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Autore: Kimando714    30/06/2021    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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TW//omofobia interiorizzata
TW//: in questo capitolo si fanno riferimenti ad una possibile relazione romantica tra una professoressa ed un suo ex studente. Ci teniamo a precisare che in questo caso entrambi i personaggi sono maggiorenni, consenzienti, e nel momento di incontro il loro rapporto insegnante-studente è già terminato da diversi mesi.
Ma in ogni caso ognuno è libero di leggere quel che vuole, quindi se non gradite questo trope vi consigliamo di saltare la lettura di questo capitolo :)



CAPITOLO 77 - WICKED GAME

 
 
World was on fire
No one could save me but you
It’s strange what desire
Will make foolish people do
 

Quel che rimaneva di settembre scorse lentamente, in giorni monotoni e piatti, tutti simili nel loro susseguirsi – non che ottobre si stesse presentando diversamente in questo: Pietro trovava che la vita scorresse languida e monocorde, tra le giornate in università, i pomeriggi e le sere a studiare o passati a lavorare, e le poche e regolari uscite che vi erano state con Giulia, Filippo, Nicola, Caterina, e Alessio tutti riuniti. Un po’ come i vecchi tempi, solo con molte più cose diverse.
Anche quel primo pomeriggio di lunedì di metà mese gli stava sembrando di rivivere la stessa giornata per l’ennesima volta: stessa aula, stesso palazzo a Mestre, la stessa voce soporifera del professore che spiegava, lo stesso silenzio interrotto solo dal fruscio delle penne sui fogli di quaderno o del battere dei tasti dei pc. L’unica cosa di diverso, in tutto quello, era l’autunno che avanzava sempre di più: a Pietro metteva malinconia perdersi con lo sguardo rivolto verso le grandi finestre dell’aula, osservando come il sole si stesse facendo sempre più pallido e meno caldo ogni giorno che passava. Gli alberi cominciavano già a perdere le prime foglie, spente e non più delle sfumature del verde brillante di cui si coloravano ad ogni primavera.
Nonostante tenesse la penna in mano e il quaderno aperto sulla superficie liscia e fredda del banco, Pietro non riusciva a concentrarsi del tutto. La voce del professore gli arrivava da lontano, come offuscata. In fin dei conti, non poteva nemmeno dirsi così interessato alla notazione asintotica e ai modelli di calcolo degli algoritmi. Diresse lo sguardo qualche fila più in giù rispetto a dove si trovava, andando a colpo sicuro: gli ci vollero pochi secondi per individuare le teste bionde di Nicola e Alessio, seduti vicini e intenti a scrivere velocemente gli appunti. Sembravano alquanto concentrati, intenti solamente ad ascoltare, senza nemmeno scambiarsi un’occhiata ogni tanto: Nicola non era certo il tipo che si metteva a chiacchierare in piena lezione, d’altro canto, e Alessio lo seguiva a ruota – anche se, Pietro represse un sorriso stanco nel pensarlo, se ci fosse stato lui sedutogli di fianco di certo non avrebbe preso appunti per il troppo parlare sottovoce che avrebbero fatto, e per la troppa attenzione che avrebbero usato per non farsi beccare dal prof. Era sempre stato così, tra loro due: non riuscivano a dare attenzione a qualcun altro, quando erano insieme. Badavano solo a loro stessi.
Ora, durante quelle lezioni, quello a Pietro sembrava solo un lontano e vago ricordo legato al passato: erano più le volte in cui preferiva rimanersene da solo, da quando era iniziato quel semestre, rispetto alle volte in cui Alessio gli si appiccava di fianco senza lasciargli scampo, e ignorando tutte le scuse che Pietro gli rifilava per allontanarlo implicitamente.
E poi – per quanto si mettesse d’impegno e per quanto sapesse che star lontano da Alessio sarebbe stato meglio per entrambi-, non poteva negare a se stesso che le volte in cui se lo ritrovava vicino, pur contro la sua volontà, gli regalavano un calore che non sentiva con nessun altro.
Alessio lo faceva andare a fuoco ogni volta, sia nel bene che nel male: lo faceva sentire pieno di un amore che non aveva mai provato – ed era un amore crudele, senza via di fuga, un amore di quelli che ti fanno sentire dannato.
Quella situazione andava avanti già da un mese, fin troppo tempo. E Pietro sospirò sconsolato, nel pensare che probabilmente quello era soltanto l’inizio.
Era da quando aveva conosciuto Alice che non riusciva a guardare Alessio allo stesso modo: non poteva fare a meno di pensare, ogni volta che posava gli occhi su di lui, che c’era qualcun altro a cui Alessio riservava tutte le sue attenzioni. C’era qualcun altro di cui era innamorato, qualcun altro che lo ricambiava in tutto quell’amore e attenzioni. Lo faceva soffrire, immensamente e profondamente, il fatto che quella persona fosse Alice, e non lui. Eppure, pur contro la sua volontà, non poteva fare a meno di pensare a quanto fossero perfetti insieme loro due. Tutti i suoi sospetti si erano rivelati esatti, quando finalmente Alice gli si era presentata davanti agli occhi, un mese prima: era bella, intelligente, simpatica. Forse timida, a volte insicura, ma ugualmente forte. Si incastrava perfettamente ad Alessio.
Pietro si era sentito completamente incapace di poter competere, anche nel caso fosse mai riuscito a trovare una briciola di normalità nei sentimenti che provava per Alessio: perché mai avrebbe dovuto perdere tempo ed energia a star dietro a lui, così incasinato e casinista, fragile, chiuso in se stesso e nascosto perennemente dietro ad una maschera, incapace di esprimere i suoi veri sentimenti?
Era meglio così, per tutti. Avrebbe lasciato Alessio vivere la sua vita, lontano da lui, e Pietro sarebbe rimasto a guardarlo da lontano, fino a che avrebbe potuto. Il distacco era doloroso, ma inevitabile: non poteva permettersi colpi di testa, non poteva lasciarsi sfuggire ciò che si stava tenendo dentro.
E non poteva nemmeno permettersi di far crescere quel sentimento, non ancora di più.
Forse aveva solo bisogno di conoscere qualcun altro. Distrarsi da Alessio e concentrarsi su altre persone – anche se, ne aveva il timore, chiunque gli si fosse palesato davanti, ai suoi occhi non avrebbe potuto fare altro che impallidire al confronto con Alessio.
“Non serve che mi innamori per forza” si ritrovò a riflettere, mentre scarabocchiava distrattamente l’angolo in alto della pagina di quaderno, “Basterebbe una distrazione. Dimenticarlo per un po’”.
E c’era un’altra domanda ancora che ormai non poteva più fare a meno di non domandarsi, dopo quell’ultimo mese.
Era di una ragazza o di un ragazzo che aveva bisogno per dimenticare Alessio?
Non aveva dubbi per ciò che provava per Alessio – come avrebbe potuto averne ancora? Sarebbe stato come negare un’evidenza ormai consolidata-, piuttosto ne aveva per ciò che concerneva se stesso.
Era attratto dagli uomini?
Doveva considerarsi gay? Aveva scoperto una parte di sé che aveva sempre ignorato?
Non aveva potuto fare a meno di ripensare a tutte le storie e le relazioni che aveva avuto in vita sua: era sicuro di non essersi mai sentito così, attratto fisicamente e sentimentalmente da una persona. Alessio un giorno sarebbe anche invecchiato, avrebbe perso la sua bellezza e la vivacità del carattere, eppure Pietro era sicuro che lui, ai suoi occhi, sarebbe stato comunque bello, in qualsiasi senso. Probabilmente ne amava anche i difetti, quando gli stessi, in una qualsiasi altra persona, lo avrebbero infastidito o innervosito. Erano parte di Alessio anche i suoi lati peggiori – quell’impulsività e quell’istintività che a volte Pietro non riusciva a gestire, la sua incapacità di farsi vedere fragile agli occhi esterni, la sua ostinazione e combattività che a volte sconfinavano nell’arroganza-, e lo rendevano unico, diverso da tutti gli altri. Perfetto nelle sue imperfezioni, la persona che riusciva a far perdere a Pietro la testa ogni volta.
E ora si ritrovava anche ad invidiare Alessio, perché lui sembrava non aver mai dubitato – e non era mai stato disgustato- da chi era attratto.
Sarebbe mai stato diverso da come era per lui?
Pietro strinse forte la penna tra le dita.
Forse in fondo non era davvero gay – forse era solo bisessuale, o magari Alessio era solo una sbandata. Era un pensiero confortante, quello, ma ogni volta che si ritrovava a soffermarcisi non poteva fare a meno di ripensare anche al passato, a certe cose accadute.
Si era ritrovato più volte a studiare, analizzare quasi, le sue storie precedenti sotto un nuovo punto di vista: non aveva mai avuto una storia con una ragazza per lungo tempo – l’unica eccezione poteva essere Laura-, né si era mai sentito particolarmente preso o coinvolto. Era come se fosse sempre mancato qualcosa, qualcosa che lo facesse sentire completo, in pace con se stesso. Per Laura aveva provato più affetto, che reale amore, e per quanto riguardava la sua ultima relazione con Erika ... Con lei non si era mai nemmeno definito innamorato.
“Forse non erano le persone giuste” cercò di ripetersi per l’ennesima volta, prima che il pensiero andasse a Filippo.
Pietro si ritrovò ad abbassare gli occhi, quasi temesse che gli altri studenti attorno a lui potessero indovinare i suoi pensieri solo guardandolo in faccia.
Filippo era la variante che non era riuscito a collocare in qualcosa di normale. Filippo, quando quattro anni prima aveva conosciuto Giulia e Pietro ricordava perfettamente come si fosse sentito in un qualche modo geloso, minacciato dalla sua nuova presenza accanto all’amico. Non aveva mai pensato a Filippo come più di un amico, almeno non consapevolmente, ma ora tutto assumeva una prospettiva diversa.
E se quello fosse stato uno dei tanti segnali? Forse all’epoca era ancora troppo giovane, troppo immaturo e ignorante riguardo l’amore per poter cogliere la verità che ci stava dietro.
Per quante domande senza risposta gli ronzassero in mente, in ogni caso, non aveva intenzione di trovarvi una risposta. Forse aveva paura di trovarla. Forse il pensiero di essere gay lo terrorizzava al punto di bloccarlo, di impedirgli perfino di arrivare alla verità.
Non aveva idea di come potesse essere vivere così – pensò con un brivido alle battute omofobe che gli avrebbero rivolto, ai nomignoli poco carini e offensivi che si sarebbe sentito rivolgere dopo un ipotetico coming out, al possibile rifiuto della famiglia e degli amici, e si sentì il terreno mancare sotto i piedi-, né era sicuro che quella sarebbe stata la vita giusta per sé.
No, non voleva scoprirlo – non ora, perlomeno. Preferiva di gran lunga continuare quella sua vita, anche se poteva essere sbagliata. D’altro canto, non sapeva nemmeno se quei dubbi sarebbero venuti mai a galla, se non avesse incontrato Alessio.
Magari era proprio lui, l’eccezione: magari era Alessio, l’unico uomo di cui si sarebbe mai innamorato. Pensarlo lo fece sentire più tranquillo, meno traumatizzato all’idea di aver vissuto un’intera vita sotto le spoglie di una persona che non rappresentava davvero il suo vero essere.
In tutta quella situazione, in ogni caso, era lui la pedina debole di quel gioco malvagio. Alessio era sempre più distante, irraggiungibile come poche altre volte era stato: poteva averlo vicino fisicamente quanto voleva, ma non l’avrebbe mai avuto come davvero desiderava.
Quel dolore sembrava comprimere qualsiasi altro bisogno, anche il voler conoscere la verità su se stesso.
Poteva solamente rimanere a guardarlo da distante, come stava facendo durante quella noiosa lezione, e sognare che, un giorno, anche Alessio l’avrebbe guardato con gli stessi occhi.
Pietro sospirò, abbassando lo sguardo, e distogliendolo infine dall’altro: tutto quello sarebbe rimasto solamente un sogno, qualcosa d’immaginario e d’impossibile realizzazione.
Non avrebbe potuto fare altro che guardarsi intorno, sperare d’incontrare qualcuno che potesse fargli dimenticare tutto quello. Per quanto difficile potesse essere, non aveva altra scelta.
Non aveva mai potuto scegliere, in tutta quella situazione.
 
I’ve never dreamed that I’d need somebody like you
And I’ve never dreamed that I’d need somebody like you
No, I don’t want to fall in love
And I don’t want to fall in love
With you
 
*
 
Venezia, vista nell’oscurità della notte che avanzava, lo aveva sempre fatto sentire timoroso e diffidente. Di giorno le stradine strette e anguste, fiancheggiate dai canali, avevano un’aria misteriosa, un fascino positivo che ti faceva respirare quel che era l’atmosfera autentica veneziana; di notte, però, quelle stesse calli diventavano quasi soffocanti, troppo buie e opprimenti. Pietro non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che le ombre lo stessero osservando, accerchiando. Non c’era mai riuscito.
A maggior ragione quella sera in cui si trovava a vagare da solo, lontano dal suo appartamento e da Alessio, e si sentiva come un cane randagio, o come un ramingo disperso in un luogo sconosciuto e a lui ostile.
Stava vagando già da un po’, senza una meta precisa: sperava solamente di trovare un locale carino dove passare un po’ di ore e svagarsi, ma per il momento non aveva ancora trovato ciò che faceva per lui.
Stava percorrendo il più velocemente possibile le vie di San Polo, ancora turbato da poco prima, quando si era trovato di fronte ad un famoso locale della città, noto per l’atmosfera gay friendly che lo caratterizzava. Aveva tirato dritto, pur lanciandovi diverse occhiate incuriosite e intimorite allo stesso tempo. Non aveva avuto l’intenzione di entrarvi, anche se, in fondo, una minima tentazione c’era stata. Ma era restato fedele ai suoi propositi, e lo aveva oltrepassato in pochi secondi, senza guardarsi indietro: non voleva mettere piede in quel posto, e non lo avrebbe fatto. Si era sentito un po’ stupido, ma aveva tirato dritto, senza voltarsi indietro.
Procedeva ora verso sud, verso Dorsoduro: sapeva che la zona di Campo San Margherita era piuttosto frequentata da ragazzi e universitari come lui. Era il posto giusto per distrarsi, per passare una serata possibilmente senza pensieri o preoccupazioni addosso.
Pietro si fermò un attimo, prendendo il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans, e sfilandone una per accenderla: alla prima boccata di fumo si sentì già meglio, dopo le prime tre si sentiva decisamente meno agitato.
Continuava a ripensare a quel locale, nonostante avesse cercato di non pensarci affatto, eppure tornava a rodergli la mente il fatto che, in fin dei conti, se ne sentiva profondamente attratto. Quel pensiero lo imbarazzò, inevitabilmente: non aveva mai immaginato come sarebbe stato andare in un locale dove avrebbe trovato altri uomini che ci avrebbero provato con lui, e dove magari anche lui avrebbe adocchiato qualcuno. Il solo pensiero di poter immaginare ed osservare un altro uomo, che peraltro non fosse Alessio, in quella maniera lo imbarazzava terribilmente.
 
What a wicked game to play
To make me feel this way
 
Riprese a camminare, cercando di ignorare il fatto che, a Dorsoduro, di locali del genere ce ne potessero essere molti di più. Sperava di non trovarne sulla sua strada: non era più del tutto sicuro che avrebbe fatto finta di niente anche una seconda volta. Doveva resistere, ma in quel momento sentiva la sua convinzione vacillare ad ogni passo di più.
Venti minuti dopo si ritrovò vicino alla zona di Campo San Margherita: lì le calli erano già più affollate, da coppie e da ragazzi suoi coetanei che se ne andavano in giro per bar e locali. Pietro si sentì meno oppresso, in quel momento, anche se continuava ad avvertire un senso di solitudine: avrebbe voluto avere Alessio di fianco a sé, nonostante tutto.
Per un attimo si immaginò loro due insieme, a camminare lungo quelle strade mano nella mano, come una normalissima coppia. Il senso di soffocamento tornò a farsi sentire, e Pietro scosse appena il capo: doveva smetterla di immaginarsi cose che non sarebbero mai diventate realtà. Doveva smetterla di illudersi e farsi del male così. Non avrebbe mai avuto neanche lontanamente il coraggio di fare una cosa del genere.
Gli venne voglia di fumare ancora, ma si trattenne: a pochi metri da lui vide un’insegna di un locale, di cui gli sembrava di aver sentito parlare. Doveva essere piuttosto affollato, visto che molta gente era ferma davanti all’entrata.
Non ci pensò molto su, prima di farsi spazio tra la folla, e varcare la soglia del bar. Era davvero molto affollato, nonostante l’atmosfera all’interno fosse tranquilla e rilassante. Vi erano molti tavolini, tutti occupati, dal design elegante e raffinato. Anche il bancone del bar, in legno lucido, gli dava la stessa sensazione di umile  eleganza; molti degli sgabelli davanti al bancone erano già occupati, e Pietro dovette affrettarsi per non rischiare di rimanere in piedi.
Camminò velocemente nella direzione del bancone, quasi perdendo l’equilibrio quando qualcuno gli venne addosso camminando nella direzione opposta. Gli ci vollero alcuni secondi per sperare ardentemente di non finire a terra o, ancor peggio, addosso a qualcun altro trascinandolo con sé nella sua caduta. Sarebbe bastato poco per sbilanciarsi e ritrovarsi addosso alla donna piuttosto alta e dal portamento distinto che stava seduta sullo sgabello accanto a quello che Pietro aveva appena adocchiato. Pietro rimase ad osservarla per qualche secondo, pur non riuscendo ancora a vederla in viso: anche guardandola voltata di spalle gli dava l’impressione di averla già vista da qualche parte. I lunghi capelli biondi e ordinati che le ricadevano sulla schiena, coprendo la parte superiore del vestito nero che portava, e quell’aria sofisticata gli riportavano alla mente qualcuno che però non riusciva a ricordare.
Lasciò perdere i ricordi, e si sedette, ancora confuso ed indeciso su cosa prendere. Non aveva intenzione di ubriacarsi, non davvero – affogare i dolori nell’alcool non gli dispiaceva come idea, ma preferiva tornare a casa con le sue gambe in ogni caso-, anche se un bicchiere d’alcool l’avrebbe certamente rilassato almeno un po’. E calmarsi era quello che gli serviva quella sera.
Si voltò a guardare dove fosse il barman, e così facendo si voltò nella stessa direzione della donna. Quasi si sentì mancare un battito, quando dopo alcuni istanti di confusione riconobbe il viso giovane e austero di Giada Cavalieri. Pietro sbuffò impercettibilmente, roteando gli occhi al cielo: incontrare per caso quella che era stata una sua insegnante non rientrava nei suoi obiettivi della serata.
Pietro tentò di rigirarsi il più velocemente possibile, cercando di fare finta di nulla; non fece in tempo a distogliere gli occhi dalla figura di Giada, che lei si voltò verso di lui, probabilmente dopo essersi sentita osservata. Gli rivolse uno sguardo interrogativo, come se si stesse chiedendo per quale motivo la teneva così tanto sott’occhio.
Quando la vide osservarlo, ebbe l’impressione che a lei invece non fosse scattato nulla, come se non l’avesse affatto riconosciuto. E sarebbe stato del tutto logico, se fosse stato quello il caso: dubitava fortemente che ricordasse la faccia di ogni suo studente, a cui tra l’altro aveva smesso di insegnare da mesi e che, se non fosse stata per quella sera, non avrebbe neanche più rivisto.
Pietro ricordava l’ultima volta che l’aveva incontrata: era stata diversi mesi prima, quando aveva sostenuto l’esame del suo corso. L’aveva superato al primo tentativo, contro ogni pronostico, interrogato da un assistente, e da allora non l’aveva nemmeno più incrociata per sbaglio per i corridoi. Era strano pensare che, a dispetto delle probabilità, l’avesse incontrata per puro caso in un bar di Venezia.
-Ci conosciamo?-.
Giada Cavalieri lo stava squadrando con occhi socchiusi, vagamente sospettosi. Doveva essersi sentita un po’ troppo osservata per i suoi gusti, e Pietro non poté fare a meno di darsi dell’idiota.
-Io … -.
“Ci conosciamo eccome”.
Pietro rispose con la prima cosa che gli venne in mente, dopo essersi schiarito al gola a disagio:
-No-.
Dubitava che tanto dopo quella serata si sarebbero mai rivisti, e che Giada avrebbe mai scoperto che in realtà era un suo ex studente. E poi, era esattamente quello: un ex studente.
-Stavo solo pensando a cosa ordinare- aggiunse subito dopo, in una poco convincente giustificazione che potesse spiegare il suo sguardo su di lei.
Giada non sembrò affatto convinta:
-E lo stavi facendo fissandomi?-.
-Ero sovrappensiero-.
Lo guardò con lo stesso sguardo scettico con il quale lo aveva tenuto osservato quando aveva rimproverato lui ed Alessio per aver parlato durante la sua prima lezione.
-Hai poca fantasia, davvero-.
Pietro quasi si sentì crollare in soggezione sotto lo sguardo della donna: aveva un modo di fare glaciale e a tratti beffardo, ambiguo e alquanto sfuggente. Non si era mai sentito a disagio con una ragazza, nemmeno con una appena conosciuta, non in quel modo, eppure in quel momento avrebbe preferito scomparire.
La sua fortuna si presentò sottoforma del barman, che comparì davanti a lui dall’altra parte del bancone un paio di secondi dopo. Un’ottima distrazione per lasciar perdere quello scambio disastroso con la sua ex professoressa.
-Uno spritz- Pietro lo disse non appena il barman posò gli occhi su di lui. A quel punto voleva solo bere qualcosa, finire il prima possibile, e magari andarsene.
-Hugo-.
Pietro rimase interdetto quando avvertì di nuovo la voce di Giada. Si voltò verso di lei, trovandola con un mezzo sorriso a guardarlo.
-Prova lo spritz hugo- gli ripeté, annuendo convinta.
-Non l’ho mai sentito- borbottò Pietro, confuso.
-Te l’ho detto che hai poca fantasia- disse ancora lei, stavolta sorridendo per la prima volta con una punta di divertimento – Dovresti provarlo, piuttosto che andare sul banale-.
Pietro rimase immobile per diversi secondi. Forse, a quel punto, tanto valeva seguire il suggerimento di Giada – e gli fece persino strano pensare a lei in quei termini, senza chiamarla tra sé e sé per cognome.
Quando si voltò di nuovo verso il barman in attesa, si ritrovò ad annuire a se stesso:
-Uno spritz hugo, per favore-.
-Non rimarrai deluso- Giada parlò ancora, subito dopo che erano rimasti di nuovo soli, il barman allontanatosi per prendere altre ordinazioni al bancone e preparare i cocktail – Non sei troppo giovane per bere, vero?-.
Stavolta fu il turno di Pietro di guardarla scettico:
-Sono decisamente maggiorenne- disse, prima di azzardare ad aggiungere qualcos’altro – Sono uno studente universitario-.
Giada non sembrò ricordarsi di lui neanche in quel momento, nemmeno con quel piccolo indizio.
-Ne avevo il sospetto, ma meglio esserne sicuri- replicò lei, che al contrario di Pietro sembrava totalmente a suo agio – Non dovresti essere già a letto? Domani avrai lezione-.
-Immagino tu lo abbia detto a metà gente che c’è qui dentro- Pietro la provocò quasi senza pensarci, ma Giada non sembrò affatto offesa:
-Troppo faticoso- commentò lei, ridendo sommessamente.
Per la prima volta Pietro si ritrovò a pensare che forse, fuori dalle aule di università, la sua non era una compagnia poi così male.
Giada continuò a ridere per qualche secondo, rimanendo con lo sguardo posato su Pietro ancora per un po’, in silenzio, prima di riprendere la parola:
-Giada-.
Pietro cercò di fare finta di non saperlo già, limitandosi ad allungare a sua volta la mano destra per stringere brevemente quella che gli stava porgendo lei. La osservò in viso: stavolta sul volto di Giada vi era un sorriso, appena tirato, ma affabile in ogni caso. Nel rivederla di nuovo così vicino, Pietro si sorprese ancora una volta nel notare che fosse davvero giovane per essere un’insegnante universitaria. E poi, doveva ammetterlo, era obiettivamente bella, con quel volto levigato e gli occhi di un azzurro brillante.
-Pietro- rispose infine, stringendosi nelle spalle ed incapace ancora di togliersi di dosso quell’insolita timidezza.
Giada annuì, strizzando per un attimo gli occhi come per cercare di ricordare. Forse cominciava a ricordarsi qualcosa, e Pietro non poté fare altro che pensare che, per quella sera, la fortuna avesse deciso definitivamente di voltargli le spalle.
-Beh, Pietro- Giada riprese nuovamente la parola, appoggiando un gomito al bancone e girandosi ancor di più verso di lui – Visto che io ti ho dato un’ottima idea per qualcosa da bere, dovresti fare lo stesso con me ora-.
Pietro sentì le gote arrossarsi, completamente spiazzato e imbarazzato più che mai. Quella conversazione stava prendendo una piega decisamente inedita ed inaspettata. Poteva ormai rifiutare, ed andarsene come il peggiore dei maleducati?
Attese pazientemente il barman, prima di ordinare un Cosmopolitan, sotto lo sguardo attento e divertito della Cavalieri.
 


Qualche ora dopo il locale si era fatto meno affollato, e diversi tavolini si erano finalmente liberati. La luce soffusa e dorata della sala, unita all’alcool appena ingerito, stava facendo girare la testa a Pietro: gli sembrava quasi di galleggiare, la testa leggera come una piuma.
Dopo quel primo spritz aveva bevuto altri due bicchieri di prosecco, ed ora non era del tutto sicuro di avere la situazione sotto controllo. Sentiva di poter crollare da un momento all’altro, e si domandò come sarebbe riuscito a tornare indietro, al suo appartamento. Era inutile, però, girarci intorno: aveva fatto l’ennesima cazzata.
D’altro canto, Giada non aveva fatto nulla per impedirgli di bere. Si era solamente limitata a osservarlo più insistentemente, senza però suggerirgli che avrebbe fatto meglio a smetterla, e alla fine anche lei aveva ordinato qualcos’altro. In confronto a lui sembrava comunque riuscire a reggere meglio.
Ora, seduto di fronte a lei, entrambi ad uno dei tavolini lasciati liberi da poco, Pietro la osservava di tanto in tanto, lasciando lo sguardo vagare su quella figura algida e sfuggente: forse erano i fumi dell’alcool, o forse era solamente la sua mente distrutta, ma non poteva fare a meno di notare una certa somiglianza nell’aspetto tra Giada ed Alessio. Avevano gli stessi capelli biondi, lisci e curati, gli stessi occhi azzurri, anche se quelli di Alessio apparivano infinitamente più chiari e limpidi rispetto a quelli di lei.
Di certo, tra i due, avrebbe preferito avere Alessio lì, davanti a sé: si sarebbe sentito meno a disagio, nonostante tutto, meno in soggezione, e forse non si sarebbe dato così tanto all’alcool. Di certo non si sarebbe mai più ubriacato di fronte ad Alessio, non con il costante rischio che la poca lucidità gli facesse confessare cose che avrebbe fatto meglio a tacere – come stava rischiando anche in quel momento, con il pericolo di farsi sfuggire il fatto che Giada era stata sua professoressa.
 
What a wicked game to do
To let me dream of you
 
Due ore erano già passate, e a Pietro sembrava ancora strano trovarsi lì, seduto a quel tavolo con la Cavalieri. Avevano parlato molto, nonostante qualche volta fosse calato il silenzio tra di loro. Era rimasto un po’ sorpreso nell’ammettere che sembrava esserci una cerca chimica tra loro, almeno nel parlare.  Inevitabilmente Giada gli aveva chiesto come stesse andando la sua carriera da studente universitario, e Pietro si era ritrovato di nuovo in difficoltà. Si sentiva fin troppo in imbarazzo, con gli occhi di ghiaccio di Giada addosso. Per quanto si sforzasse, non riusciva del tutto ad ignorare il fatto che si trovava da solo in un bar con lei. Non gli era mai capitata una situazione così intima con un suo ex professore, e quella era una sensazione del tutto nuova ed ignota. In tutto quel tempo non aveva ancora trovato il modo di gestire quel suo disagio e quella consapevolezza.
Pietro teneva le dita di una mano saldamente al bicchiere, poggiato sulla superficie del tavolino. Ormai rimaneva poco prosecco, e cominciava a sentire la testa girargli. Giada, invece, sembrava del tutto rilassata come sempre, l’aria elegante e sofisticata ancora intatta; doveva sul serio reggere meglio l’alcool di quanto lui non fosse mai riuscito in vita sua.
-Questo prosecco è davvero ottimo. Ne ho sentito pochi così- Giada fu la prima a parlare quando era un po’ che era calato il silenzio. Sembrava aver detto la prima cosa venutale in mente, mentre schioccava le labbra con aria soddisfatta.
Pietro cercò di farsi venire in mente qualcosa da dire per non lasciar di nuovo cadere il discorso:
-Non sei di Venezia, vero?- le chiese,  dopo qualche attimo di titubanza – Non ha un accento molto veneto-.
Se lo chiedeva da un po’, di dove fosse: se l’era sempre domandato durante le sue lezioni, ed anche quella sera non aveva fatto eccezione. Gli sembrò però una domanda personale, e si pentì quasi subito per avergliela posta: non voleva far passare l’idea che potesse essere interessato a lei. Non in quel senso.
-Sono di Udine - gli rispose lei, e a Pietro non rimase altro che annuire stupito – Ma vivo qui da un paio di anni, da quando ho avuto la cattedra all’università a Venezia. Prima vivevo già a Padova, in ogni caso, quando frequentavo la facoltà di matematica-.
Giada sorrise appena, come se le fossero appena tornati in mente ricordi piacevoli. Sospirò appena, lo sguardo che sembrò vagamente intriso di nostalgia e malinconia solo per pochi istanti.
-Ho sempre auto le idee chiare su quel che avrei voluto fare-.
“Un po’ come Alessio”.
Pietro quasi si mise a ridere nell’immaginarsi una possibile loro conversazione: o avrebbero capito di essere come gemelli separati alla nascita, e con una decina d’anni di differenza, o sarebbe entrata in gioco la competizione a rovinare tutto. In qualsiasi caso, sarebbe stato uno scambio estremamente curioso a cui assistere.
-Non deve essere stato facile, arrivare ad essere una docente universitaria così presto, ed in una materia del genere-.
-Perché sono una donna, intendi?- ribatté Giada, più incuriosita che offesa. Pietro annuì piano, anche se immaginava che lei doveva già aver intuito la risposta: da quel che sembrava, era una donna tutt’altro che stupida e sprovveduta.
-Beh, sì- Pietro annuì, stringendosi nelle spalle – C’è ancora chi crede che non siate abbastanza brave o intraprendenti in un ambiente come quello universitario, soprattutto nei campi scientifici-.
Lei alzò le spalle, un sorriso piuttosto amaro sulle labbra:
-Il sessismo non manca mai, in nessun campo della vita- confermò, abbassando per un attimo lo sguardo e annuendo, facendo scuotere appena le lunghe ciocche bionde che le incorniciavano il viso – Ma io sono sempre stata indipendente, mi sono fatta da me. Non mi interessa cosa pensa la gente: se voglio qualcosa, la ottengo con le mie forze-.
A Pietro quelle parole sembrarono estremamente famigliari. Sembrava che ad averle pronunciate non fosse stata Giada, quanto Alessio. Riusciva quasi ad immaginarselo, seduto lì a ripetere quella stessa frase, con lo stesso sguardo serio e un sorriso ironico dipinto in faccia. Riusciva a rivedere la stessa determinazione e forza in entrambi, la medesima ambizione che li spingeva verso i propri obiettivi.
Sembrava quasi una maledizione, quel suo rimanere vittima del fascino pericoloso tipico dei caratteri forti come il loro.
 
What a wicked thing to say
You never felt this way
 
-Immagino non ti dia nemmeno fastidio il fatto che un bel po’ di gente qui dentro ci abbia guardato male diverse volte finora, e stia continuando a farlo- disse Pietro, a voce bassa, quasi in tono di sfida. Era curioso di vedere fino a che punto giungesse la sicurezza di Giada: a guardarla non sembrava colpita nemmeno dalle malelingue e dagli sguardi in tralice che avevano ricevuto per tutto il tempo in cui erano rimasti lì.
Si rese conto che si stava spingendo verso un punto di non ritorno, ma l’alcool lo stava rendendo più ardito, e si pentì solo in parte di essere andato in quella direzione.
-Di certo si stupirebbero meno se fossi tu ad avere più anni di me e a provarci- gli rispose lei, un leggero sorriso sarcastico che si allargava sulle labbra – Non ci vedo nulla di male in persone che si frequentano, nonostante una grande differenza di età. E poi, comunque, io e te stiamo solo parlando, non facciamo nulla di male-.
Sembrava aver perso un po’ di quella freddezza che la caratterizzava tanto, e Pietro si ritrovò ad apprezzarlo.
-Quindi non ti senti nemmeno un po’ in soggezione?- proseguì lui, dopo aver buttato giù anche l’ultimo sorso di prosecco. Forse era colpa dell’alcool, ma in quegli attimi cominciava a sentirsi meno in imbarazzo e più pronto a buttarsi.
-Se mi fossi sentita sempre in soggezione, in vita mia, non avrei mai avuto ciò che ho- Giada alzò le spalle, per niente impressionata – La gente può pensare quel che vuole, ma io vivo la mia vita in ogni caso. Frenarsi alla mia età sarebbe un tale peccato-.
-Quanti anni hai di preciso?- Pietro quasi si mise a ridere quando lei lo guardò con un sopracciglio alzato, il disappunto evidente:
-Lo sai, vero, che non si chiede mai l’età ad una signora?- lo disse in maniera sottilmente offesa, anche se Pietro ebbe l’impressione che non lo fosse veramente – Sei fortunato che a me non dia fastidio. Ne ho trenta, né più né meno-.
Di fronte allo sguardo vagamente incredulo di Pietro, rise sommessamente:
-Mi credevi più vecchia, per caso?- rise ancora, lo sguardo malizioso che vagava sul viso di Pietro. Anche stavolta non sembrava per niente offesa, ma sinceramente divertita.
-Non intendevo questo, solo ... – Pietro si umettò le labbra – Non ci sono molti professori così giovani in giro-.
Avrebbe tanto desiderato scomparire esattamente in quell’istante, o sprofondare sottoterra in modo da sparire ugualmente dalla vista di Giada. Non avrebbe voluto che il loro dialogo prendesse una piega del genere, ma ormai c’era dentro fino al collo, ed era anche colpa sua.
Era innegabile, invece, che Giada fosse alquanto divertita da quella situazione: sorrideva in maniera più distesa, e anche i lineamenti del viso apparivano più rilassati. Sembrava meno glaciale, e Pietro fu quasi sicuro che la corazza di freddezza che l’accompagnava sempre si fosse, ormai, definitivamente sciolta.
-Avanti, ammettilo che mi consideri un genio- esclamò lei, ridendo apertamente, le gote che si arrossavano per le risate per niente trattenute. Era quasi tenera, a guardarla così, in preda alle risa e con gli occhi azzurri più allegri rispetto a prima; Pietro si ritrovò a pensare di nuovo, per quanto fosse sbagliato già in partenza, che la sua compagnia non fosse poi così male. Per un attimo si ritrovò quasi a chiedersi se potesse essere una buona idea chiederle il suo numero, giusto per avere la possibilità di replicare quella serata, ma non appena quel pensiero emerse cercò di soffocarlo: era già stata una serata strana, non aveva idea se sarebbe mai riuscito ad affrontarne una seconda.
Per un po’ né lui né Giada dissero nulla. Era un silenzio relativo, dato solo dall’assenza di parole dette tra loro, ma di certo reso meno evidente dalla musica soul in sottofondo e dal chiacchiericcio delle altre persone intorno al loro tavolino.
“È quasi ora di andare” si ritrovò a pensare Pietro, anche se non aveva un’idea precisa di che ore fossero. Si chiese, fugacemente, se Alessio si stesse chiedendo dov’era, o a che ora sarebbe rientrato – se era in pensiero per lui. Probabilmente no.
-A te dà fastidio che la gente ci guardi stranita?-.
Per un attimo Pietro credette di essersi solo immaginato quella domanda di Giada, ma quando alzò lo sguardo confuso la ritrovò a guardarlo in attesa. Non riuscì a capire come mai fosse ritornata su quell’argomento in modo così repentino, e quindi si limitò a scrollare le spalle e fare cenno di diniego con il capo.
Giada non riprese subito a parlare: stava sorridendo silenziosamente, in una maniera che a Pietro sembrò quasi timida, e alquanto discordante con l’immagine che si era fatto di lei. Era un sorriso tranquillo, il suo, caldo e non esagerato.
-Allora non ti sembrerà strano se chiedo il tuo numero- disse infine, e Pietro non riuscì a capire se gli avesse letto il pensiero in un qualche modo misterioso, o se avesse avuto anche lei le stesse sensazioni – Sai, la chiacchierata di stasera non è stata male, dopotutto-.
Pietro non seppe esattamente cosa dire, non subito. Prese un respiro profondo, prima di schiarirsi la gola e provare a dire qualcosa, a prendere una decisione. D’un tratto gli sembrò quasi che molte delle barriere tra di loro si fossero appena sgretolate, e non riusciva a capire se quella fosse una sensazione del tutto positiva.
Forse era solo il segno che aveva ricercato per tutta la sera: una distrazione da tutti i suoi problemi.
-Va bene- mormorò a mezza voce, consapevole che anche le sue gote stessero diventando rosse, per l’imbarazzo e per l’avventatezza
Il sorriso che gli rivolse Giada non parve né saccente né sarcastico, solo molto sincero. Pietro poté finalmente dire di non sentirsi ancora troppo a disagio, in sua compagnia.
 
*
 
Quando uscirono dal locale Pietro non aveva ancora idea di che ore fossero: non aveva alcun orologio al polso, e la batteria del suo cellulare aveva smesso di reggere già da un po’. Sperava solo che Alessio non si preoccupasse troppo, nel sentirlo ritornare così tardi, quando sarebbe rientrato a casa. Forse, a quel punto, avrebbe quasi preferito che se ne fosse già andato a dormire, senza pensare a lui. Non aveva alcuna voglia di dargli spiegazioni sul suo ritardo, né di rispondere alle probabili domande che Alessio gli avrebbe fatto circa la serata che aveva passato.
-Abiti molto lontano?-.
Giada glielo chiese non appena la porta del bar si fu richiusa dietro di loro. Fuori la massa si era dispersa, ed ora vigeva invece un silenzio notturno. Pietro si voltò verso di lei, la testa che gli girava già meno non appena aveva inspirato l’aria fresca dell’esterno.
-Ci dovrei mettere una mezz’ora a tornare- disse, sovrappensiero – Tu, invece?-.
-Una decina di minuti a piedi-.
Pietro annuì, riflettendo:
-Forse però sarebbe meglio se ti accompagnassi comunque-.
Giada lo guardò parecchio divertita, anche se Pietro fu piuttosto sicuro di leggervi anche una punta di sorpresa nei suoi occhi azzurri.
-Pensi che non riesca a cavarmela da sola?- lo provocò, braccia incrociate contro il petto e sopracciglio alzato.
-Penso solo che probabilmente rimarrei in pensiero- Pietro lo disse con più sincerità di quanto lui stesso non si sarebbe aspettato.
Giada non rispose subito: Pietro la osservò farsi più vicina, fino ad arrivargli di fronte. La vicinanza improvvisa lo spiazzò per un attimo, non lasciandogli nemmeno il tempo di riflettere su niente. Pietro si umettò le labbra, il fiato improvvisamente corto e il cuore martellante mentre Giada muoveva ancora un passo verso di lui.
-Non solo un buon conversatore- fece lei, a mezza voce, ma era così vicina che Pietro non faticò affatto ad udirla – Anche cavaliere-.
Pietro rimase per un attimo in silenzio, osservando il viso dell’altra: non stava sorridendo, ma sembrava alquanto tesa, sotto un’apparenza di calma e serietà. Rimase a guardarla ancora un po’, senza rispondere nulla: l’attimo dopo fu quasi automatico, per lui, lasciarla che annullasse definitivamente ogni distanza e poggiare le proprie labbra su quelle morbide e piene di Giada.
Quando realizzò appieno quel che stavano facendo – con le labbra di Giada posate sulle sue- gli venne voglia di urlare.
Quella era una pazzia, ed era perfettamente consapevole che lo fosse. Lo sapeva eccome: dentro di sé sentiva che doveva andarsene il prima possibile da lì, tornare a casa e fare finta di niente per il resto dei suoi giorni. Ma un’altra parte gli disse di rimanere lì, che in fin dei conti era solo un bacio tra due persone che probabilmente non si sarebbero più riviste. Giada non avrebbe mai scoperto che era stato suo studente.
Ma mentre la baciava, ad occhi chiusi e con le mani sul viso e tra i capelli di lei, il suo pensiero andò di nuovo ad Alessio: non era Giada quella che avrebbe voluto baciare, non era lei quella che avrebbe voluto contro il suo corpo, non era la sua pelle che avrebbe voluto accarezzare.
Non era lì il suo posto, non era con lei. Ma fu la consapevolezza che, per quanto avrebbe voluto, il suo posto non sarebbe mai stato nemmeno accanto a Alessio, a spingerlo a ricambiare appieno il bacio.
Avrebbe continuato a sognare Alessio, solamente a sognarlo, mentre erano le mani di Giada a toccarlo, le sue labbra a baciarlo.
Avrebbe solamente continuato a sognare colui che avrebbe voluto davvero, mentre se ne stava con una persona che non conosceva e che, in fondo, non voleva affatto – o almeno, non in quel modo. Non ancora, forse mai.
 
What a wicked thing to do
To make me dream of you
 
Quando Giada si staccò lentamente da lui, gli sorrise ancora.
-Andiamo, allora?-.
A Pietro non rimase che annuire, il panico latente che però cominciava a salire mentre prendeva sempre più coscienza della situazione in cui si era appena cacciato.
Furono tra i dieci minuti più lunghi che avesse mai vissuto, quelli che lo separarono dal locale al palazzo di Giada. Fu anche un tempo insufficiente per riuscire a capire cosa avrebbe dovuto fare, cosa avrebbe dovuto dirle, e soprattutto quanto avesse sbagliato a non dirle subito la verità – o almeno prima che lei lo baciasse.
Quando si fermarono definitivamente davanti al portone d’ingresso, Pietro ancora non aveva trovato il modo giusto per andarsene. Forse avrebbe solamente dovuto essere sincero con lei, prendersi la responsabilità dell’ennesimo casino che aveva causato a se stesso, e incassare il colpo.
-Eccoci qua- mormorò lei, facendo un cenno con il capo verso l’edificio dov’era il suo appartamento.
-Pensavo abitassi più lontano- commentò Pietro a fatica. La osservò girarsi verso di lui:
-Mi trovo bene qui- disse Giada, molto più sciolta rispetto all’inizio della serata, ancor di più dopo quel bacio – L’appartamento è minuscolo, ma l’affitto è conveniente. E vivendo da sola non è da sottovalutare-.
Pietro annuì silenziosamente, preso da alcuni pensieri: all’inizio, quando aveva frequentato il suo corso, aveva dato per scontato che Giada potesse essere sposata, per qualche sensazione che evidentemente non aveva alcun fondamento. Dubitava fosse il tipo di persona da baciare qualcuno mentre era impegnata con qualcun altro.
-Buon per te- le rispose Pietro, la gola stretta in un nodo – Allora … -.
-Ci salutiamo qui- concluse Giada per lui.
Sembrò sul punto di avvicinarsi di nuovo, forse per baciarlo – forse per convincerlo a salire da lei-, e fu esattamente in quel momento che Pietro capì che non poteva nasconderle le cose ulteriormente. Non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, non così.
-Aspetta-.
Pietro si sentì tremare, per la paura e l’imbarazzo, quando si bloccò sotto lo sguardo d’un tratto cauto di Giada. Sembrava quasi subodorasse già qualche fregatura, e Pietro si sentì tremendamente in colpa al pensiero che in quello non l’avrebbe certo delusa.
-Non ti ho detto una cosa, prima al bar- iniziò a dire con un filo di voce, sperando che non risultasse evidente il suo tentennare. Riusciva a capire solo in parte come mai si sentisse così male all’idea di deluderla, quando aveva parlato con lei qualche ora e quando l’aveva a malapena sopportata quando aveva seguito il suo corso all’università. Forse era perché, in fin dei conti, anche lui sapeva che la loro era stata una bella conversazione. Era la prima volta da chissà quanto tempo che passava una serata senza piangersi addosso costantemente, ed ora stava di nuovo per complicare le cose.
Giada lo guardò con la fronte aggrottata:
-Stai già con qualcuno?-.
-No- Pietro scosse il capo, ignorando l’immagine di Alessio che gli fluttuò in mente – Non direi-.
Si passò la lingua sulle labbra ormai secche per l’agitazione, cercando di trovare le parole più adatte per iniziare. Fu un tentativo vano.
-Prima ti ho detto che sono uno studente all’università-.
-Lo ricordo- Giada iniziò a guardarlo con sospetto, e i secondi che ne seguirono furono talmente carichi di tensione che Pietro fu inevitabilmente spinto a parlare, ancor prima di rendersi conto di quel che ne sarebbe seguito:
-Studio informatica- disse lentamente – Alla Ca’ Foscari-.
Ci furono pochi attimi che separarono quella sua confessione al momento in cui Giada realizzò ciò che stava a significare. Pietro la osservò sgranare gli occhi pian piano, mentre capiva cosa aveva sottinteso, e fare un passo lontano da lui.
-Che cosa … -.
Prima che potesse continuare, Pietro parlò di nuovo:
-Ti giuro che non sono più un tuo studente- disse, quasi disperato nel tentativo di farsi credere – Lo sono stato mesi fa, ma poi … -.
-Poi cosa?- Giada sembrò tornare nel giro di pochissimi secondi ai suoi modi algidi di fare, e Pietro detestò come la prima volta la sensazione di essere osservato dai suoi occhi glaciali – Quando avevi intenzione di dirmelo? Quando magari ti avrei trovato in sede d’esame?-.
-Ho già dato l’esame del tuo corso a giugno- si affrettò a chiarire Pietro –  È la verità-.
Non capiva come mai si stesse impegnando così tanto per farsi credere da lei, ma lo sguardo ferito e ora diffidente di Giada gli stava facendo capire che non sarebbe mai riuscito a sopportare il senso di colpa nel tornare a casa senza aver risolto.
-Non mi sono avvicinato a te con qualche scopo. Non pensavo neanche di incontrarti di nuovo, ad essere sincero- Pietro parlò ancora, gesticolando nervosamente – Non ho passato la serata con te per avere qualche favoritismo, né nient’altro. Davvero-.
Giada non vacillò:
-Però ti sei deciso all’ultimo di dirmi la verità-.
“Perché mi hai baciato”.
Pietro deglutì, senza sapere cos’altro dire.
-Mi dispiace-.
Abbassò gli occhi, ma udì comunque Giada sbuffare sarcasticamente, muovendo ancora qualche passo lontano da lui.
-Oh, ne sono sicura- sbottò, e quando Pietro si decise ad alzare di nuovo il viso quasi gli parve che la sua rabbia avesse lasciato il posto a qualcosa che sembrava più delusione. Giada si mosse verso il portone d’ingresso, le chiavi in mano e pronta a sparire all’interno.
-Cresci un po’, o comportandoti in un modo così infantile non andrai da nessuna parte- glielo disse voltandosi verso di lui all’ultimo, quando Pietro era già sicuro che se ne sarebbe andata senza dire nient’altro – Hai rovinato una serata che era stata davvero bella-.
Giada sparì dentro al palazzo prima che Pietro potesse smuoversi dal suo shock e rispondere. Nel giro di pochi secondi si ritrovò ad osservare il punto in cui Giada era entrata, e che ora era riempito solo dalla superficie solida della porta in legno massiccio.
Era di nuovo solo, come all’inizio di quella serata, solo con il tormento della colpa.
“Rovino sempre tutto”.
 
*
 
I pochi raggi di tiepido sole che filtravano dalla persiana semi abbassata bastavano a malapena per rischiarare un po’ la stanza. Con la schiena appoggiata alla testiera, e una gamba scoperta dalle lenzuola e a penzoloni giù dal letto, Pietro teneva lo sguardo perso verso quegli sparuti raggi di luce.
Aveva già voglia di fumare, anche se era mattina presto. Si stava trattenendo a forza, forse consapevole di aver ceduto un po’ troppo a quel suo vizio negli ultimi giorni. Il nervosismo si era fatto duro da tenere a bada, e doveva ammettere che però, per quanto poco salutari, le sigarette lo stavano aiutando non poco.
Si chiese se Alessio stesse ancora dormendo: era venerdì mattina, ma per quel giorno avrebbero avuto lezione solo nel pomeriggio. Una mattinata di relax se la poteva anche permettere. Tese l’orecchio, ma non avvertì alcun movimento nel resto della casa. Solo silenzio che gli fece presupporre di essere l’unico sveglio tra di loro.
Allungò una mano verso il comodino, afferrando il suo cellulare. Lo sbloccò chiedendosi se avrebbe trovato un qualche messaggio, ma non c’era nessuna notifica non letta, magari di un messaggio arrivato nella notte o poco prima che si svegliasse. Di certo non c’era nulla da parte di Giada.
Pietro tirò un sospiro lungo, chiudendo gli occhi per un attimo: sembrava ancora parecchio arrabbiata con lui, nonostante si fosse impegnato a scriverle una volta al giorno per tutti quegli ultimi giorni dopo la serata in cui si erano incontrati, l’ultimo tentativo di chiederle scusa e cercare di strapparle un perdono. Non sapeva neanche come mai ci tenesse così tanto. Forse era l’idea che da qualche parte ci fosse una persona ferita dai suoi gesti, insieme a tutto il resto che lo tormentava, a renderlo così fragile e così volenteroso nel cercare di aggiustare le cose. Se con Alessio non poteva farlo, almeno poteva fare un tentativo con Giada.
Anche se lei non sembrava molto d’accordo.
O forse lei era semplicemente andata avanti, con la sua vita da donna in carriera, probabilmente piena d’impegni e di eventi decisamente più interessanti di quelli che costellavano invece la sua, di vita. L’unico lato positivo era che l’impegno per scrivere quei quattro messaggi di scuse che le aveva inviato, per pensare a frasi efficaci e sincere, lo aveva distratto almeno per un po’ da Alessio.
Lanciò un’ultima occhiata al suo telefono, sentendosi un po’ patetico, un caso perso e senza alcuna speranza. Gli sembrava di essere finito in una qualche storiella rosa, o ancor peggio, di essere diventato il protagonista di un qualche romanzo drammatico ottocentesco, dove avrebbe inevitabilmente fatto una brutta fine.
Era quasi ironico che, nonostante tutto, Alessio fosse ancora ignaro di tutto. Non gli aveva fatto domande quando era rientrato qualche sera prima, né si era reso conto del suo nervosismo legato a Giada – e se se ne era accorto aveva palesemente fatto finta di nulla. Forse in fondo era meglio così: Pietro non aveva nemmeno idea di come avrebbe potuto spiegargli che stava cercando di farsi perdonare dalla loro ex professoressa di matematica del primo anno per averla tratta in inganno, seppur in maniera un po’ inconsapevole. Persino nella sua mente mentre si immaginava raccontarlo gli risuonava tutto come una pessima barzelletta.
Sospirò di nuovo, e fece per rimettere a posto il cellulare sul comodino – e magari rimettersi a letto e provare a dormire ancora-, quando la vibrazione breve di una nuova notifica lo fermò all’istante.
Pietro osservò con occhi sgranati il display del cellulare, chiedendosi se stava avendo un’allucinazione o se davvero Giada gli avesse appena risposto. Le cose erano tre: o le aveva fatto pena, o gli aveva inviato un messaggio per sbaglio, o gli aveva semplicemente scritto per avvertirlo che lo avrebbe bloccato definitivamente se le avesse scritto di nuovo.
Quando aprì il messaggio, con una certa ansia, un po’ si sorprese:
“Se vuoi sistemare le cose ti servirà fare ben di più che inviare qualche messaggio. La seconda possibilità te la devi guadagnare”.
A quelle parole di Giada sorrise, quasi mettendosi a ridere. Non ci era andata particolarmente morbida, ma paradossalmente, ora che aveva risposto, sentiva il senso di colpa dentro di sé abbandonarlo almeno un po’.
Decise di ignorare la sensazione che Giada fosse la persona sbagliata a cui rivolgere quelle disperate attenzioni volte a dimenticare Alessio. C’era qualcosa che lo faceva sentire completamente al centro di un disegno di gioco, un gioco malvagio che non gli stava lasciando scampo: non sapeva se, per salvarsi, gli sarebbe bastato muovere anche solo quella singola pedina. Era solamente all’inizio di una partita il cui esito gli era ancora del tutto oscuro.
Ma qualcuno gli stava dando una possibilità, una chance di fuga da certi pensieri disperati, e forse tanto valeva rischiare.

 
“La vita è un gioco d'azzardo terribilmente rischioso”- Tom Stoppard
 
Nobody loves no one
(Chris Isak - "Wicked Game")*



 
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Sì, già sappiamo che questo capitolo sarà ritenuto parecchio controverso, ma andiamo per gradi 😂
Come avrete letto, è un capitolo che inizia con una lunga riflessione su di sè del nostro caro Pietro. Una riflessione che non sembra proprio portare a una piena accettazione di sè e dei propri sentimenti, anzi! E così una "brillante" strategia spunta nella sua mente: il famoso "chiodo scaccia chiodo".
E sembra che il girovagare che ha fatto Pietro (e nel caso la descrizione dei luoghi e delle zone di Venezia non ricalcasse troppo la realtà ci scusiamo) lo abbia condotto tra le braccia di una vecchia conoscenza. Di certo nessuno si poteva aspettare che tra tutti potesse incontrare proprio una sua ex prof! Ve la ricordavate Giada?
E poi siamo giunti alla fine anche di questo episodio, nonché alla vera parte dolente: vi sareste aspettati che sarebbe scattato il bacio tra lui e Giada? E che idee vi siete fatti in merito?
E proprio a proposito di Giada, alla fine è sempre lei che decide anche di allontanarsi, giustamente arrabbiata e probabilmente sentitasi ingannata dal fatto che Pietro le ha omesso di essere stato suo studente (tra l'altro in una famosa università veneziana, che però conosciamo solo per sentito dire visto che noi due autrici non ci abbiamo mai messo piede 😂). Alla fine il messaggio con il quale risponde a Pietro sembra lasciare qualche spiraglio per un secondo incontro... Ma sarà così? E che tipo di rapporto li legherà, sapendo dei tormenti di Pietro per Alessio e per il suo orientamento sessuale?
Le risposte arriveranno per forza nel prossimo capitolo perchè sì, sarà definitivamente l'ultimo di questo lungo viaggio! 
E quindi non ci resta che darvi appuntamento a mercoledì 14 luglio per il gran finale di questa prima tappa di Walk of Life!
Kiara & Greyjoy

 
 
 


 

 
   
 
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