Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    04/07/2021    0 recensioni
Una volta iscrittosi all'università, Syaoran si trasferisce in un nuovo appartamento con due coinquilini e mezzo, e si ritrova a vivere esperienze del tutto impreviste. La sua vita però cambierà del tutto quando verrà assunto per lavorare presso una persona con cui non sapeva neppure di aver instaurato un legame... Un legame che lo riporterà alle sue origini, spingendolo a trovare quella famiglia che gli manca.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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XXIX



 
 
 
Dopo aver scoperto la verità, ho deciso di parlarne una volta per tutte con Kimihiro. Mi è bastato riferirgli che il primo ministro mi ha rivelato quel che sa per farlo smuovere, convincendolo finalmente ad aprirsi. E così pochi giorni dopo ci siamo incontrati nella mia precedente casa, la mia seconda casa, approfittando dell’assenza di Maru e Moro per bere un buon tè con dei wagashi, alla vecchia maniera, e parlarne guardando il nostro giardino tradizionale, stando seduti in veranda. 
Lui non ha fatto altro che confermare ciò che mi è stato già detto, dandomi qualche informazione in più. Informazioni che non hanno fatto altro che aggiungere ulteriore stupore e shock al mio turbamento.
La prima confessione riguarda lui stesso: Kimihiro, pur utilizzando un falso cognome, è realmente il figlio di Yuuko-san e Clow-san. Maru e Moro sono state adottate prima della sua nascita, perché entrambi temevano che non avrebbero potuto avere figli – o almeno, così avrebbe dovuto essere, finché non sono stati sorpresi da un miracolo insperato, con la nascita di Kimihiro. Il che spiega come mai, nonostante io sia sempre stato convinto che anche lui fosse stato adottato, l’ho sempre trovato molto simile ad entrambi.
Tuttavia, già con la scelta dell’adozione delle gemelle, sembra che Yuuko-san e Clow-san fossero andati a scontrarsi con le brame del fratello di quest’ultimo, Fei Wang Reed. A quanto pare egli è sempre stato un uomo molto ambizioso e arrogante, e proprio per questo temeva che suo fratello, essendo il primogenito, poco alla volta gli portasse via tutto ciò che desiderava. Prima la donna che anch’egli amava, ossia Yuuko-san. Poi la grande eredità dei Reed, che aspirava a raccogliere nelle proprie mani.
Finché non vi erano degli eredi consanguinei sembrava andare tutto secondo i suoi piani, ma dalla prima moglie di Clow-san nacque mia madre, Sakura Reed. Una donna di sangue misto, mezza inglese, mezza giapponese.
Essendo nato da un secondo matrimonio, Fei Wang non era lieto di essere il secondo in linea di successione, e detestava il fatto che il preferito di famiglia, Clow-san, non facesse altro che ripetere la storia, trovandosi un’altra compagna dopo la morte della moglie. Fei Wang aveva sperato di poter avere almeno Yuuko-san, ma per sua sfortuna anche lei aveva finito col rimanere affascinata da Clow-san. S’era innamorata anche della figlia, ma mia madre era ormai abbastanza grande e già aveva deciso di convivere con mio padre, dalla fine del liceo e per tutto il periodo universitario, fino poi a sposarsi. 
Nel frattempo, credendo di non poter avere figli, decisero di adottare Maru e Moro, e vissero felicemente con loro, finché non nacque Kimihiro.
«Visto il putiferio che si è scatenato con la nascita di tua madre, decisero di fingere che anch’io fossi stato adottato. Ecco perché mi hanno dato un altro cognome. Mio padre voleva lasciare soltanto la propria eredità a figli e nipoti, quindi noi e te, mentre avrebbe voluto dividere parimenti quella dei suoi genitori col fratello; questo mio zio non lo capiva, era convinto che la sua fosse soltanto una dimostrazione di perbenismo per mantenere un’immagine di sé immacolata, e perciò gli si è opposto con veemenza, facendogli persino causa e accusandolo di azioni mai compiute e complotti mai dichiarati. La situazione, per quanto critica, è andata avanti per un bel po’, finché, di punto in bianco, mio zio non sembrava essere sparito nel nulla. Secondo mia madre se n’era andato in giro per il mondo a sperperare il denaro che aveva. Mio padre ha sempre negato l’evidenza, cercando di vedere del buono in lui, mentre mia madre non s’è mai realmente fidata del cognato; per cui, covando qualche sospetto, ha cercato di rintracciarlo, in modo tale da seguirne il percorso. C’è riuscita, per un certo periodo, quando era in Europa. Sembrava si stesse comportando bene, finché non smisero di giungerle notizie. E quando dopo anni capirono dove fosse andato, era già troppo tardi. Tu eri già nato. Ora non c’eravamo più soltanto noi, ma persino tu diventavi un “intralcio”, e quindi, sentendosi forse minacciato e non volendo sentire ragioni, ha deciso di vendicarsi.»
«E per questo ha tentato di uccidere mia madre e me? Per i soldi?» ho chiesto attonito, cercando di capacitarmene.
Lui ha scosso la testa, spiegando: «Per quanto possa essere senza scrupoli, non erano certamente questi i suoi piani. Tutto quello che so è perché l’ho udito in alcune conversazioni segrete tra i miei genitori, prima che mio padre morisse. E qualcos’altro mi è stato detto anche da mia madre, prima che spirasse. Solo che… Syaoran, non so se sia un bene dirtelo».
L’ho pregato di non farsi remore, per questo. 
«Potrei dirti che la polizia ha trovato i colpevoli, li hanno arrestati e condannati. Ma purtroppo non è andata così, perché tuo padre li ha anticipati. Si trattava di una serie di persone provenienti da vari Paesi; personaggi illustri ed encomiabili, potenti filantropi e politici, all’apparenza benevoli e caritatevoli, che, per questo, avevano molta gente a supportarli. Questo aveva fatto Fei Wang durante i suoi viaggi: era andato alla ricerca di gente corrotta, circondandosi di persone potenti, per poter mettere in atto il suo piano.
«In realtà, non voleva far altro che rapire te e tua madre, minacciando Clow Reed: vi avrebbe restituiti, in cambio di sua moglie e dell’eredità. Era soltanto spinto dall’avarizia. Nemmeno io, come mio padre, penso che volesse spingersi fino all’omicidio… Preferiamo credere nel suo legame, nell’affetto che, nonostante l’astio e l’invidia, sicuramente doveva provare per la sua famiglia. Tuttavia, aveva l’abitudine di sfogare tutte le sue frustrazioni e spiattellare i suoi piani al suo uomo più fidato, Kyle Rondart, un celebre medico inglese che aveva salvato molte vite. Questi, pensando di agire per il bene del suo amico e benefattore, decise di procedere diversamente, uccidendo te, facendola sembrare una morte naturale, e rapendo soltanto tua madre. Per convincerla a seguirlo aveva usato come pretesto un incidente agli scavi, in cui tuo padre era rimasto ferito, per poi liberarsi di lei non appena ne avrebbe avuto la possibilità. Non poteva prevedere che ci fosse anche un’altra bambina, e per un attimo aveva ipotizzato che fosse una figlia segreta non dichiarata, quindi… Sai com’è andata.»
«Tutte queste cose… come facevate a saperle?»
«Tuo padre le ha raccontate al mio, prima di…» Fece una pausa, chinando la testa. «Andrò per gradi. In qualche modo, è riuscito a trovare tutte le persone implicate, anche indirettamente, facendosi confessare poco alla volta i nomi di ciascuno di essi per potersi vendicare. Lui stesso si è fatto giustizia, con le proprie mani, credendo che se avesse atteso indagini ufficiali ci sarebbe voluto più tempo, che probabilmente non avrebbe portato ad alcun risultato. E quando ha finito…»
«Ha deciso di raggiungere mia madre», ho concluso per lui. 
Per quanto tutta questa storia mi sembri irreale, pazzesca, terribile, riesco a capirla. Riesco a comprendere cosa abbia spinto mio padre ad agire così. Al suo posto, probabilmente, avrei fatto lo stesso.
«Intanto, ti aveva affidato a noi. Mio padre è morto non sopportando tutte queste perdite, poco dopo che ti prendemmo in famiglia. Mia madre ha deciso di rispettare il volere di tuo padre, facendo sì che anche tu potessi vivere una vita diversa. Ha utilizzato l’ipnosi per farti dimenticare alcuni dettagli della tua vita. Ciononostante, non c’è riuscita col tuo nome. Tu ricordavi ancora di essere Tsubasa, eppure hai accettato anche di chiamarti Syaoran, pur non sapendo da dove provenisse quel nome.»
«Perché lo sentivo vicino. Lo sentivo familiare», ho spiegato con voce spezzata. Finalmente, tutto diventava più chiaro. La mia infanzia nebulosa, cominciava a rischiararsi.
«Devo confessare che ne rimanemmo tutti stupiti. Nonostante fosse chiaro che avessi i tuoi dubbi, e avessi consapevolezza dei buchi vuoti che costellavano la tua memoria, accettasti tutto senza alcuna lamentela.»
«Perché avevo fiducia in voi. Dal mio punto di vista, eravate stati una seconda famiglia. Una famiglia che non mi aveva abbandonato, alla morte della prima, ma che mi aveva accolto e cresciuto come se ne fossi parte integrante. Per questo ho sempre provato un’immensa gratitudine per voi.»
A questo Kimihiro ha abbassato lo sguardo, pentito.
«Devi scusarci se ti abbiamo mentito.»
«Lo avete fatto per proteggermi.»
Tutti hanno compiuto quelle azioni, fatto quelle scelte, per proteggere chi amavano. 
Me ne sono fatto una ragione, perché io stesso ho deciso che agirò di conseguenza. 
Ho chiesto, infatti, se si sa cos’è accaduto a Fei Wang Reed. Lui mi ha risposto che non se ne hanno più notizie da allora, e io sono giunto ad un’unica conclusione: quel codardo, prima ha rovinato la vita di decine di persone, e ora si sta nascondendo. Perché sento che questa storia non sia ancora finita.
Una luce alla fine di questo buio tunnel, tuttavia, c’è: avendolo appreso da sua madre, ho pregato Kimihiro di praticare una contro-ipnosi per ri-innescare i miei ricordi. Sono servite diverse sedute, ma alla fine sembro aver recuperato quasi tutto. E nell’agevolare questo processo, mi ha aiutato molto anche Sakura. 
Lei ha cominciato a ricordare in maniera del tutto spontanea e naturale i momenti trascorsi da bambini a Hong Kong, e si è resa conto che, stando insieme, essi ritornano a galla ancora più facilmente. Ora le basta anche una percezione, una sensazione, un suono o un particolare odore per innescare qualcosa di “nuovo”. Così, per aiutarla, e quasi come un modo per farsi perdonare – sebbene a parer mio di questo non dovessero affatto preoccuparsi –, i suoi genitori le hanno concesso di trascorrere diversi giorni con me, facendola trasferire da noi finché non avrà ritenuto di aver richiamato alla memoria abbastanza del nostro passato. E lei, naturalmente, ne ha subito approfittato. 
Quando sono andato a prenderla sprizzava felicità da tutti i pori, e non faceva che abbracciare, baciare e ringraziare i genitori, facendoli ridere. Ammetto che anch’io mi sono lasciato sfuggire una risata dinanzi a tutta quell’euforia, e quando loro se ne sono accorti hanno coinvolto anche me in quelle dimostrazioni d’affetto, avvolgendomi del tutto tra le loro braccia. In quel momento, mi sono sentito come se mi accettassero davvero. Come se mi considerassero come un altro figlio. 
Mi hanno poi lasciato per farci andare, ma prima che recuperassi le valigie di Sakura ecco che Touya-sama mi si è approcciato. Non sembrava convinto al cento per cento che quello che stesse per fare fosse la cosa giusta, ma dopo aver ricevuto una spinta dai genitori ecco che, a sua volta, mi strinse lievemente in un breve abbraccio, scusandosi per il suo comportamento e per le parole che mi aveva rivolto. 
Io gli ho risposto semplicemente che non ce l’avevo con lui, e che anzi, un po’ me lo sono meritato. Questo gli ha dato da riflettere a quanto pare, sebbene l’abbia interpretato totalmente a modo suo, perché dopo che io e Sakura siamo usciti lo abbiamo sentito sbraitare dall’interno: «Ma quindi significa che se la intendono per davvero?!» E tale esclamazione ha quasi fatto rotolare di risate Sakura. 
Quella sera era estremamente ilare, e tale è rimasta anche dopo aver salutato Kurogane-san e Fay-san, contenta di poter stare finalmente tutti quanti insieme. Quest’ultimo l’ha scortata a fare un rinnovato tour della casa, mostrandole in particolare le camere da letto per farle scegliere quella che voleva, ma lei ha detto che non c’era bisogno che nessuno di noi rinunciasse alla propria. 
Dinanzi alla nostra perplessità, visto che di certo non l’avremmo fatta dormire sul divano, lei ha dichiarato candidamente: «Dormirò con Syaoran, come sempre!»
A questo io sono leggermente arrossito, Kurogane-san ha scosso la testa sospirando – come se parzialmente se lo fosse aspettato –, mentre Fay-san ne è parso parecchio entusiasta.
«Approvato! Allora questa sera festeggiamo la nostra prima convivenza!» ha gioito.
Pertanto aveva deciso di preparare una cenetta luculliana, tutto per festeggiare la nostra ospite “d’onore”, facendole letteralmente brillare gli occhi quando ci siamo messi a tavola. 
Dopo mangiato, secondo lui, per celebrare ulteriormente bisognava anche fare un brindisi, e per potercelo permettere ha promesso che a noi avrebbe dato solo un bicchiere di spumante, affinché non finissimo con l’ubriacarci. Kurogane-san aveva assicurato che avrebbe fatto lui da guardia, per accertarsi che fosse realmente così, ma ormai mi ero fatto un’idea di quella che era la nozione di divertimento secondo Fay-san. E in ogni caso non era detto che noi non ci ubriacassimo con un solo bicchiere.
Come prevedibile, alla fine è riuscito ad averla vinta e, anche dopo un solo kanpai, io e Sakura ci siamo letteralmente attaccati alla bottiglia, quasi facendo una gara per vedere chi riuscisse a bere di più, con lei che poi se ne è scappata per tutta casa per fuggire dalle grinfie di Kurogane-san. Io non ho idea di cosa abbia fatto nel frattempo, fatto sta che il mattino seguente mi sono risvegliato nel mio letto, con Sakura accoccolata contro il mio fianco con aria serena, e anche se dopo essermi alzato ho chiesto come sia andata stavolta, loro hanno detto soltanto: «Quando stai insieme a Sakura-chan, ti comporti solo in maniera più allegra e leggera».
«E insensata», ha aggiunto Kurogane-san, passandomi un frullato di cavoli.
«Dettagli, è bello vederlo tanto spensierato.»
«Perché tu ti diverti», ha puntualizzato l’altro, sedendosi accanto a me. 
«La prima volta in cui bevemmo come mi comportai?» 
Entrambi si sono rivolti un’occhiata, quasi si chiedessero se fosse un bene rivelarmelo o meno. Alla fine Fay-san ha ceduto, confessando: «Sei diventato una specie di alcolista depresso. Continuavi a bere e piangere e dichiarare di sentirti pieno di incertezze, insicurezze, sembrando sull’orlo di una crisi di identità. Per questo abbiamo voluto evitare che ti capitasse dinanzi ad altre persone».
Tale notizia mi ha colto alla sprovvista. Non me lo aspettavo di certo, ma ho assicurato loro di stare bene.
Dopo poco ci ha raggiunti anche Sakura, sprizzante energia da tutti i pori. Ancora mi domando se sia normale reagire così agli alcolici; ma in ogni caso, l’importante è che non le facciano male. 
Da allora sono trascorsi quattro giorni e, dato che questo periodo corrisponde alle vacanze primaverili, posso anche stare sempre in casa con Sakura. Anche nei giorni in cui dovrei fare la spesa o le pulizie, Fay-san ha spesso costretto Kurogane-san a sostituirmi, in modo tale da non interrompere le sessioni terapeutiche con lei.
In realtà, ciò che stiamo facendo corrisponde ad una sorta di meditazione. Ci rintaniamo in camera mia, sedendoci sul letto, e ci aggrappiamo a qualcosa, qualunque cosa percepiamo o ci viene in mente, ripetendo ad alta voce tutto quello che riusciamo a ricordare. È così che sono riuscito a riscoprire gran parte del legame che ci unisce. 
Ho scoperto che non è accaduto tutto in poco tempo. Che nel periodo di tre anni, per molti mesi, la famiglia del primo ministro ha fatto avanti e indietro da Tokyo a Hong Kong, e che tutte le volte, che fosse con o senza i suoi genitori, Sakura si faceva accompagnare a casa nostra. 
«Adoravo stare in compagnia di tua madre», rievoca un pomeriggio, prossima alle lacrime.
«Lei ti viziava tantissimo.»
«È vero», ridacchia, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e rivolgendo uno sguardo nostalgico al sole calante, al di là della finestra. «Sei riuscito a ricordare il nostro primo incontro?»
«Sì.»
L’ho ricordato, in ogni singolo dettaglio. La sera prima che ci conoscessimo, mio padre ci informò che il giorno seguente avremmo avuto degli ospiti a pranzo. Mi adoperai ad aiutare lui e mia madre con le pulizie della casa, e il mattino successivo mi svegliai all’alba, per poter dare una mano in cucina. Quando poi arrivarono mio padre andò ad accoglierli, mentre io mi assicuravo che non mancasse nulla a tavola. Fui affiancato da mia madre e con lei li raggiungemmo in sala, presentandoci.
C’erano tutti e quattro. Kinomoto-sama e sua moglie erano più giovani di adesso, Touya-sama era a malapena un adolescente, mentre Sakura era una bambinetta di soli 4 anni.
Quando ci presentammo e scoprimmo di avere lo stesso nome, fu una sorpresa per tutti.
Ci sedemmo a tavola, coi grandi che chiacchieravano animatamente, Nadeshiko-sama che si complimentava per qualsiasi cosa – il cibo, la casa, il giardino –, imbarazzando leggermente mia madre, Touya-sama che mi scrutava con una certa diffidenza e Sakura che invece mi sorrideva ogni volta che incrociava il mio sguardo. E quello, pensai, era un sorriso che non avevo mai visto prima, caldo come il sole.
Dopo mangiato continuò a ronzare intorno a me o a mia madre, mostrandosi particolarmente curiosa per ogni singola cosa. Per il nostro abbigliamento, per quella lingua “strana” con cui ci rivolgevamo l’uno all’altro in casa – lei allora riconosceva solo poche parole basiche in cinese –, per il nostro modo di fare e così via. 
Le volte successive, si recavano da noi o solo lei e sua madre o veniva accompagnata e poi lasciata a casa nostra. Quando io mi allenavo lei trascorreva tutto il tempo con mia madre, cucinando con lei, giocando con lei, facendosi insegnare nuove parole, cantando con lei, dipingendo con lei nel nostro enorme giardino, e così via. Quando invece ero libero trascorreva tutto il suo tempo con me, coinvolgendomi in qualsiasi cosa volesse fare. 
Ora ricordo in maniera piuttosto vivida anche il giorno in cui le ho fatto quella promessa, cui ha fatto riferimento sua madre.
Ci trovavamo in prossimità di uno degli stagni, su cui galleggiavano i fiori di loto in pieno splendore. Lei era stesa a pancia in giù, col mento appoggiato sulle mani, e sgambettava all’aria. Canticchiava a bocca chiusa una canzoncina in cantonese che aveva imparato da mia madre, sorridendo dinanzi a quei fiori rosati, e io la guardavo col cuore in gola. Avevo solamente 9 anni, eppure non potevo fare a meno di pensare che sarebbe stato bello se avessimo potuto essere amici per sempre. Se un giorno avessi potuto andare io in Giappone a trovarla, e vedere la sua casa. Se magari fossimo riusciti persino a frequentare la stessa scuola, così da poterci incontrare quotidianamente. E se era possibile un futuro in cui avremmo potuto stare insieme, io ero determinato: l’avrei sicuramente resa felice. 
La richiamai per dirglielo – allora mi appellavo a lei con “Tsubasa” soltanto, mentre lei mi chiamava “Tsubasa-kun”, come facevano i suoi. Mio padre la chiamava “Tsubasa-chan”, mentre mia madre – che aveva raggiunto un certo livello di confidenza con lei – era arrivata persino ad utilizzare il diminutivo “Tsu-chan”. E lei ne sembrava contentissima, tutte le volte in cui glielo sentiva dire.
Si voltò quindi nella mia direzione, e con lo spostarsi della sua testa anche le alte codine che le avevano fatto le dondolarono accanto al viso, incorniciandoglielo in maniera morbida. Mi guardò in attesa e io le sorrisi, posando una mano sulla sua, promettendole: «Qualunque cosa accadrà in futuro, io ci sarò per te. Ti prometto che ti proteggerò. Lo farò per sempre».
Lei mi guardò spiazzata, arrossendo sulle guance, prima di sorridere a trentadue denti, mettendosi seduta composta. 
«Anche io, ti prometto che sarò per sempre tua amica.»
Fu una frase semplice, ma non poteva neppure immaginare quanto potesse rendermi felice. Pensare che risale a soli dieci anni fa… Eppure, i miei sentimenti non sono affatto cambiati.
Dopo che mi ebbe rivolto anche lei quelle parole, per sancire ulteriormente quella promessa allungai il mignolo destro, incrociandolo al suo. Facendo sì, in tal modo, che diventasse infrangibile.
«E ricordi quando mi promettesti che mi avresti protetta per sempre?»
La guardo, sorridendole rasserenato.
«Ci stavo ripensando giusto adesso.»
Lei mi fissa stupita, emettendo poi un leggero risolino. 
«Bene. Posso confessarti una cosa?»
Annuisco, incuriosito, e lei mi fronteggia con le gote rosse, sembrando imbarazzata.
«Hai presente, no, che mia madre ne è a conoscenza…»
«Sì.»
«È perché quando mi venne a prendere quel giorno non riuscivo a smettere di parlargliene, troppo esaltata, e le posi una domanda.» Fa una piccola pausa, avvampando maggiormente, tanto che persino le sue orecchie – ora scoperte perché ha alcune ciocche di capelli tirate indietro da delle forcine – ne sono travolte.
Attendo che si faccia coraggio, ma mormora qualcosa in un tono talmente basso, impacciato e nervoso che non afferro neppure una parola.
«Puoi ripetere?» le chiedo perplesso.
Lei mi guarda con iridi lucide, infiammandosi ancora di più, facendosi totalmente tesa.
«Le avevo chiesto se quella frase non significava che… che mi stavi promettendo che un giorno mi… mi avresti sposata», completa tutto d’un fiato, lasciandomi completamente basito. 
«Ridicolo vero?» ridacchia nervosa, spostando lo sguardo sulle sue dita, posate sulle ginocchia. «Non farci caso, avevo solo sei anni…»
Sorrido intenerito, prendendo le sue mani tra le mie, guardandola convinto. 
«Se non hai cambiato idea, sì.»
Sgrana occhi e labbra, sembrando incredula. 
«D-dici sul serio?»
Faccio un cenno con la testa, chinandomi di poco per baciarle l’anulare sinistro, là dove un giorno avrei riempito quel vuoto con la promessa dell’eternità. 
«Mi faresti quest’onore?»
«Certo che sì!» Mi si tuffa tra le braccia, felicissima.
La stringo a me, e lei mi si accoccola comodamente contro, giocherellando con una ciocca più lunga dei suoi capelli. A quanto mi ha detto questo è il taglio che ricorda portava mia madre, e ha deciso di replicarlo in suo onore, visto che finalmente abbiamo ricordato tutto. A mio parere, che li abbia corti, medi o lunghi, resta sempre bellissima.
«Lo sai che potremmo anche già sposarci? Scommetto che i miei acconsentirebbero.»
Mi guarda con astuzia e io scoppio a ridere, ammettendo: «Loro probabilmente sì, tuo fratello mi ucciderebbe seduta stante». 
Gonfia le guance, stizzita, e io gliele sgonfio con gli indici, divertito. 
«Ci tieni tanto?»
«Mh. Vorrei accadesse il prima possibile», sussurra, tornando nel mio abbraccio, stringendomi ancora più forte. «Però posso aspettare. Ho atteso tutto questo tempo per rincontrarti, cosa saranno mai altri tre anni?»
«Solo tre anni», ripeto, lasciandole un bacio tra i capelli. 
Sakura ha ragione. Abbiamo atteso nove anni per rincontrarci, e ora che stiamo finalmente insieme tre anni voleranno.










 
Spiegazioni:
- i wagashi sono dolcetti tradizionali giapponesi, spesso serviti col tè verde, creati solitamente nella forma di elementi che richiamano la stagione (es. ciliegi in primavera, foglie d'acero in autunno).
- "kanpai" è l'equivalente del nostro "cin-cin" quando si brinda.
- alla fine si parla di 3 anni affinché Sakura possa raggiungere la maggiore età e prendere decisioni autonome senza che Touya si lamenti; quindi deve arrivare a compiere 20 anni, anche se dall'anno prossimo verrà abbassata a 18. Tuttavia, tenete in conto che questa storia è stata scritta tra il 2018 e il 2019, quindi se ci sono riferimenti a cose realistiche risalgono a quel periodo.
  
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