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Autore: PhoenixOfLight    30/08/2009    8 recensioni
La sua musica ha cambiato il mondo ed ha scritto un pezzo di storia. Ma è stato anche in grado di cambiare le persone... Racconti di Fans - e non - che hanno visto le loro vite mutare radicalmente da quando "Lui" è entrato nella loro vita...
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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So che molti di voi si aspettavano un ritorno di Wendy, ma purtroppo non è così (dalle recensioni lasciate per il primo cap è stata questa la mia impressione)

So che molti di voi si aspettavano un ritorno di Wendy, ma purtroppo non è così (dalle recensioni lasciate per il primo cap è stata questa la mia impressione). Essendo questa una raccolta ogni capitolo è un racconto diverso, con differenti protagonisti. Questo che ho appena postato è il più…”cattivo”, in un certo senso.

Quindi, vi prego, non spegnete il computer mentre leggete questo chappy! Sappiate che ho sofferto mentre lo scrivevo… poi capirete…

 

1.     LEAVE ME ALONE

 

I don't care what you talkin' 'bout baby
I don't care what you say
Don't you come walkin' beggin' back mama
I don't care anyway
Time after time I gave you all of my money
No excuses to make
Ain't no mountain that I can't climb baby
All is going my way
('Cause there's a time when you're right)
(And you know you must fight)
Who's laughing baby, don't you know?
(And there's the choice that we make)
(And this choice you will take)
Who's laughin' baby?

 

 

 

 

 

RE DEL POP O MANIACO SESSUALE?

I FANS: “NON LO RICONOSCIAMO PIÙ”

 

“Lasciatemi stare”, diceva il grande Re. “Non m’importa di cosa voi stiate parlando, perché non vi amo”. Chi, almeno una volta nella sua vita, non ha ascoltato “Leave me alone” di Michael Jackson? Allora avrete certamente riconosciuto questa strofa. Perché ormai tutti, e ripeto, tutti, lo conoscono. Perché è il Re, perché sa ballare, perché ha una bella voce. Certo. E poi? Sapete perché molti hanno ben presente il nome “Michael Joseph Jackson”? No? Allora vi do qualche indizio: chi ha cambiato colore della pelle? Chi ha praticato sesso orale con i bambini invitati nel suo ranch? Chi ha speso milioni di dollari per poi scoprire di essere indebitato fino al collo? A chi è sfuggito il naso durante un live? Chi si chiude in una camera iperbarica per non far trasparire la pelle raggrinzita e le rughe? Ecco, ora avete capito chi è veramente Michael Jackson. Perché, diciamocelo, l’era in cui il monarca ballava con gli zombie è ormai lontana. Lì sì che faceva paura con quei non-morti che gli volteggiavano attorno. Adesso invece l’unico nostro timore è ritrovarcelo nel letto dei nostri figli, mentre magari combina qualcosa descritto molto bene nella canzone “In the closet”. Più alto è il piedistallo più rovinosa è la caduta. E il nostro Michael lo sa bene. Sembra infatti che neppure i fans credano totalmente alla sua innocenza – e dovevano aspettare alla seconda denuncia per pedofilia –, a tal punto che nei sacchi della spazzatura sono stati trovati CD del cantante e una targa con su scritto “WE LOVE MJ”. Proprio per tale motivo la popstar ha deciso di concedersi un lungo periodo di vacanza invece di continuare il suo “Dangerous Tour”. Non si sa quanto tempo si dia di tregua, ma molti sono fermamente convinti che Michael Jackson non tornerà troppo presto sulla scena musicale. Forse vorrà trovare altri bambini con cui giocare a mamma e papà, o forse avrà in programma di riscattarsi da queste accuse non infondate con qualche nuovo pezzo mirante a provare la sua innocenza? Tutto inutile. Ormai la pedina finale di Jacko si è infangata, e nemmeno l’assoluzione dalla colpevolezza può purificarla. È la fine del Re del Pop; il mito è tramontato per colpa di un bambino.

SUSIE K. RIGHT

 

Il bar era affollato come sempre mentre leggevo il mio articolo di giornale. Era venuto molto bene, tutto quello che dovevo dire l’avevo reso pubblico. Era finalmente ora che tutti sapessero. Nessuno escluso, compresi i fan, quegli stupidi esseri che ritenevano una persona innocente o colpevole quando nemmeno l’avevano mai conosciuta.

Sorseggiai il mio caffé e ripiegai il giornale; se non mi sbrigavo rischiavo di far tardi al lavoro… e chi lo sentiva al boss…

Quel giorno c’era un importante evento alla Casa Bianca, ed ero stata scelta fra i miei molti colleghi per documentare il tutto. Il capo considerava molto le mie capacità, a tal punto da affibbiarmi gli articoli più importanti. Lui sosteneva che la buona stampa doveva essere perseverata, ma sapevo che di me non gli interessava la penna, quanto la disponibilità. Thomas J. Hunter non era famoso solo per il suo essere il direttore di uno dei più grandi giornali d’America, ma anche per aver “distratto” centinaia di nubili, single, divorziate e sposate – di cui le ultime sono le sue prede preferite.

Non ero ancora entrata nella lunga lista delle sue conquiste, e dubitavo fermamente di farne parte un giorno. Amici certo, ma il rispetto viene prima di tutto, soprattutto nei confronti di una propria dipendente.

Salii nel taxi che mi avrebbe accompagnato all’aeroporto, dove avrei preso un volo per Washington; lì avrei soggiornato in un albergo in cui veniva ospitata la stampa durante queste convention. Avevo portato con me solo un piccolo trolley con una miserrima quantità di vestiti dentro: ciò di cui avevo davvero bisogno era un taccuino per gli appunti, una penna e un registratore, che in quel momento si trovavano nella mia borsa, accanto a me.

-Dove la porto?-, chiese il tassista, un uomo abbastanza corpulento sulla cinquantina.

- All’aeroporto, grazie-, risposi.

Presi lo specchietto dalla borsa per verificare se i capelli erano in ordine. Dopo essermi accertata che il mio cuoio capelluto si trovava in condizioni abbastanza presentabili, presi il volantino-guida arrivatomi il giorno prima direttamente in redazione, su cui c’era scritto tutto quello che i giornalisti che arrivavano alla Casa Bianca dovevano sapere sull’argomento; ero appena arrivata a metà del secondo rigo, quando il tassista mise una cassetta nella radio. Feci una smorfia quando la canzone partì.

-Michael Jackson?!-.

-“Billie Jean”, per la precisione. La conosce?-, mi chiese.

Annuii tentando di fermare i conati di vomito. Il tassista parve non accorgersene perché picchiettò le dita sul volante e continuò: -Anche se lei è giovane, non mi stupisco se dice di averla già ascoltata: questa canzone ha scritto la storia della musica. Ricordo che io e mia moglie la ballavamo sempre…-, si perse per un attimo fra i ricordi. -Sarà il ritmo, maBillie Jean” riesce sempre a trascinarmi. Eppure non sono neanche un bravo ballerino… Qualcosa non va?-, chiese, notando la mia espressione disgustata.

-Sì, mi da fastidio la canzone. Può chiudere, per favore?-.

Il tassista mi guardò per un attimo dallo specchietto retrovisore, per poi spegnere la radio.

Continuai a leggere.

-Le da fastidio ascoltare musica mentre legge, o è la canzone proprio?-.

-Credo che dalla precedente risposta abbia già capito da sé…-, guardai il suo nome sul cruscotto.

-… signor Heatherby-, aggiunsi.

Lui rimase in silenzio, e io ne approfittai per continuare a leggere il volantino.

-Non le piace Michael Jackson?-, chiese il tassista  con un filo di voce.

-Diciamo che non gli do tanta importanza. Ma se fossi nei suoi panni, non farei altre domande-, risposi con tono neutro, faticando a restare calma. Le note di quella maledetta canzone mi erano entrate in testa, rendendomi acida come tutte le volte che vedevo quell’orrenda faccia di un cantante da quattro soldi.

-Perché?-.

-Di quale dei miei tanti affronti volete sapere il motivo?-, domandai con un pizzico di sfida nella voce.

-Perché avete scritto quell’articolo stamattina, signorina Right?-, ebbi un sussulto e i miei occhi incrociarono quelli tenebrosi e profondi del tassista, fermi all’altezza del mio petto, lì dove c’era un tesserino con sopra scritto il mio nome e quello del giornale per cui lavoravo.

Solo allora mi accorsi le iridi, la pupilla e la pelle avevano lo stesso colore: era nero. O meglio caffelatte. Proprio come me.

-Perché è la verità-, risposi con un sospiro.

-Oh, certo. Giuri che ha ragione, perché se è così io sono Stevie Wonder-, disse con tono sarcastico.

E a quel punto scoppiai.

-È la gente come lei che mi ha fatto odiare Michael Jackson: lo venerate come se fosse un Dio! Ogni volta che fa quella specie di movimento con i piedi o mette la mano sul pube tutti lì ad idolatrarlo! Nessuno si rende conto del fatto che sembrate ridicoli?-.

-Io non ci trovo nulla di male ad andare al concerto del proprio idolo o tentare di imitarlo-, rispose lui, senza un accenno di emozione.

-Bene, allora non dovrò stupirmi se un giorno vedrò uno vestito con mocassini, calzini di pailettes e in testa un cappello che violenta un bambino per strada e dice: “Guardatemi sto imitando il mio idolo!”-.

-È la gente come voi che sta rovinando la fedina penale di una brava persona come Michael Jackson-, rispose, ora visibilmente arrabbiato.

-Essere accusato di pedofilia per la seconda volta dovrà pur significare qualcosa…-.

-Oh, andiamo, chi vuole che creda a queste cose?-.

-TUTTI!-, urlai io improvvisamente, facendo sussultare il tassista. –Altrimenti, perché si sarebbero messe in giro tali dicerie?-.

-Soldi. Gelosia. Cinismo. Le dicono niente queste parole?-, rispose, con un pizzico di malizia.

-Quindi secondo lei coloro che lo hanno accusato lo hanno fatto solo per spillargli soldi?-, chiesi, dubbiosa.

-Certo. Logico, no?-.

-No-, risposi. –Che cosa dovrebbe esserci di logico in tutto ciò? Insomma, accusare qualcuno di un crimine così grave solo per mandarlo in bancarotta… è esagerato secondo me-.

-No invece, signorina. È la vita-, rispose con un tono da saggi.

Sbuffai.

La vita. Ma per piacere…, pensai.

-Ma come fa a dire che è colpevole?-, chiese lui, senza arrendersi.

-E lei come fa a dire che è innocente?-, risposi imitandolo.

Stette un attimo a pensare.

-Una ragazzina potrebbe risponderle che lo legge nei suoi occhi. Ma sono del parere che un uomo con due figli che ha scritto una canzone bella come “Heal the world”, e che si è attivato per rendere questa catapecchia di mondo un posto migliore, non può semplicemente essere un maniaco sessuale-.

-Belle parole, ma molte lacune. Innanzitutto: Michael Jackson – questo lo ammetto – è un ottimo attore. Può aver finto anche mentre cantava o mentre ospitava i malati terminali nel suo ranch, o mentre faceva il bambino-.

-Anche il suo discorso ha dei punti deboli-.

-Davvero?-, risposi scettica. –Non credo proprio-.

-Oh, sì, invece. Come è strano tutto l’amore che si prova verso Michael Jackson, così anche il suo odio è immotivato. Chiunque ascoltando le sue parole l’avrebbe mandata a quel paese. Ma siccome io sono una brava persona, non mi tolgo questo sfizio-.

Mi aveva spenta. Non sapevo come controbattere. Aprii bocca, poi la rinchiusi. Niente. Non trovavo nulla da dire.

-Beh, visto che nessuno dei due dice nulla… almeno ascoltiamo della buona musica-. Detto questo accese la radio.

-Ascolti questa prima di giudicare qualcuno che non conosce-, mi disse, e schiacciò il pulsante play.

 

Hai mai visto la mia infanzia?

Sto ancora cercando il mondo da cui provengo

Perché mi sono guardato attorno

Tra la perdita e il ritrovamento del mio cuore…

Nessuno mi capisce

Mi vedono come un’anomala eccentricità

Perché continuo a scherzare

Come un bambino, ma perdonatemi…

Le persone dicono che non sto bene

Perché amo le cose elementari

È stata la mia sorte per compensare l’infanzia

Che non ho mai avuto…*

[…]

 

Era “Childhood”.

Tentai di fare l’indifferente, ma mi si bloccò il respiro. L’avevo ascoltata già qualche tempo prima, eppure mai quelle parole mi arrivarono al cuore come durante quella maledetta e benedetta giornata in un taxi decrepito.

 

Quelle parole d’inchiostro sembravano risucchiarmi. Non riuscivo a capire perché mi sentissi così male: d’altronde, non era la prima volta che scrivevano una cosa del genere. Avrei dovuto abituarmi, prima o poi. Eppure qualcosa era diverso. Lo sentivo già quando lessi il titolo, e man mano che proseguivo il respiro si faceva sempre più affannato. Poi, il colpo di grazia. Ecco perché quelle reazioni sconsiderate per un articolo che non meritava nemmeno di essere letto. I miei occhi caddero sul nome dell’autrice di cotanta falsità. E mi sentii mancare.

Corsi di filato nello studio, dove presi il telefono. Il centralino mi rispose dopo due squilli, che mi parvero venti.

-Posso aiutarla?-.

-Sì-, risposi con veemenza. -Mi può dare il numero della direzione del “Real Magazine”?-.

Mi fece attendere qualche minuto,  trascorsi a picchiettare le dita sul banco e lanciare sguardi sempre più frequenti all’orologio. Quando la signorina riprese la telefonata dovetti sforzarmi di non chiederle perché ci avesse messo così tanto tempo. Mi dettò il numero e biascicai un “grazie” per non sembrare maleducato.

Attaccai e composi le dieci cifre. Cinque squilli, e dall’altro capo del filo mi rispose una voce femminile.

-Pronto, qui è la redazione di “Real Magazine”-.

-Salve, vorrei parlare con il direttore del giornale-.

-Chi lo desidera?-.

Rimasi un secondo in silenzio, indeciso se rivelarmi o no. Presi la decisione che in quel momento mi sembrava migliore.

-Sono Michael Jackson-. La verità. Sempre ottima alleata.

Silenzio. Poi una forte risata.

-Certo! Lei è Michael Jackson! E io sono Lady Diana!-.

Sospirai.

-Può passarmi il direttore, per favore?-.

-Oh, sì. Subito!-, esclamò, continuando a ridere. –Rimanga in linea-.

La sentii mormorare: -Michael Jackson… come no…-, prima che la sua voce venisse sostituita da una musichetta che mi mandò sui nervi.

Ancora.

Dovevo aspettare ancora.

Quella volta restai attaccato alla cornetta del telefono per ben mezz’ora prima che mi decidessi ad attaccare.

Stupido giornale, pensai, mentre ricomponevo il numero.

Dalla voce capii che mi rispose un’altra segretaria: evidentemente quella di prima era fuggita per continuare a ridere. Davvero era così ironico il fatto che io telefonassi alla direzione di un tabloid? La risposta arrivò da sola, e feci una smorfia.

-Sono James Keith-, improvvisai, -presidente di un’agenzia pubblicitaria. Mi chiedevo se era possibile parlare con il direttore del vostro giornale riguardo una questione di estrema urgenza-. Le bugie. A volte ottime nemiche.

-Attenda, prego-, mi rispose.

La musica non durò più di un minuto. Una voce maschile mi riempì l’orecchio destro.

-Pronto?-.

-Credo che lei debba cambiare personale, signor Hunter: prima ho dichiarato il mio nome e la sua segretaria mi ha riso in faccia. Non credeva possibile che fossi io-.

Il direttore non fiatò. Passarono alcuni secondi interminabili.

-Signor Jackson! Vogliate perdonare Gwen. È una brava ragazza, nonché ottima assistente, ma spesso ci sono buffoni scansafatiche che chiamano qui fingendo di essere delle star… mi scusi, la starò annoiando… in cosa posso aiutarla?-.

I giornalisti. Quanto li odiavo. Dalla faccia doppia e la coscienza pari a zero.

-Vorrei parlare con la giornalista che ha scritto l’articolo su di me stamattina-.

Il direttore parve un po’ soprappensiero.

-Susie Right?-.

-Sì, esatto. È lì?-.

-Ehm… no, veramente no. In questo momento si trova a Washington-.

-Ah-, risposi. –E quando tornerà?-.

-Fra due giorni. Precisamente lunedì sera. Potrebbe richiamare martedì mattina, signor Jackson. Però se è qualcosa di urgente può riferirmi tutto-.

La sera torna a casa e la mattina è già a lavoro?

Sospirai.

-Mi chiedevo se era possibile avere un’intervista con la signorina Right-.

-Un’intervista?-, chiese, scettico.

-Esatto. Racconterò ogni cosa di me stesso. È impensabile che io sia stato dichiarato innocente tre anni fa e ci sono ancora persone che pensano che io sia un pedofilo-, dissi tutto d’un fiato.

Attimo di silenzio.

-Per me non ci sono problemi, ma dovrebbe chiedere a lei…-.

-Non c’è problema. Richiamerò martedì. Grazie mille. Ah! Se per favore quello che le ho detto può rimanere fra noi due, non so se mi spiego…-. Ecco, e adesso mi sentivo un perfetto idiota. Un giornalista che tiene nascosto uno scoop come una telefonata del grande Michael Jackson? Accidenti, ma perché proprio a me?

-Naturale, signor Jackson. A domani e grazie a lei-.

-Arrivederci-, e agganciai.

Emisi il solito sospiro. Speriamo…

 

Quando entrai nell’ufficio di Thomas capii subito che qualcosa non andava. Primo: non mi aveva mai chiamata lui fino ad allora, ma ero sempre io che andavo nel suo ufficio per portargli articoli, news, e quant’altro. Secondo: quando mi guardava non gli luccicavano gli occhi come quella mattina di 22 giugno. Terzo: se mi aspettava non lo faceva mai girovagando per la stanza, ma seduto sulla poltrona.

-Susie!-, esclamò tirandomi letteralmente nell’ufficio e chiudendo la porta alle mie spalle.

-Cosa succede, direttore?-, gli chiesi.

-C’è una telefonata di estrema urgenza per te-, mi disse solamente, per poi pigiare il dito su un tasto del telefono.

-Gwen? Passami la telefonata sulla linea 1-.

-Subito, direttore-, rispose lei.

Thomas tolse il vivavoce e alzò la cornetta.

-Eccola, è qui. Ora gliela passo-, e mi fece cenno di avvicinarmi a lui.

Perché mi tremavano le gambe? Perché il mio cuore stava per scoppiare?

-Pronto?-, dissi.

-Ciao Susie. Sono Michael Jackson-.

Chissà perché, ma me lo immaginavo.

-Buongiorno signor Jackson-, risposi con voce atona, contenendo la rabbia.

Sospirò.

-Ah, giusto, le formalità. Testarda come sempre, vero?-.

-No, signor Jackson. Solo precisa nel mio lavoro e rispettosa nei confronti degli estranei-.

-Oh, sì, certo. E anche il tuo articolo dell’altro giorno voleva rispettarmi?-.

Sospirai. –Cosa vuole?-.

Rimase per un attimo in silenzio, poi disse: -Un’intervista-.

Mi bloccai.

-Eh?-. Vidi con la coda dell’occhio Thomas ridere sotto i baffi.

-Hai sentito bene-, mi rispose. –Voglio che tu m’intervisti. Ti racconterò tutto su di me. Ogni minimo particolare-.

-So già tutto su di lei, signor Jackson-.

-Ah, non sapevo che i miei fans mi considerassero pedofilo-, ironizzò.

-Devo informarmi si ogni minima cosa quando scrivo un articolo. E comunque non sono sua fan, dovrebbe saperlo-.

-Uhm… oh, certo, informarsi-.

Lo immaginai scuotere il capo e farsi beffe di me senza che io potessi vederlo. Quel pensiero mi fece urtare ancora di più i miei nervi di per sé già provati.

-Sì, informarsi. La regola d’oro dei giornalisti. Ma cosa vuole che ne sappia lei di cose che vanno al di fuori del campo di bambini e sesso?-.

-La tua frase è alquanto sgrammatica. Strano, ti facevo più intelligente per essere una giornalista-.

Sbuffai.

Ma va’, idiota…

-Alle 15, oggi pomeriggio nell’albergo “Sun” di NewYork. La mia camera è la 25. Non tardare-, e riattaccò.

Rimasi per un minuto buono senza fiatare con la cornetta in mano. Quando la posai, Thomas mi chiese: -Allora?-.

-Allora niente. L’intervista è per oggi pomeriggio-.

-Fantastico! Allora va’ a preparare domande e tutto, e non dimenticare il registratore. Il tuo articolo sarà un figurone! Già immagino i titoli in prima pagina: MICHAEL JACKSON MESSO A NUDO. L’INTERVISTA DEL SECOLO-.

E uscì dall’ufficio con le speranze già rivolte ad un articolo inesistente. Non sarei mai andata da Michael. Non l’avrei mai perdonato. Mai.

 

***

 

-Michael! Michael!-.

Una bambina dai capelli ricci e la pelle color caffelatte correva raggiante nel cortile verso il suo cugino preferito.

Il ragazzino si girò verso di lei e le sorrise, uno spettacolo da togliere il fiato.

-Susie!-, esclamò, abbracciandola.

La bambina inspirò profondamente il suo profumo. Gli voleva tanto bene, forse perfino più di quanto ne volesse a sua madre.

-Sei stato bravissimo stasera! Mi hai fatta piangere! Hai cantato benissimo!-, disse la piccola.

-Grazie! Però, ti prego, non piangere! Lo sai che non sopporto le lacrime su quel tuo bel visino da angioletto!-, la pregò lui e lei sorrise.

-Visto? Sei più bella ora. Scommetto che quando ti farai più grande un sacco di maschietti ti pregheranno per mettersi insieme a te!-.

La piccola scosse la testa.

-No,  sei tu  il mio futuro marito!-.

Il ragazzino rise, e lei si sciolse.

-Aspetta un attimo! Prima ero il tuo cugino preferito, poi tuo padre, poi il tuo fratellone… e adesso addirittura tuo marito?-.

La bambina annuì.

-Tu per me sei tutto!-, esclamò lei, facendolo cadere sull’erba.

Risero entrambi, felici come solo i bambini potevano esserlo.

 

La ragazza lo guardava con sguardo furioso. Si era di nuovo lasciato mettere i piedi in testa, e – come al solito – non aveva fatto nulla per impedirlo.

-Perché non reagisci?-, gli chiese lei, cercando di incontrare quegli occhi che fuggivano il suo sguardo.

-Ti prego, Susie…-,mormorò lui sprofondando con la testa nel cuscino.

-No, Michael, ti prego un bel niente!-, gridò lei facendolo sobbalzare. –Perché non li mandi tutti a quel paese? Lo sanno che la tua è una malattia, non devono prenderti in giro! Mio fratello è un ignorante! E, scusa se lo dico, ma tuo padre lo è ancora di più! Non puoi permettere che continuino a farlo! Devi porre fine a tutto questo! In questo mondo non esiste solo il perdono, ma anche la vendetta! Reagisci, cavolo, reagisci!-. La ragazza lo strattona e riesce a guardarlo negli occhi. Gli venne un tuffo al cuore. Il piccolo Michael, il suo adorato cugino, stava piangendo.

-Non posso …-, bisbigliò fra le lacrime.  La guardava come se fosse un gattino sperduto. -Non voglio …-, disse infine, voltandosi dall’altra parte.

La ragazza lasciò la presa. Rimase a guardarlo singhiozzare ancora, per poi avviarsi verso la porta.

-Stupido…-, disse ad alta voce, e uscì dalla stanza con le lacrime agli occhi e le mani che le prudevano.

 

Quando entrò in casa, solo Susie rimase di sasso.

-Che cosa hai fatto?-,gli chiese, avvicinandosi a lui.

-Non vedi?-, disse zio Joseph, il padre del ragazzo. –Ha cambiato colore-.

Lei lo guardava stranita. Lui si sentiva a disagio da quello sguardo strano, e abbozzò un sorriso.

-“Thriller” ha avuto un successo inaspettato… mi hanno chiesto di pubblicizzare delle marche… l’intero mondo ora sa chi sono… e con i soldi ricavati ho  pagato il chirurgo che mi ha… ehm…-, e si indicò il viso e le mani non più caffelatte, ma rosee.

Impossibile, pensò Susie, continuando a guardarlo frastornata.

-Perché? A me piacevi com’eri prima…-, biascicò lei.

Lui sospirò.

-Sto avendo troppa notorietà. Non posso rischiare di farmi vedere in pubblico con queste macchie addosso. Immagino già cosa diranno i media…-.

-Non diranno un bel niente! Tu sei malato! Ti perseguiteranno invece se ti vedranno così! Penseranno che l’hai fatto perché non ti accettavi, perché preferivi nascere bianco piuttosto che nero!-, esclamò lei.

Lo sguardo del ragazzo era triste.

-Non ho avuto altra scelta…-, mormorò.

Gli occhi le iniziarono a bruciarle e le lacrime presero a scorrere da sole.

-Sì, invece. C’è sempre un’altra scelta. Potevi farti accettare così com’eri, e invece hai deciso di trasformarti. Potevi fregartene altamente del giudizio degli altri, e invece hai deciso di subire tutte le ingiurie delle persone senza dire nulla e serbare tutto dentro. Allora sappi che dovrai soffrire ancora. Non finiranno qui le ingiustizie, anzi… ogni giorno peggioreranno. Purtroppo però non ci sarò più io ad asciugare le tue lacrime e a farti forza. Mi dispiace, Michael, ma da ora in poi io per te non sarò più niente. Addio-.

E fuggì via lasciandosi alle spalle il suo vecchio cugino che urlava dalle scale: -Susie! Susie!-.

 

***

 

Qualcuno bussava alla porta insistentemente.

-Un attimo, arrivo!-, urlai, posando il piatto sul tavolo.

-Ma che modi…-, mormorai, abbassando la maniglia.

Rimasi impalata quando vidi chi era il rompiscatole.

-Che modi? CHE MODI?? Dovrei dirla io questa frase! Ti ho aspettata tutto il pomeriggio e non sei venuta! Ti sembra educazione, questa?-.

Michael Jackson si trovava davanti a me, in carne ed ossa, con i capelli lisci sul viso e gli occhi che fumavano.

Rimasi impalata, incapace di parlare. Poi mi accorsi di avere la bocca.

-Che diavolo ci fai tu qui?!-, esclamai, irata.

-Beh, visto che tu non sei venuta…-, mi disse, entrando.

-Ehi! Non ti ho dato il permesso di entrare!-.

Mi guardò. Poi scrollò le spalle.

-Fa niente-.

-Che maleducato…-, dissi, chiudendo la porta alle sue spalle.

-Io maleducato?-, esclamò. –E allora tu come sei? Ti aspettavo oggi pomeriggio per quell’intervista! Mi hai fatto cancellare tutti i miei impegni, per poi scoprire che tu non venivi… come credi che mi sia sentito?-, mi chiese, furioso.

Mi accigliai.

-Dovresti saperlo che io di pomeriggio lavoro-, risposi, acida.

-Ma davvero? E come mai il tuo direttore ti ha mandato via prima?-.

-Che ne sai tu?-. Adesso aveva anche la facoltà di leggere nel pensiero, oltre che ballare come se fosse sulla Luna?

-Me l’ha detto lui stesso-, rispose semplicemente.

Ovvio, no?

Lo guardai ancora un po’. Era diverso dall’ultima volta che l’avevo visto – di persona, intendo. Ovvero, ai tempi di “Bad”, quando avevo 23 anni. Sapevo che non si era rifatto il naso più di due volte – sebbene nei miei articoli scrivevo che lo aveva modificato almeno 7 volte –, ma il suo cambiamento mi fece male ancora una volta.

Perché sei così cambiato?

Mi sedetti sul divano, e lo guardai.

-Non c’è bisogno dell’intervista. Domani inventerò qualcosa per giustificare me e te. Non ne hai bisogno, e io non ho alcuna intenzione di ascoltare nuovamente la storia della tua vita. La so a memoria-, gli annunciai.

Mi aspettavo qualcosa tipo “Nemmeno per sogno, io non torno indietro”, ma come al solito Michael mi sorprese.

Sorrise.

-Veramente… non sono io quello che devi intervistare…-.

Lo guardai, interdetta.

-Eh?-.

Andò verso la porta e l’aprì.

-Adesso potete entrare-, disse affacciandosi, per poi lasciar passare tre strane figure mascherate. Uno aveva i capelli biodo platino, l’altra marrone chiaro e l’altro ancora marrone scuro. Si avvicinarono a Michael, che disse: -Ora potete togliervi le maschere-.

Loro obbedirono.

E io rimasi incantata.

Erano bellissimi.

Erano i suoi figli: Prince, Paris e Blanket, e mi guardavano incuriositi.

Rimasi senza fiato, prima di registrare le sue parole.

-Vuoi che io intervisti… loro?-, e li indicai.

-Certo-, rispose scrollando le spalle come se io fossi una sciocca a non aver capito prima quello che intendesse dire.

Lo guardai stralunata.

-Tu sei matto!-.

-Quindi accetti?-.

-Io non ho detto ques…-.

-Bene! Accettato!-, esclamò battendo le mani. –Bambini, sedetevi-, ordinò.

Scossi la testa. Una volta che si metteva qualcosa in testa nulla e nessuno l’avrebbe distolto dai suoi obiettivi. Strano che dopo tutto quel tempo passati in lontananza io mi ricordassi ogni minimo particolare del suo carattere fanciullesco.

Mi sedetti sulla piccola poltrona di fronte il divano e Michael prese posto su una sedia accanto a me.

-Non vuoi infondere coraggio ai tuoi figli?-, gli chiesi, guardandolo.

Scosse la testa.

-Devo suggerirti le domande-.

-Giusto…-, mormorai, annuendo.

Guardai i tre bambini. Erano uno più bello dell’altro. Mi persi nella profondità dei loro occhi.

-Da dove devo iniziare?-, chiesi a Michael.

-Sei tu la giornalista-, mi disse sorridendo.

-Sei odioso-.

-E tu paranoica. In fondo sono solo dei bambini!-.

Lo guardai di sbieco e presi fiato.

-È vero che sei nostra zia?-, chiese Blanket con voce sottile.

Rimasi un momento allibita.

-Non può essere nostra zia-, gli rispose Prince. –Non l’abbiamo mai vista. Non è mai venuta a trovarci. Di solito gli zii fanno i regali-.

Aprii la bocca, ma non ne uscì alcun suono.

-I-io… non…-, farfugliai.

-Ma guardala!-, esclamò Paris. -È uguale a papà!-.

-Sì, però non l’abbiamo mai vista prima! Chi ci dice che sia veramente nostra zia?-, obiettò Prince. Non potei non dargli ragione.

-Se siamo qui ci sarà un motivo…-, disse Paris.

Il fratello maggiore annuì.

-Infatti…-, disse.

Il più piccolo mi guardava in modo strano, come se volesse dirmi qualcosa. Ricambiai lo sguardo e la sua voce mi giunse cristallina e terribile nelle orecchie.

-Perché non ci hai mai cercati?-.

Tutti fecero silenzio, compresa io. Mi sentivo un groppo in gola e gli occhi iniziarono a luccicarmi.

-N… non… potevo, io… io non sapevo…-, mormorai abbassando lo sguardo.

Perché stavo piangendo? Perché non ero ma corsa dai miei nipoti? Perché avevo detto quelle cose tremende a Michael? Perché? Perché? Perché?

All’improvviso, tra la confusione della mia mente, sentii qualcosa. Una stretta soffice. Un profumo dolce. Un cuoricino che batteva sul mio.

Blanket mi stava abbracciando.

Non ce la feci più e scoppiai in singhiozzo, ricambiando la stretta. Anche Prince e Paris si unirono all’abbraccio e mi sussurravano: -Sssh… non piangere, zia Susie… noi sappiamo chi sei… papà non ha fatto altro che mostrarci le vostre foto…-.

Mi allontanai, mi asciugai le lacrime e guardai Michael. Mi accorsi che anche lui stava piangendo come me.

-È vero?-, gli chiesi, anche se sapevo già la risposta.

Lui mi sorrise e annuì.

Mi alzai e lui fece lo stesso. Sprofondai la testa nel suo petto e lui mi cinse le spalle con un braccio e la vita con l’altro.

-Mi dispiace…-, mormorai, stringendolo forte a me.

-Non importa. Io già ti ho perdonata-, mi rispose.

Risi pensando che litigammo proprio perché lui non conosceva la vendetta, ma aveva sempre perdonato chiunque, anche chi non lo meritava.

-Cugini come prima?-, chiesi, guardandolo negli occhi.

-Più di prima, piccola Susie-, rispose sorridendo sciogliendomi il cuore.

 

Il bar era affollato come sempre mentre leggevo il mio articolo di giornale. Era venuto molto bene, tutto quello che dovevo dire l’avevo reso pubblico. Era finalmente ora che tutti sapessero. Nessuno escluso, compresi i giornalisti, quegli stupidi esseri che giudicavano una persona quando nemmeno l’avevano mai conosciuta.

Sorrisi ripensando al giorno prima. Le lacrime, gli abbracci, i chiarimenti…

Presi il mio diario e una penna.

Ripensai al volto di Michael e sulla mia bocca comparve un sorriso.

Da ieri, 23 giugno 2009, questo piccolo frammento di vita sta per cambiare.

 

 

 

Note dell’autrice:

Ed ecco a voi il nuovo chappy!!! Adesso avete capito perché soffrivo mentre lo scrivevo? Solo all’inizio, però: alla fine ho deciso che avrei voluto farvi diventare simpatica la cuginetta… sì, io amo il “e vissero felici e contenti”… si è capito? XD! Spero che non vi siate arrabbiate troppo con me, e che questo chappy vi sia piaciuto. L’asterisco accanto il testo di “Childhood” indica che la traduzione è stata fatta da me, e non copiata da nessun sito o forum, se vi trovate qualche errore, vi prego di segnalarmeli tramite una recensione. E adesso, passiamo ai ringraziamenti:

 

X eclipsenow: Grazie, grazie mille!! Mi sto emozionando… oddio, divina…

Lo so, il pezzo della lotta con i genitori è piuttosto triste… però devi ammettere che quando rompe tutto è divertente…XD! Grazie, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto… un bacio!

 

X Porsche: Sono davvero contenta che ti sia piaciuto! Grazie per i bei complimenti! Spero che questo nuovo capitolo non abbia deluso le tue aspettative… un bacio!

 

X rara193: Grazie mille… erto, continuerò a scrivere per me, per voi e – dulcis in fundo – per Michael, che chissà se ora mi sta sussurrando ciò che devo scrivere… un bacio!

 

X Eutherpe: Dai, non farmi tutti questi complimenti, che poi arrossisco. Ad ogni modo, grazie mille, le tue recensioni mi rendono sempre felice, e non smetterò mai di ringraziarti. Sono contenta che ti piaccia il personaggio di Wendy, ci ho messo anima e corpo per darle carattere… Per quanto riguarda l’ultima parte anche io concordo nel dire che Michael è incantevole (hehehe…); inoltre ho immaginato come dovesse sentirsi Mike vedendo che – nonostante avesse perdonato suo padre – questo non l’aveva mai trattato come un figlio… sì, il fan che veniva trascinato dalla polizia mi ha sempre fatto una pena…;) Ah, lo sai che anch’io sono iscritta sul forum FanSquare? Però il mio nick è “MichaelInTheHeart”… magari ci becchiamo lì, okay? A presto! Un bacio!

 

X Alchimista: Tesoooooooooooooooro!!!!!!!!!!!!! Che bello, grazie mille!! Al solo pensare che ti ho contagiata e che stamattina non hai fatto altro che ascoltare la stupenda “Heal the World” mi vengono le lacrime agli occhi… posso sempre contare su di te, e grazie mille ancora… di tutto. Ti voglio un mondo di bene!!! Un bacio!

 

Ringrazio inoltre coloro che mi hanno aggiunto questa storia ai preferiti e alle seguite, a chi mi ha aggiunto tra gli autori preferiti, e a coloro che hanno letto e basta. Il prossimo chappy s’intitolerà “Ben”… spero di riuscire a postare presto…

Ancora grazie mille a tutti voi! Alla prossima! Bad_Mikey!!

 

 

   
 
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