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Autore: Halley_    29/06/2021    1 recensioni
L'esprit de l'escalier, lo spirito della scala, è un'espressione francese che indica il momento in cui ci viene in mente una risposta geniale quando ormai è troppo tardi per pronunciarla, cioè quando si è ormai sulle scale di casa. A chi non è mai accaduto di provare questa sensazione frustrante? Questo è il mio esprit de l'escalier. Troppo tardi per dire queste parole ma, per quel che vale, sono sempre in tempo per scriverle.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Così insolito era stato il loro addio, pensò. Non era stato propriamente un addio; anzi, non era stato propriamente nulla. Si erano soltanto scambiati uno sguardo, lui si era stretto nelle spalle come per dire: “E che ci possiamo fare?”, poi si era voltato ed era andato via. Avrebbe voluto dirgli qualcosa e le parole le vennero in mente soltanto qualche ora dopo, a letto, quando ormai non vi era più alcuna possibilità per dirle.
“Io ti amo, è innegabile”, gli avrebbe detto, con tono sicuro, di chi ormai ha accettato la sua disgrazia. “Però lo supererò. Servirà un po’ di tempo, un po’ di distanza, e alla fine andrò avanti. Ma tu, tu dovrai vivere tutta la vita sapendo di esserti preso gioco di una persona che ti amava, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per te, persino calpestare la propria dignità più e più volte, cosa che, per inciso, ho davvero fatto.”
Stava sdraiata sul letto, con gli occhi puntati al soffitto. Si sentì immediatamente stupida per quel discorso che aveva elaborato. Che gliene poteva fregare di essersi preso gioco di lei? Magari avrebbe provato un po’ di vergogna, certo, ma nulla che tempo e distanza non potessero ugualmente sottrargli.
“Tu mi dimenticherai ma non cambierai. Ferirai tutti quelli che ti amano perché è nella tua natura”.
Questo poteva consolarla? No. Il solo pensiero che lui l’avrebbe dimenticata le dava un senso di nausea, una profonda fitta allo stomaco. Ma era inevitabile.
“Come hai potuto baciarmi, stringermi, sapendo ciò che provavo per te? Sapendo che mai avresti ricambiato il mio amore? Come hai potuto essere così egoista da ferire i miei sentimenti per pochi attimi di piacere?”
Queste erano ottime domande a cui però lui avrebbe potuto dare ottime risposte. Lo immaginava con lo sguardo interrogativo mentre le diceva: “Ma mica sei una bambina. Sapevi a cosa andavi incontro. Io non ti ho mai fatto promesse.” Sì, sarebbe stata davvero un’ottima risposta.
“È vero, ma non sono un’estranea per te. Avresti dovuto proteggermi da questo.” Questa era una contro risposta ridicola. “È vero, ma”. Nessun ma. Era vero, lo sapeva che sarebbe andata così, non era neppure la prima volta. Magari lo fosse stato. Era stata lei a ferire i suoi stessi sentimenti per pochi attimi di piacere, per sentirlo almeno per un po’ di tempo suo.  Per illudersi ancora un altro pochetto.
“È vero, sono stata stupida.”
Ma ti amo. Era questo l’unico “ma” ad un ragionamento logico, razionale, adulto. Il cuore del problema era quel ti amo, mai pronunciato, mai svelato.
“Amo tutto di te. Amo il modo in cui sorridi, i tuoi occhi cangianti, quando balli su una canzone che ti piace, quando mi chiedi un abbraccio, quando mi mandi delle foto con lo sguardo imbronciato, quando ti rifai vivo, quando sei passionale, quando mi dici che sono bella, quando mi prendi in giro, quando sei arrabbiato e ti sfoghi con me, quando hai paura, quando sei vanitoso. E mentre io sto qui, ad elencare tutto ciò che amo di te, tu sei altrove, con qualcun’altra, o solo, ma in ogni caso non intento a pensare a me. Chissà quando mi pensi, chissà se mi pensi.”
“Mi pensi mai? Pensi mai a me, pure se non mi cerchi?”, avrebbe voluto chiederglielo. Eppure nessuna risposta l’avrebbe consolata, perché il nodo della questione era lì, in quel “pure se non mi cerchi”. Cosa poteva farsene di un pensiero sterile?
Prese il telefono. Le uniche notifiche erano da parte dei suoi amici che chiacchieravano sulla serata appena trascorsa. Cercò il nome di lui in rubrica per poi cancellarlo. Stessa operazione sui social. Che gesto infantile, osservò. Eppure la sua frustrazione aveva bisogno di un qualche soddisfacimento. Voleva fargli un dispetto, uno qualunque, uno che forse neppure lui avrebbe trovato così significativo. Non avrebbe cambiato le cose. “Ma io ti cancello, perché il tuo nome non lo voglio più leggere, non lo voglio più sentire. Non voglio che mi capiti sotto gli occhi in un momento di spensieratezza. Voglio che tu venga cancellato dal pianeta, come se non fossi mai stato messo al mondo, e con te la tua città, i tuoi cantanti preferiti, i film che mi hai consigliato, i posti in cui siamo stati. Tu e tutto ciò che hai toccato dovete svanire”.
Posò il telefono. “E allora pure io. Ma sto già svanendo”.
  
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