Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Green Star 90    20/06/2021    3 recensioni
[...] «quando uno dei capitoli più belli ma anche dolorosi della mia esistenza si è concluso, per almeno un anno non mi sono permesso di andare a trovare mia sorella al cimitero. C’era una sorta di rifiuto che non avevo ancora metabolizzato, era come se assieme a lei andassi a trovare anche le persone care che avevo perduto in Nordafrica e non mi sentivo pronto a farlo, non volevo dirgli veramente addio. Un bel giorno ho riaperto il mio zaino e ci ho trovato dentro la sciarpa dell’amico che mi aveva aiutato a vendicarla e… ho pianto come un deficiente!».
Fugo aveva sbruffato nell’immaginare un tipo flemmatico come lui lasciarsi andare a tal guisa.
«Scusami, è che non riesco a farmi un’idea mentale della scena»
«Non è un problema, rimarresti sconcertato se ti venissero a raccontare di com’ero a vent’anni».
***
Dodici racconti sulla vita, la morte e l'oltre vita.
Buona lettura.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jojo in Heaven'
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3- Al-Qirmiz

Al-Qirmiz¹

 

On and on the rain will fall
Like tears from a star
Like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are
How fragile we are

Sting, Fragile

Un racconto sulla forza dell’empatia

 

Di chiunque fosse stata l’idea di festeggiare l’arrivo in Egitto con l’alchermes doveva essere di sicuro un idiota, ma Jotaro era troppo stordito dall’alcol per prendersela col responsabile, che immaginava essere l’unico con un moncherino al posto della mano sinistra. Lo spettacolo offerto agli astri dicembrini del Medio Oriente erano tre ragazzini e un vecchio fatti prede delle grinfie di Bacco e un uomo sobrio che cercava in tutti i modi di scrollarsi di dosso il più rumoroso e molesto del gruppo con risultati deludenti. Il tutto era reso ancora più comico dal fatto che quella mattina, complice la stanchezza causata dalla nuotata post scontro con lo stand di Midler del giorno prima, proprio il membro più rumoroso e molesto del gruppo avesse indossato per sbaglio i pendenti di quello più tranquillo e discreto, sicché il secondo, invece di chiedere che gli venissero resi, aveva preso i perni del coetaneo teppista e burbero, il quale, a sua volta, con gran sorpresa di tutti e senza profferire parola, si era reso partecipe di quel gioco iniziato da un errore decorandosi i lobi con due mezzi cuori che gli sfioravano il colletto della divisa, e così erano rimasti fino alla notte.
In verità possedeva quel minimo di lucidità mentale che serviva per evocare Star Platinum e separare la povera vittima dal compagno appiccicoso, ma avrebbe mentito a sé stesso se avesse dichiarato di trovare la scena per nulla divertente; per questo motivo si fingeva più rincretinito di quanto non fosse veramente pur di ignorare apposta le richieste di aiuto che Abdul lanciava con gli occhi.
«Ehi».
Seduto accanto a Jotaro, Kakyoin gli diede una gomitata leggera sul fianco. Si girò a guardarlo: il castano degli occhi lucido per la leggerezza del momento e per gli effetti del liquore gli avevano fatto svanire temporaneamente quella sua aria perennemente malinconica².
«Mh?»
«Guarda che l’ho capito che hai capito che Abdul vuole che tu lo separi da Polnareff» aspirò rumorosamente e bevve un altro sorso di alchermes «che fai, non lo aiuti?»
«Non posso, sono ubriaco» senza trattenere un sorriso, Jotaro gli sfilò la bottiglia dalle mani e tracannò altro liquido «aiutalo tu»
«Non posso, sono ubriaco» rimbeccò Kakyoin.
Entrambi risero come due scemi.
«Prometti che non ci lascerai più!» piagnucolava Polnareff aggrappato al braccio di un Abdul più imbarazzato che altro, in balìa della più appiccicaticcia delle ubriacature «Putein! Mi sentivo così in colpa che stavo impazzendo, ero distrutto dal dolore… Ti prego, non morire più!».
Sembrava quasi tenero, quasi.
«Prometto solennemente che non ti farò più disperare» Abdul si mise una mano sul cuore e scoccò un’occhiataccia a Jotaro e Kakyoin che non finivano più di sghignazzare «però, magari, se mi lasciassi in pace un attimo potrei prendere la cassetta del pronto soccorso e darvi delle aspirine per scongiurarvi il mal di testa di domani»
«Quando ammazzeremo Dio ti porto a visitare Parigi… No, anzi, facciamo il tour de France! Tu, io e gli altri, faremo una vacanza luuuunghiiiiissima»
«Sì, Pol, promesso, grazie per l’affetto che mi dimostri… E molla!» Abdul riuscì finalmente a liberarsi dalla presa di Polnareff e allungò il busto per rovistare tra le vettovaglie in cerca del farmaco che avrebbe salvato gli altri quattro dai postumi.
«Oh, Abdul, se non ci fossi dovremmo, hic! Inventarti» biascicò Joseph sollevando la propria bottiglia quasi vuota in controluce col fuocherello al centro dell’accampamento provvisorio «Devo smetterla di comportarmi come se avessi diciott’anni»
«Tanto la tua età cerebrale è ferma a dodici» sentenziò Jotaro provocando una reazione collettiva di fischi e risate improvvisi, al punto che Kakyoin si lasciò cadere di lato con le mani sullo stomaco e Abdul inciampò sul bagaglio di Polnareff.
«Senti… coso!» inveì Joseph puntandogli il braccio privo di mano meccanica «Guarda che se non era per me col cavolo che avreste potuto bere in un Paese musulmano! Alla tua età avevo già combattuto contro tre guerrieri aztechi!»
«E noi la ringraziamo per aver salvato il mondo signor Joestar, e proprio perché abbiamo ancora bisogno di lei farebbe bene a non esagerare più con l’alcol».
Come un genitore paziente fa col figlio capriccioso, Abdul sfilò dalla presa di Joseph la bottiglia coi fondi del liquore e gli mise in mano una borraccia contenente acqua.
«Ne beva un po’ e si metta a dormire, e lo stesso vale per voi» aggiunse rivolto agli altri tre.
«Sì papa» ridacchiò Polnareff mentre cercava di rimettere seduto Kakyoin «oh no, abbiamo perso ciuffetto!»
«Sono ancora qua, cretino» replicò l’ingiuriato con la bocca impastata, puntellandosi coi gomiti sulla sabbia. Tolse la bottiglia dal grembo di Jotaro e se la portò alla bocca «Nooo, è vuota, ne necessito!»
«Ne hai avuto già abbastanza, direi che va bene così» Abdul raccolse anche il vetro che lui e Jotaro avevano svuotato e lo incastrò sotto l’ascella «non ti facevo così trasgressivo, sono sorpreso»
«Colpa di questo qui» Kakyoin evocò un tentacolo che colpì la catena della divisa di Jotaro, il quale incrociò le braccia e lo guardò con un’espressione a metà fra il divertito e il corrucciato. Gli orecchini di Polnareff che assecondavano il moto della testa verso chi lo aveva accusato del misfatto.
«Non ti picchio solo perché sei ubriaco»
«Oh, facciamo i duri, molto bene» Polnareff afferrò la sciarpa di Kakyoin e se l’avvolse intorno al collo stando attento che i pendenti di ciliegia fossero ben visibili «Buonasera, mi chiamo Noriaki Kakyoin e sono vergine».
Jotaro si strozzò con la propria saliva, Abdul fece scivolare accidentalmente le bottiglie per terra e Joseph esplose in una risata fragorosa che si premurò di soffocare subito dopo.
«Polnareff!» esclamò il più anziano «Kakyoin, scusa se ho riso, scusa davvero… oddio» si affrettò ad aggiungere senza smettere di sussultare per le risate trattenute.
Lo sguardo di Jotaro, nel frattempo, rimbalzava continuamente tra Polnareff e Kakyoin; gli era parso che sul volto dello studente fosse sceso un velo di tristezza improvvisa, ma non ebbe il tempo di accertarsene perché lo vide alzarsi, seppur barcollante, piantare i mocassini sulla sabbia e tenersi i fianchi con entrambe le mani senza smettere di guardare in faccia chi lo aveva preso in giro:
«Mon nom est Jean-Pierre Polnareff et je suis un connard».
L’imitazione di Kakyoin era stata così perfetta che Joseph si riscosse momentaneamente dalle nebbie dell’alcol e si profuse in un applauso sincero con tanto di «Bravissimo!» urlato in italiano, mentre Abdul e Jotaro abbandonarono il loro stoicismo consueto e risero di gusto. 
Polnareff, invece, si era limitato ad aprire e chiudere la bocca come un ebete e non profferì neppure una sillaba.
«Ecco, bravo Kak, rendigli pan per focaccia!» esclamò Joseph nemmeno stesse assistendo a una partita di football «E tu, Pol, prendi e porta a casa».
Dal canto suo, Polnareff aveva assottigliato i suoi occhi azzurri e serrato la mandibola.
«Me la lego al dito» fu la replica di colui il quale era stato appena trafitto dal suo stesso fioretto «e la sciarpa me la tengo per la notte assieme ai tuoi orecchini»
«Nessun problema, amico mio» Kakyoin si risedette accanto a Jotaro e incrociò le braccia al petto, apparentemente soddisfatto di come si era concluso quel botta e risposta.
La notte trascorse in maniera relativamente tranquilla tra altre battute e sprazzi di racconti del passato di Joseph: tuttavia, mentre Polnareff sembrava aver completamente dimenticato la stoccata subita, a giudicare dall’entusiasmo con cui commentava i dettagli della cerimonia di matrimonio tra il vecchio e nonna Suzie, Kakyoin si era chiuso in un mutismo assoluto e contemplava estraniato il fuoco attorno al quale erano raccolti. Ciò non gli avrebbe costituito turbamento alcuno se non avesse saputo che proprio Kakyoin non era il tipo da cambiare umore all’improvviso, soprattutto per una faccenda dalla valenza meno che risibile. Una volta giunto il momento di andare a dormire si era infilato nel sacco a pelo senza dire una parola e lì era rimasto, steso sulla schiena e immobile, facendo credere a tutti di aver preso subito sonno. Quel che non sapeva era che anche Jotaro fingeva di dormire, e infatti quest’ultimo non si sorprese quando avvertì un frusciare di tessuto sintetico poco lontano da lui che gli indicava che il coetaneo si era alzato. Con la coda dell’occhio percepì la sua sagoma snella trafficare in mezzo ai bagagli di Joseph e allontanarsi silenziosamente di qualche metro. Maledicendo mentalmente la lingua lunga di Polnareff e l’insonnia, si strinse il ponte nasale tra pollice e indice e attese il momento propizio per capire cosa stesse succedendo nella testa di Kakyoin. Una bella impresa, non c’era che dire.
La domanda, quindi, fu la seguente: c’era davvero un momento propizio?
Di certo con le parole faceva discretamente schifo, ma se la ragione gli diceva di lasciar perdere, l’istinto gli suggeriva il contrario. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, fuori dal sacco a pelo, e per poco le dita non sfiorarono qualcosa di elastico e vivo che emetteva una debole luminescenza verdastra. Mettendosi a sedere si accorse che l’area adibita a bivacco era attraversata dalla rete tentacolare dello Ierofante, appena intravedibile sotto i granelli.
Anche quando era contrariato per qualcosa, Kakyoin pensava sempre alla salvaguardia del gruppo.
Ignorando il leggero capogiro da post sbornia, liberò le gambe dall’impaccio e strinse le spalle nel gakuran: ora che gli effetti della vasodilatazione erano svaniti, il freddo del deserto notturno tornava a farsi sentire. Si inginocchiò e, con un dito teso, toccò il tentacolo che si estendeva proprio sotto il punto sul quale era sdraiato prima; questo si contrasse debolmente ed emanò per un istante una luce più intensa, segno che il custode silenzioso della barriera aveva capito che a breve avrebbe condiviso le beghe della privazione di sonno con qualcun altro.
Jotaro infilò una mano in tasca ed estrasse l’occorrente per fumare una sigaretta. Con l’accendino in mano e il filtro tra le labbra, seguì la debolissima scia verdognola facendo attenzione a non calpestarla, finché trovò il suo portatore girato di schiena rispetto al resto della combriccola dormiente, seduto e rivolto verso est, con le braccia posate sulle ginocchia piegate e nelle orecchie gli auricolari di Joseph.
«Posso?» chiese, la bocca serrata per non far cadere la Marlboro.
Kakyoin sollevò il capo e guardò chi gli aveva fatto la richiesta: dal suo volto inespressivo non trapelava alcuna emozione, ma fece un breve cenno di assenso prima di tornare a guardare l’orizzonte per metà puntinato dalle stelle e per metà immerso nella pece.
Jotaro si girò dalla parte opposta, in direzione dell’accampamento, la cui sagoma era debolmente rischiarata dalla luminescenza di Hierophant Green, e si sedette poggiando la schiena contro quella di Kakyoin che, avvertendo quel contatto improvviso e inaspettato, si irrigidì senza però rifiutarlo. E infatti non passò qualche secondo che i muscoli e i tendini si rilassarono sotto la stoffa dell’uniforme, e anzi lasciò intendere di gradirlo abbandonandovi anche la testa, chioma bruna con chioma corvina, in segno di fiducia. Al solleticare leggero dei capelli di Kakyoin sulla nuca, Jotaro capì di aver fatto bene a seguire l’istinto, per cui accese la sigaretta e ascoltò il riverbero lieve delle cuffie del walkman; probabilmente il nastro della musicassetta stava riproducendo Sting anche se non ne era del tutto sicuro. Comunque fosse attese che l’altro uscisse dal proprio guscio per parlargli, quindi si armò di pazienza e tabacco fino a quando lo scatto del tasto “stop” non ebbe decretato la fine di quel temporeggiamento.
Kakyoin si sfilò le cuffie con un sospiro e distese le gambe. L’odore di nicotina iniziava a impregnargli i vestiti aggiungendosi a quello dell’alcol.
«Non dire al signor Joestar che l’ho preso in prestito, ma ne avevo bisogno. Sicuramente non avrai aspettato i miei comodi per questo, vero?»
«No» Jotaro spense il mozzicone nella sabbia e si apprestò ad accendere un’altra sigaretta «tanto per rassicurati non dirò neanche che avremo parlato, e tu hai bisogno di parlare più che di ascoltare il tuo cantante preferito… Ah, ma che cazzo di situazione» si lasciò scappare scuotendo la testa «ascolta… lo sanno anche i sassi che spesso Polnareff si comporta da deficiente, quindi prendi le sue provocazioni per quello che sono. E poi non c’è niente di male a essere vergine a diciassette anni».
Jotaro ringraziò che fosse quasi buio perché le orecchie presero ad avvampargli. Dietro di lui, Kakyoin rise debolmente.
«Apprezzo molto ciò che dici, veramente, ma sai, non l’avrei presa così male se lo fossi ancora».
A quell’affermazione Jotaro aggrottò la fronte e trattenne il respiro. Tutto si aspettava tranne quello.
«Scusa, non ho afferrato»
«Vedi» riprese Kakyoin monocorde, «non ce l’ho con Polnareff, non gli do la colpa di niente, solo che certe cose… nonostante quello che è capitato a sua sorella… non credo le comprenderebbe»
«E cosa ti fa pensare che io lo faccia, invece?» ribatté Jotaro, che non aveva ancora capito dove stesse andando a parare la conversazione.
O forse non voleva capirlo.
«Seduto dietro di me ci sei tu o Polnareff?».
Touché.
«Mh, da dove comincio… ?» mormorò Kakyoin iniziando a giocherellare nervosamente con gli orecchini di Jotaro «Diciamo che Dio non si è limitato a impiantarmi il germoglio di carne».
A quelle parole, le mani di Jotaro vennero colte da formicolio. Una sensazione fastidiosa all’altezza del cardias gli fece aumentare la salivazione.
No, decisamente non voleva capirlo.
«Avevo una paura che non immagini» riprese l’altro «sudavo freddo e per poco non vomitavo sulle rose… le rose! Dio mio, le rose. Odoravano talmente tanto da farmi venire la nausea, sembravano quasi volgari con quel rosso scuro».
Jotaro ascoltava in religioso silenzio, con l’unica eccezione del cuore che sbatacchiava contro lo sterno: la cenere della sigaretta rischiava di cadergli sui pantaloni, ma le mani gli tremavano troppo per poter compiere un gesto banale come allungare le dita per allontanare il mozzicone dalla bocca.
«Quello che mi disse prima di farmi il lavaggio del cervello me lo tengo scolpito nella memoria. Mi disse che non dovevo avere paura e che potevamo diventare amici, a quel punto fui felice perché non avevo più paura di morire. Mi piantò il germoglio e poi… i dettagli te li risparmio. Ti dico solo che se pensi sia stato violento… non lo è stato per niente, era come se conoscesse il mio corpo meglio di me, e io ero contento di questo, perché almeno ero vivo, un burattino di carne ma vivo. Attorno a me vedevo le rose che appassivano e puzzavano di marcio e io continuavo a non ribellarmi perché ero felice di fare e di farmi fare quello che voleva lui. Quando ha finito mi sono rivestito, sono tornato in albergo e mi sono messo a letto come se non fosse successo niente… La mattina dopo mi sono svegliato e ho trovato diciassette rose carminio nel vaso della mia camera, la stessa varietà della notte prima. Era il suo modo di farsi beffe del danno. La cosa peggiore è che se avesse fatto anche solo un po’ male il fisico ne avrebbe sofferto e io sarei qui a dirti che porto i segni di quella… boh, cosa, da qualche parte, e invece è rimasto tutto nella mia mente e si sa, la mente non ha cicatrici visibili da mostrare alla gente affinché ti creda».
Il peso sullo stomaco si era impossessato completamente di Jotaro e oltre alla salivazione acidula si era aggiunta una stretta alla gola che lo aveva costretto a gettare la sigaretta non ancora terminata lontano da sé e a premersi entrambi i palmi delle mani sugli occhi, sperando ardentemente che Kakyoin non si fosse accorto del ribaltamento inaspettato di ruoli. Le orecchie e il cervello però restavano vigili, captavano ed elaboravano i suoni fatti fonemi, si tramutavano in significati e poi si evolvevano in sentimenti di empatia e dolore che gli procuravano sofferenza emotiva e fisica.
Ti prego, non dire quella frase, tu non c’entravi niente.
«Mi vergogno molto di questa cosa. Voglio dire, so che razionalmente parlando ho subito, ma appunto per questo mi vergogno di aver subito. Quando mi hai tolto il germoglio è stato come se fossi morto e rinato, una specie di prima e dopo che mi ha fatto capire che se non avessi fatto qualcosa per riavere indietro la mia dignità di essere umano non avrei avuto diritto di vivere. Di questo…».
Non dirla.
«… ti sarò riconoscente a vita».
Jotaro si lasciò scappare un singhiozzo che lo fece sussultare in tutta la sua figura, costringendo Kakyoin a girarsi preoccupato.
«Ti senti bene?» domandò con una nota di apprensione nella voce «Scusa se ti ho turbato in qualche modo».
Ma pensa.
«S-scusa a me? Dopo quello che mi hai raccontato? Dovrei essere io a chiederti scusa per la situazione in cui ti abbiamo messo» una goccia salata sfuggì al controllo di Jotaro, intercettò un tentacolo e vi si infranse sopra, accentuandone per un attimo la luminosità. Respirò a fondo, una mano sul petto e la visiera del cappellino a coprigli gli occhi arrossati «Io sono quello che dovrebbe chiederti come stai, e invece è finita al contrario… Sono uno stronzo».
Kakyoin gli si sedette accanto e gli porse il suo fazzoletto.
«Sono uno stronzo che ti ruba sempre i fazzoletti»
«Stavolta non ci sono messaggi minatori scritti sopra. E comunque non sei uno stronzo».
Jotaro si lasciò sfuggire una breve risata mentre lo prendeva per affondarci il viso. Stette così per un minuto abbondante, giusto il tempo di riprendere almeno parte del proprio autocontrollo, poi si voltò a guardare l’amico:
«Posso farti una domanda personale?»
«Dimmi»
«Come hai fatto a sopravvivere a quello che hai passato?».
Kakyoin gli rivolse il sorriso più dolce e al tempo stesso triste che avesse mai visto.
«Te l’ho detto, sono morto e rinato, non sono sopravvissuto. Non si sopravvive a certe esperienze, però ci sono parole, sai, che quando vengono pronunciate al momento sbagliato ti fanno ritornare per un po’ alla tua vita precedente e ci resti male… Così è stato stanotte. Per questo non ce l’avrò mai con Polnareff… Cosa ne può sapere?»
«Non che non poter fare niente per te sia tanto meglio» aggiunse Jotaro «ammazziamo quel bastardo e poi? Ti porti addosso questa zavorra finché campi?».
Kakyoin si alzò e tornò a sedersi dietro Jotaro, schiena contro schiena, ma stavolta reclinò il capo sulla spalla sinistra dell’altro.
«Mi basta che tu abbia ascoltato e abbia reso tuo il mio dolore. Davvero, non hai idea di quanto mi abbia fatto bene confidarmi finalmente con qualcuno. Per il resto, la guerra che ho ingaggiato contro la paura posso combatterla solo io».
Jotaro tirò sul col naso e deglutì; gli occhi pizzicavano ancora. Adesso quello era diventato un doppio segreto a due, con le stelle quali osservatrici, testimoni e custodi di queste e altre verità che mai avrebbero rivelato ad ascoltatori indiscreti per i secoli a venire. E fu loro grato di questo, anche se non lo diede a vedere, perché un patto suggellato con le stelle era destinato a sopravvivere alle creature mortali. Non avrebbe nemmeno dato a vedere la sensazione di catarsi che lo avrebbe pervaso e acquietato al sopraggiungere dell’alba, se si faceva eccezione per il ragazzino tranquillo e discreto col quale aveva condiviso un pezzo della propria umanità e che gli aveva dato più di quanto lui stesso se ne rendesse conto.
Con un sospiro reclinò anch’egli la testa sulla spalla sinistra di Kakyoin, afferrò di nuovo il pacchetto di sigarette e se ne mise una in bocca.
«Dobbiamo ubriacarci più spesso» disse d’un tratto, tornando quasi il solito Jotaro di sempre «mi piace quando sputtani la gente»
«Oh no, per colpa tua diventerò un teppista, addio alla mia reputazione di studente modello!» ribatté Kakyoin tra il serio e la burla «Scherzi a parte, sarà la prima cosa che faremo quando finirà. Va bene?».
Jotaro espirò due sbuffi di fumo dalle narici e sorrise.
«Ci conto».

***

¹ Dall'arabo القرم, che vuol dire "cocciniglia", "scarlatto" o "rosso scuro".
² Ho preferito conferire a Kakyoin una palette colori naturale per omaggiare l'OVA. Nonostante qui non sia specificato, anche Jotaro ha gli occhi scuri (per la precisione il canonico nocciola, come indicato nella biografia del personaggio).

Ispirazione numero uno;
Ispirazione numero due;
Ispirazione numero tre.

Musica in Jojo:
Fragile è la sesta traccia di ... Nothing Like The Sun, il secondo album solista di Sting uscito il 13 ottobre del 1987. Al di fuori del contesto del racconto, la canzone tratta della fragilità dell'essere umano di fronte alla violenza e alla forza distruttiva delle armi. Dedicata all'ingegnere civile statunitense Ben Linder, che venne ucciso proprio nel 1987 in Nicaragua, sarebbe uscita come singolo l'anno successivo, a ridosso dell'inizio del viaggio dei Crusaders. Personalmente non ascolto Sting (miserere di me), ma quando ho fatto una ricerca approfondita per la stesura di questa one-shot ero intenzionata a utilizzare una delle sue canzoni più famose, nella fattispecie quelle appartenenti solo ai suoi primi due album, gli unici che Kakyoin sarà riuscito ad ascoltare.

Retroscena: Convertendo la violenza della guerra in violenza fisica e psicologica, ho voluto parlare di due headcanon relativamente famose all'interno del fandom: la prima, che adoro, riguarda lo scambio di orecchini tra il Joeastar più giovane, Kakyoin e Polnareff, mentre la seconda, che ho sempre detestato per la leggerezza con cui se ne parla, concerne la teoria secondo la quale Kakyoin si sarebbe concesso a Dio durante il suo periodo di sudditanza psicologica. Lasciatemi dire che, parole del manga e dell'anime lette e riascoltate più volte, se dovessimo prendere per buona la seconda headcanon ci ritroveremmo a parlare senz'altro di abuso.
Non andrò a mentire, scrivere questo pezzo è stato più facile a farsi che a pensarsi: è stato come voler "buttare via" dalla propria testa determinate cose, come se mi risultassero nocive se solo avessi provato a trattenerle oltre. A ogni modo, è anche vero che si tratta, forse, del racconto che amo e odio di più, vuoi perché parlo della mia saga preferita, vuoi perché il monologo di Kakyoin e la scena animeonly in cui Dio gioca col suo orecchino mi hanno turbata. Insomma, ci sarebbe tanto altro da dire, ma non mi dilungo oltre perché altrimenti finirei per scrivere un saggio, quindi vi ringrazio per aver letto e vi do appuntamento alla prossima settimana.

xoxo
   
 
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