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Autore: moira78    28/06/2021    2 recensioni
Festeggiare il compleanno, per William Albert Ardlay, non è così scontato. Durante gli anni la sua vita è cambiata più volte, anche in modo radicale...
Un carrellata di compleanni che è il mio piccolo omaggio al Principe della Collina.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Moments'
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7 Maggio 1916: di chi è il compleanno?

Albert ricontrollò l'incarto nel quale aveva riposto la cena ancora calda, per essere sicuro che nulla potesse fuoriuscire durante il tragitto verso casa. Sistemò meglio una ciotola su un'altra affinché fossero dritte e fu in quel preciso istante che udì ridacchiare il collega alle sue spalle.

"Se continui a controllare che siano impilati bene, arriverai a casa dopo mezzanotte, quando il compleanno della tua fidanzata sarà ormai passato", rise ancora colpendolo con il gomito.

Non sapeva se gli fosse mai accaduto prima, ma in quel momento Albert si sentì avvampare fino alla radice dei capelli: "Non è la mia fidanzata", balbettò prendendo finalmente sottobraccio la busta.

"Certo, certo, e io non sono un aiuto cuoco. Ehi, ti sei ricordato la zuppa che le piace tanto?", chiese facendogli l'occhiolino.

"Sì, grazie", rispose. Raddrizzò la schiena e si avviò verso l'uscita: l'ultima cosa che voleva era intrattenere una conversazione riguardo la natura del suo rapporto con Candy. Era già abbastanza complicato così.

E doloroso. A tratti era stato davvero doloroso. Specie durante l'inverno appena passato.

Quando alla fine riuscì a incamminarsi, dopo un saluto veloce, la mente volò proprio a quel periodo: Candy sembrava sorridere per forza, solo per comunicargli che ce la stava mettendo tutta, grata di ciò che stava facendo per lei.

Ci erano voluti mesi perché quel sorriso diventasse luminoso e spontaneo come un tempo e, anche se Albert sapeva bene che non aveva ancora dimenticato del tutto Terence, si era reso conto che il momento più duro era superato.

Ogni volta che gli rivolgeva quel sorriso, il proprio cuore le apparteneva un po' di più e le illusioni diventavano più forti. Ma aumentava anche la consapevolezza che, come già si era ripetuto quando era in ospedale, non aveva nulla da offrirle, nemmeno un cognome.

Quei pensieri si rincorrevano a ogni ora del giorno nel suo cervello difettoso, mandandolo in confusione di continuo e facendogli desiderare solo di poter congelare il tempo. Cominciava a temere persino il momento in cui avesse recuperato la memoria: e se fosse stato davvero un delinquente? O avesse avuto già una famiglia, magari addirittura dei figli? L'avrebbe persa per sempre!

Albert alzò gli occhi verso le finestre: ormai era arrivato a casa. Sì, l'unica che conoscesse e l'unica in cui voleva continuare a tornare ogni sera. Era certo che in lui convivessero due spinte uguali e opposte: da una parte quella che lo costringeva in modo naturale a ricordare; dall'altra quella che lo frenava con decisione per timore di perdere Candy.

Salì le scale di corsa, bilanciando il pacco su un braccio e infilando la chiave nella serratura con la mano libera. Se i suoi calcoli erano esatti, aveva circa mezz'ora prima che l'infermiera del suo cuore uscisse dalla Clinica Felice per raggiungerlo a casa.

Da un lato, era lieto che Candy avesse insistito per andare a lavoro, nonostante il dottor Martin le avesse suggerito un giorno di vacanza per il suo compleanno. Albert posò l'incarto sul tavolo e andò a cercare la tovaglia a fiori in cucina. La stese e cominciò a disporre i piatti già pronti.

Quel giorno aveva chiesto e ottenuto di poter utilizzare la cucina durante le pause, così da preparare per tempo la cena che voleva, cosa impossibile quando fosse rientrato. Di solito, nei turni pomeridiani si organizzava con pietanze semplici, per far trovare a Candy un pasto caldo.

Ma quello era un giorno speciale e chiedere di approfittare delle cucine del ristorante era stato il suo personale colpo di genio.

Posizionò le posate e i bicchieri, poi corse nella propria stanza, dove teneva custodito in un cassetto il regalo per Candy. Si trattava di qualcosa di piuttosto semplice, ma scelto con estrema attenzione, che sperava le facesse piacere. Lo aveva davvero fatto con tutto il cuore.

Lei rientrò proprio mentre posava il regalo a un angolo della tavola. Dal fiume di parole e saluti interrotto in modo brusco e dai suoi occhi sgranati, Albert capì che aveva fatto centro.

"A... Albert, persino le candele!", ansimò colpita, portandosi una mano sulla bocca. Le stava accendendo proprio in quel momento, con un braccio ripiegato dietro la schiena quasi fosse un elegante cameriere.

Sentì il proprio sorriso allargarsi in maniera spontanea, era davvero soddisfatto: "Beh, se non ricordo male oggi è il compleanno di una nostra amica, ma a essere sincero...", mise una mano sulla fronte, simulando l'ennesimo sforzo a ricordare, "...temo che la mia amnesia stia peggiorando, perché non ne ricordo il nome!", concluse con aria tragica.

Lei scoppiò a ridere, riempiendogli il cuore con quel suono che era musica per le sue orecchie. Gli si avvicinò e gli diede una piccola spinta giocosa. 
Poi si gettò fra le sue braccia, dove la accolse con calore, inebriandosi del profumo di rose mischiato a quello leggero del disinfettante. L'insieme non era affatto sgradevole e gli raccontava di una donna forte, dolce ma anche dedita al suo lavoro.

Quando si staccò, aveva gli occhi umidi e Albert provvide subito ad asciugarli: "Oh, aspetta di assaggiare la cena per commuoverti, temo che ormai non sia più molto calda. Dai, corri a lavarti le mani, così ci mettiamo a tavola!".

"Sì!", annuì partendo come un razzo verso il bagno.

Albert sentì quasi subito scorrere l'acqua e sorrise. Chiuse gli occhi, assaporando quel momento di complicità, immaginando che fossero sposini riuniti dopo una lunga giornata: era uno dei modi di fantasticare che preferiva, nonostante gli lasciasse sempre in bocca un sapore dolceamaro.

Cenare con lei, ridere, scherzare, raccontarsi gli eventi della giornata prima di cedere al sonno. E, magari, tenerla fra le braccia come sognava sempre più spesso di fare...
Albert scosse la testa con vigore, scacciando quei pensieri che non erano affatto da gentiluomo. Scostò con gentilezza la sedia a Candy, tornata quasi saltellando, per farla accomodare. Lo ringraziò con l'ennesimo sorriso e iniziarono a mangiare mentre le spiegava che aveva avuto l'idea di cucinare al ristorante.

"Oh, Albert, non è giusto, però! Così non hai praticamente riposato mai", protestò tagliando una fetta di arrosto.

 "Non preoccuparti, Candy, l'ho fatto con piacere. Mi spiace solo di non aver avuto abbastanza tempo per il dolce. Però domani, per farmi perdonare, te ne comprerò uno gigante e lo sceglierai tu, va bene?", disse ammiccando.

La ragazza scosse la testa: "Ma no, non importa, per me questa cena e la tua compagnia sono più di quanto potessi desiderare per il mio compleanno, davvero!".

Albert assorbì quelle parole come fossero un nettare delizioso e rigenerante. Si ritrovò a fissarla con un sorriso, mentre divorava come una bambina i suoi piatti preferiti. Si trattene a stento dallo sfiorarle l'angolo delle labbra, dove era rimasta un po' sporca di sugo di carne. Se fosse stato suo marito, avrebbe fatto il giro del tavolo, rimosso la macchia con il pollice e poi baciata. Con lentezza, assaggiando quelle belle labbra piene fino a...

"Albert?", la sua voce lo fece sussultare.

"Eh?", rispose, confuso. Diamine, la fantasia era così reale che per un attimo si stupì di trovarsi ancora sulla propria sedia.

"Che hai, stai male? Sei diventato tutto rosso! Per caso ti sta venendo la febbre?". Candy si alzò e fu lei a fare il giro del tavolo per mettergli il palmo della mano sulla fronte, trasmettendogli un brivido e inducendolo a chiudere gli occhi al contatto. "Lo sapevo che avevi lavorato troppo!".

Era almeno la seconda volta, quel giorno, che arrossiva e non andava bene, soprattutto davanti a lei! Se solo avesse saputo a cosa stava pensando, forse lo avrebbe schiaffeggiato, altro che provargli la febbre!

"No, stai tranquilla, fa un po' caldo qui... per essere i primi di maggio non si sta male, vero?". Per avvalorare quelle parole, Albert si alzò sottraendosi suo malgrado alla mano fresca di Candy e andò ad aprire la finestra. Si stirò in modo plateale, con un grugnito soddisfatto. "Non è meglio?", le chiese voltandosi.

Lei lo fissò, passando da un'espressione stupita a una così enigmatica che si domandò cosa le passasse per la testolina. Di certo, non quello che sperava.

"Aspettami qui un secondo, devo andare a prendere una cosa", esordì lei scomparendo in camera sua.

Albert sbatté le palpebre: "Chissà cosa ha in mente adesso, il mio piccolo terremoto", mormorò con un sospiro.

Con sua grande sorpresa, tornò tenendo tra le mani un incarto azzurro su cui aveva persino apposto un nastro argentato. Quando glielo porse, rimase ancora più disorientato: il compleanno non era il suo? Perché gli stava facendo un regalo?

Come se Candy gli leggesse nella mente quelle domande, di certo stampate con chiarezza sul proprio volto, strinse il pacco abbassando lo sguardo, quasi fosse in imbarazzo: "Ecco, vedi... siccome hai perso la memoria e non ricordi neanche quanti anni hai o quando sei nato, ho pensato che potremmo festeggiare il tuo compleanno assieme al mio. Sempre che non ti dispiaccia, è chiaro".

Albert voleva dirle che non solo non gli dispiaceva, ma le era talmente grato che avrebbe solo voluto abbracciarla forte; che tutto quello che stava facendo per lui, l'affetto che gli stava dedicando nonostante lo conoscesse così poco era qualcosa di così grande che lo aveva riportato alla vita. E che, in effetti, la voglia di vivere l'aveva ritrovata solo grazie a lei.

Ma le parole gli rimasero strozzate in gola e si ritrovò a lottare contro le lacrime che minacciavano di uscire. Doveva risponderle a ogni costo, però, perché già vedeva un'ombra di preoccupazione oscurarle il viso ed era qualcosa che non poteva sopportare. Deglutì e optò per un gesto, e al diavolo se poteva apparire audace!

Alzò una mano e gliela posò con delicatezza su una guancia, in una specie di carezza nella quale impresse la valanga di sentimenti che lo stava sommergendo: "Grazie, Candy", riuscì ad articolare, un po' afono, "è uno dei pensieri più belli che ricordo di aver mai ricevuto da quando mi hai convinto a restare con te".

Candy inclinò un poco la testa per approfondire il contatto con la sua mano e pensò che il cuore gli sarebbe scoppiato per la gioia, quando si scostò solo per appoggiargli il capo sul petto: "Ti meriti questo e molto altro, Albert. Sai che il tuo cuore batte forte forte?", ridacchiò guardandolo.

"È perché sono felice. Tanto felice". La voce si spezzò e non poté fare altro che stringerla di nuovo a sé, il regalo ancora fra loro, per non mostrarle le lacrime che gli rigavano le guance.

Era davvero felice. Eppure disperato, perché non sapeva quanto la sua gioia sarebbe durata. Era a un passo dal Paradiso ma aveva le porte dell'Inferno che forse lo avrebbero atteso quando avesse recuperato la memoria. Poteva essere tanto ottimista da dire che invece, una volta ritrovato se stesso, sarebbe stato tutto più semplice con lei? Forse, dopotutto, era un uomo come gli altri e non aveva legami, poteva osare sperare che...?

"Dai, adesso apri il tuo regalo!", si raddrizzò Candy asciugandosi gli occhi. "Di solito sono io quella piagnucolona, non credevo che un giorno avrei fatto piangere te!", aggiunse porgendoglielo.

"Ah, nemmeno io, piccola imbrogliona!", ribatté passandosi un braccio sul viso. "E per sdebitarti a dovere di avermi causato questo momento di debolezza dovrai pagare pegno". Si voltò e prese il dono che le aveva fatto. "Aprirai il tuo regalo mentre io apro il mio, va bene?". Le fece l'occhiolino e lei emise un gridolino, ricevendolo stupita.

"Ma non c'era bisogno di spendere soldi per me! Mi hai già cucinato una cena deliziosa...", disse cominciando ad aprirlo, mentre lui faceva altrettanto rimuovendo con cura la carta.

Le espressioni di stupore furono quasi contemporanee e Albert vide con la coda dell'occhio Candy tirare fuori lo scialle verde di seta e ammirarlo estasiata.
"Albert è... bellissimo!", ansimò.

"Ti piace? Ho pensato che fosse del colore dei tuoi occhi, per questo l'ho scelto così", ammise simulando noncuranza ma vedendo un lieve rossore diffondersi sulle guance di Candy.

Intanto, stava prendendo dal suo incarto una maglietta nera di cotone leggero, perfetta per quella primavera così mite.

Candy gli spiegò che aveva scelto quel colore perché voleva che potesse abbinarlo a ciò che preferiva. "Inoltre...", continuò e, di nuovo, gli parve imbarazzata.
"Inoltre?", chiese, curioso. 

Candy si mise a giocherellare con i lembi dello scialle: "Beh... non ci crederai, ma anche io ho pensato al colore dei tuoi occhi. Sul nero... mi sembrava che l'azzurro avrebbe risaltato di più".

Anche se aveva promesso a se stesso di non farsi troppe illusioni, Albert non poté fare a meno di rimanere colpito da quell'affermazione e la ringraziò di cuore. Notò anche con stupore che la taglia era perfetta e si chiese con quanta attenzione l'avesse osservato per indovinarla.

Certo, era stata la sua infermiera, tuttavia...

Si riscosse da quei ragionamenti che rischiavano solo di portarlo fuori strada e indicò a Candy i lacci sottili che erano sulla parte anteriore dello scialle: "A proposito, lì puoi anche inserire i tuoi ciondoli, se vuoi: la croce e... la spilla del tuo Principe di cui mi parli sempre", concluse facendola arrossire di nuovo.

"Hai pensato davvero a tutto, Albert, grazie! Sei davvero un tesoro!". E, prima che potesse fare qualunque cosa, gli piantò un bacio sulla guancia.

Si schiarì la voce, adorando quel gesto così spontaneo e decidendo di scherzarci su per evitare che si accorgesse di quanto ne era rimasto turbato: "Se mi ringrazi sempre così devo farti questi regali di compleanno più spesso!".

"Ah, sì? E quante volte vuoi farmi compiere gli anni, sentiamo!", rise mettendo le mani sui fianchi.

"Beh, direi che una decina di volte in un anno potrebbero essere sufficienti a farti sembrare mia coetanea e...". S'interruppe: cosa stava dicendo, in nome del Cielo?! Come stava per concludere quella frase sfortunata? Con un "mia moglie?". Forse era impazzito o il mezzo bicchiere di vino che avevano bevuto con la cena gli aveva dato alla testa. Diamine, non sapeva neanche quanti anni avesse lui, anche se poteva dedurre di non essere andato troppo lontano con i suoi calcoli.

Candy però non sembrò affatto infastidita da quel commento e, anzi, si stava infilando lo scialle facendo una scenografica piroetta: "Come mi sta?", chiese.

"Ti sta benissimo, Candy, e sai una cosa? Ora vado a provare la mia maglietta". Lei annuì, battendo le mani come se le stesse facendo un altro regalo e, quando tornò, lo squadrò ammirata.

"Sono così contenta di non aver sbagliato la misura! Sai, avrei tanto voluto confezionartene uno con le mie mani, ma temo che cucire e ricamare, per me, sia peggio che cucinare!", s'imbronciò.

Albert scoppiò a ridere: "Non preoccuparti, Candy, se vorrai provarci sono disposto a indossare anche una maglione con tre maniche o un aquilone legato sopra", disse riferendosi all'incidente di cucito accaduto solo qualche settimana prima. Non era mai riuscito a capire come il loro piccolo aquilone fosse finito attaccato alla toppa di una delle sue magliette, ma di sicuro ora ne aveva una nuova di zecca che avrebbe usato molto spesso.

"Albert, sei sempre il solito!", si arrabbiò lei colpendolo a una spalla.

Risero insieme, brindarono al loro compleanno e fecero onore alla cena nella piccola Casa della Magnolia dove tutto era così intimo e perfetto che chiunque, vedendoli, avrebbe detto che erano una coppia di sposini novelli.

Albert si concesse, come faceva ormai tutte le sere, di osservare il volto addormentato di Candy, lottando contro la propria stanchezza. Ascoltare il suo respiro regolare e perdere lo sguardo sulle lunghe ciglia. Contare, ancora una volta, una ad una le piccole lentiggini che le punteggiavano il naso solo un po' schiacciato. Seguire il contorno della sua bocca socchiusa.

Candy aveva solo diciassette anni e lui desiderava già che fosse sua moglie, la donna con cui condividere il resto della propria vita. Quella vita che non era più un limbo senza memorie, ma una meravigliosa realtà dove nuovi, bellissimi ricordi si costruivano giorno per giorno.
 
- § -
 
28 Giugno 1921: fuga a mezzanotte (o amore tra le righe?).

"Secondo te quanto ci metterà la zia Elroy ad accorgersi che siamo fuggiti dalla festa?", gli chiese Candy.

Albert si strinse nelle spalle, azionando la freccia per segnalare la svolta: "Forse se n'è già accorta e sta chiedendo ad Archie e agli altri se ci hanno visti. O magari è tornata nelle sue stanze. Chi può dirlo?".

"Domani sarà molto arrabbiata", sospirò lei in tono preoccupato.

Girò il volante per infilarsi in una strada parallela e si voltò per un istante a guardarla mentre scalava la marcia: "Da quando in qua ti preoccupi di quello che può fare la zia?", domandò inarcando le sopracciglia.

"Da quando sono tua moglie, Albert!", spiegò lei come se stesse parlando a un bambino. "Lo sai che sta facendo di tutto per insegnarmi le buone maniere, che sta cercando di abituarsi al fatto che io sia la signora Ardlay. Non vorrei pensasse che sono una specie di sovversiva, ora che le cose tra noi si sono appianate".

Albert emise un forte sospiro dal naso, scuotendo la testa frustrato: "Candy, capisco il tuo desiderio di andare d'accordo con lei, ma ti ricordo che fino a poco tempo fa era proprio la zia Elroy quella che faceva i capricci. Nonostante la rispetti molto, non posso dimenticare come ti ha trattata in passato, inoltre...".

"E dai, Bert...".

"Inoltre", calcò sul termine alzando un dito e protendendosi verso Candy, "il capofamiglia sono io e tu sei mia moglie, quindi possiamo fare quello che vogliamo, incluso festeggiare il mio compleanno su un albero!".

Candy scoppiò a ridere: "Ora che mi ci fai pensare non è un'idea malvagia, aspetta solo che mi organizzi!".

Albert ridacchiò a sua volta, quindi fermò l'auto accanto al marciapiede: "Eccoci qui, siamo arrivati. Per oggi ci accontenteremo di una fuga alla Casa della Magnolia poco prima della mezzanotte".

Scesero dalla vettura guardandosi attorno come se fossero secoli che non tornavano in quel quartiere, quando in realtà era avvenuto solo l'anno prima, al rientro dalla luna di miele. Le offrì il braccio e lei vi si aggrappò ridacchiando: "Ti ricordi quando mi aspettavi appoggiato a questi lampioni o all'angolo della strada? Era così bello sapere che ti avrei trovato al mio rientro!".

La strinse a sé mentre camminavano verso l'edificio, nella mente gli si affollavano mille pensieri contrastanti. Ricordava quel periodo con affetto e persino un pizzico di malinconia, ma non avrebbe mai dimenticato l'incertezza che spesso rischiava di sopraffarlo: all'epoca, non solo non sapeva chi fosse e se davvero si meritasse una ragazza come Candy, non era neanche sicuro di cosa rappresentasse di preciso per lei. Alcune volte gli pareva di leggere nei suoi occhi una scintilla inequivocabile, altre si dava dello stupido perché era certo che lo vedesse come un fratello.

"Sai, a volte avrei voluto che il tempo si fermasse", disse all'improvviso a voce bassa, facendola voltare di scatto, "solo per continuare a stare accanto a te".

Sua moglie gli posò la testa sulla spalla: "È per questo che non mi hai confessato subito di aver recuperato la memoria".

"Già", ammise. "Però devo dire che, dopo il primo momento di panico, una volta ritrovato me stesso, sono stato felice di non essere invischiato in una situazione irreversibile". Ricordava ancora il sollievo per aver scoperto di essere scapolo e tutore legale della ragazza che lo aveva salvato: quell'ultimo aspetto, perlomeno, poteva essere risolto con qualche firma o al raggiungimento della maggiore età. Cosa in effetti avvenuta in seguito.

Candy si fermò di colpo: "Albert, quando hai capito di essere innamorato di me?", gli chiese a bruciapelo, gli occhi brillavano nella notte nonostante le luci fioche.

La guardò, riflettendo: in quegli ultimi anni avevano parlato tante volte del passato, però non gli aveva mai fatto una domanda così specifica. Pensò, con una punta di divertimento, che non sapeva bene cosa risponderle.

"E tu?", le rigirò la domanda, socchiudendo gli occhi.

Lei parve stupita, ma la sua espressione di perplessità si spense quando una voce maschile alla loro sinistra disse: "Benvenuti, signori Ardlay".

Albert si voltò verso l'uomo, che stava persino facendo un inchino, mentre porgeva loro la chiave: "Mi pareva che l'ultima volta le avessimo chiesto di non essere così formale. Come sta, signor Thomas?".    

"Molto bene, la ringrazio. Sono felice di rivedervi", rispose sorridendo.

Mentre Candy gli chiedeva notizie della figlia e si complimentava con lui perché presto sarebbe diventato nonno per la seconda volta, Albert alzò il capo verso le finestre. Le imposte erano chiuse, ma gli sembrò di rivedersi affacciato lì dietro, come se stesse fissando una specie di macchina del tempo.

Ricordò che, la prima mattina in cui si era svegliato in quella casa con Candy, aveva dormito pochissimo, in preda all'imbarazzo quando aveva scoperto che avrebbero condiviso un letto a castello. Ricordò qualche settimana dopo, quando aveva fissato il paesaggio cercando di metterne a fuoco uno simile nei recessi della memoria ma senza riuscirvi: allora non poteva sapere che si trattava dei boschi di Lakewood. E ancora, ricordò una mattina nevosa, mentre Candy se ne andava allegra verso la stazione per correre fra le braccia di un altro uomo; il cuore gli si era stretto in una morsa mentre si sforzava di sorridere anche se era solo.

La macchina del tempo accelerò e Albert vide se stesso mentre stringeva il davanzale con le mani come se volesse romperlo, combattendo contro l'impulso di restare al suo fianco; ma sapendo che doveva lasciarla a causa delle voci che iniziavano a girare sul proprio conto e che rischiavano di travolgerla.
Poi, alla fine... rammentò l'anno precedente, quando aveva varcato quella soglia prendendola in braccio anche se l'aveva già fatto solo un mese prima nella casa di Lakewood. Era come se quella fosse la loro abitazione più intima, quella vera, quella di Albert e Candy e non del signor e della signora Ardlay. Allora, avevano cenato, riso e scherzato come i vecchi tempi e davanti a quella finestra si era affacciata lei, in camicia da notte. L'aveva abbracciata da dietro, posandole il capo sulla spalla, cercando le sue labbra...

"Vogliamo salire?". La voce di Candy lo riportò ancora una volta nel presente.

"Certo. Grazie, signor Thomas, buona notte", salutò salendo le scale dietro di lei che correva come sempre.

Quella mattina il proprietario doveva aver fatto arieggiare la casa, perché li accolsero un profumo fresco e persino un mazzolino di fiori di campo in un vaso, al centro del tavolo.

Candy entrò ridendo e girando su se stessa come una ballerina: "Che bello, come sono felice!", esclamò quasi fosse una bambina che abbia ricevuto il giocattolo preferito. "Sarà anche uno dei tuoi regali di compleanno, ma piace tanto anche a me!".

Albert rise di gusto: "Bene, sono contento! Ma sbaglio o mi hai detto che ne avevo un altro da scartare, prima che fuggissimo dal ricevimento?", domandò dubbioso guardandosi attorno.

Lei arrossì: "Sì, è che... non è ancora pronto, devo... ehm... incartarlo", rispose come se parlasse a se stessa.

Nonostante la sua mente fervida gli suggerisse più di una possibilità, non insistette e con Candy fece il giro della casa. Scoprirono che tutto era identico a come lo avevano lasciato, perfino la tendina sopra l'arco d'entrata della cucina.

Lei sembrava davvero una ragazzina in un negozio di giochi o dolci e si ritrovò a canzonarla: "Quanto entusiasmo! Eppure è solo poco più di un anno che non torniamo".

"Sì, ma per me è sempre come fosse la prima volta!", rise battendo le mani. Poi, come se si ricordasse di qualcosa, assunse un'espressione sorniona, socchiudendo le palpebre e distendendo le labbra in un sorriso. "L'ultimo che arriva prende il letto di sotto!", gridò scattando come una saetta.

 "Ma brutta imbrogliona...!", riuscì solo a dire mentre la seguiva cercando di recuperare.

Ebbe appena il tempo di poggiare una mano sullo stipite e spalancare la bocca quando Candy si arrampicò in due falcate sulla scala e si gettò a peso morto sul letto superiore: "Sono la prima!", disse tutta contenta prima che il rumore del legno che si spezzava le facesse esclamare il suo stupore.

Sotto i suoi occhi inorriditi, rovinò direttamente sul materasso del letto inferiore e Albert si precipitò da lei per tirarla fuori da quel groviglio di lenzuola e legna: "Candy, stai bene?!".

Afferrandola per la vita, la rimise in piedi e la osservò con attenzione mentre si sistemava il vestito: "Ma come è potuta succedere una cosa simile?", si lamentò.

Albert tirò un sospiro di sollievo, accorgendosi che era solo molto contrariata ma non pareva avere nulla di rotto: "Beh, a quanto pare c'è stato un terremoto di discreta entità nella zona di Chicago intorno alle 23 e 30 ora locale, e...".

"Oh, stupido!", lo rimbeccò dandogli dei pugni sull'avambraccio.

Rovesciò la testa indietro e scoppiò a ridere: "Preferisci che ti dica che sei ingrassata? Ma sappi che ti direi una bugia", ribatté con un occhiolino.

"Albert, ti rendi conto che abbiamo distrutto il nostro letto a castello?", piagnucolò Candy: in quel momento, la bambina che era in lei pareva avesse davvero rotto il suo giocattolo nuovo.

Tentò di non ridere ancora e si accigliò, cercando di rimanere serio: "Abbiamo? Non mi risulta che io mi sia messo a saltellarci sopra. Sei tu quella che lo ha fatto, e posso testimoniare!", concluse alzando il mento.

"Non scherzare", lo pregò coprendosi il viso con le mani. "È il tuo compleanno e io sono riuscita a rovinarlo! E inoltre...".

"Inoltre?".

La vide mordersi il labbro e abbassare gli occhi, come se non sapesse come esprimere un concetto o si vergognasse di farlo: "Inoltre, il signor Thomas potrebbe farsi un'idea sbagliata... potrebbe pensare che noi... che noi...".

Albert rinunciò a trattenere le risate e si ritrovò persino piegato in due, una mano sulla pancia e una appoggiata alla scaletta che si era richiusa su se stessa come una fisarmonica. Candy gli ripeteva di smetterla di ridere, che non c'era nulla di divertente, ma ciò rendeva tutto ancor più esilarante.

Quando alla fine, sussultando e asciugandosi gli occhi fu in grado di risponderle, lei aveva un muso così lungo che quasi si pentì: "Perdonami, amore mio, ma devo dire che non hai tutti i torti e l'idea è davvero spassosa. Però stai tranquilla, domattina cercherò di riparare il danno, per quanto mi sarà possibile, con gli attrezzi che abbiamo in casa e avviserò il signor Thomas che il legno del letto era marcio. Per quanto riguarda il mio compleanno, beh... a dire il vero, a parte quando ho ballato con te e Archie ha fatto le sue solite battute, questo è stato il momento più divertente della serata, considerando che non ti sei fatta nulla".

Candy lo abbracciò, un po' più tranquilla e insieme spostarono le tavole di legno rotte per liberare il letto inferiore: "Staremo un po' stretti", commentò sua moglie, incerta.

"Ed è un grosso problema, per te?", le domandò inarcando un sopracciglio con un sorrisetto malizioso.

In tutta risposta, scosse la testa: "No, affatto. Ora però devo compiere una missione di estrema importanza. Tu, intanto, mettiti pure comodo", disse infilando le mani sotto al cuscino della cuccetta inferiore e traendone quello che sembrava proprio...

"Il mio vecchio pigiama a righe! Ma quando lo hai messo lì?", chiese stupito.

"Segreto", rispose lei facendogli l'occhietto; corse di nuovo via prima ancora che potesse domandarle se aveva ritrovato anche il suo.

Immaginando sua moglie che si preparava per la notte e forse incartava anche un altro regalo in qualche parte della casa, Albert si tolse finalmente lo scomodo completo elegante e infilò quel capo così semplice e pieno di ricordi. E dire che lo credeva perso! L'anno precedente non avevano certo pensato a cercare i loro vecchi pigiami...

Si distese con un sospiro soddisfatto, osservando con occhio critico la catasta di legna ammonticchiata in un angolo della stanza e gli venne di nuovo da ridere. Era strano alzare gli occhi e vedere il soffitto, invece del fondo del letto dove aveva dormito Candy per tanti anni. Albert valutò che i montanti laterali spezzati erano inutilizzabili e che, al massimo, avrebbe potuto operare una piccola riparazione per unire le due parti dell'altra cuccetta, ma non era affatto sicuro che avrebbe retto come prima.
Per cedere a quel modo, con il solo peso di Candy che ci era saltellata sopra in maniera neanche tanto impetuosa, doveva davvero essere rovinato.

Si stava chiedendo quanto ci mettesse la moglie a fare un pacchetto quando la vide entrare dalla porta. Non seppe se rimanere deluso o scoppiare a ridere un'altra volta. In realtà, vederla con il pigiama identico al proprio, come tanti anni prima, gli suscitò un moto di tenerezza: quella era la sua Candy.

Una donna che poteva indossare una camicia da notte sensuale risultando bellissima e imbarazzata. Ma che solo con un pigiama da ragazzina come quello esprimeva quanto tenesse al loro passato.

"È stato mentre vivevamo insieme", disse Candy come rispondendo a una domanda e Albert fu dapprima disorientato. Poi capì che era la sua risposta a ciò che le aveva chiesto mentre erano ancora in strada. Fece qualche passo nella sua direzione, a piedi nudi, e continuò: "Se mi chiedi il momento preciso non saprei dirtelo, ma è come se, quando sei sparito lasciandomi solo un messaggio, io avessi finalmente aperto gli occhi".

Candy mise un ginocchio sul letto e le fece spazio, girandosi su un fianco e prendendola fra le braccia mentre gli si accoccolava con la schiena sul petto. Le baciò i capelli sciolti e disse in un sussurro: "Ho sperato che andare in Africa, come avevo sempre sognato, avrebbe allontanato da me l'immagine di una ragazzina che era ancora troppo giovane e soprattutto... troppo presa da un altro". La sentì prendere un respiro e trattenerlo. "Quando ho avuto l'incidente e ho perso la memoria mi sono imbattuto in un'infermiera bravissima, che mi ha salvato la vita e mi ha preso a vivere con sé. La gente pensava male di noi e avevamo pochi soldi, ma non m'importava. Perché io amavo quell'infermiera ogni giorno di più". Si sporse per infilare il naso vicino all'orecchio di Candy e baciarla con delicatezza lì, dove nasceva la pelle morbida del collo.

"Albert...". Il suo era un mormorio indistinto, commosso. E con una punta di sensualità che lo distrasse non poco dal suo racconto.

Ma Albert decise che lo avrebbe concluso: "Poi, all'improvviso la mia memoria è tornata e tutto è ricominciato. Non sapevo se fare il grande salto o aspettare ancora. Alla fine, ho lasciato che il destino facesse il suo corso. Ed eccoci qua. Ora posso scartarti prima che scocchi la mezzanotte e non sia più il mio compleanno?".

Candy ridacchiò in risposta, girandosi per baciarlo: "E chi ti ha detto che io e il pigiama siamo il tuo regalo?".

"Perché? Ne hai altri nascosti in casa?", chiese alzando un sopracciglio e protendendosi per reclamare di nuovo le sue labbra.

Gliele concesse, staccandosi quasi subito e poggiandosi un dito sul mento con gli occhi socchiusi come se riflettesse: "Uhmmm... in effetti no. D'accordo, vada per questo regalo, allora. Ma forse preferisci i merletti alle righe".

"Mi piacciono i merletti", disse con voce profonda baciandola con trasporto, "le righe, i vecchi pigiami, i letti a castello rotti...".

"Albert!", la debole protesta di Candy non gli impedì di proseguire.

"... tu", concluse prendendole il viso con le mani e posando le labbra sul suo naso, sulla fronte, sugli occhi. E ancora sulle labbra. "Ti amo, Candy, ti ho sempre amata".
"E io amo te, mio Principe della Collina".

Molte volte, in passato, le aveva chiesto di non chiamarlo così. Ma averla fra le braccia, commossa quasi fino alle lacrime e, soprattutto sua, gli fece adorare quel soprannome.
Con sensuale lentezza, portò le dita ai primi bottoni del pigiama di Candy, giocherellandoci senza slacciarli: "Forse, dopotutto, ti preferisco senza tutte queste righe", ridacchiò.

"Bene, vedrò cosa posso fare allora", ribatté in un sussurro sensuale adoperandosi a slacciarli da sola. "Ah, Bert?".

"Sì?". Chiese guardandola con gli occhi ormai offuscati dal desiderio.

"Anche io ti preferisco senza righe".
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
   
 
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