Al-Qirmiz¹
On and on the rain will fall
Like tears from a star
Like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are
How fragile we are
Sting, Fragile
Un racconto sulla forza
dell’empatia
Di chiunque fosse stata l’idea di festeggiare l’arrivo in
Egitto con l’alchermes doveva essere di sicuro un idiota, ma Jotaro era troppo
stordito dall’alcol per prendersela col responsabile, che immaginava essere
l’unico con un moncherino al posto della mano sinistra. Lo spettacolo offerto agli
astri dicembrini del Medio Oriente erano tre ragazzini e un vecchio fatti prede
delle grinfie di Bacco e un uomo sobrio che cercava in tutti i modi di
scrollarsi di dosso il più rumoroso e molesto del gruppo con risultati
deludenti. Il tutto era reso ancora più comico dal fatto che quella mattina,
complice la stanchezza causata dalla nuotata post scontro con lo stand di Midler
del giorno prima, proprio il membro più rumoroso e molesto del gruppo avesse
indossato per sbaglio i pendenti di quello più tranquillo e discreto, sicché il
secondo, invece di chiedere che gli venissero resi, aveva preso i perni del
coetaneo teppista e burbero, il quale, a sua volta, con gran sorpresa di tutti
e senza profferire parola, si era reso partecipe di quel gioco iniziato da un
errore decorandosi i lobi con due mezzi cuori che gli sfioravano il colletto
della divisa, e così erano rimasti fino alla notte.
In verità possedeva quel minimo di lucidità mentale che serviva per evocare
Star Platinum e separare la povera vittima dal compagno appiccicoso, ma avrebbe
mentito a sé stesso se avesse dichiarato di trovare la scena per nulla
divertente; per questo motivo si fingeva più rincretinito di quanto non fosse
veramente pur di ignorare apposta le richieste di aiuto che Abdul lanciava con
gli occhi.
«Ehi».
Seduto accanto a Jotaro, Kakyoin gli diede una gomitata leggera sul fianco. Si
girò a guardarlo: il castano degli occhi lucido per la leggerezza del momento e
per gli effetti del liquore gli avevano fatto svanire temporaneamente quella
sua aria perennemente malinconica².
«Mh?»
«Guarda che l’ho capito che hai capito che Abdul vuole che tu lo separi da
Polnareff» aspirò rumorosamente e bevve un altro sorso di alchermes «che fai,
non lo aiuti?»
«Non posso, sono ubriaco» senza trattenere un sorriso, Jotaro gli sfilò la
bottiglia dalle mani e tracannò altro liquido «aiutalo tu»
«Non posso, sono ubriaco» rimbeccò Kakyoin.
Entrambi risero come due scemi.
«Prometti che non ci lascerai più!» piagnucolava Polnareff aggrappato al
braccio di un Abdul più imbarazzato che altro, in balìa della più
appiccicaticcia delle ubriacature «Putein! Mi sentivo così in colpa che
stavo impazzendo, ero distrutto dal dolore… Ti prego, non morire più!».
Sembrava quasi tenero, quasi.
«Prometto solennemente che non ti farò più disperare» Abdul si mise una mano
sul cuore e scoccò un’occhiataccia a Jotaro e Kakyoin che non finivano più di
sghignazzare «però, magari, se mi lasciassi in pace un attimo potrei prendere
la cassetta del pronto soccorso e darvi delle aspirine per scongiurarvi il mal
di testa di domani»
«Quando ammazzeremo Dio ti porto a visitare Parigi… No, anzi, facciamo il tour
de France! Tu, io e gli altri, faremo una vacanza luuuunghiiiiissima»
«Sì, Pol, promesso, grazie per l’affetto che mi dimostri… E molla!» Abdul
riuscì finalmente a liberarsi dalla presa di Polnareff e allungò il busto per rovistare
tra le vettovaglie in cerca del farmaco che avrebbe salvato gli altri quattro
dai postumi.
«Oh, Abdul, se non ci fossi dovremmo, hic! Inventarti» biascicò Joseph
sollevando la propria bottiglia quasi vuota in controluce col fuocherello al
centro dell’accampamento provvisorio «Devo smetterla di comportarmi come se avessi
diciott’anni»
«Tanto la tua età cerebrale è ferma a dodici» sentenziò Jotaro provocando una
reazione collettiva di fischi e risate improvvisi, al punto che Kakyoin si
lasciò cadere di lato con le mani sullo stomaco e Abdul inciampò sul bagaglio
di Polnareff.
«Senti… coso!» inveì Joseph puntandogli il braccio privo di mano meccanica
«Guarda che se non era per me col cavolo che avreste potuto bere in un Paese
musulmano! Alla tua età avevo già combattuto contro tre guerrieri aztechi!»
«E noi la ringraziamo per aver salvato il mondo signor Joestar, e proprio
perché abbiamo ancora bisogno di lei farebbe bene a non esagerare più con
l’alcol».
Come un genitore paziente fa col figlio capriccioso, Abdul sfilò dalla presa di
Joseph la bottiglia coi fondi del liquore e gli mise in mano una borraccia
contenente acqua.
«Ne beva un po’ e si metta a dormire, e lo stesso vale per voi» aggiunse
rivolto agli altri tre.
«Sì papa» ridacchiò Polnareff mentre cercava di rimettere seduto Kakyoin
«oh no, abbiamo perso ciuffetto!»
«Sono ancora qua, cretino» replicò l’ingiuriato con la bocca impastata,
puntellandosi coi gomiti sulla sabbia. Tolse la bottiglia dal grembo di
Jotaro e se la portò alla bocca «Nooo, è vuota, ne necessito!»
«Ne hai avuto già abbastanza, direi che va bene così» Abdul raccolse anche il
vetro che lui e Jotaro avevano svuotato e lo incastrò sotto l’ascella «non ti
facevo così trasgressivo, sono sorpreso»
«Colpa di questo qui» Kakyoin evocò un tentacolo che colpì la catena della
divisa di Jotaro, il quale incrociò le braccia e lo guardò con un’espressione a
metà fra il divertito e il corrucciato. Gli orecchini di Polnareff che
assecondavano il moto della testa verso chi lo aveva accusato del misfatto.
«Non ti picchio solo perché sei ubriaco»
«Oh, facciamo i duri, molto bene» Polnareff afferrò la sciarpa di Kakyoin e se
l’avvolse intorno al collo stando attento che i pendenti di ciliegia fossero
ben visibili «Buonasera, mi chiamo Noriaki Kakyoin e sono vergine».
Jotaro si strozzò con la propria saliva, Abdul fece scivolare accidentalmente
le bottiglie per terra e Joseph esplose in una risata fragorosa che si premurò di
soffocare subito dopo.
«Polnareff!» esclamò il più anziano «Kakyoin, scusa se ho riso, scusa davvero…
oddio» si affrettò ad aggiungere senza smettere di sussultare per le risate
trattenute.
Lo sguardo di Jotaro, nel frattempo, rimbalzava continuamente tra Polnareff e
Kakyoin; gli era parso che sul volto dello studente fosse sceso un velo di
tristezza improvvisa, ma non ebbe il tempo di accertarsene perché lo vide
alzarsi, seppur barcollante, piantare i mocassini sulla sabbia e tenersi i
fianchi con entrambe le mani senza smettere di guardare in faccia chi lo aveva
preso in giro:
«Mon nom est Jean-Pierre Polnareff et je suis un connard».
L’imitazione di Kakyoin era stata così perfetta che Joseph si riscosse
momentaneamente dalle nebbie dell’alcol e si profuse in un applauso sincero con
tanto di «Bravissimo!» urlato in italiano, mentre Abdul e Jotaro
abbandonarono il loro stoicismo consueto e risero di gusto.
Polnareff, invece, si era limitato ad aprire e chiudere la bocca come un ebete
e non profferì neppure una sillaba.
«Ecco, bravo Kak, rendigli pan per focaccia!» esclamò Joseph nemmeno stesse
assistendo a una partita di football «E tu, Pol, prendi e porta a casa».
Dal canto suo, Polnareff aveva assottigliato i suoi occhi azzurri e serrato la
mandibola.
«Me la lego al dito» fu la replica di colui il quale era stato appena trafitto
dal suo stesso fioretto «e la sciarpa me la tengo per la notte assieme ai tuoi
orecchini»
«Nessun problema, amico mio» Kakyoin si risedette accanto a Jotaro e incrociò
le braccia al petto, apparentemente soddisfatto di come si era concluso quel
botta e risposta.
La notte trascorse in maniera relativamente tranquilla tra altre battute e sprazzi
di racconti del passato di Joseph: tuttavia, mentre Polnareff sembrava aver
completamente dimenticato la stoccata subita, a giudicare dall’entusiasmo con
cui commentava i dettagli della cerimonia di matrimonio tra il vecchio e nonna
Suzie, Kakyoin si era chiuso in un mutismo assoluto e contemplava estraniato il
fuoco attorno al quale erano raccolti. Ciò non gli avrebbe costituito
turbamento alcuno se non avesse saputo che proprio Kakyoin non era il tipo da
cambiare umore all’improvviso, soprattutto per una faccenda dalla valenza meno
che risibile. Una volta giunto il momento di andare a dormire si era infilato
nel sacco a pelo senza dire una parola e lì era rimasto, steso sulla schiena e
immobile, facendo credere a tutti di aver preso subito sonno. Quel che non
sapeva era che anche Jotaro fingeva di dormire, e infatti quest’ultimo non si
sorprese quando avvertì un frusciare di tessuto sintetico poco lontano da lui
che gli indicava che il coetaneo si era alzato. Con la coda dell’occhio percepì
la sua sagoma snella trafficare in mezzo ai bagagli di Joseph e allontanarsi silenziosamente
di qualche metro. Maledicendo mentalmente la lingua lunga di Polnareff e
l’insonnia, si strinse il ponte nasale tra pollice e indice e attese il momento
propizio per capire cosa stesse succedendo nella testa di Kakyoin. Una bella
impresa, non c’era che dire.
La domanda, quindi, fu la seguente: c’era davvero un momento propizio?
Di certo con le parole faceva discretamente schifo, ma se la ragione gli diceva
di lasciar perdere, l’istinto gli suggeriva il contrario. Lasciò cadere le
braccia lungo i fianchi, fuori dal sacco a pelo, e per poco le dita non
sfiorarono qualcosa di elastico e vivo che emetteva una debole
luminescenza verdastra. Mettendosi a sedere si accorse che l’area adibita a
bivacco era attraversata dalla rete tentacolare dello Ierofante, appena
intravedibile sotto i granelli.
Anche quando era contrariato per qualcosa, Kakyoin pensava sempre alla
salvaguardia del gruppo.
Ignorando il leggero capogiro da post sbornia, liberò le gambe dall’impaccio e
strinse le spalle nel gakuran: ora che gli effetti della vasodilatazione erano
svaniti, il freddo del deserto notturno tornava a farsi sentire. Si inginocchiò
e, con un dito teso, toccò il tentacolo che si estendeva proprio sotto il punto
sul quale era sdraiato prima; questo si contrasse debolmente ed emanò per un
istante una luce più intensa, segno che il custode silenzioso della barriera
aveva capito che a breve avrebbe condiviso le beghe della privazione di sonno
con qualcun altro.
Jotaro infilò una mano in tasca ed estrasse l’occorrente per fumare una
sigaretta. Con l’accendino in mano e il filtro tra le labbra, seguì la
debolissima scia verdognola facendo attenzione a non calpestarla, finché trovò
il suo portatore girato di schiena rispetto al resto della combriccola
dormiente, seduto e rivolto verso est, con le braccia posate sulle ginocchia
piegate e nelle orecchie gli auricolari di Joseph.
«Posso?» chiese, la bocca serrata per non far cadere la Marlboro.
Kakyoin sollevò il capo e guardò chi gli aveva fatto la richiesta: dal suo
volto inespressivo non trapelava alcuna emozione, ma fece un breve cenno di
assenso prima di tornare a guardare l’orizzonte per metà puntinato dalle stelle
e per metà immerso nella pece.
Jotaro si girò dalla parte opposta, in direzione dell’accampamento, la cui
sagoma era debolmente rischiarata dalla luminescenza di Hierophant Green, e si
sedette poggiando la schiena contro quella di Kakyoin che, avvertendo quel
contatto improvviso e inaspettato, si irrigidì senza però rifiutarlo. E infatti
non passò qualche secondo che i muscoli e i tendini si rilassarono sotto la
stoffa dell’uniforme, e anzi lasciò intendere di gradirlo abbandonandovi anche
la testa, chioma bruna con chioma corvina, in segno di fiducia. Al solleticare
leggero dei capelli di Kakyoin sulla nuca, Jotaro capì di aver fatto bene a
seguire l’istinto, per cui accese la sigaretta e ascoltò il riverbero lieve delle
cuffie del walkman; probabilmente il nastro della musicassetta stava
riproducendo Sting anche se non ne era del tutto sicuro. Comunque fosse attese
che l’altro uscisse dal proprio guscio per parlargli, quindi si armò di
pazienza e tabacco fino a quando lo scatto del tasto “stop” non ebbe decretato la
fine di quel temporeggiamento.
Kakyoin si sfilò le cuffie con un sospiro e distese le gambe. L’odore di
nicotina iniziava a impregnargli i vestiti aggiungendosi a quello dell’alcol.
«Non dire al signor Joestar che l’ho preso in prestito, ma ne avevo bisogno.
Sicuramente non avrai aspettato i miei comodi per questo, vero?»
«No» Jotaro spense il mozzicone nella sabbia e si apprestò ad accendere
un’altra sigaretta «tanto per rassicurati non dirò neanche che avremo parlato,
e tu hai bisogno di parlare più che di ascoltare il tuo cantante preferito… Ah,
ma che cazzo di situazione» si lasciò scappare scuotendo la testa «ascolta… lo
sanno anche i sassi che spesso Polnareff si comporta da deficiente, quindi prendi
le sue provocazioni per quello che sono. E poi non c’è niente di male a essere
vergine a diciassette anni».
Jotaro ringraziò che fosse quasi buio perché le orecchie presero ad
avvampargli. Dietro di lui, Kakyoin rise debolmente.
«Apprezzo molto ciò che dici, veramente, ma sai, non l’avrei presa così male se
lo fossi ancora».
A quell’affermazione Jotaro aggrottò la fronte e trattenne il respiro. Tutto si
aspettava tranne quello.
«Scusa, non ho afferrato»
«Vedi» riprese Kakyoin monocorde, «non ce l’ho con Polnareff, non gli do la
colpa di niente, solo che certe cose… nonostante quello che è capitato a sua sorella…
non credo le comprenderebbe»
«E cosa ti fa pensare che io lo faccia, invece?» ribatté Jotaro, che non aveva
ancora capito dove stesse andando a parare la conversazione.
O forse non voleva capirlo.
«Seduto dietro di me ci sei tu o Polnareff?».
Touché.
«Mh, da dove comincio… ?» mormorò Kakyoin iniziando a giocherellare
nervosamente con gli orecchini di Jotaro «Diciamo che Dio non si è limitato a
impiantarmi il germoglio di carne».
A quelle parole, le mani di Jotaro vennero colte da formicolio. Una sensazione
fastidiosa all’altezza del cardias gli fece aumentare la salivazione.
No, decisamente non voleva capirlo.
«Avevo una paura che non immagini» riprese l’altro «sudavo freddo e per poco
non vomitavo sulle rose… le rose! Dio mio, le rose. Odoravano talmente tanto da
farmi venire la nausea, sembravano quasi volgari con quel rosso scuro».
Jotaro ascoltava in religioso silenzio, con l’unica eccezione del cuore che
sbatacchiava contro lo sterno: la cenere della sigaretta rischiava di cadergli
sui pantaloni, ma le mani gli tremavano troppo per poter compiere un gesto
banale come allungare le dita per allontanare il mozzicone dalla bocca.
«Quello che mi disse prima di farmi il lavaggio del cervello me lo tengo
scolpito nella memoria. Mi disse che non dovevo avere paura e che potevamo
diventare amici, a quel punto fui felice perché non avevo più paura di morire.
Mi piantò il germoglio e poi… i dettagli te li risparmio. Ti dico solo che se
pensi sia stato violento… non lo è stato per niente, era come se conoscesse il
mio corpo meglio di me, e io ero contento di questo, perché almeno ero vivo, un
burattino di carne ma vivo. Attorno a me vedevo le rose che appassivano e
puzzavano di marcio e io continuavo a non ribellarmi perché ero felice di fare
e di farmi fare quello che voleva lui. Quando ha finito mi sono rivestito, sono
tornato in albergo e mi sono messo a letto come se non fosse successo niente…
La mattina dopo mi sono svegliato e ho trovato diciassette rose carminio nel
vaso della mia camera, la stessa varietà della notte prima. Era il suo modo di
farsi beffe del danno. La cosa peggiore è che se avesse fatto anche solo un po’
male il fisico ne avrebbe sofferto e io sarei qui a dirti che porto i segni di
quella… boh, cosa, da qualche parte, e invece è rimasto tutto nella mia mente e
si sa, la mente non ha cicatrici visibili da mostrare alla gente affinché ti
creda».
Il peso sullo stomaco si era impossessato completamente di Jotaro e oltre alla
salivazione acidula si era aggiunta una stretta alla gola che lo aveva
costretto a gettare la sigaretta non ancora terminata lontano da sé e a
premersi entrambi i palmi delle mani sugli occhi, sperando ardentemente che
Kakyoin non si fosse accorto del ribaltamento inaspettato di ruoli. Le orecchie
e il cervello però restavano vigili, captavano ed elaboravano i suoni fatti
fonemi, si tramutavano in significati e poi si evolvevano in sentimenti di
empatia e dolore che gli procuravano sofferenza emotiva e fisica.
Ti prego, non dire quella frase, tu non c’entravi niente.
«Mi vergogno molto di questa cosa. Voglio dire, so che razionalmente parlando
ho subito, ma appunto per questo mi vergogno di aver subito. Quando mi hai
tolto il germoglio è stato come se fossi morto e rinato, una specie di prima e
dopo che mi ha fatto capire che se non avessi fatto qualcosa per riavere
indietro la mia dignità di essere umano non avrei avuto diritto di vivere. Di
questo…».
Non dirla.
«… ti sarò riconoscente a vita».
Jotaro si lasciò scappare un singhiozzo che lo fece sussultare in tutta la sua
figura, costringendo Kakyoin a girarsi preoccupato.
«Ti senti bene?» domandò con una nota di apprensione nella voce «Scusa se ti ho
turbato in qualche modo».
Ma pensa.
«S-scusa a me? Dopo quello che mi hai raccontato? Dovrei essere io a chiederti
scusa per la situazione in cui ti abbiamo messo» una goccia salata sfuggì al
controllo di Jotaro, intercettò un tentacolo e vi si infranse sopra,
accentuandone per un attimo la luminosità. Respirò a fondo, una mano sul petto
e la visiera del cappellino a coprigli gli occhi arrossati «Io sono quello che
dovrebbe chiederti come stai, e invece è finita al contrario… Sono uno
stronzo».
Kakyoin gli si sedette accanto e gli porse il suo fazzoletto.
«Sono uno stronzo che ti ruba sempre i fazzoletti»
«Stavolta non ci sono messaggi minatori scritti sopra. E comunque non sei uno
stronzo».
Jotaro si lasciò sfuggire una breve risata mentre lo prendeva per affondarci il
viso. Stette così per un minuto abbondante, giusto il tempo di riprendere
almeno parte del proprio autocontrollo, poi si voltò a guardare l’amico:
«Posso farti una domanda personale?»
«Dimmi»
«Come hai fatto a sopravvivere a quello che hai passato?».
Kakyoin gli rivolse il sorriso più dolce e al tempo stesso triste che avesse
mai visto.
«Te l’ho detto, sono morto e rinato, non sono sopravvissuto. Non si sopravvive
a certe esperienze, però ci sono parole, sai, che quando vengono pronunciate al
momento sbagliato ti fanno ritornare per un po’ alla tua vita precedente e ci
resti male… Così è stato stanotte. Per questo non ce l’avrò mai con Polnareff…
Cosa ne può sapere?»
«Non che non poter fare niente per te sia tanto meglio» aggiunse Jotaro «ammazziamo
quel bastardo e poi? Ti porti addosso questa zavorra finché campi?».
Kakyoin si alzò e tornò a sedersi dietro Jotaro, schiena contro schiena, ma
stavolta reclinò il capo sulla spalla sinistra dell’altro.
«Mi basta che tu abbia ascoltato e abbia reso tuo il mio dolore. Davvero, non
hai idea di quanto mi abbia fatto bene confidarmi finalmente con qualcuno. Per
il resto, la guerra che ho ingaggiato contro la paura posso combatterla solo
io».
Jotaro tirò sul col naso e deglutì; gli occhi pizzicavano ancora. Adesso quello
era diventato un doppio segreto a due, con le stelle quali osservatrici,
testimoni e custodi di queste e altre verità che mai avrebbero rivelato ad
ascoltatori indiscreti per i secoli a venire. E fu loro grato di questo, anche
se non lo diede a vedere, perché un patto suggellato con le stelle era
destinato a sopravvivere alle creature mortali. Non avrebbe nemmeno dato a
vedere la sensazione di catarsi che lo avrebbe pervaso e acquietato al
sopraggiungere dell’alba, se si faceva eccezione per il ragazzino tranquillo e
discreto col quale aveva condiviso un pezzo della propria umanità e che gli
aveva dato più di quanto lui stesso se ne rendesse conto.
Con un sospiro reclinò anch’egli la testa sulla spalla sinistra di Kakyoin,
afferrò di nuovo il pacchetto di sigarette e se ne mise una in bocca.
«Dobbiamo ubriacarci più spesso» disse d’un tratto, tornando quasi il solito
Jotaro di sempre «mi piace quando sputtani la gente»
«Oh no, per colpa tua diventerò un teppista, addio alla mia reputazione di
studente modello!» ribatté Kakyoin tra il serio e la burla «Scherzi a parte,
sarà la prima cosa che faremo quando finirà. Va bene?».
Jotaro espirò due sbuffi di fumo dalle narici e sorrise.
«Ci conto».
¹ Dall'arabo القرم, che vuol dire "cocciniglia", "scarlatto" o "rosso scuro".
² Ho preferito conferire a Kakyoin una palette colori naturale per omaggiare l'OVA. Nonostante qui non sia specificato, anche Jotaro ha gli occhi scuri (per la precisione il canonico nocciola, come indicato nella biografia del personaggio).
Ispirazione numero uno;
Ispirazione numero due;
Ispirazione numero tre.
Musica in Jojo: Fragile è la sesta traccia di ... Nothing Like The Sun, il secondo album solista di Sting uscito il 13 ottobre del 1987. Al di fuori del contesto del racconto, la canzone tratta della fragilità dell'essere umano di fronte alla violenza e alla forza distruttiva delle armi. Dedicata all'ingegnere civile statunitense Ben Linder, che venne ucciso proprio nel 1987 in Nicaragua, sarebbe uscita come singolo l'anno successivo, a ridosso dell'inizio del viaggio dei Crusaders. Personalmente non ascolto Sting (miserere di me), ma quando ho fatto una ricerca approfondita per la stesura di questa one-shot ero intenzionata a utilizzare una delle sue canzoni più famose, nella fattispecie quelle appartenenti solo ai suoi primi due album, gli unici che Kakyoin sarà riuscito ad ascoltare.
Retroscena: Convertendo la violenza della guerra in violenza fisica e psicologica, ho voluto parlare di due headcanon relativamente famose all'interno del fandom: la prima, che adoro, riguarda lo scambio di orecchini tra il Joeastar più giovane, Kakyoin e Polnareff, mentre la seconda, che ho sempre detestato per la leggerezza con cui se ne parla, concerne la teoria secondo la quale Kakyoin si sarebbe concesso a Dio durante il suo periodo di sudditanza psicologica. Lasciatemi dire che, parole del manga e dell'anime lette e riascoltate più volte, se dovessimo prendere per buona la seconda headcanon ci ritroveremmo a parlare senz'altro di abuso.
Non andrò a mentire, scrivere questo pezzo è stato più facile a farsi che a pensarsi: è stato come voler "buttare via" dalla propria testa determinate cose, come se mi risultassero nocive se solo avessi provato a trattenerle oltre. A ogni modo, è anche vero che si tratta, forse, del racconto che amo e odio di più, vuoi perché parlo della mia saga preferita, vuoi perché il monologo di Kakyoin e la scena animeonly in cui Dio gioca col suo orecchino mi hanno turbata. Insomma, ci sarebbe tanto altro da dire, ma non mi dilungo oltre perché altrimenti finirei per scrivere un saggio, quindi vi ringrazio per aver letto e vi do appuntamento alla prossima settimana.
xoxo