Baker Street, dolce
casa
Capitolo 3
John se n'era andato di nuovo, era corso fuori come una furia
senza dire un’altra parola.
Sherlock rimase in soggiorno, con il rumore della porta sbattuta
che ancora gli rimbombava nel cervello, e si chiese quanto tempo ci sarebbe
voluto affinché John tornasse.
Guardò le carte sul tavolino da caffè.
John aveva appena scoperto del loro matrimonio e già voleva
il divorzio. Beh, forse non avrebbe
dovuto essere così sorpreso. Ma poi di nuovo, nel profondo del proprio essere,
aveva sperato che John lo avesse ricordato. Dopotutto, non era come se lui lo
avesse obbligato a sposarlo.
Notò che la firma di John sui fogli era piuttosto malferma.
Doveva averli firmati subito dopo che
erano stati stampati o durante il viaggio in taxi fino al 221b. Quindi - o in
un momento di rabbia o mentre il veicolo era in movimento, come se non valesse
nemmeno la pena di prendersi il tempo per firmare in modo corretto. Solo una
stupida formalità. Sherlock tentò di non farsi ferire da questa circostanza e fallì.
Certo il fatto che John non riuscisse nemmeno a ricordare il
loro matrimonio era un po' deludente, lo era stato fin dall'inizio, ma Sherlock
non aveva mai pensato di parlarne nemmeno in seguito. Erano sposati e vivevano
insieme e questo gli bastava. Solo dopo la sua presunta morte aveva compreso
che aveva bisogno che fosse qualcosa di più e aveva passato due anni a vivere per
il momento in cui avrebbe potuto tornare a casa da suo marito e chiedigli di
essere proprio questo: suo marito. Invece, era tornato per trovare John che stava
per fare la proposta di matrimonio a una donna noiosa e scelta a caso.
Nessuno gliene aveva mai parlato? Né Mycroft, né la signora
Hudson? Come era possibile che John fosse riuscito a non scoprire del loro
matrimonio per così tanto tempo?
Ci fu un colpo alla porta e un attimo dopo la signora Hudson infilò
dentro la testa: "Hoo-hoo, Sherlock caro. Stai bene? Ho sentito sbattere
la porta e qualcuno che correva per le scale e ho pensato che avrei fatto
meglio a vedere come stessi. Non vogliamo che si ripeta ciò che è successo con il
tuo ultimo cliente arrabbiato."
"Sai, quello che
ti ha picchiato fino a farti perdere i sensi," lei non lo aggiunse, ma
lo pensarono entrambi.
Sherlock trasalì: "Non era un cliente, signora Hudson.
Era... era John."
La donna si portò una mano alla bocca: "John?! Dio! E
non mi ha nemmeno detto ciao.”
"Non ha detto ciao neanche me, se la fa sentire meglio,
– mormorò Sherlock, sprofondando nel divano – O arrivederci."
La signora Hudson si sedette accanto a lui e gli posò una
mano sulla schiena. Lui non avrebbe accettato un simile gesto prima, ma in
questi giorni l'affetto della signora Hudson era stato tutto ciò che gli aveva
permesso di arrivare alla fine delle giornate: "Oh, il mio povero ragazzo.
Pensi che tornerà?"
"Di sicuro, – sospirò Sherlock – non ho firmato."
"Firmato che cosa? Perché John dovrebbe volere che tu firmassi
qualcosa?"
Sherlock indicò il tavolino da caffè: "Beh, vuole il
divorzio."
La signora Hudson prese i documenti: "Un divorzio?! Beh,
è un po' inaspettato, non credi? Sono passati due anni e mezzo. Certo, sei
stato morto per la maggior parte del tempo, ma sul serio. Sono sicura che potrai
parlargli quando tornerà. Il divorzio! Be’, che mi venga un colpo!”
Sherlock chinò la testa: "Temo che sia una situazione abbastanza
senza speranza, signora Hudson. Lui lo vuole così potrà sposare quella sua ridicola
fidanzata, – tirò su col naso – Non... non si ricordava nemmeno che ci fossimo
sposati dopotutto."
La signora Hudson, in uno dei suoi soliti momenti di empatia,
lo abbracciò.
*****
John chiuse dietro di sé con un sospiro la porta
dell'appartamento suo e di Mary e si appoggiò al legno per un momento. Due anni
e quattro mesi dopo la sua morte, lui e Sherlock avevano avuto la più bizzarra
conversazione nella storia della loro amicizia, se si poteva ancora chiamarla
così.
Entrambi avevano detto cose di cui John non era soddisfatto.
Avrebbe potuto gestire meglio la situazione, questo era certo. Doveva
aspettarsi che Sherlock sarebbe stato sulla difensiva e contrario.
"John? Va tutto bene?"
Giusto. Mary.
Si tolse le scarpe e la giacca ed entrò nel salotto, dove
Mary era seduta sul divano, guardandolo in attesa.
"È tutto ok."
Lei sorrise: "Quindi l'hai risolto, allora?"
"Io... no. Non ancora. Si è rifiutato di firmare."
Il sorriso le sparì dal viso: "Davvero?"
"Ha detto che non ero nella posizione di pretenderlo, – le
spiegò John, sprofondando sul divano accanto a lei – Ammetto che avrei potuto comportarmi
in modo diverso. Quindi lo lascerò sbollire per un po' e tra un giorno o due
firmerà i documenti."
Mary non sembrò convinta: "Ma non può tenerti in
ostaggio in questo modo."
John sbuffò: "Non è così. Non mi sta certo tenendo in
ostaggio, Mary."
"Beh, ti sta tenendo alla sua mercé e non ti lascerà
andare. In quale altro modo lo definiresti?"
John pensò al lampo di gioia apparso sul viso di Sherlock per
la sua apparizione nell'appartamento e non poté evitare di pensare che avrebbe
potuto essere molte cose, ma alla mercé di Sherlock non era una di queste: "Li
firmerà, – ripeté, più sicuro di quanto si sentisse in realtà – Non è una
persona cattiva. Farà la cosa giusta. A volte gli ci vuole solo un po' per
capire quale sia."
E con molta enfasi non pensò: "A volte gli ci vogliono due
anni.” Perché non voleva aspettare altri due anni affinché Sherlock si comportasse
come un essere umano decente. Non voleva di certo aspettare altri due anni
prima che lui e Mary potessero sposarsi. Aspettare non si confaceva al
vorticoso romanticismo della loro relazione. Aspettare poteva costringerlo a fermarsi
e a pensare, il che era qualcosa che John aveva evitato di fare da quando
Sherlock era morto.
"Beh, amore, tu lo conosci meglio, – ribatté Mary, prendendogli
la mano e intrecciando le loro dita – Forse dovresti... non so... provare a
essere di nuovo suo amico? Sono sicura che una volta che avrà visto quanto
siamo felici, firmerà i documenti per te. È tuo amico, giusto? Di sicuro lui
vorrà che tu sia felice."
"Sì, – mormorò John – Forse questo funzionerà."
Lei gli appoggiò la testa sulla spalla, sollevando le gambe
sul cuscino del divano: "Come è successo, comunque? Che vi siate sposati,
voglio dire."
John sbatté le palpebre: "Io... non lo so. Non lo
ricordo affatto. Ma lui non sembrava sorpreso, quindi deve averlo saputo."
"Non l'hai chiesto?"
"Ero troppo occupato a convincerlo a firmare i documenti
del divorzio per pensare molto al motivo per cui ne avevo bisogno in primo
luogo. Suppongo che dovrò chiedere, prima o poi. Perché diavolo non riesco a ricordare?"
"Non pensi che ti abbia costretto a farlo, vero? Che ti abbia
somministrato il GHB, ti abbia reso suggestionabile e poi..." Mary si
interruppe, ma lui sapeva che cosa intendesse e odiava quella conclusione. Gli
fece scorrere un brivido freddo lungo la spina dorsale e tutto il suo essere si
ribellò contro di essa. Sherlock era molte cose, ma non avrebbe mai fatto una cosa
del genere.
"No, – ribatté – Non so che cosa sia successo, ma sono
sicuro che non avrebbe fatto una cosa così."
"Ma avresti detto la stessa cosa se qualcuno ti avesse
suggerito che lui avesse simulato la sua morte per due anni, – disse Mary a
bassa voce – Forse non lo conosci bene come ti piace pensare."
Aveva ragione e quel pensiero gli diede una stretta al cuore.
"Gli parlerò di nuovo domani, – stabilì – Forse hai
ragione e tornare ad essere amici potrebbe fargli prendere la decisione giusta.”
NdT
Le posizioni sono proprio contrapposte, ma non ci si può aspettare altro, dato il punto di partenza. La fiducia tradita è una brutta bestia, ma quanto colpisce qualcuno che ha sempre avuto grossi problemi ad avere fede nel prossimo, allora la sfiducia diventa uno scudo praticamente insormontabile e indistruttibile.
Grazie a chi stia leggendo questa traduzione e ad arcobaleno2014, garfield73, T’Jill (la mia fantastica Beta) e amy holmes_JW per le recensioni.
A mercoledì prossimo.
Ciao ciao.