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Autore: Lamy_    26/06/2021    1 recensioni
Ariadne ha smesso di scappare dal suo passato. Ha deciso di sfidare l’autorità della madre e di opporsi a Mick King. Per farlo scende a compromessi con Alfie Solomons: Ariadne accetta di diventare il capo della gang di Camden Town.
A Birmingham Tommy continua a mandare avanti gli affari dei Peaky Blinders e a lavorare per il Parlamento.
Le strade di Ariadne e Tommy si incontrano di nuovo intorno ad un tavolo di affari. Stringono una alleanza che viene suggellata da baci di passione pura.
Ariadne pagherà cara la sua discesa agli inferi e scoprirà che le fiamme bruciano più intensamente quando sei un peccatore.
“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:
Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9. TUTTO E’ TENEBRA

“Nei miei accessi di ottimismo, io mi dico che la mia vita è stata un inferno, il mio inferno, un inferno di mio gusto.”
(Emil Cioran)
 
Il giorno dopo
Ariadne si abbottonò la camicetta e calzò le scarpe, poi si legò i capelli con un fermaglio. Poche ore prima Jonah l’aveva raggiunta e aveva portato dei vestiti puliti sia a lei sia a Tommy. Si era fatta un bagno caldo e aveva sfregato per bene la pelle nel tentativo di rimuovere sangue, sudore e sporco. Aveva cambiato la benda al polpaccio dopo aver disinfettato la ferita, dopodiché si era seduta sul letto per qualche minuto. Era stanca dopo una notte insonne, ma non aveva il lusso di fermarsi. Prese un respiro e scese in cucina per mettere qualcosa sotto i denti.
“Buongiorno.” La salutò Finn.
Margaret era ai fornelli – cucinare era un’ottima distrazione – e aveva preparato una ciotola di porridge per tutti. Ariadne prese la sua ciotola e si mise a tavola a mangiare in silenzio. Quando ebbe finito tutta l’avena, si pulì la bocca con un tovagliolo e bevve una tazza di tè.
“Era tutto buono. Grazie, Margaret.”
“Figurati. Ora preparo un vassoio per tuo fratello, così glielo porti tu.”
Ariadne entrò nella stanza provvisoria di Eric con un vassoio colmo di porridge, tè e biscotti al miele che Jonah aveva comprato lungo la strada. Il fratello si illuminò quando la vide.
“La mia splendida sorellina.”
Ariadne, che aveva soppresso troppe emozioni, poggiò il vassoio sul comodino e si gettò fra le braccia di Eric.
“Mi sei mancato tantissimo. Mi dispiace per tutto.”
Eric le accarezzò la schiena e le baciò i capelli, proprio come quando era bambina e faceva un brutto sogno.
“Shh, va tutto bene. Non è colpa tua. Sono stato io quello a voltarti le spalle. Avrei dovuto capirlo prima che nostra madre non si ferma davanti a niente.”
Ariadne si tirò indietro con le guance bagnate di pianto, si asciugò con le maniche del cardigan e si schiarì la voce.
“A proposito di nostra madre… c’è una cosa che devo dirti, Eric.”
“Parla pure.”
“La tua madre naturale si chiama Doris. Lei soffre di schizofrenia e i nostri genitori l’hanno rinchiusa in un manicomio. Marianne e Philip sono i tuoi zii. Io e Julian siamo i tuoi cugini.”
Eric non disse nulla. Fissava la parete di fronte come se fosse incantato. Si ridestò quando Ariadne gli toccò la guancia.
“Eric…”
“Sono felice di sapere che Marianne non è davvero mia madre.”
Ariadne era sbigottita. Si era immaginata una scena tragica con lui che piangeva e si disperava, invece sembrava che Eric avesse trovato un lato positivo.
“Io e Julian non abbiamo la stessa fortuna.”
“Mi dispiace per voi.”
“Parlando di me e Julian, sappi che noi siamo la tua famiglia. Tu sei nostro fratello a prescindere dai legami di sangue. Io sono tua sorella e lo sarò sempre.”
Eric le accarezzò il mento e le diede un buffetto sul naso, era sempre stato affettuoso con lei.
“Per me è lo stesso. Neanche la perfida Marianne potrà cambiare il mio affetto per voi.”
Ariadne lo abbracciò di nuovo, stringendolo come se fosse l’unico scoglio in mezzo alla tempesta.
“Abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto. Marianne ha preso in ostaggio Barbara e Agnes e la famiglia di Tommy. Tu conosci i suoi piani? Sai qualcosa che possa esserci utile?”
“Purtroppo no. Le mie condizioni di salute mi hanno obbligato a letto da mesi. Non prendo parte agli affari da molto tempo.”
“Troveremo un altro modo per riportare Barbara e Agnes a casa.”
“Sei cambiata, Ariadne. Hai lo sguardo spento.” Disse Eric.
“Suppongo che lottare contro la propria madre sia estenuante e che abbia delle conseguenze.”
“Stai sacrificando tutto per questa crociata. Ne vale la pena?”
Ariadne guardò fuori, verso il sole che timidamente illuminava la campagna. Invidiava quella tenue luce che ormai dentro di lei si andava affievolendo. Era una candela con la fiamma che stava finendo l’ossigeno; presto si sarebbe estinta.
“Io ho commesso un grave errore che ha scatenato la rabbia di nostra madre.”
“Lo so.”
“C-c-ome… tu…?”
Eric annuì, era meglio mettere le carte in tavola prima che la partita giungesse al termine.
“Sei scappata a Londra la notte che nostro padre è morto. Non sei neanche venuta al suo funerale. Non sei mai andata a piangere sulla sua tomba. Come era possibile che una figlia non soffrisse per il padre? Negli anni ho riunito i tasselli e tutto è diventato chiaro.”
“Eric, sono mortificata. Avrei dovuto… io non sapevo come comportarmi e… avevo paura.”
“Ehi, non ti devi scusare. Nostro padre era uno stronzo che meritava quella fine. Ci picchiava, picchiava la mamma e ha comandato le nostre vite. Io volevo lavorare in banca, invece lui ha voluto che io continuassi con i Blue Lions.”
Ariadne ricordava bene lo schiaffo che aveva ricevuto quando si era rifiutata di prendere un bicchiere per il padre. Era una bambina e la credenza era troppo alta, ma a lui non importava e l’aveva colpita in piena faccia.
“Quella notte ha picchiato Julian per averlo scoperto che aveva baciato un ragazzo. Io ho agito d’istinto! Se solo potessi tornare indietro non lo rifarei. Il mio gesto ha distrutto le nostre vite.”
“Ma ora sei qui, Aria. Hai rinunciato all’Accademia d’Arte. Hai rinunciato a Londra. Hai rinunciato all’amore. Tutto questo solo per me e Julian, per Barbara e Agnes. Tu sei la nostra eroina.”
Ariadne scoppiò di nuovo a piangere. Finalmente buttava fuori tutte le lacrime che nei messi precedenti si erano accumulate nel petto.
“Troverò una soluzione. Te lo prometto, Eric.”
Eric le baciò ripetute volte i capelli mentre l’abbracciava e lasciava che piangesse sulla sua spalla.
“Lo so, piccola mia. Lo so.”
 
Ariadne si sciacquò la faccia due volte prima di calmarsi definitivamente. Doveva dominare le emozioni, aveva bisogno di essere lucida per sopravvivere a quella giornata. Tornò in camera e vide la porta semiaperta. Alla finestra c’era Jonah che osservava la sconfinata campagna che circondava quel casolare.
“Jonah, è successo qualcosa? Non sono in vena di altre brutte notizie.”
“Mi dispiace, signorina, ma sono un ambasciatore che porta pena.”
Ariadne non sapeva se ridere o piangere, ormai non faceva più alcuna differenza.
“Avanti, parla.”
Jonah camminò avanti e indietro nella stanza, le mani dietro la schiena e l’espressione assorta.
“Birmingham è assediata dagli uomini di Enea Changretta. Small Heath è sotto il comando degli Scuttlers. E la nostra distilleria a Camden Town è stata assalita dai Blue Lions.”
“Diamine! Abbiamo perso qualche uomo? Come stanno i nostri lavoratori?”
“Stanno tutti bene. Changretta ha detto che andranno via dopo che voi e Tommy avrete incontrato Mick e Marianne.”
Ariadne si portò le mani ai fianchi e chiuse gli occhi, doveva soffocare quella vocina dentro di sé che le suggeriva di scappare via il prima possibile. La sua famiglia, i suoi amici, Tommy, avevano bisogno di lei.
“Ascoltami, Jonah: Julian e Rose si nascondono in una pensione nella periferia di Birmingham. Va da loro, racconta quanto sta succedendo e tienili al sicuro. Capito?”
“Li scorterò a Margate, poi tonerò da voi.” Disse Jonah.
“No. Poi prenderai Eric e lo porterai in un altro posto sicuro. Eric e Julian dovranno stare in due posti separati.”
“E poi tornerò per voi. Giusto?”
Ariadne sorrise e mise le mani sulle spalle di Jonah, malgrado la differenza di altezza.
“Non tornerai per me. Tornerai a Margate e ti nasconderai con Alfie. Nessuno deve farsi male a causa mia. Voglio tutte le persone che amo lontane da Birmingham.”
“Signorina, ma…”
“Devi lasciarmi andare, Jonah. Sei il mio più fidato amico. E’ grazie a te se sono arrivata fin qui. Ora, però, devi fare ciò che ti dico per l’ultima volta.”
Jonah aveva gli occhi lucidi di lacrime ma non pianse, del resto doveva pur mantenere una parvenza da falco.
“E’ stato un onore immenso stare al tuo fianco, Ariadne.”
Ariadne si issò sulle punte e lo abbracciò. L’aveva chiamata per nome e questo significava che le voleva davvero bene. Una volta Jonah le aveva detto che usare il nome di una persona implica complicità, dunque erano arrivati a quello stadio della loro amicizia.
“Stammi bene, Jonah.”
 
Tommy aveva perso il conto delle sigarette che aveva fumato nelle ultime otto ore. Venti. Cinquanta. Cento. Ad un certo punto aveva smesso di pensarci. Era nervoso, arrabbiato e deluso da se stesso. Aveva studiato ogni dettaglio, aveva previsto ogni contrattempo, eppure non aveva calcolato la sua famiglia. Ariadne notò come le dita di lui si serrarono sul manubrio.
“I tuoi figli stanno bene. Mia madre sarà anche pazza, ma non farebbe mai del male ai bambini.”
“Quanta fiducia in tua madre.”
“Non la definirei fiducia. Più che altro so che non ferirebbe mai dei bambini, soprattutto perché lì ci sono mia nipote Agnes e Barbara è incinta.”
“Quindi convinceremo tua madre perché ha pietà dei bambini?”
Ariadne sbuffò, odiava lo scherno nella voce di Tommy. Era una situazione difficile per tutti, non era necessario farsi la guerra a vicenda.
“Sentiamo prima la loro proposta, poi decidiamo. Sei ancora con me?”
“Sì.” Rispose Tommy.
“Grazie.”
Il tragitto proseguì senza chiacchiere. Ognuno se ne stava per conto proprio, non avevano voglia di perdersi in banali chiacchiere. Superato l’ingresso a Birmingham, Ariadne si agitò sul sedile e si morse le labbra.
“Non farti venire un altro attacco di panico.” Disse Tommy.
“Non preoccuparti per me, non ti si addice.” Replicò lei.
Tommy sollevò il sopracciglio con fare interrogativo. Non capiva il motivo di quella risposta tagliente. Certo, fra di loro non c’era amore, ma comunque c’era un sentimento di affetto.
“Non mi preoccuperò se ti mancherà di nuovo l’aria, d’accordo.”
“Non fingere che ti importi davvero di me. Per te si tratta solo di affari e di divertimento occasionale.”
Ariadne andava a briglia sciolta. Era stufa di tenersi tutto dentro perché sentiva di sta covando una rabbia che non le piaceva. Almeno con Tommy poteva sfogarsi.
“Sei incazzata e te la prendi con me. Ho capito.”
“Sì, sono incazzata. Però è vero quello che ho detto. A parte la mia famiglia e Jonah, io sono sola.”
Tommy sospirò, non sapeva nemmeno come fossero finiti invischiati in quell’assurda conversazione sentimentale.
“Non sei sola.”
“Ci sei tu a tenermi la mano? Beh, che magra consolazione.”
“Mi spieghi che cazzo hai? Stai dando i numeri.”
Ariadne girò la testa verso il finestrino per non mostrare lo sguardo lacrimoso. C’era questa dolorosa sensazione che le faceva contorcere lo stomaco. Avvertiva il pericolo come una mano invisibile che le bloccava il respiro.
“Sto bene. Non insistere.”
Tommy non disse altro, non voleva infastidirla più di tanto. Si accese un’altra sigaretta e guidò in direzione della villa.
 
Marianne Evans stava bevendo il tè quando il maggiordomo annunciò l’arrivo di Tommy e Ariadne.
“Falli accomodare pure. Ah, Mark, prepara altro tè per gli ospiti.”
“Come desiderate, signora.”
Un olezzo di campagna invase il salotto quando Ariadne entrò al fianco di Tommy. Erano una bella accoppiata: capelli rossi e capelli neri, occhi d’ambra e occhi azzurri; parevano angeli caduti realizzati da una mente artistica demoniaca.
“Ariadne, noto con disappunto che sei ingrassata. Hai i fianchi così gonfi!”
“Hai indetto l’incontro per insultarmi? Mi aspettavo di più.” Disse Ariadne.
“Dove sono mia moglie e i miei figli?” chiese Tommy.
Marianne abbassò la tazzina per guardarlo come se le avesse rivolto un’offesa.
“Che maleducazione! Quando una vecchia signora vi invita per il tè, ci si siede e si conversa.”
“Io vedo solo una vecchia.” Borbottò Ariadne.
Lei e Tommy presero posto sul divano, le loro ginocchia e le loro braccia si sfioravano abbastanza da condividere un pizzico di calore.
“Ci siamo seduti. Ora dimmi dove si trova la mia famiglia.” Disse Tommy.
“Non te lo dirà. Vuole giocare al gatto e al topo.” Disse Ariadne.
Marianne sorseggiò altro tè nascondendo un sorriso beffardo dietro la tazza.
“Sono impressionata dalle tue capacità intellettive. Credevo fossi del tutto stupida.”
Ariadne non fece una piega. C’era rimasta male ma non lo diede a vedere. Mostrarsi ferita avrebbe solo invogliato la madre a perseverare, tanto meglio cessare il fuoco appena nato.
“Intendi che non sono stupida e pazza come Doris?”
Tommy scorse un’ombra oscurare il volto di Marianne. Se prima sorrideva, adesso la bocca era una linea dura.
“Beh, da qualcuno la pazzia devi pur averla ereditata. Come quei dannati capelli rossi!”
“Quindi mi odi per via dei miei capelli?”
Marianne le lanciò un’occhiata carica di disprezzo, non vi era in lei una braciola di affetto materno.
“I tuoi capelli e le tue lentiggini sono evidenti segnali. Non puoi sfuggire al tuo destino.”
“Segni di cosa?” domandò Tommy.
“Segni del diavolo.” Spiegò Ariadne.
“Padre Bruce lo dice sempre che i rossi di capelli non hanno anima.” Disse Marianne.
Ariadne sospirò, avevano affrontato quella questione più e più volte fino allo sfinimento. Da bambina di solito scoppiava a piangere e si faceva consolare da Eric, ma con gli anni aveva imparato a non ascoltare gli insulti.
“Padre Bruce ha quasi cento anni e crede che i demoni esistano. Direi che non è una fonte attendibile.”
“Lui avrà pure cento, ma quando sei nata un fulmine ha colpito la cattedrale. Coincidenze? Non credo.”
Marianne Evans era da sempre una timorata religiosa. La chiesa era la sua seconda casa. Sin da ragazzina leggeva la Bibbia tutti i giorni, pregava e andava a messa tutte le sere. Ariadne e Julian da piccoli erano costretti ad andare con lei per ascoltare le pesanti – e superstiziose – omelie di Padre Bruce.
“I fulmini sono fenomeni naturali, madre. Non ho il controllo anche sulla natura!”
Tommy non ne poteva più di quel battibecco tra madre e figlia, era come assistere ad una partita infinta di tennis in cui la palla va avanti e indietro senza sosta.
“Possiamo concentrarci? Io rivoglio ciò che è mio.”
“La dignità non può ridartela nessuno.” Replicò Marianne.
“La mammina ha imparato a usare il sarcasmo. Lodevole!” disse Ariadne battendo le mani.
Il maggiordomo entrò trafelato e Marianne fu l’unica ad averlo sentito.
“Sì?”
“Signora, il vostro ospite è qui. Lo faccio accomodare?”
“Assolutamente.”
Pochi istanti dopo Mick King faceva il suo ingresso a passo baldanzoso. In vita portava la tipica cintura di cuoio degli Scuttlers munita di pistola. Si era pettinato i capelli castani all’indietro, sulle tempie vi erano accenni di grigio. Era rasato e indossava un completo nuovo, ma le sue mani rovinate chiarivano il suo status sociale.
“Buongiorno. Perdonate il ritardo, stavo pestando un tizio che non mi ha restituito i soldi. Avevo bisogno di un cambio d’abito, sarebbe stato sconveniente presentarsi con le macchie di sangue sulla camicia.”
Ariadne diventò un pezzo di ghiaccio. All’improvviso sentiva freddo e i peli sulle braccia si erano rizzati.
“Dove sono Barbara, Lizzie e i bambini? Siamo qui per loro.”
“Non fateci perdere altro tempo.” Aggiunse Tommy.
Mick si andò a sedere accanto ad Ariadne e le mise un braccio sulle spalle per avvicinarla a sé.
“Vedi, principessa, siete qui per trattare il loro rilascio. Non credevate mica che avremmo riconsegnato gli ostaggi facilmente?”
“Che cosa vuoi da noi?” chiese Tommy.
Marianne e Mick si scambiarono uno sguardo eloquente, menti diaboliche comunicano intenzioni diaboliche.
“Io e Marianne vogliamo quello che cerchiamo dall’inizio: Ariadne.”
La ragazza si staccò da lui e si alzò in piedi, il ginocchio toccava ancora quello di Tommy.
“Perché siete ossessionati da me? Mia madre mi odia e tu potresti avere tutte le donne che vuoi!”
“Perché hai fatto la cattivella e meriti una punizione.”
“Volete picchiarmi? Volete uccidermi? Va bene! D’accordo! Basta che lasciate andare le nostre famiglie.”
Mick squadrò Ariadne da capo a piedi, leccandosi le labbra come se fosse un arrosto succulento. Con la punta della scarpa le diede un colpetto giocoso alla coscia.
“Ti piace essere picchiata, principessa? Interessante.”
Tommy scattò come una molla e afferrò il polso di Ariadne per allontanarla da Mick.
“Finiscila con queste stronzate. Non devi toccarla.”
Mick prima aggrottò la fronte e poi sorrise come se avesse ricevuto l’illuminazione divina.
“Tu l’hai già toccata, vero? Sei proprio uno stronzo con le mani lunghe!”
Marianne emise un verso di disgusto. Aveva ribadito l’importanza di arrivare illibata al matrimonio, ma ormai la virtù della figlia era scomparsa in modo irreparabile.
“Mick, malgrado la scoperta, l’accordo è ancora valido?”
“Quale accordo?” intervenne Tommy.
Mick si chinò su Ariadne per annusarla, passandole la punta del naso sul collo. Lei lo spinse via dandogli uno schiaffo sulla spalla.
“Vaffanculo! Non toccarmi!”
“Profumi di bergamotto. Mi fa impazzire.” Sussurrò Mick, sorridendo.
Tommy avvertì come una bastonata in testa quando capì lo scopo di quell’incontro. La verità gli era sempre stata un passo avanti ma se ne rendeva conto soltanto adesso.
“Che pezzi di merda. Fottuti pezzi di merda!”
“Finalmente hai capito. Credevo non ci saresti mai arrivato.” Sbottò Marianne.
Ariadne guardò Tommy, non capiva ed era spaventata. Si sentiva una barca in balìa delle onde selvagge.
“Che cosa hai capito? Tom?”
“E’ un contratto di matrimonio. Tua madre ti sta cedendo in sposa a Mick.”
“Bingo!” esultò Mick.
“Madre…”
“Suvvia, non fare così. Sei una ragazza forte, Ariadne. Devi sacrificarti per la famiglia.”
Qualcosa dentro Ariadne andò in mille pezzi. Un dolore disumano si fece spazio in lei cancellando ogni speranza. Era un dolore nero, amaro, straziante. Tutto era diventato tenebra.
“Quale debito hai nei confronti di Mick?” domandò Tommy.
“Non sono affari tuoi. E’ una faccenda di famiglia.” Rispose Marianne, piccata.
“Esci, Tommy. Devo parlare da solo con Ariadne.” disse Mick.
“Non ti lascio con lei. Resto qui.”
Ariadne lesse una furia terrificante negli occhi neri di Mick, dunque rivolse un sorriso finto a Tommy.
“Aspettami in macchina, Tommy. Arrivo subito. Per favore.”
Tommy annuì e le diede una pacca sulla spalla prima di lasciare la villa. Lui andava via e trascinava con sé la felicità della ragazza.
Mick accarezzò il mento di Ariadne e poi strinse tanto forte da obbligarla a guardarlo in faccia.
“Hai ventiquattro ore di libertà, dopodiché accetterai la mia proposta di matrimonio e verrai con me. Se provi a scappare, se ti fai aiutare da qualcuno, sta certa che ammazzerò tutti quelli a cui vuoi bene. Hai capito, principessa? Il loro sangue sporcherà le tue belle manine.”
Tu sei il mare impetuoso o la sabbia ferma?, le aveva chiesto Alfie.
Ripensò ad una frase di William Blake e trovò la risposta a quella domanda: lei era il ruggito di un leone, l’ululato di un lupo, il furore del mare in tempesta e una spada distruttiva.
“Ho capito.”
 
“Tu sei sicura?”
“Mia madre ha detto che Barbara e Lizzie sono al Sirens.” Ribadì Ariadne.
Tommy guidò verso il quartiere di Aston più in fretta che poté, beccandosi imprecazioni dagli automobilisti che sorpassava.
“Cosa voleva Mick da te? Dimmelo.”
“Ha detto che Eric deve tornare là.” Mentì lei.
Non voleva che Tommy sapesse la verità, o almeno per il momento. Voleva godersi le ultime ore di libertà senza pressioni.
“Solo questo? Ariadne, se lui ti ha fatt-…”
“Sto bene. Mick non mi ha fatto niente. Anzi, mi ha irritata con tutte le sue chiacchiere.”
Tommy la vide sorridere, era serena, eppure c’era qualcosa che la turbava.
“Me lo diresti se fossi nei guai? Siamo soci.”
“Sì.”
Da lì in poi Ariadne continuò a fissare la strada come un segugio in cerca di tracce. Avrebbe voluto piangere e urlare, dunque trovò un modo per controllarsi.
“Siamo arrivati.” Annunciò Tommy.
Il Sirens di mattina era aperto solo agli addetti alle pulizie e alle ragazze che si preparavano per la serata. Un paio di ubriaconi dormivano sulle scale del locale.
“Papà!” strillò una vocina dalla finestra.
Tommy alzò la testa e vide il piccolo viso rotondo di Charlie. Lo salutò con la mano.
“Adesso salgo. Aspettatemi lì.”
Ariadne stava già salendo la tromba delle scale, i tacchi spezzavano il silenzio dell’edificio. Non sbuffava, non parlava, non rideva, e questo mise Tommy in allarme.
“Non sembri stare bene, Ariadne.”
“Sto bene. Hai visto a quale finestra si affacciava Charlie?”
“Al terzo piano.”
Ariadne camminò spedita, la testa alta e la schiena dritta. Tommy la seguiva perché era lei a conoscere meglio il posto.
“Barbara? Lizzie?” gridò Ariadne.
“Zietta!”
Una porta si spalancò e Agnes corse incontro alla zia con i fiocchi che scivolavano via dai capelli. Anche Ruby e Charles corsero dal padre. Tommy li abbracciò e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“State bene?”
“Sì. Ruby piangeva perché aveva paura ma io l’ho protetta.” Disse Charlie tutto fiero.
“Sei un ometto coraggioso.” Si complimentò Tommy.
Ariadne affondò il naso fra i lunghi capelli della nipote, aggrappandosi a lei con tutte le forze.
“Mi sei mancata così tanto, tesoro.”
“Anche tu mi sei mancata, zia. Lo sapevo che saresti venuta a prendermi.”
Ariadne le accarezzò le guance paffute e sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
“Io verrò sempre a prenderti, Agnes. Ti voglio bene.”
Intanto anche Barbara e Lizzie si erano riversate in corridoio. Erano entrambe stanche, soprattutto Barbara col suo pancione.
“Eric è salvo?”
“E’ al sicuro, tranquilla. Lo incontrerete presto.” Disse Ariadne.
Con la coda dell’occhio vide che Tommy stava abbracciando Lizzie e che le stava baciando la guancia. Un nodo alla gola le impedì di respirare, poi ricordò a se stessa di restare forte.
“Lizzie, stai bene? Mi dis-…”
Lizzie schiaffeggiò Ariadne in pieno volto. La pelle si arrossò subito e con essa sopraggiunse il formicolio del dolore.
“Adesso sto meglio.”
Ariadne rimase ferma, l’espressione immobile, mentre la guancia diventava più rossa.
Era questo che la vita aveva in serbo per lei? Schiaffi, tradimenti e inganni? Era un circolo vizioso di sofferenze. Era l’inferno in terra.
 
 
Ariadne non era davvero presente. La sua famiglia chiacchierava, rideva, mangiava. Lei se ne stava seduta con gli occhi fissi sul vino rosso. Si sentiva fredda e vuota, una parte di lei era andata distrutta dopo l’incontro con Mick. Sapeva di non avere più scampo. Ogni tentativo di fuga era inutile. La sua famiglia non doveva pagare per le sue colpe.
“Aria! Aria, ci sei?” la punzecchiò Julian.
Lei annuì distrattamente e sorrise, lo faceva in maniera meccanica. Il suo corpo si muoveva e la sua mente restava bloccata.
“Sono qui. Domani, invece, non ci sarò più.”
“In che senso?” chiese Eric.
“Torno a Londra a studiare presso l’Accademia d’Arte.”
Applausi e schiamazzi scossero l’allegra tavolata. Rose versò da bere a tutti, eccezione fatta per Barbara che brindò con l’acqua.
“In alto i calici per Ariadne, ragazza maldestra e sorella terribile!” scherzò Julian.
Ariadne si stampò in faccia un sorriso e bevve il vino. Aveva inventato quella bugia per giustificare la sua assenza. Non voleva che i fratelli la salvassero a rischio di essere uccisi. Ogni decisione che prendeva ora mirava a difendere la sua famiglia.
“Grazie a tutti. Colgo l’occasione per dirvi che voglio bene a ciascuno di voi. Voglio bene al serio Eric. Voglio bene al divertente Julian. Voglio bene alla dolce Barbara. Voglio bene alla meravigliosa Rose. Voglio bene alla mia piccola Agnes e anche al bambino che verrà al mondo. Per otto anni sono stata lontana da voi, ma ora sono tornata e intendo onorare ogni giorno il bene che provo per tutti voi.”
“Oh, ma come sei tenera!” disse Rose, commossa.
“E’ colpa del vino.” La canzonò Julian.
Julian colpì il fratello minore col tovagliolo, poi sfoggiò un sorriso radioso.
“Anche noi ti vogliamo bene, sorellina.”
“Sei parte di questa famiglia, ricordatelo sempre.” Disse Barbara.
Fu quello il preciso istante in cui il cuore di Ariadne si ruppe. Davanti aveva la sua famiglia riunita e felice. Quanto avrebbe voluto partecipare ad altre mille serate così felici! Ma la clessidra del tempo scorreva veloce e lei doveva ancora salutare molta gente.
 
 
Finalmente Tommy poté bere il suo adorato whiskey irlandese. Dopo aver accompagnato a casa moglie e figli, dopo essersi assicurato che Enea Changretta aveva levato le tende, si era regalato un’ora di relax al Garrison.
“L’uomo tenebroso e il suo whiskey.”
Ariadne occupò lo sgabello di fianco e gli diede una gomitata leggera.
“Uno cherry per la signorina.” Disse Tommy.
L’oste le servì un bicchierino contenente liquido rosa che lei tracannò in pochi secondi.
“E’ buono.”
“Mi dispiace per prima. Lizzie non avrebbe dovuto tirarti lo schiaffo.”
“Invece sì. Vado a letto con suo marito, è giusto che mi prenda a schiaffi.”
“E’ capitato soltanto due volte.” La corresse Tommy.
Ariadne gli tolse il whiskey di mano e lo buttò giù in una sorsata unica. Ormai aveva imparato a tollerare piuttosto bene l’alcol.
“Stanotte capiterà per l’ultima volta.”
“Di che parli?”
“Andiamo alla barca di Charlie Strong.”
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne questa volta è davvero nei guai. Tommy scoprirà la verità oppure è già troppo tardi?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

*Le opinioni sui capelli rossi e sulle lentiggini sono stupide credenze popolari che in quegli anni erano ancora piuttosto diffuse. Ovviamente da parte mia non c’è nessuna intenzione di offendere qualcuno.

 
  
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