poi nel Tamigi. - tutto in lei farsi liquido e gelido.
"Signorina Frye, potrebbe essere l'unica persona in grado di fermarlo."
Evie si guarda intorno, al centro del petto un grumo denso, pesante.
"Ho visto usare queste tecniche di inganno e dissimulazione solo una volta, signorina Frye, ed è stato con lei e suo fratello."

"Le donne sono tutte puttane."

"Faccia strada." mormora, asciutta.
"Vediamo in faccia questo mostro." conclude, incamminandosi giù per le scale.
Abberline la osserva confondersi nella nebbia di Whitechapel e diventarne parte.


This night is cutting into me
You tie me down, you watch me bleed
and we risk everything tonight.


L'India è rovente, umida; una patina appiccicosa che gli si incolla addosso, strappandogli il respiro.
Gli apprendisti alle sue spalle boccheggiano, alcuni facendosi vento con le mani, altri togliendosi direttamente cappuccio e mantello.
"Voglio morire." sibila uno di loro - Oliver, se ricorda bene.
"Cazzo, che caldo." ribatte un altro, sedendosi sul bordo del porto.
Jacob scocca a tutti loro occhiate interdette, resistendo all'impulso di spogliarsi e correre verso la prima fonte d'acqua.
"Piantatela di lamentarvi e alzatevi: non siamo qui per divertirci."
"Ah no?" lo interrompe una voce conosciuta - e dio, quanto gli era mancata.
Jacob si volta, incrocia il suo sguardo - addosso la sua stessa divisa, seppur gli sembri di un tessuto diverso, probabilmente più leggero.
Evie salta giù da un pila di casse, correndogli incontro e abbracciandolo.
Jacob si chiude attorno a lei come una tenaglia, respira il suo odore - sempre uguale, adesso intriso anche di una nota più decisa, forse ambra.
"Evie." mormora, e c'è tutto in quella parola - sei mesi di assenza e rimpianti.
"Jacob." replica lei, sfregandogli il naso nell'incavo del collo.
Oliver dà di gomito a Charlie - ma guardali; allora anche il capo ha un lato tenero - Jack si ritrae più nell'ombra, fissando Jacob ed Evie.

Io ti vedo, puttana.

Tra di loro il desiderio divora ogni pretesa.


1888

Mary Ann Nichols.

Io la conoscevo.

Gola recisa, vertebre del collo intaccate da una lama regolare, affilata.
Intestino rovesciato fuori dall'addome, organi genitali massacrati - un oggetto appuntito, probabilmente un coltello.

Io l'avevo già vista.

Elizabeth Stride.

In India, nel 1873. Con Jacob.

Catherine Eddowes.

Erano apprendiste. Ragazzine di strada, reclutate per la Confraternita.

Volto sfigurato, naso e lobo dell'orecchio sinistro asportati.
Palpebra dell'occhio destro mancante, addome sventrato da un unico taglio dalla gola al pube - stomaco e visceri estratti e poi appoggiati sulla spalla destra, rene sinistro e organi genitali rimossi e scomparsi.

Che cosa hai fatto, Jack?

Evie posa lo sguardo sull'ultima vittima - Annie Chapman.
Si inclina verso il suo corpo, notando l'assenza dell'anulare sinistro - dove avrebbe dovuto trovarsi l'anello della Confraternita.
Abberline tossisce, accostandosi un fazzoletto al naso.
"Qualche indizio?"
Evie annuisce, scoprendosi anestetizzata da tutto quel dolore - nella sua mente una sola, pulsante, idea.

E se avesse fatto lo stesso a Jacob?

Abberline sospira, affiancandola.
"Non potrò proteggere la vostra piccola organizzazione ancora a lungo, signorina Frye. I giornali accusano la polizia e i miei uomini accusano voi - lei."
Nessuna risposta.
"È mancata molto a Jacob."
Evie contrae le dita in un pugno chiuso, tace.
"Sa, questo disastro è iniziato molto prima di oggi."
Evie mantiene lo sguardo fisso sul volto di Annie, la ricorda ridere, e saltare da un albero all'altro.
"I Rooks sono fuori controllo da mesi e Whitechapel è caduta così in basso da essere irriconoscibile."
Evie percepisce la colpa scavare nella sua anima, toglierle ogni illusione - ogni speranza.
"Ci ha provato. Jacob, intendo. Ma non è stato abbastanza."
Non senza di lei, la silente accusa.
La memoria di suo padre ha corroso anche l'unica cosa abbia mai amato più di se stessa.


I, I am the misery you crave
and you, you are my faithful enemy.
This hunger seems to feed on me
A sacred sin, a dying breed
and we risk everything.

"Dici che vedremo una tigre?"
"Te lo sconsiglio." ribatte lei, fissando il cielo "Non sono animali socievoli."
Jacob l'affianca, i capelli ancora umidi, lo sguardo perso oltre l'orizzonte.
Ed è sempre uguale, suo fratello; ha qualche cicatrice in più - dovrai poi raccontarmi come te le sei fatte - eppure Evie può percepire un cambiamento nel suo sguardo, sotto la pelle.
"Quindi adesso risiedi qui?"
Evie annuisce, sporgendosi oltre il bordo della terrazza.
"Amritsar non è male: la sede della Confraternita aveva diverse stanze libere e sono stati contenti di offrimene una."
Jacob tace, non ha bisogno di dirlo perché Evie lo sappia.
"No, Henry non è qui."
Jacob inclina il mento verso di lei, negli occhi una luce vorace, bellicosa.
"A dire la verità non ci parliamo da tre mesi."
"Uhm."
"Dopo la sua riammissione nella Confraternita ha pensato che io fossi disposta nei suoi confronti."
Jacob perserva nel suo silenzio, fissa il via e vai di persone per le bancarelle che affollano le strade, ogni angolo della città.
"La mia cortese proposta di assisterli nella ricerca del traditore e dell'artefatto ha generato in lui alcune illusioni."
Jacob libera un suono derisorio, irritato.
Evie aggrotta le sopracciglia, perplessa.
"Se stai pensando che..."
"No." la interrompe Jacob, alzando una mano nella sua direzione "Stavo solo immaginando la sua faccia di merda."
Evie inspira con forza, stringendo il cornicione tra le dita.
"Non è stato uno spettacolo gradevole."
"Oh, che peccato essermelo perso."
"Jacob Frye." lo riprende lei, ma non c'è astio nella sua voce - rabbia.
"Evie." mormora lui, sorridendole.
Ed è sempre Jacob, ma al tempo stesso sta mutando sotto le sue mani - senza di lei.
E c'è adesso una nota dolente nel modo in cui la bacia - un'urgenza che non appartiene più all'età né alla giovinezza.
Morde, Jacob, e c'è una brutalità che spinge entrambi a collidere - una frenesia che supera le incertezze, la vergogna.
Evie geme quando Jacob affonda in lei senza preavviso - soffoca un grido contro la sua mano, scoprendosi già umida, bagnata.
E assomiglia a una lotta il loro ritrovarsi - una battaglia nella quale rovesciano mesi di frustrazione e distanza.
"Perché sei stata via così tanto?" mormora Jacob, lambendo in punta di lingua la curva piena del seno.
"Perché non sei venuto prima?" ribatte lei, premendogli la dita attorno la gola e stringendo - percependolo irrigidirsi lungo le braccia, tra le cosce.
E non serve a niente, lo sanno entrambi; hanno ruoli da interpretare, maschere da indossare.
"Mentore, uhm?" lo prende in giro lei, accogliendo le sue spinte ora languide, lente.
"Ho anche la mia spilla personale, da vero boss." ride lui, baciandole un angolo delle labbra.
"Già mi immagino vantartene per tutta Londra" sussurra Evie, socchiudendo gli occhi - morbida tra le sue braccia, arrossata sulle guance, lungo il collo.
Jacob nasconde il viso tra i suoi capelli, libera una risata di gola, soddisfatta.
L'alba li troverà ancora l'uno sulla bocca dell'altro.


1888

Jack sa; Jack vede.

Evie Frye è tornata a casa.

"Sai, pensavo di riservarle lo spettacolo finale."
Jacob digrigna i denti, cerca di deglutire - non ci riesce.
"Un boom di sangue e budella, uhm? Solo per la nostra cara Evie."
Jacob socchiude l'occhio ancora sano, percepisce ogni osso scricchiolare, ogni muscolo gemere.
Jack inclina il capo verso la spalla, sorride - un volto oscenamente bello per un maniaco omicida del suo genere.
"Sei un traditore, Jacob: un fottuto malato."
Jacob riderebbe se non gli facesse male persino respirare, libera un rantolo sfiatato - agonico.
Jack si china alla sua altezza, attorno a lui un lezzo denso di sangue e carne marcia.
"Io vi vedo, Jacob."
"Non so di che cazzo stai parlando." mastica, cercando di raddrizzarsi.
Jack abbozza un sorriso condiscendente, premendogli una mano sul ginocchio e stringendo - facendolo gridare e urlare e supplicare.
"Tu e la tua sporca puttana. Sei un debole, Jacob. Un miserabile che mi ha salvato solo per la lavare la propria colpa."
"Fottiti."
"Potrei fottere la tua adorata Evie."
Jacob snuda i denti, si sposta in avanti, cercando di assestargli una testata che non va a buon fine.
"Oh, credo che gradirà il mio regalo per il suo ritorno: e poi ho lasciato i Rooks liberi di fare quello che vogliono con lei. In fondo, se è abituata a scopare suo fratello non vedo che problema ci possa mai essere."
Jacob inspira con forza - due costole rotte, almeno cinque incrinate - si solleva sui gomiti, fissandolo.
"Ti ammazzerà, Jack. Ti farà a pezzi."
Jack schiocca la lingua contro il palato, indossando la sua maschera di tela bianca e il cilindro.
"Forse. O forse prima la ucciderò io, svuotandole quell'addome indegno e portandoti il suo utero. Ti piace come idea, Jacob? Almeno non si è mai riempito con un immondo bambino; sai che disgrazia sarebbe stata?"
Il silenzio di Jacob è pieno di paura e rabbia.


They can never know just what we’ve done
They can never know just what we’ve done
They will never know all the blood we’ve shed.

Quattro anni; da tanto la loro vita è diventata un viaggio continuo tra l'India e Londra.
Evie osserva la città crescere attorno a lei, addosso ancora l'odore dolciastro dell'ambra.
"È diversa." gli dice, sollevando il viso verso il cielo.
"Sta cambiando, Evie."
Annuisce, cercando di ritrovarsi nel mezzo di quella confusione di rumori e voci - di recuperare la ragazzina scappata da Crawley una vita fa.
Jacob l'affianca, nel suo profilo una tensione nuova - seria, dolorosamente adulta.
Evie inspira, bloccandosi a metà del gesto; viene schiacciata dalla consapevolezza del tempo che passa, abbandonandoli agli estremi del mondo.
Jacob inclina il viso verso di lei, nel suo sguardo la stessa, tremenda, comprensione.
"Mi manchi, Evie."
Evie fruga nei suoi occhi, trovandovi solo una solitudine uguale alla sua - nella quale si riflette tutte le notti da mesi.
"Lo so."
Jacob allunga appena le dita verso di lei, sfiorandole una guancia.
"Tornerai mai?"
Sono qui, vorrebbe dirgli, ma le parole le muoiono in gola, soffocandola.
Jacob ritrae le mano, lasciandola ricadere lungo il fianco.
"Il Koh-i-Noor è perduto, Evie: forse dovresti arrenderti a questa evenienza."
Evie sfrega le mani tra loro, cercando di scrollarsi di dosso il freddo di Londra - dei suoi rimorsi.
"Sì. Sì, forse dovrei." ripete, piano.
"Ma non lo farai."
Nessuna risposta.
"Perché tu sei Evie Frye; degna figlia di Ethan Frye, e la missione viene prima di tutto."
Evie solleva il viso di scatto, sorpresa; erano anni che Jacob non tirava in mezzo loro padre. Anni in cui il disgusto non avevano più permeato le sue parole, men che meno verso di lei.
"La nostra eredità..."
Jacob emette un suono sprezzante, scostandosi.
"Tu sei la mia eredità, Evie." mastica, fissandola in tralice "Tu l'unica cosa di cui mi importi."

"Londra può bruciare, Evie: i templari e tutto il loro fottuto tempio."

Londra ruggisce, un animale d'acciaio e pietra che continua a espandersi - a cacciare i più deboli, riducendo i forti a sbranarsi a vicenda.
Evie si aggrappa al suo polso, incurante di essere in mezzo alla strada - a Whitechapel, dove tutto era iniziato.
"Non posso, Jacob. Non ancora. Se il Koh-i-Noor si trova in India devo riprenderlo e portarlo al sicuro."
Jacob continua a fissare le porte del pub, le labbra piegate in una smorfia triste, solo in parte arrabbiata.
Evie appoggia la fronte contro la sua spalla, liberando un solo, piccolo, singhiozzo.
Sono stanca anche io, vorrebbe dirgli.
Sono così stanca di essere sola in un paese straniero, Jacob. Di dovermi spiegare, e di non essere compresa, vorrebbe confessargli, e sta per farlo, quando percepisce le sue dita sulla nuca - tiepide, rassicuranti.
"Torniamo al treno." mormora, posandole un bacio tra i capelli.
Evie chiude gli occhi, respira - rimane immobile sotto una pioggia sottile, fredda.
"I Rook possono aspettare." prosegue, continuando ad accarezzarle la nuca.

Londra può aspettare.

Evie si passa il dorso della mano sulle palpebre, tirando su con il naso.

Un gesto che Jacob ricorda - che ha già visto quando erano piccoli e abbracciati nello spazio tra i loro letti.

"Agnes ha comprato persino quel tè terribile che ti piace tanto."
Evie gli rivolge uno sguardo lucido, in cui è crudelmente facile specchiarsi.

Perché è quello che rivedi ogni notte prima di addormentarti, idiota.

"Alla vaniglia?"
"Cos'altro?" ribatte lui, offrendole la mano.
Evie osserva le sue dita tese qualche secondo, intrecciandole alle proprie in fretta, senza incertezze.
"Signora." le dice poi, sbattendo la punta del bastone a terra e facendo comparire un ombrello.
Evie si avvicina al suo fianco e ascolta il battito del cuore di Jacob riportarla a casa.


1888

Abberline è un profilo curvo, contratto in un smorfia disgustata, piena di orrore.
"Aveva solo venticinque anni."
Evie osserva ciò che è rimasto di Mary Jane Kelly come se non fosse lì con lei, nella stessa stanza in cui il sangue gronda dal materasso, inzuppando il pavimento dissestato.
Non è rimasto nulla del suo viso, se non un ammasso di carne e pelle scavata fino all'osso - una voragine dalla quale Mary urla, e l'accusa di ogni singola morte.
Abberline si volta, fissandola.
"Non posso più proteggervi."
Evie sposta lo sguardo alla sua destra - sul comodino ciò che resta dei seni, parte dello stomaco e i due polmoni - tra le mani un rosario di viscere e tra le cosce, smembrate e straziate, l'utero e il resto.
"Manca il cuore." percepisce se stessa contemplare, la sua voce un'eco lontana, distante.
Abberline tossisce un paio di volte, sembra trattenere un conato.
"Deve averlo portato via con sé."
"Hai sentito almeno una parola di quello che ho detto?" le ripete Abberline, ma Evie non c'è - si è appena trasformata in un ammasso di adrenalina e rabbia.
"Era una delle reclute di Jacob." mormora, inspirando con forza - giù per la gola sangue e merda.
"Il messaggio." continua, nelle sue parole una nota stridente - vicina all'isteria.
"Segui la scia di sangue oltre lo specchio." prosegue, negli occhi una scintilla febbrile, che Abberline riconosce come l'inizio della follia.

O dell'odio.

"Signorina Frye: non lasci che la sua collera la renda imprudente e..."
"Avrà la testa dello Squartatore, ispettore." proclama, e c'è qualcosa nel suo sguardo - una durezza risoluta, incrollabile.

Definitiva.

"Se morirò, lo porterò con me." conclude, arrampicandosi sulla finestra e poi verso il tetto.
Abberline si sporge oltre il bordo, rovesciando la testa all'insù - intravedendo solo un profilo sfocato, che salta da un palazzo all'altro.
I Frye hanno liberato Londra; insieme la salveranno o la vedranno morire.


The scarlet cross we bear until the bitter end
And they, they can never know just what we’ve done.

È passato il tempo tra le loro dita, sulla loro pelle.
Li ha feriti, scrivendo nuove storie, cicatrici di cui hanno seguito ogni contorno con le mani, in punta di lingua.
Non c'è traccia dell'artefatto e persino Henry si è arreso a un'evidenza più che chiara - Evie odia stare qui.
Jacob lo saluta con un lieve cenno del capo, sul viso un'espressione cupa, che lo rende orrendamente simile a suo padre.
"Greenie." gli dice poi, togliendosi il cilindro.
Ed è ancora Jacob, solo più pericoloso: ha perso l'imprudenza della giovinezza e adesso affronta la vita con un'efficienza che lo rende una perfetta macchina per uccidere.

Tutto quello che tu non sei mai stato.

"Jacob." replica lui, quieto.
"Ho saputo del tuo matrimonio: congratulazioni." aggiunge, lisciandosi una piega immaginaria sul cappotto.
"Grazie."
"Tua moglie è già incinta."
"Dicono sarà un maschio."
Jacob abbozza un sorriso a metà, freddo.
"Ah, le gioie della paternità. Allora non spari a vuoto, dopotutto." prosegue, battendogli una mano sulla spalla.
Henry lo fissa dritto negli occhi, Jacob ne sostiene lo sguardo e non c'è ironia nelle sue parole, né felicità: solo una sottile vena derisoria, forse persino crudele.
"Evie sarà pronta tra poco: la Confraternita e le reclute sono molto dispiaciute nel vederla andare via."
"Così vanno le cose." ribatte Jacob, arcuando appena un angolo delle labbra.
"Se avremo nuove notizie sull'artefatto non esiteremo a contattarvi."
Jacob annuisce, inclinando appena il mento verso il petto.
"Come vanno le cose a Londra?"
Jacob si stringe nelle spalle, emettendo un suono ambiguo - privo di significato.
"Ho saputo che c'è qualche problema con un tuo apprendista."
"Uhm."
"Il piccolo Jack, se non sbaglio."
Jacob ridacchia, continuando a lasciar scivolare il bordo del cilindro tra le dita.
"Ormai è alto più di me e te messi insieme, Greenie: un mostro di quasi due metri."
Henry sgrana gli occhi a quell'affermazione, ricordando un ragazzino esile e tutto ossa.
Sa che dovrebbe offrirgli il suo aiuto, ma non ci riesce - non vuole.
La sensazione strisciante che aveva avvertito fin dal primo giorno che l'aveva incontrato si era fatta più forte negli anni, facendogli drizzare i peli sulla nuca e stringere le viscere.

Jacob Frye era una bestia: un animale travestito da uomo, una creatura selvatica che non riusciva né a capire né a domare.

Eppure eccolo lì, impeccabile nel suo Chesterfield nero lungo fino al ginocchio - sotto coltelli affilati e la fedele lama celata al polso.
Jacob sposta poi lo sguardo oltre la sua spalla, schiudendo le labbra in un sorriso vero, autentico.

Che aveva visto solo quando entrava nella stanza lei.

"Evie." la chiama, e lei gli corre incontro, lasciando cadere la valigia sul ciglio della strada.
"Jacob." ride lei, ed Henry si sposta di lato, nel petto una vecchia ferita pungere, riportandolo indietro di almeno dieci anni.

"Torno a prendere mia sorella, Greenie. Comincio a pensare che quell'artefatto tu l'abbia nascosto sotto il letto di casa tua per farmi dispetto."

Jacob la stringe a sé - come farebbe un fratello - le bacia la fronte - come è normale che sia - le palpebre - un gesto di quando erano bambini.
Evie libera una risata leggera, che non le aveva mai sentito fare - non da quando era arrivata in India.
E brucia, Evie, cercando gli occhi di suo fratello - tra di loro un dialogo silenzioso e privato.

Uguale a quando Ajala lo guarda e gli dice ti amo, Jayadeep Mir.

I sospetti di Henry riemergono dalla palude nei quali aveva cercato di soffocarli.


1888

"Tieni: ho un pensierino per te."
Jacob solleva appena il viso dal petto, cercando di mettere a fuoco la stanza.
"Magari ti terrà compagnia: in fondo, dovresti riconoscerlo in fretta."

Plotch.

Jack gli schiude le dita, costringendolo ad aprire le mani.
"Ha urlato, se vuoi saperlo; e tanto."

Plotch. Plotch.

Jacob percepisce qualcosa di molliccio e viscido appoggiarsi sul palmo della mano, l'odore di sangue e metallo colpirlo come un pugno nello stomaco.
"Gliel'ho sfilato mentre era ancora viva, Jacob; proprio come si fa con i vitelli o le vacche. Una piccola incisione circolare e zac, via i legamenti, questo sacchetto immondo."
Jacob respira sempre più fretta, nella mente gridare una sola parola - no no no no no.
Jack si rialza, concedendogli qualche pacca condiscendente sulla testa.
"Sono stato bravo; potevo passare dalla via più facile - lasciare integra la sua dignità, diciamo, ma ho pensato perché mai? In fondo, se l'ha usata per fottersi suo fratello di cosa dovrei preoccuparmi?"

Plotch.

Jacob sgrana l'occhio ancora sano, comprende - snuda i denti, la parte ancora razionale di lui che esplode, dicendogli che no, Evie non si sarebbe mai fatta catturare, non è possibile, non...
"L'ho squarciata, Jacob; da parte a parte."
Jacob richiude le dita in un pugno chiuso, resiste all'impulso di lanciargli quello che adesso sa essere un utero in faccia - lo lascia poi cadere a terra, nel suo stesso sangue.
"Avresti dovuta vederla; dall'ombelico in giù non è rimasto più niente di riconoscibile ed è un bene, Jacob, un bene. Voglio dire: che fosse una puttana l'ho sempre saputo - così fottutamente precisa, puntigliosa - ma che fosse la tua, oh, questa è stata una rivoltante scoperta."
Jacob libera un suono asimmetrico, che sorprende persino Jack.
"Cosa stai facendo?"
E ride, Jacob: ride, perché sa che Evie è viva - che se fosse morta ora sarebbe, davanti a lui, nelle stesse condizioni che gli sta descrivendo Jack.
Ride, e graffia la sua voce - arrugginita, logora.
Jack avanza, scrollandolo con forza - facendogli sbattere la nuca contro la parete della cella.
"Smettila!" bercia, assestandogli un manrovescio che gli fa sputare un dente.
"Smettila, smettila!" ripete, colpendolo fino a quando quel suono non diventa un rantolio sfiatato - che tuttavia persiste, aggrappandosi ai suoi pensieri, a ciò che resta di entrambi.
Jack ansima, studiandolo in silenzio.
"Spero ti faccia molto male." sussurra Jacob, prima di perdere conoscenza.
Sul fondo della follia, Mentore e allievo si sono infine incontrati.


Nothing good will come of this
I’m screaming out with my last aching breath
I’ll be yours until my dying day
but I can never see you.

Sono cresciuti; questo il primo pensiero che gli attraversa la mente.
Dio, quanto sono vecchio, il secondo, accompagnato da un sorriso malinconico, un po' triste.
"Oh, guarda chi è venuto a trovarci." lo accoglie Jacob, stendendo il braccio verso l'interno della carrozza.
Evie si alza, negli occhi una scintilla divertita, uguale a quando era ancora una bambina.
"Allora? Le tue ossa hanno retto il viaggio fino a Londra?"
"Moccioso maleducato." lo apostrofa George, conficcandogli il pomello del bastone nel fianco "A guardarti in faccia sembri più vecchio di me."
Jacob si passa le mani nei capelli, ammiccando.
"Sei un pessimo bugiardo, George; la mia bellezza è incontestabile."
"Così pieno di te da bastare per tutta Londra." ribatte Evie, avvicinandosi.
George si lascia abbracciare, un po' imbarazzato - non più abituato a queste esternazioni di affetto.
E li guarda, George, l'instinto dell'assassino più forte di ogni altra cosa.
Li studia in silenzio mentre chiacchierano del più e del meno, Evie che prepara il tè e Jacob che taglia distrattamente il pane, ciarlando dei Rooks e dei pub in città.
Scompone la loro prossemica, i gesti delicati con i quali Evie sposta suo fratello di lato, quelli familiari con cui Jacob le toglie una ciocca di capelli dalla fronte, mettendogliela dietro l'orecchio.
Non parlano dell'India; non l'avevano fatto nemmeno quando Evie era appena rientrata, quasi tre anni prima.
Li aveva accolti in stazione con l'idea di trovarli diversi - Evie frustrata dal mancato recupero dell'artefatto e Jacob irritato dal suo atteggiamento - e invece si era trovato davanti due persone serene, così spudoramente contente da ricordargli quando erano piccoli e aveva regalato loro due lame gemelle.
Jacob posa il sandwich mezzo masticato nel piattino, guardandolo.
"Sei venuto a parlarci della casa di Crawley, giusto?"
George si schiarisce la voce, ritrovando il filo dei suoi pensieri.
"Sì."
Evie preme le labbra in una linea sottile, annuendo.
"Sto diventando vecchio." ammette "E le ultime due missioni mi hanno fortemente compromesso." prosegue, tamburellando con le dita sulla coscia.
Jacob fissa il punto da lui indicato, quieto.
"Hai rischiato di morire."
"Sì, be', un miracolo il proiettile non abbia reciso l'arteria; ma i tendini sono irrimediabilmente danneggiati, per cui dovrò dire addio ai salti sui tetti per sempre."
Evie gli sfiora il dorso della mano con le dita, comprensiva.
"Proponi di venderla?"
George alza un sopracciglio, incerto.
"È molto grande. Al momento mi sto occupando del mantenimento, ma sarebbe la scelta migliore."
Jacob si passa una mano tra i capelli, Evie sembra soppesare le sue parole, grattandosi l'interno del polso.
"A meno che voi non abbiate altri piani."
"Cosa intendi?" replica Evie, inclinando il capo verso la spalla.
George si raddrizza contro lo schienale, posando il bastone in grembo.
"La casa era stata concepita per ospitare una famiglia; Ethan e Cecily si erano aspettati di avere più di un bambino."
Jacob ed Evie si scambiano un'occhiata tesa, inquieta.
"Non voglio farmi gli affari vostri, siete due adulti ormai, ma avete superato entrambi i trent'anni e mi chiedevo se uno di voi avesse mai valutato la possibilità di... be', usarla."
Evie si umetta le labbra, scostandosi appena.
"Mi stai chiedendo se ho pretendente, George?"
"Se l'avete entrambi, a dir la verità."
Jacob appoggia un piede sul ginocchio, slacciandosi il primo bottone della camicia.
"Londra e la sua gestione ci occupano la maggior parte del tempo."
George sposta con la punta dell'indice un pezzo di pomodoro, annuisce.
"Nessuno di noi due ha tempo per una relazione." conferma Evie, tra le sue parole una flessione che George riconosce come ritrosia, disagio.
"Peccato: mi sarebbe piaciuto vedere gli inarrestabili gemelli Frye alle prese con dei marmocchi urlanti e strepitanti."
"Oh, bastano i Rooks." ribatte subito Jacob, nella sua voce una nota forzatamente allegra.
"E ci sono gli orfani: la città ne è piena e Clara sa sempre dove trovarne di nuovi."
George li guarda di sottecchi, frugando le loro espressioni, la curva dei loro corpi, i piccoli tic nervosi che non accorgono nemmeno di ripetere da sempre.

"Lo fanno spesso?"
"Cosa?"
"Questo." ribatte George, fissando la piccola Evie arrotolata tra le braccia di suo fratello.
Ethan si era scrollato nelle spalle, esausto.
"Da quando sono arrivati: Gwendolen mi ha detto che l'hanno fatto fin dal primo giorno nella culla."
George inclina il viso verso il basso, studiando l'espressione rilassata della bambina, il modo in cui intreccia le braccia e le gambe a Jacob.
"Sono bambini." aggiunge Ethan, soffocando uno sbadiglio.
"Ma cresceranno." gli dice George, trovandoli tragicamente carini - morbosamente legati.
"Per quel tempo si eviteranno come la peste; gli adolescenti non sopportano le invasioni dei loro spazi."
George aveva sfiorato la fronte di Evie, socchiudendo la bocca quando gli occhi di Jacob si erano aperti all'improvviso, fissandolo.
"Ehi." sussurra George, sorridendogli.
Jacob gli riserva unoa sguardo per nulla amichevole, aggrottando le sopracciglia.
"Sono un amico di vostro padre."
Ethan appoggia la testa contro lo stipite della porta, massaggiandosi le palpebre.
"Li hai svegliati?"
"No." mormora George, mantenendo il contatto visivo con Jacob.
"Jacob, smettila." lo apostrofa Ethan, sapendo già cosa aspettarsi.
Il bambino lo ignora, rafforzando la presa attorno sua sorella - per adesso più piccola di lui, esile.
Ethan sospira, avvicinandosi a George e prendendolo per un gomito.
"Usciamo. Fa sempre così. Che sia Nellie o io stesso, spalanca gli occhi appena tocchi Evie."
George si lascia accompagnare fuori dalla stanza, nella mente lo sguardo di Jacob - vattene. Non sei gradito qui.
Ethan si richiude la porta alle spalle, scendendo i gradini due alla volta.
"Devono ancora abituarsi." gli spiega, versandosi due dita di bourbon.
"Credo voglia proteggerla." aggiunge, bevendone un sorso "E sarebbe anche una cosa onorevole se non fosse che quando scenderanno in strada uno dei due potrebbe morire e l'altro non esserci per difenderlo."
George accetta il bourbon, pensieroso.
"Si alleneranno insieme." gli dice poi Ethan, schioccando la lingua contro il palato.
"Ne farò un'unica arma, un solo corpo: dove mancherà uno, arriverà l'altro."
George si era dichiarato d'accordo con quella proposta, trovandola rischiosa, ma perfetta per i due gemelli, già così visceralmente intrecciati l'uno nell'altro.
Ethan lo aveva congedato con un sorriso a metà, nostalgico - il tempo incapace di lenire il suo dolore.
Anni dopo, davanti la sua tomba, Jacob ed Evie non avevano pianto nemmeno una lacrima.

Jacob addenta il suo sandwich lasciato a metà, ruba dal piatto di sua sorella una fetta di pane - Ehi! Brutto schifoso. - Evie gli lancia contro il tovagliolo, colpendolo in piena faccia.

Un'unica arma, un solo corpo.

La casa di Crawley custodirà i loro segreti fino alla fine.


1888

"E così Evie Frye è tornata a casa, uhm?"
Jack la osserva dall'altro, inclinando il capo in un movimento curioso, che lo assomigliare a un rapace notturno.
"Io ti vedo, Jack." mormora Evie, studiandolo.
"Oh, lo so, Evie. Lo so."
Jack indica i propri occhi con le dita, puntandole poi su di lei.
"Hai tradito Jacob."
Jack salta, e quando atterra sposta diversi detriti con la sola forza del suo peso.
"Io?" ribatte, nella voce una nota furiosa a malapena contenuta.
"Io avrei tradito quel fottuto malato di tuo fratello?"
Evie rafforza la presa attorno ai propri karas, flettendo le cosce parallele al pavimento.
Jack ridacchia, scuotendo la testa.
"Io vi ho visti, Evie."
Nessuna risposta.
Jack solleva il mento verso l'alto, dilatando le narici.
"Ero gracile, ma veloce; agile come un ratto."
Evie non abbandona il contatto visivo, respira piano, sensibile anche al più piccolo spostamento d'aria.
"Mia madre lo diceva sempre."
Jack indossa una maschera in tela bianca - scompare, e (ri)nasce adesso lo Squartatore.
"Siete solo delle puttane che abbandonano i propri figli deformi in posti come questo."
"Tua madre è stata uccisa, Jack: dagli uomini di Starrick." sussurra, retrocedendo appena.
"E dov'era il tuo prezioso fratello mentre la sbudellavano e la stupravano davanti ai miei occhi, uhm?"
"Non è colpa sua." ripete, ma Jack è enorme davanti a lei - un cazzo di gigante senza più volto.
"Coraggio, guarda, dicevano: coraggio, ragazzino, non avere paura."
Jack avanza in due ampie falcate, Evie scarta di lato, ogni muscolo dolorosamente teso dall'adrenalina.
"Coraggio, marmocchio." ringhia, estraendo due coltelli lunghi quanto una spada corta "Impara come far godere una donna."
Evie vede il primo attacco arrivare, ruota all'indietro, atterrando sulla rampa di scale inferiore.
"Coraggio, signorina Frye." grida adesso Jack "Fammi un po' vedere se il tuo Credo può qualcosa contro il mio Credo."
Evie si volta e comincia a correre.


We, we knew how this would end
and we knew we’d die before we lived
but I’ll never let you go
I’ll never let you go.

Il nuovo Gran Maestro ha occhi acuti, di un azzurro così limpido da sembrare trasparenti.
Il nuovo Gran Maestro sa di loro - gli sorride da lontano, quieto nel suo posto in prima fila a teatro.
"Bedelia le Savage." mormora Evie, stretta in un corsetto blu pavone.
Jacob si allenta la cravatta, una Ascot rosso cupo, che le ricorda il colore del sangue coagulato.
"Il nuovo Gran Maestro." specifica Jacob, sedendosi al suo fianco.
Evie preme le labbra in una linea sottile, stropicciando la stoffa della gonna tra il pollice e l'indice.
"Pensavo non sarebbero più tornati."
Jacob intreccia le dita sull'addome, tamburellando sui bottoni di un gilet doppio petto jacquard nero e oro.
"Londra è una città difficile."
Evie alza un sopracciglio, fissandolo di sbieco.
"Ho imparato molto mentre eri in India, Evie." sospira Jacob, resistendo all'impulso di appoggiare i piedi sulla ringhiera della balconata.
"Non abbastanza da tenere fuori i templari da Londra."
Jacob indurisce lo sguardo, mostrandole una serietà a cui si è dovuta abituare i primi mesi - spigoli e angoli che la ferivano a ogni contatto, ogni respiro.
"Siamo entrambi necessari, Evie: finché il piatto della bilancia pende dalla nostra parte andrà tutto bene."
"E quando non lo farà più?"
Jacob si sporge verso di lei, fissandola negli occhi.
"Allora combatteremo, Evie; esattamente come abbiamo fatto quindici anni fa."
"Mi sembra un azzardo."
"Solo noi sappiamo dov'è il frammento dell'Eden."
"Ed Henry."
Jacob irrigidisce un nervo sotto la mandibola, sfiorandole una guancia con il dorso della mano.
"E Greenie. Sempre che non lo mangi prima una tigre. Il che ci farebbe un gran favore."
Evie libera un suono a metà tra la risata e lo sbuffo, picchiettandogli l'indice sul petto.
"Dov'è finito il fratello che tagliava la gola a chiunque indossasse una croce templare?"
Jacob sorride, inclinando appena il capo verso la spalla.
"Ha capito che senza un piano a lungo termine siamo solo tagliagole senza il senso del futuro."
Il teatro cala nel buio mentre Jacob la bacia senza vergogna.


1888

"Questo mondo è permeato dalla malattia." bercia Jack, colpendola al fianco - schiacciandole due costole, forse perforandole il polmone.
"Questa città è marcia, signorina Frye: putrida, fetida come i cadaveri sui quali è costruita."
Evie rotola di lato, sbattendo contro una parete e dandosi la spinta con i talloni per evitare il fendente di Jack.
"Il Credo ne è stato infettato, Evie: sta guastandosi dall'interno."
Jack riesce a pestarle una mano, strappandole un un grido a metà.
"Jacob motteggiava tanto di pulizia e onestà e correttezza, ma ha lasciato che una troia come Bedelia girasse indisturbata per le strade. Che bambini morissero, fossero un male necessario. Un merdoso danno collaterale."
Evie afferra una bomba fumogena, sganciandola dalla cintura e lasciandola scivolare tra gli stivali di Jack - correndo verso le scale quando esplode e nascondendosi nelle ombre del soffitto.
"Evie Frye!" grida Jack, tossendo.
"Sei patetica!" prosegue, buttando sull'impiantito il cilindro.
"Mostrami la tua faccia da puttana, codarda! Tu e tuo fratello siete un residuo, una fottuta scheggia di passato: una reliquia di un Credo morto, morto!" urla, graffiandole le orecchie, la mente.
Jack ruggisce - libera un suono orrendo, che assomiglia al latrato rabbioso di un animale.
Evie chiude gli occhi e quando li riapre vede.


They will never know all the blood we shed
The scarlet cross we bear until the bitter end
and they, they can never know just what we’ve done.

Non hanno venduto la casa di Crawley.
Sono rimasti quattro giorni e tre notti a fissarne le pareti, riscoprire vecchi anfratti e nascondigli con i quali giocavano da bambini.
"Non credo di poterne avere."
Jacob alza appena un sopracciglio, l'unico segno tangibile che sia ancora sveglio.
Evie si porta le ginocchia al petto, attorno a loro il silenzio di una casa vuota, nella quale ci sono solo loro e il crepitio del fuoco.
"Figli, intendo."
Jacob socchiude le palpebre, fissandola.
Evie inclina il viso verso di lui, quieta.
"Sarebbe già successo, no?"
"Potrei essere io." la sorprende Jacob, nella voce una nota assonnata, morbida.
Evie sembra riflettere su quella possibilità, viene presa in contropiede dalla domanda successiva.
"A meno che tu non ci abbia già provato."
Nessuna risposta.
"Sei stata via tanto, Evie." aggiunge lui, intrecciando le dita sull'addome.
"Vale anche per te."
Jacob schiocca la lingua contro il palato, scuotendo la testa.
"No." ribatte lui, mostrandole un'onesta disarmante.
"Avresti potuto."
"Cristo, Evie, devi sempre essere così sulla difensiva?" sbotta lui, stropicciandosi il viso con entrambe le mani.
Evie si raggomitola nell'angolo del divano, portandosi la coperta fino al mento.
Jacob appoggia i gomiti sulle ginocchia, guardandola in tralice.
"Sedici anni, Evie. Li ho contati."
Evie tace, parte del volto illuminata dal fuoco morente.
"Ci abbiamo sempre girato intorno, ma forse sarebbe ora di smetterla."
Evie si umetta le labbra, aggrottando le sopracciglia.
"Neanche io." mormora poi, posando lo sguardo sopra il camino.
Jacob si massaggia i polsi, aspetta.
"Henry è stato molto... insistente. E galante, a modo suo."
Jacob arriccia le labbra in una smorfia, tra i denti un Greenie e mezza bocca.
"Ma no, Jacob. Non era quella la vita alla quale ero interessata."
Le spalle di Jacob si raddrizzano, quasi si fossero liberate di un peso - e anche Evie si sente un po' più leggera, meno rattrappita in se stessa.
"Perché abbiamo tenuto la casa?"
Jacob sospira, reclinandosi all'indietro.
"Lo sappiamo entrambi, Evie."

Perché è qui che moriremo.
Che vogliamo tornare e vivere i nostri ultimi giorni - liberi, di nuovo insieme.

Evie gli si avvicina, circondandogli il petto con le braccia.

"Potremmo morire domani, sorella."
"Lo so."

Jacob le accarezza la nuca, assorto.

"Nulla è reale, tutto è lecito."

Evie gli allunga parte della coperta, stringendosi a lui come quando erano piccoli ed Ethan li trovava così, avvolti l'uno nell'altro e addormentati in cima alle scale, probabilmente nel tentativo di spiarlo nel suo studio.
Nel sonno, le voci di quei bambini non smettono mai di ridere.


1888

"Io non sono come te." ansima Evie, accoltellando per l'ennesima volta.
"Tu eri un assassino, adesso sei solo un mostro." sibila, trapassandogli il fegato e ruotando la lama molto, molto lentamente.
Jack si aggrappa alle sue braccia, fissandola con occhi lucidi di follia e rabbia.
Evie non ha paura e si riflette in quell'abisso di disperazione e morte - affonda, fino a quando non è sporca di sangue ovunque, persino nell'anima.
Jack sorride - fili rossi lungo il mento, tra i denti.
"Tu ed io..." mormora, espettorando saliva e sangue.
"Tu ed io siamo uguali." ride, giù per la gola un suono umido, gorgogliante.
Evie stringe le dita in pugni chiusi, si accorge di star gridando solo quando il respiro di Jack muore - tra le cosce una chiazza d'urina che va allargandosi.
"Ti odio." bercia Evie, dandogli un primo calcio.
"Ti odio, ti odio, ti odio." ripete, infierendo sul suo corpo inerte.
Uno dei pazienti scappa quando ne incrocia lo sguardo, e in una pozza d'acqua Evie vede se stessa - siamo uguali, io e te.
Si ferma a metà del corridoio, cercando di riprendere fiato.
"Sei pesante, grandissimo pezzo di merda." sussurra, gettando un'occhiata alle sue spalle.
"Ma non posso lasciarti qui, dove tutti ti troverebbero." continua, trascinandolo verso la cella dove crede sia Jacob.
Evie libera una risata aspra, gracchiante.
"Se Jacob è morto..."

"Siamo uguali, tu ed io."

Evie si ferma con la mano libera sul catenaccio della porta, nella smorfia che le deforma le labbra la prova di quanto la sua sanità sia sull'orlo del baratro.

Crick, crick, crack; non ho potuto catturare lo Squartatore, ispettore Abberline.
Mi dispiace tanto.

Evie inspira con forza, spingendo con la spalla sulla superficie in legno e quasi perdendo l'equilibrio quando riesce ad aprirla.

Jacob.

Davanti a lei il corpo di Jacob assomiglia già a quello di un fantasma.


I will never let you go
They can never know just what we’ve done
I will never let you go

We knew how this would end.

Sono cambiati, eppure non si sono mai persi.
Si sono cercati sul ciglio del mondo, quando tutto sembrava smarrito e mentre la guerra ruggiva, reclamando per sé tutto ciò che era rimasto della loro innocenza.
Jacob l'aveva baciata con un'urgenza disperata, febbrile.
Evie gli aveva preso il viso tra le mani, rassicurandolo.
Vieni anche tu, gli aveva detto.
Londra resisterà qualche mese senza di noi, si era illusa.
Jacob le riserva uno sguardo triste, appoggiando la fronte contro la sua.
"Sto perdendo i Rook." le confessa, guardandola.
Evie rafforza la presa sulle sue braccia, premendo le labbra tra loro.
"Ma tu lo sapevi già."
"Sì."
"Non è una bella situazione, Evie."
"Lo so."
Jacob chiude gli occhi, riaprendoli subito dopo.
"L'hanno trovato davvero?"
Evie annuisce, il viso un ovale pallido e freddo.
Jacob china il capo, tra di loro lo spazio di un respiro.
"Se è una cazzata di Greenie..."
"Non è stato lui a mandarmi la lettera: l'hai visto."
Jacob tace, le dita premerle nella carne, oltre la stoffa pesante del cappotto.
"Vieni con me." ripete Evie, e sa che i ruoli si sono invertiti - che Londra sta affogando nel suo stesso sangue, sventrata dal figlio prediletto.
Jacob le regala un sorriso malinconico, che le fa venir voglia di piangere e rimanere lì, seduta con lui per sempre.
"Cerca di esserci per il nostro compleanno, uhm?"
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo.
"È tra otto mesi a partire da domani." continua, baciandola languidamente, senza fretta.
"Credo siano più che sufficienti per andare a riprendere quel fottuto Koh-i e qualcosa e tornare."
Evie ride, ma Jacob riesce a percepire il piccolo singhiozzo che nasconde la sua voce - lo stesso pugno di lacrime e rassegnazione che soffoca anche lui.

"Ce l'ho fatta, Jacob; sono qui, è finita."

È il nove aprile 1888: il regno di Jack lo Squartatore ha appena avuto inizio.

   
 
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